ok
Beta: xaki
Ci ho messo un pò, scusate, ma
era perdiodo di esami.
Grazie a chi ha letto e/o recensito lo scorso capitolo.
Buona lettura.
Non trattenere la rabbia, il male o il dolore. Essi rubano la tua energia e ti impediscono di amare.
(Leo Buscaglia)
Parte II
The Spring of 2016
Quella
sera il Road House Pub sembrava popolato da ubriaconi più allegri del solito e
i propositi di Dean Winchester – i soliti di ogni venerdì sera - ubriacarsi,
stare solo e dimenticare – crollarono miseramente a causa delle urla e degli
schiamazzi di quei quattro idioti.
Non
sapeva quale dannata squadra di football avesse vinto il campionato e nemmeno
gli interessava saperlo; voleva solo silenzio e altro alcol.
Ellen
– sua zia acquisita Ellen, dannazione – lo squadrò con aria preoccupata
dissentendo con la testa alla sua ennesima richiesta di riempirgli il
bicchiere.
<<
Stai esagerando >>
<<
Ellen, andiamo! >> ridacchiò Dean amaramente sbattendo il bicchiere
contro il bancone << è venerdì ed è stata una settimana orribile >>
Ellen
storse il naso, con aria arcigna, e gli versò altre tre dita di whiskey << L’ultimo. Poi ti spedisco a casa a
calci in culo, Dean. Mi hai capito? >>
<<
Tu sì che mi capisci, Ellen! >> biascicò mellifluo vedendola sparire
dietro il retrobottega dopo uno sbuffo esasperato.
Dean
osservò con interesse il contenuto del suo bicchiere vorticare incessantemente
e finalmente si sentì davvero ubriaco.
Ignorò
gli schiamazzi dei tifosi e i fastidiosi rumori delle palle da biliardo che
sbattevano fra di loro, riuscendo finalmente a dimenticare quanto fosse stata
orribile, pesante e a tratti disgustosa la sua settimana.
Rovesciò
l’intero contenuto del bicchiere nella sua gola e sibilò per il cocente
fastidio poi tentò di capire che ora fosse nonostante le lancette dell’orologio
vorticassero ininterrottamente.
<<
Sono le due e venti >> borbottò Ellen venendogli in aiuto << ed è
meglio se vai a farti una dormita >>
<<
Il crimine non dorme mai, zia, non lo sapevi? >>
Ellen
alzò gli occhi al cielo e circumnavigò il bancone parandosi davanti a lui,
bloccando ogni sua possibile mossa con un’occhiata micidiale.
<<
Chiavi >>
<<
Cosa? >>
<<
Dammi le chiavi dell’auto, Dean >>
Dean
si sentiva come se avesse la testa immersa nell’acqua, ma appena udì la sua
auto tirata in ballo reagì con un burbero << scordatelo >>
<<
Sei ubriaco e non ho intenzione di lasciarti schiantare contro un palo >>
<<
Ma è la mia baby! >>
<<
Non te la ruba nessuno! >>
<<
Siamo a New York! Tutti vogliono rubare la mia auto >> e si complimentò
con sé stesso per l’intelligente ragionamento che aveva appena partorito. Solo
che Ellen non aveva intenzione di lasciar perdere la questione e Dean sapeva
che quella donna sarebbe stata capace di fare qualsiasi cosa per sequestragli
le chiavi. Ricordava vagamente la notte in cui pur di non lasciarlo guidare gli
aveva rifilato un pugno nello stomaco.
<<
Dean, dammi le chiavi dell’auto >>
<<
Ma abito a cinque isolati da qui >>
<<
Ti chiamo un taxi >>
Dean
sbuffò esausto << Lascia perdere … me ne torno a piedi >> biascicò
incespicando sui suoi stessi passi.
<<
Dean, non fare l’idiota! Prendi un taxi e … >>
<<
Seh, seh … ciao zia! Ci si vede domani! >> disse sventolando una mano in
aria.
<<
Dean! >>
Si
infilò le mani nelle tasche dei jeans e uscì dal pub strascicando i piedi
sull’asfalto.
New
York sembrava stranamente silenziosa quella sera o forse era il suo cervello ad
essere così pieno di pensieri da non riuscire a sentire altro che l’arrovellarsi
dei neuroni. Male … significava che era ancora abbastanza lucido per pensare.
Ellen
uscì dal locale continuando ad urlare il suo nome finché non lo raggiunse
parandosi davanti e lasciandogli in mano un cellulare che somigliava vagamente
al suo. Oh, ma era il suo.
<<
L’avevi dimenticato … >>
<<
Grazie, eh! >>
<<
Dean … >>
<<
Risparmiami la predica, Ellen! Ci pensa già mio padre ogni domenica a ripetermi
le stesse identiche cose, urlando al telefono >>
<<
Ma ha ragione, idiota! Passi tutta la settimana a lavorare come un matto
correndo da una parte all’altra della città e poi ti sbronzi come non ti
importasse di niente! >>
<<
Infatti non mi importa >> Ellen si accigliò.
<<
Dean, è per Sam, vero? >>
<<
Sam non centra niente >>
<<
E’ da quando ha deciso di sposarsi che ti comporti in modo … >>
<<
Ellen, se volessi parlare dei fatti miei andrei da un cazzo di terapeuta! Ok?
>>
<<
Mi sto solo preoccupando per te … pensavo che fra te e Lisa … >>
<<
Fra me e Lisa non ha funzionato >>
Dean
si sistemò la giacca sulle spalle e sospirò. Faceva freddo, ma lui non riusciva
a sentirlo.
<<
Perché? >>
<<
Non lo so … io credo che … >>
<<
Dean >> lo interruppe Ellen posando una mano sulla sua spalla << lascia
che qualcuno ti aiuti … >>
<<
E’ solo un brutto periodo, Ellen, passerà >>
<<
Dean … >>
<<
Ci lavorerò su, va bene? >>
<<
Se continui a bere in questo modo, morirai prima di provarci >>
Dean
gli rivolse un sorriso strafottente, si tirò su il colletto della giacca e le
voltò le spalle.
Camminò
fino a sentir male ai piedi superando casa sua di due isolati.
Ritornò
sui suoi passi quasi un’ora dopo crollando poi sul divano con giacca e scarpe
ancora addosso.
All’alba,
con il sole che filtrava prepotente dalle tende e il cellulare che squillava
nella tasca dei suoi jeans, Dean si risvegliò mandando già a fanculo il mondo.
Rispose
sospirando pesantemente.
<<
Winchester >>
<<
Una chiamata dal Presbyterian Hospital >> grugnì il capitano Bobby Singer
<< un uomo ha scaricato una donna davanti al pronto soccorso. È morta
sotto i ferri. I medici hanno detto che è stata pugnalata dodici volte >>
Dean si massaggiò le tempie. Il male alla testa era lancinante.
<<
E’ il mio giorno libero >>
<<
E io ho un duplice omicidio sulla quarantesima e una rapina a mano armata sulla
quarta, quindi alza il culo e vai a fare il tuo lavoro >> sbottò
interrompendo la chiamata.
Dean
sospirò pesantemente e, maledicendo il suo impiego, - e il tempismo di Bobby -
si alzò dal divano caracollando fino in cucina per recuperare una bottiglia
d’acqua, due vecchie ciambelle stantie e un antidolorifico. Solo quando si
assicurò di essere tornato abbastanza lucido e aver cambiato la maglia chiamò
il suo partner per delle indispensabili delucidazioni sul caso.
<<
Il capitano è seccato >> gli rispose Benny sbuffando come una locomotiva
a vapore << sia … i tagli al budget e gli agenti ridotti alla metà rispetto
al mese scorso … tutte queste cose lo stanno facendo impazzire e ci maltratta
>>
Dean
uscì di casa e, nonostante fosse stanco morto, con lo stomaco sottosopra e le
tempie doloranti, ringraziò Bobby per quella chiamata – o i tagli al personale
che lo costringevano a fare gli straordinari tutti i week and – perché
lavorando non avrebbe pensato alla sua vita, soprattutto a Lisa che gli urlava
di odiarlo e a sua madre che gli chiedeva perché avesse lasciato una così brava
ragazza. Soprattutto non pensava a suo padre che ogni volta che andava a
trovarlo lo guardava così come si guardano le sconfitte.
Andate
tutti al diavolo, pensò registrando le poche informazioni che Benny gli stava
snocciolando, masticando rumorosamente la colazione.
<<
Presbyterian, pronto soccorso. È stata raccattata alle due di notte ed è morta
alle cinque. È ancora sconosciuta. Io sto per arrivare, ma Bobby ha messo te a
capo delle indagini perciò … >>
<<
Sì, sì ... capito! Le scartoffie toccano a me! Fantastico >> sbottò con
una smorfia che rivolse al suo stesso riflesso nello specchio dell’ascensore.
<<
C’è già la scientifica. Ci vediamo lì >>
Dean
scrocchiò l’osso del collo e controllò di avere tutto con sé: pistola,
distintivo, manette e altre pillole contro il male alla testa.
Era
pronto per ricominciare un’altra giornata.
<<
I medici hanno fatto un casino ovviamente >> esordì Benny porgendogli un
caffè ancora caldo. Dean lo benedì mentalmente e superò gli agenti che stavano
piantonando la stanza numero 213 dove era stata provvisoriamente sistemata la
vittima.
<<
Quelli della scientifica hanno detto che sarà un miracolo recuperare impronte e
dna >>
<<
Hanno tentato di salvarle la vita >> rimarcò Dean << Causa della
morte? >>
<<
Dissanguamento. Pare. Insomma è difficile stabilirlo >>
Dean
osservò il cadavere riverso sul letto.
Era
una bellissima ragazza di vent’anni con profondi squarci sull’addome.
<<
Piuttosto violenta come aggressione. Raptus omicida? >> ragionò Benny al
alta voce suscitando una risata nervosa in Dean.
<<
Hai mai visto aggressioni non violente?
>>
<<
Hai capito cosa intendevo … >>
Benny
scrollò le spalle e si fece da parte per lasciar passare il medico legale, che
borbottava fra sé a proposito degli infermieri che avevano coperto la donna con
una lenzuolo.
<<
I testimoni? >> domandò Dean seguendo lo sguardo del collega puntato su
due infermiere in lieve stato post-traumatico che si erano rifugiate accanto
alla porta della stanza.
<<
Detective Winchester >> si presentò estraendo il suo fidato taccuino da
bravo poliziotto << Ho bisogno che mi raccontiate quello che è successo
>>
L’infermiera
più anziana sollevò lo sguardo e annuì risoluta << Ero fuori nella zona
di sosta delle ambulanze per fumare una sigaretta quando un’auto ha frenato
bruscamente. Mi sono voltata e ho visto una mano sbucare dallo sportello del
passeggero e spingere a terra la ragazza. Mi sono precipitata ed era viva … ho
chiamato aiuto >>
<<
Le ha detto qualcosa? >>
<<
No … no! Insomma era in shock … >> balbettò.
<<
E l’auto? Saprebbe descriverla? >> intervenne Benny.
<<
Verde … una berlina >>
<<
Targa? >>
La
donna si accigliò e scosse la testa violentemente << Mi sono occupata
della ragazza … io … mi dispiace … non l’ho notata >>
Benny
annuì mentre Dean scribacchiava parole sul taccuino, parole inutili perché a
parte qualche dettaglio nessuno aveva visto l’uomo o la donna alla guida.
<<
Di lei se ne è occupata uno specializzando dell’ultimo anno prima di essere
spostata in sala operatoria >> continuò l’altra indicando un uomo con il
camice bianco che parlava con due agenti in divisa dall’altra parte del
corridoio. E intanto la scientifica faceva avanti e indietro nella stanza
borbottando a proposito del caos di materiale genetico sparso ovunque.
In
un attimo Dean capì che quella sarebbe stata una lunga indagine basata su prove
inconsistenti e imprecise. Proprio quello che il suo cervello reclamava per
evitare di pensare a Lisa, Ben e genitori apprensivi. E a Sam naturalmente che
lo stressava da settimane a proposito del testimone di nozze.
<<
Senti >> esordì Benny giocherellando nervosamente con il tappo di una
penna a sfera << Vado da quelli della sicurezza. Magari hanno tenuto le
registrazioni delle telecamere a circuito chiuso >>
<<
Sì, ma porta i filmati al distretto. Magari Charlie fa una delle sue magie e
troviamo l’auto >>
<<
Sempre che i filmati ci siano >> borbottò avviandosi verso le scale.
Dean
bevve il suo caffè – freddo e decisamente insipido- e lo gettò con sdegno in un cestino puntando il
dottore che le infermiere gli avevano indicato, il quale forse era riuscito a
parlare con la vittima prima che morisse.
Riaprì
il suo taccuino e ricominciò con il solito discorso di presentazione <<
Salve. Detective Dean Winchester, omicidi. Posso farle qualche domanda?
>>
L’uomo
si voltò e lo guardò sgranando un paio di occhi blu come il mare.
Dean
aggrottò la fronte e uno strano senso di disagio gli annodò di nuovo lo stomaco
come se quel disgustoso caffè non fosse stato abbastanza.
<<
Posso farle qualche domanda? >> ribadì immaginando che quel ragazzo
avesse bisogno sicuramente di una dormita; come lui d’altronde.
<<
Dean Winchester >> ripeté quello con voce baritonale.
Aveva
un paio di occhiaie appena accennate e l’espressione vagamente smarrita,
decisamente sconvolta. Sì, aveva bisogno di dormire.
Specializzandi
… tsk …
<<
Sì, è il mio nome e a parte consigliarle un letto potrebbe dirmi se la vittima
prima di perdere conoscenza ha … >>
<<
Dean Winchester >> ripeté di nuovo questa volta aggrottando le
sopracciglia.
Ok,
una dormita e uno psichiatra.
Gli
agenti alle sue spalle ridacchiarono facendosi da parte come a dire “è tutto
tuo”.
Tante
grazie pivelli, borbottò a mezza voce.
<<
Senta, sono le sette del mattino e ho avuto una nottataccia quindi potrebbe
concentrarsi? Seguo Grey’s Anathomy e so che vi fanno fare turni assurdi, ma ho
bisogno che si concentri così la lascio andare a riposare >>
Il
medico di fronte a lui si morse le labbra -
qualcosa si agitò di nuovo nel suo stomaco- e poi si spettinò i capelli
con le dita, visibilmente scosso e la sensazione strana si trasferì all’altezza
del petto.
<<
Dean … >> mormorò di nuovo e il suddetto Dean capì di non avere la
pazienza quella mattina per stare dietro uno specializzando con un trauma alle
spalle e la mente apparentemente confusa.
<<
Va bene! >> sbottò infine alzando bandiera bianca << facciamo così.
Io le lascio il mio numero e appena torna in sé o dorme per almeno sei ore di
fila mi richiama e mi racconta quello che ha visto >> e gli allungò il
biglietto da visita osservando le dita bianche del medico afferrarlo con un
fremito.
Dean
si voltò lanciando un improperio al soffitto e poi sentì mormorare quel nome,
un nome che non sentiva pronunciare da sedici anni, un nome unico nel suo
genere e così il sangue gli si gelò nelle vene.
Pensò
di aver sentito male, pensò di essere talmente stanco che la mente gli giocava
brutti scherzi, perché non poteva essere vero.
Il
cuore mancò un battito e riprese a battere forsennato.
Si
voltò e squadrò quell’uomo, lo analizzò lo scandagliò e si perse nei suoi occhi
blu mare.
<<
Castiel Novak … non ti … non ti ricordi? >>
Dean
si immobilizzò e non poté far finta di non averlo sentito.
E
non poteva fingere di non averlo capito.
Stessi
occhi, stesse labbra e stessa schiena ritta e stesse dita che tradivano la sua
ansia.
Come
aveva fatto a non riconoscerlo?
Quegli
occhi.
Blu
come il mare.
Lo
guardò, lo guardò e lo guardò cercando di capire cosa provasse in quel momento,
cosa sentisse il suo Io profondo a ritrovare un pezzo di sé in quell’ospedale
alle sette di mattina.
Niente
… niente. Non sentiva niente se non una grande e infinita confusione insieme ad
un’ansia lacerante.
Dean
si morse l’interno della guancia e udì solo di sfuggita la voce di Benny e la
sua ombra che entrava nel suo capo visivo.
<<
Ho visualizzato i filmati! >> esultò soddisfatto << non si vede la
targa, ma un pezzo del braccio del tipo che l’ha scaricata. Charlie farà
qualche miracolo e lo becchiamo il bastardo >>
Castiel
non distolse per un secondo lo sguardo, sostenendolo con infinita tristezza
mentre Benny parlava e parlava. Quanto parlava …
Dean
si passò una mano sulla faccia e prese di scatto i filmati lasciando il suo
partner sbigottito prima di voltasi e camminare verso l’uscita.
Respirò
solo una volta uscito all’aperto, poggiando la testa sul tettuccio dell’auto.
Le
ginocchia tremavano e un gelo soffocante lo stava lentamente privando
dell’ossigeno.
Cosa
era appena successo? Era prigioniero di
un incubo?
Serrò
gli occhi e batté un pugno sul metallo dell’auto e trattenne un urlo con uno
sforzo immane.
<<
Dean, amico! Che diavolo ti prende? >> gridò Benny agitato posando una
mano sulla sua spalla << che ti è successo? >>
Respirò
una, due, tre volte e finalmente capì come si stava sentendo il suo Io in quel
momento: rabbia, tanta, tanta rabbia.
Una
rabbia che partiva dal centro del suo petto gli stava divorando persino le
mani.
Gli
girava la testa.
<<
Dean >>
<<
Sto … bene … >> farfugliò << un calo di zuccheri … >>
Si
tirò su e Benny gli prese le chiavi dell’auto dalle mani
<<
Forse è meglio se te ne vai a casa >>
Serrò
un’altra volta gli occhi e negò con la testa prima di buttarsi in auto.
Sedici
anni e nemmeno per un solo istante aveva
sperato di rivedere Castiel, seppellendo la sua memoria in profondità, vivendo
come se non fosse mai esistito. Se lo
era imposto e l’aveva rimosso dalla sua testa insieme a tutti i ricordi che lo
riguardavano.
Il
destino … quell’infimo bastardo …
Fra
tutti gli ospedali d’America, fra tutti i fottutissimi ospedali del mondo lui
era lì, a pochi isolati da dove abitava.
E
il solo pensiero di pronunciare il suo nome lo terrorizzava.
Anni,
anni ci aveva impiegato per dimenticare.
Benny
gli offrì acqua e zucchero mentre Bobby Singer lo fissava circospetto, e
lievemente preoccupato, con le braccia incrociate al petto.
<<
Forse è meglio se te ne vai a casa, ragazzo >>
<< Sto bene >> mentì.
<<
A me non sembra >>
<<
Sto bene >> ripeté alzandosi sperando che quei due non lo seguissero
anche nel bagno. Si tirò dietro la porta lasciandosi cadere a terra, finalmente
solo.
Si
prese la testa fra le mani ed emise un singhiozzo, il primo dopo sedici.
Aveva
baciato Denise in seconda liceo. Era carina e aveva un bel sorriso e suo padre
era stato contento per lui quando gli aveva annunciato di averla invitata ad
uscire. Così l’aveva baciata fingendo di non fare paragoni, fingendo che fosse
il primo bacio e che fosse eccitato. Ci aveva fatto sesso e quell’emozione
sconvolgente e terribilmente svuotante lo aveva stregato e reso dipendente.
In
quei momenti, mentre si spingeva tra le cosce di una Denise o una Linda di
turno non pensava, non ricordava, non fingeva. Non soffriva.
Diventava
Dean il bastardo schifoso, Dean il seduttore, Dean lo stronzo e tutti dicevano
che andava bene così. Era accettato.
Lisa.
Sì, Lisa l’aveva amata in un certo senso; per poco e male, ma l’aveva fatto. Ma
era finita perché dentro di lui, ogni giorno che viveva con lei e con Ben in
quella casa perfetta, con la famiglia perfetta, qualcosa dentro di lui gli
diceva che tutto era sbagliato, che non se li meritava. Che lui era sbagliato …
Se
ne era andato in piena notte, dopo un giorno qualsiasi, con l’unico rimpianto
di dover dimenticare anche Ben insieme a tutto il resto. Doveva dimenticare
esattamente come aveva dimenticato Castiel.
A
vent’anni aveva scoperto il potere dell’alcol e quello, unito al sesso senza
legami, era diventato una droga. Il suo lavoro lo teneva lontano da quello per
qualche ora e poi tutto ricominciava.
Dimenticare
era il verbo base della sua vita, la sua dottrina. E nonostante stesse cadendo
a pezzi da anni, quello che era appena successo l’aveva fatto crollare
definitivamente.
Destino
… destino bastardo.
Quel
Castiel adulto aveva un accenno di barba, i capelli corti e arruffati. Era
diventato alto e bello, maledettamente bello. Più bello di come se lo ricordava
o se lo era immaginato nei suoi sogni in quei lunghi sedici anni.
Era
la sua vera voce quella? Così bassa,
così profonda?
Dean
singhiozzò più forte.
Arrabbiato.
Sì era tanto arrabbiato: con la vita, con Castiel e con quel mostro che glielo
aveva strappato via.
Durante
l’accademia –solo in una stanza sconosciuta- più volte si era immerso nei suoi
pensieri a fantasticare su un universo alternativo dove l’adolescenza non aveva
fatto così schifo perché l’aveva vissuta con lui, salendo in camera sua dal
pergolato, baciandolo, facendo l’amore con lui per ore finché avesse avuto
fiato, finché non avesse detto basta.
Poi
tornava alla realtà e tutto ricominciava a fare schifo e si malediceva per quei
pensieri seppellendoli sotto le vesti di qualche recluta dalle forme generose.
Si
asciugò le lacrime.
Castiel
… era stato lui a far finire quel sogno.
Castiel
non aveva voluto lottare, si era arreso quella domenica d’agosto. E che diritto
aveva di guardarlo con quell’espressione triste e dispiaciuta? Che diritto
aveva di rovinargli la giornata?
No,
Castiel non era nessuno e lui era uno stupido sentimentale a singhiozzare come un
bambino per qualcosa successa sedici anni prima. Era una vita fa. Lui ora era
diverso. Eterosessuale e diverso e si vide costretto a dar ragione a quella
befana della bibliotecaria del Kansas quando gli aveva detto che la loro era
solo una fase preadolescenziale.
Si
rialzò, si sciacquò il viso indossando la sua maschera da detective tutto d’un
pezzo. Uscì dal bagno marciando a passo di guerra verso la sua scrivania.
Aveva
una vittima da identificare e render giustizia, non aveva tempo da perdere per
pensare al passato. E comunque non poteva rimanere rinchiuso in quel bagno per
sempre.
<<
Credevo di averti mandato a casa >> borbottò Bobby dandogli uno
scappellotto dietro la nuca mentre passava per il corridoio.
<<
Sto bene, capo! >> ribadì controllando
sul suo computer l’elenco delle persone scomparse.
<<
Quante stronzate che racconti! >> tuonò chiudendosi dentro il suo ufficio
senza smettere di borbottare.
Bussò
due volte allo stipite della porta fingendo un sorriso radioso alla ragazza
seduta sulla sedia e curva sullo schermo di un pc.
Posò
un caffè fumante accanto a lei e le scompigliò i capelli rossi.
<<
La tua droga fumante, Charlie >>
<<
Non fare il ruffiano con me, Dean. Non ho ancora finito di esaminare i video
>> lo rimbeccò con un mezzo sorriso continuando a far ticchettare le dita
sulla tastiera consunta.
<<
Pazienza … non ti dà fastidio se resto qui a fissarti mentre fai le tue magie?
Vero? >>
Charlie
si rizzò sulla sedia, impettita, lanciandogli uno sguardo di sottecchi.
<<
Non hai niente da dirmi, Dean? >>
<<
No … >>
<<
Ho saputo che sei stato male … >> continuò lei con una smorfia di
disappunto sul viso.
<<
Calo di … >>
<<
Ah! Vallo a raccontare a Benny che ancora ti crede. Non sono stupida, Dean
>>
<<
Mai detto questo! >>
<<
Allora? Che c’è? >>
<<
Niente >> mormorò << e non tirare fuori la storia di Sam che si
sposa perché saresti la quinta persona a parlarne e credimi, la minestra
riscaldata è proprio un cliché >>
Charlie
scrollò le spalle per nulla intimorita dal tono duro e seccato di Dean. Si
conoscevano oramai da sei anni e quel modo di fare da poliziotto badass non la toccava minimamente e Dean
si sentiva spesso disarmato davanti a lei.
<<
Non ho pensato nemmeno per un secondo che fosse Sam il problema … anche se ti
comporti in modo strano ultimamente >> rimuginò << Io intendo dire
che oggi ti stai comportando in modo
più strano del solito. Quindi? Niente da confessare? >>
<<
Solo una brutta giornata iniziata con i postumi di una sbronza >>
Charlie
sospirò e storse il naso in un modo che Dean riteneva tenero “livello Gramlin
prima della mezzanotte” e gli scappò un sorriso nel constatare che
quell’espressione significava che non si sarebbe arresa.
<<
Come vuoi … >> mentì << ma ne parleremo questa sera >>
<<
Ho un caso in corso >>
<<
Pop-corn e Doctor Who >> continuò imperterrita << Non puoi dirmi di
no >>
Dean
alzò gli occhi al soffitto << Ma tu non dovevi uscire con quella tizia dal
nome inquietante? Abby qualcosa … >>
<<
Abbadon? Mh, la vedo domani … mi mancano le nostre serate, Dean! >>
<<
Abbadon … ma che razza di genitori ha? >>
La
ragazza cominciò a ridere << Mia madre mi ha chiamata Charlie quindi
direi che siamo pari >>
<<
Tua madre ti ha chiamata Charlene >> le ricordò Dean divertito <<
sei tu che hai problemi con i nomi femminili. E comunque Abbadon è … >>
<<
Insieme stiamo bene e facciamo del sesso spettacolare. Del suo nome non me ne
importa niente >>
Dean
rabbrividì << Meno dettagli, grazie >>
Rimasero
a parlare per un’ora mentre il computer elaborava i dati e Dean non si accorse
né del tempo che passava né di star dimenticando l’incontro di quella mattina.
Charlie era la sua personale medicina contro la tristezza.
Alle
dodici e venti, il mingherlino e poco sveglio agente Carter bussò alla porta
dell’ufficio attirando la loro attenzione.
<<
Detective >> parlò indeciso << c’è una persona che chiede di lei
>>
Dean
sbuffò << Il giovane procuratore distrettuale Samantha Winchester, vero? Ci scommetto! >>
Carter
aggrottò la fronte << No. Non è suo fratello. E’ un uomo. Dice che deve
rilasciare la sua testimonianza >>
Dean
si riscosse e Charlie gli lanciò un’occhiata perplessa.
<<
Occhi blu, capelli neri e aria strafatta? >> domandò con malcelata
cattiveria.
<<
Sì e ha chiesto di lei >>
<<
Mandalo da Benny >> tagliò corto.
<<
Ma ha chiesto di lei >>
<<
Me ne fotto. Mandalo da Benny >> continuò spedendo l’agente fuori
dall’ufficio con un’occhiataccia assassina.
Charlie
lo fissò perplessa << Uno scocciatore >> le spiegò dando le spalle
alla porta pur di non vedere di nuovo Castiel e i suoi stramaledetti occhi blu
mare.
Benny
lo intercettò proprio mentre stava per infilarsi il cappotto, sventolandogli
davanti al naso altri fascicoli da leggere.
<<
Sono le nove di sera amico. Andiamo a mangiare qualcosa e ne parliamo poi
>>
<<
Charlie l’ha identificata. Studiava alla Columbia. Emily Staghner. Ho già
chiamato la famiglia. Arrivano domani mattina per l’identificazione >>
disse telegrafico e Dean annuì << e per ora possiamo solo sperare che da
quel video si possa risalire a un nome >> annuì di nuovo << Bobby ci
ha mandati a casa. Ma quella cena la vorrei lo stesso >>
Per
la terza volta annuì. E così alle nove e trenta si ritrovarono al pub dei
poliziotti, il Road House, dove una Ellen visibilmente preoccupata gli urlò
addosso << Che cosa ci fai di nuovo qui? >> per poi prendere le
ordinazioni come nulla fosse.
Spiegarle
che aveva un caso in corso e che non poteva bere non era servito a
tranquillizzarla.
<<
Cazzo, mi fanno passare per un alcolista >> borbottò.
<<
Magari perché lo sei >> incalzò Charlie raggiungendoli al tavolo.
Risero
per sdrammatizzare. Improvvisamente l’aria attorno a loro s’era fatta pesante.
<<
Niente Doctor Who? Vero? >>
<<
Spiacente Charlie. Puoi sempre dire di sì a Abbadon >>
Benny
arcuò un sopracciglio << Abbadon? >>
<<
Sì! >> trillò Charlie << ha un nome strano. È un avvocato e basta
parlare di me! >>
<<
Uh! Tasto dolente! >>
Dean
addentò il primo hamburger della settimana con molta soddisfazione.
<<
A proposito di tasti dolenti >> e esordì Benny guardandolo << Che
cazzo ti ha fatto quel Cast … Novak o come diavolo si chiama da non voler
raccogliere la tua testimonianza? >>
A
Dean il boccone gli si bloccò nell’esofago.
<<
O così o l’avrei preso a pugni >> confessò bevendo la sua birra
analcolica dal gusto insipido.
Benny
gli rivolse la sua personale espressione di disappunto e lo fissò mettendogli i
brividi affinché parlasse. In quei momenti, più che un poliziotto della
omicidi, sembrava un criminale di Sin Sin.
<<
E’ una storia lunga >>
<<
Lo conoscevi? >> gli domandò Charlie e non ottenne risposta.
Dean
continuò a masticare il suo hamburger fingendo di non aver sentito la domanda.
E comunque non avrebbe saputo come rispondere: lo conosceva? Sì e no. Conosceva
il ragazzino di dodici anni, ma quell’uomo con il camice bianco gli era sconosciuto.
Un
dottore.
Distrattamente
si stupì di quella scoperta; non aveva sempre voluto fare lo scrittore?
Scosse
la testa e sospirò pesantemente dandosi uno schiaffo mentale.
Basta,
basta pensarci, basta ricordare. Avrebbe telefonato a Ally o come accidenti si
chiamava e si sarebbe divertito: anche lei era un’ottima droga contro i
ricordi.
Charlie
gli rivolse un sorriso mesto e afferrò la sua mano da sotto il tavolo mentre
Benny parlava di sua moglie e dei suoi progetti per l’estate.
Charlie
era incredibilmente disordinata. Era impossibile per lei trovare le chiavi di
casa in meno di cinque minuti e quella notte non era da meno.
Mentre
rovistava nella sua capiente borsa a perline Dean sbuffava una risata dietro
l’altra.
<<
E’ sempre una pessima idea accompagnarti a casa >>
Charlie
gli ringhiò contro e face tintinnare con scherno le chiavi davanti al suo naso.
<<
Trovate, scemo! >> sbottò facendogli una smorfia << Sei sicuro di
stare bene? >>
<<
Charlie … davvero! È tutto ok >>
<<
Mh, ok … notte, Dean. Chiamami quando deciderai di raccontarmi la verità. Io ci
sono, ok? Ti voglio bene >>
<<
Anche io, Charlene >>
<<
Fottiti >> lo insultò ridendo << guida piano >>
Scivolò
fuori dall’auto dopo avergli scompigliato i capelli.
Dean
ripartì solo quando Charlie richiuse la porta di casa dietro le sue spalle.
Si
sentiva totalmente a pezzi, nel corpo e nell’ anima, ed era più che sicuro che
quella notte non avrebbe chiuso occhio, di nuovo. E come se non bastasse il suo
cellulare incominciò a squillare proprio quando riuscì a trovare un parcheggio.
Sbuffò
due volte camminando verso il suo palazzo, meditando di ignorare la chiamata,
ma rispose sapendo che avrebbe continuato a squillare all’infinito, maledicendosi
di averlo fatto tre attimi dopo.
<<
Mi stai ignorando, Dean? >> esordì suo fratello con tono duro e
accusatorio.
No,
era troppo stanco per quello, troppo per dare retta anche a lui.
<<
Lavoro. Sai com’è … >>
<<
Lavoro anche io e trovo comunque il tempo per rispondere a un maledetto
messaggio >>
<<
Sammy … >> sbuffò ancora passandosi una mano fra i capelli << è
stata una giornata di merda, ok? Sii rapido ed indolore >>
Sam
si zittì per qualche secondo, soppesando le parole da usare, prima di parlare
con tono calmo << Mamma e papà arriveranno qui il prossimo week-and per
conoscere Jessica. Vorrebbero che tu venissi almeno a cena. Anche io lo vorrei
a dire la verità. Dean, da quando tu e Lisa vi siete mollati sei diventato
latitante >>
<<
Io l’ho mollata. Non è stato consensuale >>
<<
Come vuoi >>
<< No, devi specificare >> sottolineò con tono funebre <<
perché lo stronzo sono io >>
<<
Dean! >> tuonò Sam intercedendolo prima che continuasse a straparlare
<< Non ricominciamo a litigare ok? Sto solo cercando di … >>
<<
Comunque la risposta è sì >> lo interruppe.
<<
Sì, cosa? >>
<<
Sì, sarò il tuo testimone. Se ci tieni >>
<<
Ah … >> esalò e Dean se lo immaginò sorridere << Davvero? >>
<<
Perché no? Jessica è carina, avrà damigelle carine no? >> sdrammatizzò
lasciandosi andare in una risata liberatoria.
<<
Ah, ah. Davvero divertente >> ridacchiò << grazie … >>
mormorò poi con un sospiro liberatorio.
<<
Sei mio fratello … e credimi, so che … non te l’ho mai detto. Io sono davvero
felice per te. Jess è … fantastica e sei davvero fortunato perciò se vuoi che
sia il testimone lo sarò, Sammy. Solo che queste cazzate smielate non fanno per
me … >>
<<
Lo so, Dean … ma per me è importante. E anche per Jess … ti vuole bene >>
Dean
sorrise << E farò lo sforzo di non farmi tutte le damigelle della tua
fidanzata >>
<<
Idiota! >>
<<
Puttana! >>
<<
Stronzo! >>
<<
Lasciami andare dormire! >>
<<
Non ti sto trattenendo! >>
Dean
ruotò gli occhi al cielo e si ritrovò davanti all’ascensore di casa sua senza
sapere come ci fosse arrivato.
<<
Allora, cena? Sabato sera. Non te lo dimenticare o giuro che ti prendo a calci
in culo fino al ristorante >>
<<
Sì, Samantha! >>
<<
Cresci, Dean >>
<<
Jess lo sa di essere lesbica? >> rise udendo lo sbuffo di suo fratello.
<<
Notte, Dean! Ci vediamo al lavoro >>
<<
Notte, Sammy!! >> urlò, solo per indispettirlo. Riattaccò prima lui con
ancora il sorriso sulle labbra.
Il
suo appartamento, l’ultimo in fondo al corridoio, distava pochi passi dalle
scale, e gli sembrava così irraggiungibile in quel momento da immaginare di
addormentarsi lì, ma si trascinò lo stesso cercando le chiavi nella tasca del
cappotto.
Ecco:
perché Charlie usava borse così ampie? si domandò. Insomma, avrebbe impiegato
meno ore a trovarle usando le tasche, no?
Donne
…
Sbadigliò
e cercò a tentoni la toppa alla luce soffusa dell’unica lampadina rimasta
funzionante in tutto lo stramaledetto corridoio.
Nonostante
fosse assonnato i suoi sensi da poliziotto si allertarono percependo un fruscio
dalle scale.
La
signora Sullivan? Pensò velocemente. Il vecchio pazzo con il lagnoso carlino? O
peggio un ladro? Aveva troppo sonno per arrestare qualcuno.
<<
Dean >>
Sussultò,
come se una frusta gli avesse colpito la schiena con violenza, e si voltò verso
le scale con la pistola già in mano puntata verso il buio.
Due
occhi blu uscirono allo scoperto e il loro proprietario si atterrì davanti
all’arma carica pronta a fare fuoco.
<<
Non … volevo spaventarti >>
Quando
il respiro di Dean tornò regolare abbassò la pistola reinserendo la sicura, scongiurando
un omicidio nel caso gli fosse tornata la voglia di sparare.
<<
Ma l’hai fatto >> sibilò con le mani che gli prudevano dal nervoso.
Che
cazzo ci faceva lì?
Cosa.
Cazzo. Ci. Faceva. A. Casa. Sua!
Prese
un respiro profondo e lo guardò con astio.
Castiel
abbassò le mani e si alzò dal gradino che aveva usato come seduta e tentò di
parlare, ma Dean fu più svelto << Come mi hai trovato? >>
<<
Io … >>
<<
Chi cazzo ti ha dato il mio indirizzo? >>
<<
Anderson >> rispose subito con decisione. Non vi era ombra di pentimento
nei suoi occhi, come se irrompere nel palazzo di un poliziotto alle undici di
sera fosse normale, come se ne avesse il diritto.
<<
Mi doveva un favore >> spiegò con quella voce bassa che quasi fece
tremare le pareti. O forse era lui che tremava << Lo scorso anno ho
estratto una pallottola dal suo polmone sinistro in mezzo alla strada >>
<<
Non me ne fotte un cazzo del polmone di Anderson ok? Sparisci >>
Castiel
si accigliò e strinse una traversina della sacca verde che stava trasportando.
Un
cambio? Vestiti da lavoro? Dean ci pensò per tre secondi prima di tornare a
rivolgere la sua attenzione alla porta ancora chiusa. E le chiavi? Dove erano
finite, le aveva in mano prima, no?
A
terra. Erano cadute a terra.
Si
chinò a raccoglierle e gli vennero i brividi al pensiero che Castiel fosse
ancora lì, immobile come una statua, a guardarlo.
<<
E’ stato un caso … >> sussurrò con voce roca. I brividi di Dean
triplicarono perché no, non poteva essere la sua voce. Cazzo! Lo stava facendo
apposta << Vivo a New York da quattro anni >>
<<
Castiel, che cazzo vuoi? >> sbottò battendo un pugno contro il legno
della porta, evitando con cautela di guardarlo.
<<
Parlare >>
<<
Parlare >> gli fece il verso con scherno << Parlare … e di che cosa
vuoi parlare, Castiel? >>
<<
Perché mi chiami Castiel? >>
<<
Perché è il tuo nome >>
<<
Perché non mi guardi? >>
Fu
il suo turno di accigliarsi.
Serrò
la mandibola e respirò con un fremito.
Ma
che cazzo voleva da lui?
Perché
era lì?
Perché
gli stava di nuovo rovinando la vita?
Perché
semplicemente non se ne andava?
Perché
lo stava guardando in quel modo, come se quei fottutissimi sedici anni non
fossero esistiti?
Dannazione,
erano esistiti eccome! Poteva fingere che non fosse vero, poteva ubriacarsi per
dimenticarli e poteva scopare con chiunque pur di mentire a sé stesso. Era
successo tutto una vita fa, una vita che non credeva gli fosse mai realmente
appartenuta … e Castiel doveva andarsene, ora!
Voleva
solo chiudersi in casa e dimenticare tutto di nuovo perché ricordare faceva
troppo male. Ricordare l’ultima volta che lo aveva visto, che aveva visto quei
due pozzi blu versare lacrime faceva male, ricordare quell’estate gli creava
uno scompenso cardiaco e un buco nello stomaco.
Doveva
dimenticare.
Castiel
doveva di nuovo smettere di esistere anche nei suoi ricordi evanescenti.
<<
Possiamo parlare? >> osò domandare, cauto.
<<
No >> mormorò lapidario << non abbiamo nulla da dirci >>
<<
Abbiamo sedici anni di cose da dirci >> insistette deciso.
Dean
sgranò gli occhi e le parole, gli insulti gli si bloccarono in gola.
<<
Non ho mai smesso di sperare di incontrarti di nuovo. Ti ho cercato … in
Kansas, ma … >>
Dean
serrò gli occhi, pungenti di lacrime, ancora voltato verso la porta e perciò
Castiel non lo vide mordersi le labbra a sangue per non urlare.
<<
Ho … sognato questo momento per tutta la vita e tu sei così arrabbiato >>
Tu
no? Avrebbe voluto chiedergli, invece disse << Certo che sono arrabbiato
>> con tutto l’ira di cui era in possesso e ne aveva molta repressa. Si
voltò di scatto << certo che lo
sono! Perché quella faccia da cane bastonato, come se non fosse stata colpa
tua, non la sopporto! >>
Castiel
si incupì osservandolo per un lunghissimo minuto prima di chiedere, con aria
manifestamente confusa<< Colpa mia? >>
<<
Colpa tua, Castiel. Colpa tua e della tua codardia >>
<<
Dean, avevo dodici anni >>
<<
Anche io. Ma ho lottato, ho urlato, ho corso per inseguirti e tu … >> e
all’improvviso tutta la sua intelligenza si focalizzò su quel punto, il punto
cardine di tutta la sua rabbia soffocata per anni.
Castiel
non aveva lottato. A Castiel non era importato di riuscire a salutarlo perché
non aveva ritenuto importate farlo. E non gli credeva minimamente quando diceva
di aver pensato a lui con lo stesso dolore con cui lo aveva ricordato ogni
giorno, anche inconsapevolmente.
<<
Tu non hai lottato quindi ora non venirmi a dire che ti è mai importato di
quello che è successo perché … >> sospirò pesantemente con i pugni ancora
contratti dalla rabbia << Vattene a casa, Castiel >>
<<
Non posso >>
<<
Puoi. Non hai niente da fare qui. Non c’è più niente da recuperare >>
<<
Sì … c’è. E lo so >>
<<
Sono eterosessuale, molto eterosessuale e molto felice al momento perciò …
>> e lui ignorò quel commento.
<<
Non sei felice >> asserì piegando le labbra all’ingiù.
Il
Castiel della sua infanzia, a quel punto, si sarebbe aggiustato gli occhiali
sul naso e lui glieli avrebbe fatti scivolare su, fra i capelli, e lo avrebbe
baciato.
Ma
Castiel non portava più gli occhiali.
Una
vita fa … era stato una vita fa.
<<
Non sono fatti che ti riguardano. Io ti saluto! >> aprì finalmente la
porta e quasi la scardinò per la veemenza del gesto.
<<
Dean … sei tu che stai facendo il codardo adesso >> lo accuso con la voce
sempre più decisa << Non ti sto chiedendo niente … solo di parlare
>>
<<
Perché? >>
<<
Perché entrambi abbiamo bisogno di chiarire … di andare avanti >> mormorò
<< è come se fosse rimasto tutto in sospeso >>
<<
Non per me >>
<< Non saresti arrabbiato se non fosse così >>
Colpito.
<<
Dammi solo l’opportunità di parlare. Ti chiedo solo questo e, sei vorrai, dopo
sparirò >>
No,
di nuovo no, urlò una voce nella sua testa, subito zittita.
Dean
in quel momento comprese quanto fosse diventato determinato quell’uomo,
forgiato dalla vita e da tante delusioni, e si rese conto che, probabilmente,
sarebbe rimasto sulle scale tutta la notte pur di incontrarlo ancora.
Cedette
con un vuoto nello stomaco che gli mozzò il fiato.
Avrebbe
fatto entrare Castiel in casa sua.
Avrebbero
parlato. Ma era davvero reale? Stava accadendo davvero? Come poteva crederlo
quando gli risultava incredibile solo rivederlo davanti a sé?
Spalancò
la porta invitandolo dentro.
Sarebbe
stata una lunga notte.
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