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Autore: sapphire     21/02/2016    3 recensioni
Dean ha dodici anni ed è alle prese con il suo primo bacio, il suo primo amore e la sua prima sconfitta perchè amare Castiel è sbagliato. E quando gli viene strappato via con forza qualcosa dentro Dean si spezza e lui cambia.
La rabbia e il dolore prendono il sopravvento finchè, sedici anni dopo un incontro sconvolgerà di nuovo la sua vita.
[Destiel]
[Angst, romantico, introspettivo]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Charlie Bradbury, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Ci ho messo un pò, scusate, ma era perdiodo di esami.
Grazie a chi ha letto e/o recensito lo scorso capitolo.
Buona lettura.


Non trattenere la rabbia, il male o il dolore. Essi rubano la tua energia e ti impediscono di amare.
(Leo Buscaglia)

 
 
 
Parte II
The Spring of 2016
 
Quella sera il Road House Pub sembrava popolato da ubriaconi più allegri del solito e i propositi di Dean Winchester – i soliti di ogni venerdì sera - ubriacarsi, stare solo e dimenticare – crollarono miseramente a causa delle urla e degli schiamazzi di quei quattro idioti.
Non sapeva quale dannata squadra di football avesse vinto il campionato e nemmeno gli interessava saperlo; voleva solo silenzio e altro alcol.
Ellen – sua zia acquisita Ellen, dannazione – lo squadrò con aria preoccupata dissentendo con la testa alla sua ennesima richiesta di riempirgli il bicchiere.
<< Stai esagerando >>
<< Ellen, andiamo! >> ridacchiò Dean amaramente sbattendo il bicchiere contro il bancone << è venerdì ed è stata una settimana orribile >>
Ellen storse il naso, con aria arcigna, e gli versò altre tre dita di whiskey  << L’ultimo. Poi ti spedisco a casa a calci in culo, Dean. Mi hai capito? >>
<< Tu sì che mi capisci, Ellen! >> biascicò mellifluo vedendola sparire dietro il retrobottega dopo uno sbuffo esasperato.
Dean osservò con interesse il contenuto del suo bicchiere vorticare incessantemente e finalmente si sentì davvero ubriaco.
Ignorò gli schiamazzi dei tifosi e i fastidiosi rumori delle palle da biliardo che sbattevano fra di loro, riuscendo finalmente a dimenticare quanto fosse stata orribile, pesante e a tratti disgustosa la sua settimana.
Rovesciò l’intero contenuto del bicchiere nella sua gola e sibilò per il cocente fastidio poi tentò di capire che ora fosse nonostante le lancette dell’orologio vorticassero ininterrottamente.
<< Sono le due e venti >> borbottò Ellen venendogli in aiuto << ed è meglio se vai a farti una dormita >>
<< Il crimine non dorme mai, zia, non lo sapevi? >>
Ellen alzò gli occhi al cielo e circumnavigò il bancone parandosi davanti a lui, bloccando ogni sua possibile mossa con un’occhiata micidiale.
<< Chiavi >>
<< Cosa? >>
<< Dammi le chiavi dell’auto, Dean >>
Dean si sentiva come se avesse la testa immersa nell’acqua, ma appena udì la sua auto tirata in ballo reagì con un burbero << scordatelo >>
<< Sei ubriaco e non ho intenzione di lasciarti schiantare contro un palo >>
<< Ma è la mia baby! >>
<< Non te la ruba nessuno! >>
<< Siamo a New York! Tutti vogliono rubare la mia auto >> e si complimentò con sé stesso per l’intelligente ragionamento che aveva appena partorito. Solo che Ellen non aveva intenzione di lasciar perdere la questione e Dean sapeva che quella donna sarebbe stata capace di fare qualsiasi cosa per sequestragli le chiavi. Ricordava vagamente la notte in cui pur di non lasciarlo guidare gli aveva rifilato un pugno nello stomaco.
<< Dean, dammi le chiavi dell’auto >>
<< Ma abito a cinque isolati da qui >>
<< Ti chiamo un taxi >>
Dean sbuffò esausto << Lascia perdere … me ne torno a piedi >> biascicò incespicando sui suoi stessi passi.
<< Dean, non fare l’idiota! Prendi un taxi e … >>
<< Seh, seh … ciao zia! Ci si vede domani! >> disse sventolando una mano in aria.
<< Dean! >>
Si infilò le mani nelle tasche dei jeans e uscì dal pub strascicando i piedi sull’asfalto.
New York sembrava stranamente silenziosa quella sera o forse era il suo cervello ad essere così pieno di pensieri da non riuscire a sentire altro che l’arrovellarsi dei neuroni. Male … significava che era ancora abbastanza lucido per pensare.
Ellen uscì dal locale continuando ad urlare il suo nome finché non lo raggiunse parandosi davanti e lasciandogli in mano un cellulare che somigliava vagamente al suo. Oh, ma era il suo.
<< L’avevi dimenticato … >>
<< Grazie, eh! >>
<< Dean … >>
<< Risparmiami la predica, Ellen! Ci pensa già mio padre ogni domenica a ripetermi le stesse identiche cose, urlando al telefono >>
<< Ma ha ragione, idiota! Passi tutta la settimana a lavorare come un matto correndo da una parte all’altra della città e poi ti sbronzi come non ti importasse di niente! >>
<< Infatti non mi importa >> Ellen si accigliò.
<< Dean, è per Sam, vero? >>
<< Sam non centra niente >>
<< E’ da quando ha deciso di sposarsi che ti comporti in modo … >>
<< Ellen, se volessi parlare dei fatti miei andrei da un cazzo di terapeuta! Ok? >>
<< Mi sto solo preoccupando per te … pensavo che fra te e Lisa … >>
<< Fra me e Lisa non ha funzionato >>
Dean si sistemò la giacca sulle spalle e sospirò. Faceva freddo, ma lui non riusciva a sentirlo.
<< Perché? >>
<< Non lo so … io credo che … >>
<< Dean >> lo interruppe Ellen posando una mano sulla sua spalla << lascia che qualcuno ti aiuti … >>
<< E’ solo un brutto periodo, Ellen, passerà >>
<< Dean … >>
<< Ci lavorerò su, va bene? >>
<< Se continui a bere in questo modo, morirai prima di provarci >>
Dean gli rivolse un sorriso strafottente, si tirò su il colletto della giacca e le voltò le spalle.
Camminò fino a sentir male ai piedi superando casa sua di due isolati.
Ritornò sui suoi passi quasi un’ora dopo crollando poi sul divano con giacca e scarpe ancora addosso.
 
All’alba, con il sole che filtrava prepotente dalle tende e il cellulare che squillava nella tasca dei suoi jeans, Dean si risvegliò mandando già a fanculo il mondo.
Rispose sospirando pesantemente.
<< Winchester >>
<< Una chiamata dal Presbyterian Hospital >> grugnì il capitano Bobby Singer << un uomo ha scaricato una donna davanti al pronto soccorso. È morta sotto i ferri. I medici hanno detto che è stata pugnalata dodici volte >>
Dean si massaggiò le tempie. Il male alla testa era lancinante.

<< E’ il mio giorno libero >>
<< E io ho un duplice omicidio sulla quarantesima e una rapina a mano armata sulla quarta, quindi alza il culo e vai a fare il tuo lavoro >> sbottò interrompendo la chiamata.
Dean sospirò pesantemente e, maledicendo il suo impiego, - e il tempismo di Bobby - si alzò dal divano caracollando fino in cucina per recuperare una bottiglia d’acqua, due vecchie ciambelle stantie e un antidolorifico. Solo quando si assicurò di essere tornato abbastanza lucido e aver cambiato la maglia chiamò il suo partner per delle indispensabili delucidazioni sul caso.
<< Il capitano è seccato >> gli rispose Benny sbuffando come una locomotiva a vapore << sia … i tagli al budget e gli agenti ridotti alla metà rispetto al mese scorso … tutte queste cose lo stanno facendo impazzire e ci maltratta >>
Dean uscì di casa e, nonostante fosse stanco morto, con lo stomaco sottosopra e le tempie doloranti, ringraziò Bobby per quella chiamata – o i tagli al personale che lo costringevano a fare gli straordinari tutti i week and – perché lavorando non avrebbe pensato alla sua vita, soprattutto a Lisa che gli urlava di odiarlo e a sua madre che gli chiedeva perché avesse lasciato una così brava ragazza. Soprattutto non pensava a suo padre che ogni volta che andava a trovarlo lo guardava così come si guardano le sconfitte.
Andate tutti al diavolo, pensò registrando le poche informazioni che Benny gli stava snocciolando, masticando rumorosamente la colazione.
<< Presbyterian, pronto soccorso. È stata raccattata alle due di notte ed è morta alle cinque. È ancora sconosciuta. Io sto per arrivare, ma Bobby ha messo te a capo delle indagini perciò … >>
<< Sì, sì ... capito! Le scartoffie toccano a me! Fantastico >> sbottò con una smorfia che rivolse al suo stesso riflesso nello specchio dell’ascensore.
<< C’è già la scientifica. Ci vediamo lì >>
Dean scrocchiò l’osso del collo e controllò di avere tutto con sé: pistola, distintivo, manette e altre pillole contro il male alla testa.
Era pronto per ricominciare un’altra giornata.
 
 
 
<< I medici hanno fatto un casino ovviamente >> esordì Benny porgendogli un caffè ancora caldo. Dean lo benedì mentalmente e superò gli agenti che stavano piantonando la stanza numero 213 dove era stata provvisoriamente sistemata la vittima.
<< Quelli della scientifica hanno detto che sarà un miracolo recuperare impronte e dna >>
<< Hanno tentato di salvarle la vita >> rimarcò Dean << Causa della morte? >>
<< Dissanguamento. Pare. Insomma è difficile stabilirlo >>
Dean osservò il cadavere riverso sul letto.
Era una bellissima ragazza di vent’anni con profondi squarci sull’addome.
<< Piuttosto violenta come aggressione. Raptus omicida? >> ragionò Benny al alta voce suscitando una risata nervosa in Dean.
<< Hai mai visto aggressioni non violente? >>
<< Hai capito cosa intendevo … >>
Benny scrollò le spalle e si fece da parte per lasciar passare il medico legale, che borbottava fra sé a proposito degli infermieri che avevano coperto la donna con una lenzuolo.
<< I testimoni? >> domandò Dean seguendo lo sguardo del collega puntato su due infermiere in lieve stato post-traumatico che si erano rifugiate accanto alla porta della stanza.
<< Detective Winchester >> si presentò estraendo il suo fidato taccuino da bravo poliziotto << Ho bisogno che mi raccontiate quello che è successo >>
L’infermiera più anziana sollevò lo sguardo e annuì risoluta << Ero fuori nella zona di sosta delle ambulanze per fumare una sigaretta quando un’auto ha frenato bruscamente. Mi sono voltata e ho visto una mano sbucare dallo sportello del passeggero e spingere a terra la ragazza. Mi sono precipitata ed era viva … ho chiamato aiuto >>
<< Le ha detto qualcosa? >>
<< No … no! Insomma era in shock … >> balbettò.
<< E l’auto? Saprebbe descriverla? >> intervenne Benny.
<< Verde … una berlina >>
<< Targa? >>
La donna si accigliò e scosse la testa violentemente << Mi sono occupata della ragazza … io … mi dispiace … non l’ho notata >>
Benny annuì mentre Dean scribacchiava parole sul taccuino, parole inutili perché a parte qualche dettaglio nessuno aveva visto l’uomo o la donna alla guida.
<< Di lei se ne è occupata uno specializzando dell’ultimo anno prima di essere spostata in sala operatoria >> continuò l’altra indicando un uomo con il camice bianco che parlava con due agenti in divisa dall’altra parte del corridoio. E intanto la scientifica faceva avanti e indietro nella stanza borbottando a proposito del caos di materiale genetico sparso ovunque.
In un attimo Dean capì che quella sarebbe stata una lunga indagine basata su prove inconsistenti e imprecise. Proprio quello che il suo cervello reclamava per evitare di pensare a Lisa, Ben e genitori apprensivi. E a Sam naturalmente che lo stressava da settimane a proposito del testimone di nozze.
<< Senti >> esordì Benny giocherellando nervosamente con il tappo di una penna a sfera << Vado da quelli della sicurezza. Magari hanno tenuto le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso >>
<< Sì, ma porta i filmati al distretto. Magari Charlie fa una delle sue magie e troviamo l’auto >>
<< Sempre che i filmati ci siano >> borbottò avviandosi verso le scale.
Dean bevve il suo caffè – freddo e decisamente insipido-  e lo gettò con sdegno in un cestino puntando il dottore che le infermiere gli avevano indicato, il quale forse era riuscito a parlare con la vittima prima che morisse.
Riaprì il suo taccuino e ricominciò con il solito discorso di presentazione << Salve. Detective Dean Winchester, omicidi. Posso farle qualche domanda? >>
L’uomo si voltò e lo guardò sgranando un paio di occhi blu come il mare.
Dean aggrottò la fronte e uno strano senso di disagio gli annodò di nuovo lo stomaco come se quel disgustoso caffè non fosse stato abbastanza.
<< Posso farle qualche domanda? >> ribadì immaginando che quel ragazzo avesse bisogno sicuramente di una dormita; come lui d’altronde.
<< Dean Winchester >> ripeté quello con voce baritonale.
Aveva un paio di occhiaie appena accennate e l’espressione vagamente smarrita, decisamente sconvolta. Sì, aveva bisogno di dormire.
Specializzandi … tsk …
<< Sì, è il mio nome e a parte consigliarle un letto potrebbe dirmi se la vittima prima di perdere conoscenza ha … >>
<< Dean Winchester >> ripeté di nuovo questa volta aggrottando le sopracciglia.
Ok, una dormita e uno psichiatra.
Gli agenti alle sue spalle ridacchiarono facendosi da parte come a dire “è tutto tuo”.
Tante grazie pivelli, borbottò a mezza voce.
<< Senta, sono le sette del mattino e ho avuto una nottataccia quindi potrebbe concentrarsi? Seguo Grey’s Anathomy e so che vi fanno fare turni assurdi, ma ho bisogno che si concentri così la lascio andare a riposare >>
Il medico di fronte a lui si morse le labbra -  qualcosa si agitò di nuovo nel suo stomaco- e poi si spettinò i capelli con le dita, visibilmente scosso e la sensazione strana si trasferì all’altezza del petto.
<< Dean … >> mormorò di nuovo e il suddetto Dean capì di non avere la pazienza quella mattina per stare dietro uno specializzando con un trauma alle spalle e la mente apparentemente confusa.
<< Va bene! >> sbottò infine alzando bandiera bianca << facciamo così. Io le lascio il mio numero e appena torna in sé o dorme per almeno sei ore di fila mi richiama e mi racconta quello che ha visto >> e gli allungò il biglietto da visita osservando le dita bianche del medico afferrarlo con un fremito.
Dean si voltò lanciando un improperio al soffitto e poi sentì mormorare quel nome, un nome che non sentiva pronunciare da sedici anni, un nome unico nel suo genere e così il sangue gli si gelò nelle vene.
Pensò di aver sentito male, pensò di essere talmente stanco che la mente gli giocava brutti scherzi, perché non poteva essere vero.
Il cuore mancò un battito e riprese a battere forsennato.
Si voltò e squadrò quell’uomo, lo analizzò lo scandagliò e si perse nei suoi occhi blu mare.
<< Castiel Novak … non ti … non ti ricordi? >>
Dean si immobilizzò e non poté far finta di non averlo sentito.
E non poteva fingere di non averlo capito.
Stessi occhi, stesse labbra e stessa schiena ritta e stesse dita che tradivano la sua ansia.
Come aveva fatto a non riconoscerlo?
Quegli occhi.
Blu come il mare.
Lo guardò, lo guardò e lo guardò cercando di capire cosa provasse in quel momento, cosa sentisse il suo Io profondo a ritrovare un pezzo di sé in quell’ospedale alle sette di mattina.
Niente … niente. Non sentiva niente se non una grande e infinita confusione insieme ad un’ansia lacerante.
 
Dean si morse l’interno della guancia e udì solo di sfuggita la voce di Benny e la sua ombra che entrava nel suo capo visivo.
<< Ho visualizzato i filmati! >> esultò soddisfatto << non si vede la targa, ma un pezzo del braccio del tipo che l’ha scaricata. Charlie farà qualche miracolo e lo becchiamo il bastardo >>
 
Castiel non distolse per un secondo lo sguardo, sostenendolo con infinita tristezza mentre Benny parlava e parlava. Quanto parlava …
Dean si passò una mano sulla faccia e prese di scatto i filmati lasciando il suo partner sbigottito prima di voltasi e camminare verso l’uscita.
Respirò solo una volta uscito all’aperto, poggiando la testa sul tettuccio dell’auto.
Le ginocchia tremavano e un gelo soffocante lo stava lentamente privando dell’ossigeno.
Cosa era appena successo?  Era prigioniero di un incubo?
Serrò gli occhi e batté un pugno sul metallo dell’auto e trattenne un urlo con uno sforzo immane.
<< Dean, amico! Che diavolo ti prende? >> gridò Benny agitato posando una mano sulla sua spalla << che ti è successo? >>
Respirò una, due, tre volte e finalmente capì come si stava sentendo il suo Io in quel momento: rabbia, tanta, tanta rabbia.
Una rabbia che partiva dal centro del suo petto gli stava divorando persino le mani.
Gli girava la testa.
<< Dean >>
<< Sto … bene … >> farfugliò << un calo di zuccheri … >>
Si tirò su e Benny gli prese le chiavi dell’auto dalle mani
<< Forse è meglio se te ne vai a casa >>
Serrò un’altra volta gli occhi e negò con la testa prima di buttarsi in auto.
 
 
 
 
Sedici anni e nemmeno per un solo istante aveva sperato di rivedere Castiel, seppellendo la sua memoria in profondità, vivendo come se non fosse mai esistito.  Se lo era imposto e l’aveva rimosso dalla sua testa insieme a tutti i ricordi che lo riguardavano.
Il destino … quell’infimo bastardo …
Fra tutti gli ospedali d’America, fra tutti i fottutissimi ospedali del mondo lui era lì, a pochi isolati da dove abitava.
E il solo pensiero di pronunciare il suo nome lo terrorizzava.
Anni, anni ci aveva impiegato per dimenticare.
Benny gli offrì acqua e zucchero mentre Bobby Singer lo fissava circospetto, e lievemente preoccupato, con le braccia incrociate al petto.
<< Forse è meglio se te ne vai a casa, ragazzo >>
<< Sto bene >> mentì.

<< A me non sembra >>
<< Sto bene >> ripeté alzandosi sperando che quei due non lo seguissero anche nel bagno. Si tirò dietro la porta lasciandosi cadere a terra, finalmente solo.
Si prese la testa fra le mani ed emise un singhiozzo, il primo dopo sedici.
 
 
 
Aveva baciato Denise in seconda liceo. Era carina e aveva un bel sorriso e suo padre era stato contento per lui quando gli aveva annunciato di averla invitata ad uscire. Così l’aveva baciata fingendo di non fare paragoni, fingendo che fosse il primo bacio e che fosse eccitato. Ci aveva fatto sesso e quell’emozione sconvolgente e terribilmente svuotante lo aveva stregato e reso dipendente.
In quei momenti, mentre si spingeva tra le cosce di una Denise o una Linda di turno non pensava, non ricordava, non fingeva. Non soffriva.
Diventava Dean il bastardo schifoso, Dean il seduttore, Dean lo stronzo e tutti dicevano che andava bene così. Era accettato.
Lisa. Sì, Lisa l’aveva amata in un certo senso; per poco e male, ma l’aveva fatto. Ma era finita perché dentro di lui, ogni giorno che viveva con lei e con Ben in quella casa perfetta, con la famiglia perfetta, qualcosa dentro di lui gli diceva che tutto era sbagliato, che non se li meritava. Che lui era sbagliato …
Se ne era andato in piena notte, dopo un giorno qualsiasi, con l’unico rimpianto di dover dimenticare anche Ben insieme a tutto il resto. Doveva dimenticare esattamente come aveva dimenticato Castiel.
A vent’anni aveva scoperto il potere dell’alcol e quello, unito al sesso senza legami, era diventato una droga. Il suo lavoro lo teneva lontano da quello per qualche ora e poi tutto ricominciava.
Dimenticare era il verbo base della sua vita, la sua dottrina. E nonostante stesse cadendo a pezzi da anni, quello che era appena successo l’aveva fatto crollare definitivamente.
Destino … destino bastardo.
 
Quel Castiel adulto aveva un accenno di barba, i capelli corti e arruffati. Era diventato alto e bello, maledettamente bello. Più bello di come se lo ricordava o se lo era immaginato nei suoi sogni in quei lunghi sedici anni.
Era la sua vera voce quella?  Così bassa, così profonda?
 
Dean singhiozzò più forte.
 
Arrabbiato. Sì era tanto arrabbiato: con la vita, con Castiel e con quel mostro che glielo aveva strappato via.
Durante l’accademia –solo in una stanza sconosciuta- più volte si era immerso nei suoi pensieri a fantasticare su un universo alternativo dove l’adolescenza non aveva fatto così schifo perché l’aveva vissuta con lui, salendo in camera sua dal pergolato, baciandolo, facendo l’amore con lui per ore finché avesse avuto fiato, finché non avesse detto basta.
Poi tornava alla realtà e tutto ricominciava a fare schifo e si malediceva per quei pensieri seppellendoli sotto le vesti di qualche recluta dalle forme generose.
 
Si asciugò le lacrime.
Castiel … era stato lui a far finire quel sogno.
Castiel non aveva voluto lottare, si era arreso quella domenica d’agosto. E che diritto aveva di guardarlo con quell’espressione triste e dispiaciuta? Che diritto aveva di rovinargli la giornata?
No, Castiel non era nessuno e lui era uno stupido sentimentale a singhiozzare come un bambino per qualcosa successa sedici anni prima. Era una vita fa. Lui ora era diverso. Eterosessuale e diverso e si vide costretto a dar ragione a quella befana della bibliotecaria del Kansas quando gli aveva detto che la loro era solo una fase preadolescenziale.
Si rialzò, si sciacquò il viso indossando la sua maschera da detective tutto d’un pezzo. Uscì dal bagno marciando a passo di guerra verso la sua scrivania.
Aveva una vittima da identificare e render giustizia, non aveva tempo da perdere per pensare al passato. E comunque non poteva rimanere rinchiuso in quel bagno per sempre.
 
<< Credevo di averti mandato a casa >> borbottò Bobby dandogli uno scappellotto dietro la nuca mentre passava per il corridoio.
<< Sto bene, capo!  >> ribadì controllando sul suo computer l’elenco delle persone scomparse.
<< Quante stronzate che racconti! >> tuonò chiudendosi dentro il suo ufficio senza smettere di borbottare.
 
 
 
Bussò due volte allo stipite della porta fingendo un sorriso radioso alla ragazza seduta sulla sedia e curva sullo schermo di un pc.
Posò un caffè fumante accanto a lei e le scompigliò i capelli rossi.
<< La tua droga fumante, Charlie >>
<< Non fare il ruffiano con me, Dean. Non ho ancora finito di esaminare i video >> lo rimbeccò con un mezzo sorriso continuando a far ticchettare le dita sulla tastiera consunta.
<< Pazienza … non ti dà fastidio se resto qui a fissarti mentre fai le tue magie? Vero? >>
Charlie si rizzò sulla sedia, impettita, lanciandogli uno sguardo di sottecchi.
<< Non hai niente da dirmi, Dean? >>
<< No … >>
<< Ho saputo che sei stato male … >> continuò lei con una smorfia di disappunto sul viso.
<< Calo di … >>
<< Ah! Vallo a raccontare a Benny che ancora ti crede. Non sono stupida, Dean >>
<< Mai detto questo! >>
<< Allora? Che c’è? >>
<< Niente >> mormorò << e non tirare fuori la storia di Sam che si sposa perché saresti la quinta persona a parlarne e credimi, la minestra riscaldata è proprio un cliché >>
Charlie scrollò le spalle per nulla intimorita dal tono duro e seccato di Dean. Si conoscevano oramai da sei anni e quel modo di fare da poliziotto badass non la toccava minimamente e Dean si sentiva spesso disarmato davanti a lei.
<< Non ho pensato nemmeno per un secondo che fosse Sam il problema … anche se ti comporti in modo strano ultimamente >> rimuginò << Io intendo dire che oggi ti stai comportando in modo più strano del solito. Quindi? Niente da confessare? >>
<< Solo una brutta giornata iniziata con i postumi di una sbronza >>
Charlie sospirò e storse il naso in un modo che Dean riteneva tenero “livello Gramlin prima della mezzanotte” e gli scappò un sorriso nel constatare che quell’espressione significava che non si sarebbe arresa.
<< Come vuoi … >> mentì << ma ne parleremo questa sera >>
<< Ho un caso in corso >>
<< Pop-corn e Doctor Who >> continuò imperterrita << Non puoi dirmi di no >>
Dean alzò gli occhi al soffitto << Ma tu non dovevi uscire con quella tizia dal nome inquietante? Abby qualcosa … >>
<< Abbadon? Mh, la vedo domani … mi mancano le nostre serate, Dean! >>
<< Abbadon … ma che razza di genitori ha? >>
La ragazza cominciò a ridere << Mia madre mi ha chiamata Charlie quindi direi che siamo pari >>
<< Tua madre ti ha chiamata Charlene >> le ricordò Dean divertito << sei tu che hai problemi con i nomi femminili. E comunque Abbadon è … >>
<< Insieme stiamo bene e facciamo del sesso spettacolare. Del suo nome non me ne importa niente >>
Dean rabbrividì << Meno dettagli, grazie >>
Rimasero a parlare per un’ora mentre il computer elaborava i dati e Dean non si accorse né del tempo che passava né di star dimenticando l’incontro di quella mattina. Charlie era la sua personale medicina contro la tristezza.
Alle dodici e venti, il mingherlino e poco sveglio agente Carter bussò alla porta dell’ufficio attirando la loro attenzione.
<< Detective >> parlò indeciso << c’è una persona che chiede di lei >>
Dean sbuffò << Il giovane procuratore distrettuale Samantha Winchester, vero? Ci scommetto! >>
Carter aggrottò la fronte << No. Non è suo fratello. E’ un uomo. Dice che deve rilasciare la sua testimonianza >>
Dean si riscosse e Charlie gli lanciò un’occhiata perplessa.
<< Occhi blu, capelli neri e aria strafatta? >> domandò con malcelata cattiveria.
<< Sì e ha chiesto di lei >>
<< Mandalo da Benny >> tagliò corto.
<< Ma ha chiesto di lei >>
<< Me ne fotto. Mandalo da Benny >> continuò spedendo l’agente fuori dall’ufficio con un’occhiataccia assassina.
Charlie lo fissò perplessa << Uno scocciatore >> le spiegò dando le spalle alla porta pur di non vedere di nuovo Castiel e i suoi stramaledetti occhi blu mare.
 
 
 
 
Benny lo intercettò proprio mentre stava per infilarsi il cappotto, sventolandogli davanti al naso altri fascicoli da leggere.
<< Sono le nove di sera amico. Andiamo a mangiare qualcosa e ne parliamo poi >>
<< Charlie l’ha identificata. Studiava alla Columbia. Emily Staghner. Ho già chiamato la famiglia. Arrivano domani mattina per l’identificazione >> disse telegrafico e Dean annuì << e per ora possiamo solo sperare che da quel video si possa risalire a un nome >> annuì di nuovo << Bobby ci ha mandati a casa. Ma quella cena la vorrei lo stesso >>
Per la terza volta annuì. E così alle nove e trenta si ritrovarono al pub dei poliziotti, il Road House, dove una Ellen visibilmente preoccupata gli urlò addosso << Che cosa ci fai di nuovo qui? >> per poi prendere le ordinazioni come nulla fosse.
Spiegarle che aveva un caso in corso e che non poteva bere non era servito a tranquillizzarla.
<< Cazzo, mi fanno passare per un alcolista >> borbottò.
<< Magari perché lo sei >> incalzò Charlie raggiungendoli al tavolo.
Risero per sdrammatizzare. Improvvisamente l’aria attorno a loro s’era fatta pesante.
<< Niente Doctor Who? Vero? >>
<< Spiacente Charlie. Puoi sempre dire di sì a Abbadon >>
Benny arcuò un sopracciglio << Abbadon? >>
<< Sì! >> trillò Charlie << ha un nome strano. È un avvocato e basta parlare di me! >>
<< Uh! Tasto dolente! >>
Dean addentò il primo hamburger della settimana con molta soddisfazione.
<< A proposito di tasti dolenti >> e esordì Benny guardandolo << Che cazzo ti ha fatto quel Cast … Novak o come diavolo si chiama da non voler raccogliere la tua testimonianza? >>
A Dean il boccone gli si bloccò nell’esofago.
<< O così o l’avrei preso a pugni >> confessò bevendo la sua birra analcolica dal gusto insipido.
Benny gli rivolse la sua personale espressione di disappunto e lo fissò mettendogli i brividi affinché parlasse. In quei momenti, più che un poliziotto della omicidi, sembrava un criminale di Sin Sin.
<< E’ una storia lunga >>
<< Lo conoscevi? >> gli domandò Charlie e non ottenne risposta.
Dean continuò a masticare il suo hamburger fingendo di non aver sentito la domanda. E comunque non avrebbe saputo come rispondere: lo conosceva? Sì e no. Conosceva il ragazzino di dodici anni, ma quell’uomo con il camice bianco gli era sconosciuto.
Un dottore.
Distrattamente si stupì di quella scoperta; non aveva sempre voluto fare lo scrittore?
Scosse la testa e sospirò pesantemente dandosi uno schiaffo mentale.
Basta, basta pensarci, basta ricordare. Avrebbe telefonato a Ally o come accidenti si chiamava e si sarebbe divertito: anche lei era un’ottima droga contro i ricordi.
Charlie gli rivolse un sorriso mesto e afferrò la sua mano da sotto il tavolo mentre Benny parlava di sua moglie e dei suoi progetti per l’estate.
 
 
Charlie era incredibilmente disordinata. Era impossibile per lei trovare le chiavi di casa in meno di cinque minuti e quella notte non era da meno.
Mentre rovistava nella sua capiente borsa a perline Dean sbuffava una risata dietro l’altra.
<< E’ sempre una pessima idea accompagnarti a casa >>
Charlie gli ringhiò contro e face tintinnare con scherno le chiavi davanti al suo naso.
<< Trovate, scemo! >> sbottò facendogli una smorfia << Sei sicuro di stare bene? >>
<< Charlie … davvero! È tutto ok >>
<< Mh, ok … notte, Dean. Chiamami quando deciderai di raccontarmi la verità. Io ci sono, ok? Ti voglio bene >>
<< Anche io, Charlene >>
<< Fottiti >> lo insultò ridendo << guida piano >>
Scivolò fuori dall’auto dopo avergli scompigliato i capelli.
Dean ripartì solo quando Charlie richiuse la porta di casa dietro le sue spalle.
 
 
 
Si sentiva totalmente a pezzi, nel corpo e nell’ anima, ed era più che sicuro che quella notte non avrebbe chiuso occhio, di nuovo. E come se non bastasse il suo cellulare incominciò a squillare proprio quando riuscì a trovare un parcheggio.
Sbuffò due volte camminando verso il suo palazzo, meditando di ignorare la chiamata, ma rispose sapendo che avrebbe continuato a squillare all’infinito, maledicendosi di averlo fatto tre attimi dopo.
<< Mi stai ignorando, Dean? >> esordì suo fratello con tono duro e accusatorio.
No, era troppo stanco per quello, troppo per dare retta anche a lui.
<< Lavoro. Sai com’è … >>
<< Lavoro anche io e trovo comunque il tempo per rispondere a un maledetto messaggio >>
<< Sammy … >> sbuffò ancora passandosi una mano fra i capelli << è stata una giornata di merda, ok? Sii rapido ed indolore >>
Sam si zittì per qualche secondo, soppesando le parole da usare, prima di parlare con tono calmo << Mamma e papà arriveranno qui il prossimo week-and per conoscere Jessica. Vorrebbero che tu venissi almeno a cena. Anche io lo vorrei a dire la verità. Dean, da quando tu e Lisa vi siete mollati sei diventato latitante >>
<< Io l’ho mollata. Non è stato consensuale >>
<< Come vuoi >>
<< No, devi specificare >> sottolineò con tono funebre << perché lo stronzo sono io >>

<< Dean! >> tuonò Sam intercedendolo prima che continuasse a straparlare << Non ricominciamo a litigare ok? Sto solo cercando di … >>
<< Comunque la risposta è sì >> lo interruppe.
<< Sì, cosa? >>
<< Sì, sarò il tuo testimone. Se ci tieni >>
<< Ah … >> esalò e Dean se lo immaginò sorridere << Davvero? >>
<< Perché no? Jessica è carina, avrà damigelle carine no? >> sdrammatizzò lasciandosi andare in una risata liberatoria.
<< Ah, ah. Davvero divertente >> ridacchiò << grazie … >> mormorò poi con un sospiro liberatorio.
<< Sei mio fratello … e credimi, so che … non te l’ho mai detto. Io sono davvero felice per te. Jess è … fantastica e sei davvero fortunato perciò se vuoi che sia il testimone lo sarò, Sammy. Solo che queste cazzate smielate non fanno per me … >>
<< Lo so, Dean … ma per me è importante. E anche per Jess … ti vuole bene >>
Dean sorrise << E farò lo sforzo di non farmi tutte le damigelle della tua fidanzata >>
<< Idiota! >>
<< Puttana! >>
<< Stronzo! >>
<< Lasciami andare dormire! >>
<< Non ti sto trattenendo! >>
Dean ruotò gli occhi al cielo e si ritrovò davanti all’ascensore di casa sua senza sapere come ci fosse arrivato.
<< Allora, cena? Sabato sera. Non te lo dimenticare o giuro che ti prendo a calci in culo fino al ristorante >>
<< Sì, Samantha! >>
<< Cresci, Dean >>
<< Jess lo sa di essere lesbica? >> rise udendo lo sbuffo di suo fratello.
<< Notte, Dean! Ci vediamo al lavoro >>
<< Notte, Sammy!! >> urlò, solo per indispettirlo. Riattaccò prima lui con ancora il sorriso sulle labbra.
Il suo appartamento, l’ultimo in fondo al corridoio, distava pochi passi dalle scale, e gli sembrava così irraggiungibile in quel momento da immaginare di addormentarsi lì, ma si trascinò lo stesso cercando le chiavi nella tasca del cappotto.
Ecco: perché Charlie usava borse così ampie? si domandò. Insomma, avrebbe impiegato meno ore a trovarle usando le tasche, no?
Donne …
Sbadigliò e cercò a tentoni la toppa alla luce soffusa dell’unica lampadina rimasta funzionante in tutto lo stramaledetto corridoio.
Nonostante fosse assonnato i suoi sensi da poliziotto si allertarono percependo un fruscio dalle scale.
La signora Sullivan? Pensò velocemente. Il vecchio pazzo con il lagnoso carlino? O peggio un ladro? Aveva troppo sonno per arrestare qualcuno.
 
<< Dean >>
Sussultò, come se una frusta gli avesse colpito la schiena con violenza, e si voltò verso le scale con la pistola già in mano puntata verso il buio.
Due occhi blu uscirono allo scoperto e il loro proprietario si atterrì davanti all’arma carica pronta a fare fuoco.
<< Non … volevo spaventarti >>
Quando il respiro di Dean tornò regolare abbassò la pistola reinserendo la sicura, scongiurando un omicidio nel caso gli fosse tornata la voglia di sparare.
<< Ma l’hai fatto >> sibilò con le mani che gli prudevano dal nervoso.
Che cazzo ci faceva lì?
Cosa. Cazzo. Ci. Faceva. A. Casa. Sua!
Prese un respiro profondo e lo guardò con astio.
Castiel abbassò le mani e si alzò dal gradino che aveva usato come seduta e tentò di parlare, ma Dean fu più svelto << Come mi hai trovato? >>
<< Io … >>
<< Chi cazzo ti ha dato il mio indirizzo? >>
<< Anderson >> rispose subito con decisione. Non vi era ombra di pentimento nei suoi occhi, come se irrompere nel palazzo di un poliziotto alle undici di sera fosse normale, come se ne avesse il diritto.
<< Mi doveva un favore >> spiegò con quella voce bassa che quasi fece tremare le pareti. O forse era lui che tremava << Lo scorso anno ho estratto una pallottola dal suo polmone sinistro in mezzo alla strada >>
<< Non me ne fotte un cazzo del polmone di Anderson ok? Sparisci >>
Castiel si accigliò e strinse una traversina della sacca verde che stava trasportando.
Un cambio? Vestiti da lavoro? Dean ci pensò per tre secondi prima di tornare a rivolgere la sua attenzione alla porta ancora chiusa. E le chiavi? Dove erano finite, le aveva in mano prima, no?
A terra. Erano cadute a terra.
Si chinò a raccoglierle e gli vennero i brividi al pensiero che Castiel fosse ancora lì, immobile come una statua, a guardarlo.
<< E’ stato un caso … >> sussurrò con voce roca. I brividi di Dean triplicarono perché no, non poteva essere la sua voce. Cazzo! Lo stava facendo apposta << Vivo a New York da quattro anni >>
<< Castiel, che cazzo vuoi? >> sbottò battendo un pugno contro il legno della porta, evitando con cautela di guardarlo.
<< Parlare >>
<< Parlare >> gli fece il verso con scherno << Parlare … e di che cosa vuoi parlare, Castiel? >>
<< Perché mi chiami Castiel? >>
<< Perché è il tuo nome >>
<< Perché non mi guardi? >>
Fu il suo turno di accigliarsi.
Serrò la mandibola e respirò con un fremito.
Ma che cazzo voleva da lui?
Perché era lì?
Perché gli stava di nuovo rovinando la vita?
Perché semplicemente non se ne andava?
Perché lo stava guardando in quel modo, come se quei fottutissimi sedici anni non fossero esistiti?
Dannazione, erano esistiti eccome! Poteva fingere che non fosse vero, poteva ubriacarsi per dimenticarli e poteva scopare con chiunque pur di mentire a sé stesso. Era successo tutto una vita fa, una vita che non credeva gli fosse mai realmente appartenuta … e Castiel doveva andarsene, ora!
Voleva solo chiudersi in casa e dimenticare tutto di nuovo perché ricordare faceva troppo male. Ricordare l’ultima volta che lo aveva visto, che aveva visto quei due pozzi blu versare lacrime faceva male, ricordare quell’estate gli creava uno scompenso cardiaco e un buco nello stomaco.
Doveva dimenticare.
Castiel doveva di nuovo smettere di esistere anche nei suoi ricordi evanescenti.
<< Possiamo parlare? >> osò domandare, cauto.
<< No >> mormorò lapidario << non abbiamo nulla da dirci >>
<< Abbiamo sedici anni di cose da dirci >> insistette deciso.
Dean sgranò gli occhi e le parole, gli insulti gli si bloccarono in gola.
<< Non ho mai smesso di sperare di incontrarti di nuovo. Ti ho cercato … in Kansas, ma … >>
Dean serrò gli occhi, pungenti di lacrime, ancora voltato verso la porta e perciò Castiel non lo vide mordersi le labbra a sangue per non urlare.
<< Ho … sognato questo momento per tutta la vita e tu sei così arrabbiato >>
Tu no? Avrebbe voluto chiedergli, invece disse << Certo che sono arrabbiato >> con tutto l’ira di cui era in possesso e ne aveva molta repressa. Si voltò di scatto   << certo che lo sono! Perché quella faccia da cane bastonato, come se non fosse stata colpa tua, non la sopporto! >>
Castiel si incupì osservandolo per un lunghissimo minuto prima di chiedere, con aria manifestamente confusa<< Colpa mia? >>
<< Colpa tua, Castiel. Colpa tua e della tua codardia >>
<< Dean, avevo dodici anni >>
<< Anche io. Ma ho lottato, ho urlato, ho corso per inseguirti e tu … >> e all’improvviso tutta la sua intelligenza si focalizzò su quel punto, il punto cardine di tutta la sua rabbia soffocata per anni.
Castiel non aveva lottato. A Castiel non era importato di riuscire a salutarlo perché non aveva ritenuto importate farlo. E non gli credeva minimamente quando diceva di aver pensato a lui con lo stesso dolore con cui lo aveva ricordato ogni giorno, anche inconsapevolmente.
<< Tu non hai lottato quindi ora non venirmi a dire che ti è mai importato di quello che è successo perché … >> sospirò pesantemente con i pugni ancora contratti dalla rabbia << Vattene a casa, Castiel >>
<< Non posso >>
<< Puoi. Non hai niente da fare qui. Non c’è più niente da recuperare >>
<< Sì … c’è. E lo so >>
<< Sono eterosessuale, molto eterosessuale e molto felice al momento perciò … >> e lui ignorò quel commento.
<< Non sei felice >> asserì piegando le labbra all’ingiù.
Il Castiel della sua infanzia, a quel punto, si sarebbe aggiustato gli occhiali sul naso e lui glieli avrebbe fatti scivolare su, fra i capelli, e lo avrebbe baciato.
Ma Castiel non portava più gli occhiali.
Una vita fa … era stato una vita fa.
<< Non sono fatti che ti riguardano. Io ti saluto! >> aprì finalmente la porta e quasi la scardinò per la veemenza del gesto.
<< Dean … sei tu che stai facendo il codardo adesso >> lo accuso con la voce sempre più decisa << Non ti sto chiedendo niente … solo di parlare >>
<< Perché? >>
<< Perché entrambi abbiamo bisogno di chiarire … di andare avanti >> mormorò << è come se fosse rimasto tutto in sospeso >>
<< Non per me >>
<< Non saresti arrabbiato se non fosse così >>

Colpito.
<< Dammi solo l’opportunità di parlare. Ti chiedo solo questo e, sei vorrai, dopo sparirò >>
No, di nuovo no, urlò una voce nella sua testa, subito zittita.
Dean in quel momento comprese quanto fosse diventato determinato quell’uomo, forgiato dalla vita e da tante delusioni, e si rese conto che, probabilmente, sarebbe rimasto sulle scale tutta la notte pur di incontrarlo ancora.
Cedette con un vuoto nello stomaco che gli mozzò il fiato.
Avrebbe fatto entrare Castiel in casa sua.
Avrebbero parlato. Ma era davvero reale? Stava accadendo davvero? Come poteva crederlo quando gli risultava incredibile solo rivederlo davanti a sé?
Spalancò la porta invitandolo dentro.
Sarebbe stata una lunga notte.
 
   
 
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