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Autore: sapphire     30/01/2016    2 recensioni
Dean ha dodici anni ed è alle prese con il suo primo bacio, il suo primo amore e la sua prima sconfitta perchè amare Castiel è sbagliato. E quando gli viene strappato via con forza qualcosa dentro Dean si spezza e lui cambia.
La rabbia e il dolore prendono il sopravvento finchè, sedici anni dopo un incontro sconvolgerà di nuovo la sua vita.
[Destiel]
[Angst, romantico, introspettivo]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Charlie Bradbury, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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ok Titolo: Dark Blue Life
Rating: giallo
Characters : Dean Winchester, Castiel, Sam Winchester, Charlie, Benny, Bobby Singer and other .
Paring: Destiel
Warning: Slash, tematiche delicate.
Genere: Romantico, angst , introspettivo.
Capitoli: 3+epilogo/ completa
 
Trama: Dean, dodici anni è alla prese con il suo primo bacio, il suo primo amore e la sua prima sconfitta perché amare Cass con tutta l’innocenza dei suoi dodici anni è sbagliato o almeno così reputano gli adulti. E gli viene strappato via con forza costringendolo a diventare un adolescente e poi un adulto costantemente arrabbiato col mondo costantemente alla ricerca d’affetto e a trovarlo in donne da una notte e via. Finché …
 
Note: Questa storia si ispira ad una storia vera -la storia d'amore di un mio amico il quale mi ha dato il permesso di romanzarla- quindi ciò che leggerete è accaduto realmente, ovviamente qui in Italia. Spero vi piaccia come è piaciuto a me ascoltarla e poi scriverla.
È la mia prima ff su SPN e spero di non essere uscita dall’IC e di non aver commesso errori.
 
Desclimer: La storia è di mia invenzione, Supernatural non è mio, i personaggi non sono miei ed è stata scritta senza scopi di lucro.
 
 
 
 
Spring of 2000

Per un momento terribile della sua vita, un adolescente inganna se stesso; egli crede di poter ingannare il mondo. Egli crede di essere invulnerabile.
(John Irving)


 
Dean aveva dodici anni e gli ormoni in subbuglio, gli occhi lucidi di emozione e le guance in fiamme.
Non gli sembrava che ciò che stava provando fosse sbagliato, contro natura. Tutto era stato perfetto: la serata trascorsa al cinema, quel momento di eterna attesa quando aveva stretto la sua mano e quel sconvolgente imbarazzo che lo aveva pietrificato sul portico a due passi dalla porta.
Gli aveva detto che doveva assolutamente riaccompagnarlo a casa e lui che non era necessario. Voleva essere educato e gentile - come gli aveva insegnato sua mamma - e si sentiva orgoglioso di sé e di quell’istinto di protezione nato insieme alla voglia di baciarlo. Ed era tutto davvero perfetto; il momento era perfetto – romantico sì, ma non sdolcinato – il solo problema era l’inesperienza.
Dean Winchester entrò nel panico.
Insomma, avrebbe dovuto avvicinarsi prima lui? Fare la prima mossa? E se fosse scappato? Se non gli fosse piaciuto? E se non voleva?
Forse non voleva. Ma lui voleva, lo voleva eccome. 
E Castiel gli piaceva un casino: aveva gli occhi blu come il mare, i capelli neri sempre arruffati e un’imbranataggine comica che lo aveva fatto capitolare.
Gli aveva lasciato scegliere il film, rilassando almeno i muscoli della schiena contro lo schienale del divanetto, dopo aver speso una mattinata intera a chiedersi se avrebbe accettato di uscire con lui e oddiotipregofachedicasi.
Avevano preso un gelato e lo aveva riaccompagnato sotto il portico di casa.
Dean aveva già baciato in passato: Beth, terza elementare e non era stato un granché. Blah. Ma con Castiel era diverso. Ora era grande e l’idea di un bacio non lo disgustava per niente.
Prese un respiro e le guance gli si infiammarono ancora di più.
Erano fermi immobili in quel benedetto portico da quanto? Dieci minuti? E nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di fare un passo avanti o indietro.
<< Ehm … Grazie per il gelato >> balbettò Castiel dondolando sui piedi e spingendosi sul naso gli occhiali dalla montatura fine che lo rendevano un po’ nerd. Li adorava. Adorava anche il suo essere secchione e tutti quei fumetti assurdi che leggeva.  Non c’era nessun piccolo particolare che detestasse in lui.
 
 
Aveva impiegato sette mesi a trovare il coraggio per chiedergli di uscire. Sette fottutissimi mesi e il forza gli era sempre venuta a mancare ad un passo dal suo armadietto mentre Castiel depositava i libri dentro e ne metteva altri in cartella. Ma quella mattina, con lo stomaco sottosopra, la nausea e i piedi e le mani che tremavano, gli si era parato di fronte dicendogli semplicemente ciao seguito da un sono Dean Winchester, non ci conosciamo, ma io conosco te, no non sono uno stalker giuro. So che sei nuovo qui e mi chiedevo se ti andasse di uscire con me. Non uscire -  uscire! Insomma! Se vuoi … insomma … se ti va possiamo andare al cinema! Scegli tu! Va bene tutto! Giuro! E durante quel fiume di parole, Castiel era rimasto immobile, interdetto, facendo temere a Dean il peggio, ma anziché distruggergli l’autostima già vacillante, gli aveva sorriso aggiustandosi gli occhiali rotondi sul naso e aveva detto sì, mi piacerebbe molto.
Dean, in quel momento, aveva visto il paradiso.
Si erano incontrati alle diciotto al parco, vicino alla scuola.
Castiel aveva scelto un film sugli x-man e Dean aveva adorato anche quello nonostante non ci avesse capito niente a riguardo con tutti quei mutanti e non mutanti e strane bestie con artigli, ma aveva sorriso per tutto il tempo perché Castiel era lì, accanto a lui, e gli stava tenendo la mano.
Gli stava tenendo la mano. Oh non l’avrebbe lavata mai più a dispetto di quello che poteva dire suo padre.
 
 
<< Il mio coprifuoco è fra dieci minuti >> biascicò Dean cercando di pronunciare parole pur di uscire da quell’impasse.
<< Oh … sì … anche il mio >>
<< Ma tu sei già a casa >>
<< Sì, hai ragione >>
Dean lo vide arrossire di colpo e di colpo arrossì anche lui, di nuovo.
Aveva le mani fredde e il respiro sincopato, la gola secca e si sentiva addosso tutte le malattie del mondo per colpa di quella strana ansia che gli stava mangiando i nervi uno ad uno.  E di nuovo si chiese se fosse o meno il caso di baciarlo. Lui voleva baciarlo davvero tanto.
Strinse i pugni e prese un respiro profondo e si domandò se prima avrebbe dovuto chiedergli il permesso o il consenso verbale. Nei film nessuno chiedeva niente, accadeva e basta, no?
Sarebbe stato così anche per lui?
Castiel voleva baciarlo? Doveva spettare il terzo appuntamento?
E se non avesse voluto più uscire con lui?
Gli stava scoppiando la testa e Castiel sembrò notarlo. Gli sorrise, un po’ imbarazzato un po’ divertito, e, sconvolgendo i suoi ormoni impazziti, appoggiò le mani sulle sue spalle sporgendosi di qualche centimetro verso di lui.
<< Ho visto nei film che si fa così … >> si giustificò con le gote rosse come pomodori e gli occhi blu lucidi. Sembrava ci fosse il mare in quelle iridi.
Dean si paralizzò.
Era un consenso quello?
Avrebbe dovuto piegare la testa?
Oddio, ma perché era tutto così difficile?
Tornò a respirare e mosse un altro passo verso di lui, tremando.
Non voleva che Castiel si sentisse costretto perciò prese la saggia decisione di posare le mani sui suoi fianchi sottili.
Castiel chiuse gli occhi e Dean deglutì a fatica muovendosi verso di lui.
Piegò di poco il viso e pregò che tutto filasse liscio.
Peggio che risolvere un’equazione.
Chiuse anche lui gli occhi, troppo imbarazzato per guardarlo ancora e, finalmente, posò le labbra sulle sue.
Il suo cervello si spense. Riuscì solo a registrare il suo sapore di cioccolato e menta e il calore che gli stava trasmettendo quel bacio.
Sentiva caldo, era tutto bollente e stava ancora tremando rimanendo seppur immobile.
Le dita di Castiel sfiorarono il suo collo e gli sembrò quasi di svenire.
Si staccarono dopo quelli che credeva fossero ore e osò guardarlo.
Castiel stava sorridendo.
Aveva appena dato il suo primo bacio a Castiel e lui stava sorridendo.
Era il giorno più bello di tutta la sua vita.
Ripresero entrambi fiato – avendolo trattenuto durante quel timido sfiorarsi – e le guance di entrambi tornarono di un colore più roseo.
<< Cass … >> pronunciò Dean con la voce tremula e le labbra improvvisamente secche e calde << ecco … mi stavo chiedendo se tu … se dici di no non importa. No. Sì, importa solo che … non voglio che tu ti senta costretto perché ci siamo … ci siamo … ecco … baciati >>
<< Dean? >> lo riprese incuriosito e il ragazzo tornò in sé – più o meno.
<< Vuoi essere … >> respirò e deglutì << il mio … mio … ragazzo? >>
Al silenzio di Castiel, Dean sgranò gli occhi terrificato all’idea di aver fatto uno sbaglio << Se ti va! Possiamo, ecco … possiamo andare insieme alla festa di primavera …  insieme … io e te … >> e Castiel sorrise, imbarazzato quanto lui.
<< Sì >>
<< Sì, cosa? >> pigolò incerto << sì vieni alla festa con me? >>
<< Sì, voglio essere il tuo ragazzo … della festa non me ne importa nulla >>
<< Oh … >> esalò emozionato.
Aveva tenuto la mano di Castiel, l’aveva baciato e ora era il suo ragazzo.
Il giorno perfetto.
Dean sorrise e si calmò.
<< Però ora devo entrare in casa >> aggiunse Castiel rammaricato << mi dispiace … sono già le dieci >>
<< Lo so … anche io … >> mormorò facendo fatica ad immaginare di non poterlo più rivedere fino al mattino seguente << beh … ci vediamo domani a scuola >>
Stava già per incamminarsi verso il selciato quando Castiel lo fermò sussurrando il suo nome.
<< Dean … Dean! >>
E si voltò usando il suo stesso tono di voce << Dimmi! >>
<< Adesso che siamo fidanzati dobbiamo fare qualcosa di speciale? >>
Dean ci pensò su qualche secondo.
<< Possiamo baciarci ancora … se vuoi >>
Castiel annuì e sorrise ancora << Sì … mi piacerebbe. Buona notte, Dean! >>
<< Buona notte, Cass! >> sussurrò assicurandosi che entrasse in casa prima di avviarsi verso la sua.
Camminò ritto lungo tutte le tre vie che doveva attraversare per giungere a casa sua con il sorriso stampato sulle labbra e il cuore che gli scoppiava nel petto dalla felicità.
Ho un ragazzo! Gridò nella tua testa, ho un ragazzo e l’ho baciato!
Era stato delicato, un incontro di labbra timido e insicuro, ma sarebbe migliorato. Avrebbe fatto pratica poi un giorno avrebbe insegnato al fratello quello che aveva imparato.
Salutò i suoi genitori sorbendosi la predica di suo padre riguardo il coprifuoco, il suo ritardo e bla bla bla, filando in camera sua appena gli diedero il permesso di andare a dormire. Ma non avrebbe chiuso occhio, lo sapeva.
Si buttò sul letto sorridendo con i pensieri a mille metri di distanza dalla terra e il cuore che galoppava furioso.
 
                                               ***
 
Alla festa c'era tantissima gente.  Almeno duecentottanta anime affollavano la piazza allestita con festoni e volant rosa. Una banda suonava una fanfara stonata sotto il gazebo e gli adulti, già alticci, ballavano scomposti fra i tavoli.
Sua madre si era occupata di allestire lo stand delle torte e ne offriva una fetta a chiunque volesse assaggiarle. Sua mamma faceva le torte più buone del mondo.
Dean, appollaiato dietro il bancone, aspettava trepidante che Castiel lo raggiungesse. Aveva riconosciuto il fratello e la sorella fra la folla, ma di Cass nemmeno l’ombra.
Si erano dati appuntamento lì per l’una. Era già l’una e sei minuti. Sette minuti. Otto minuti. Dieci minuti.
<< Dean!! >> sussultò dallo spavento e sua madre lo vide cascare dalla sedia su cui era seduto e balzare poi in piedi di scatto. Sam si mise a ridere come un matto a quella scena, ma Dean lo ignorò.
Castiel era dall’altra parte della piazza che rideva sventolando una mano in aria.
<< Oh … un tuo nuovo amico? >> gli domandò sua mamma con un sorriso dolce in volto.
<< Ehm … >> cosa dirle? La verità? Insomma sapeva che alcune persone non apprezzavano i ragazzi che si innamoravano di altri ragazzi, ma sua mamma cosa avrebbe detto? Lui non ci trovava niente di male, ma non voleva parlarne con lei. Era imbarazzante, insomma! Era sua mamma!
<< Torno per le sei >> asserì ricordandosi del coprifuoco domenicale.
<< Va bene, ma fai attenzione >> disse << e non ti rimpinzare di dolci! >>
Alzò gli occhi al cielo e corse verso Castiel.
 
 
Con in mano un sacchetto di caramelle a testa e lo sguardo divertito Dean e Castiel si arrampicarono con maestria sul ramo di un albero che sporgeva verso il basso al centro esatto del piccolo giardino comunale.
Di solito era frequentato dai tipi strani del liceo, ma quel giorno erano tutti alla festa a bere e ballare perciò era deserto. In una parola: semplicemente perfetto.
<< … così mia mamma ha detto a mio papà che non vuole più trasferirsi. Hanno litigato. Ma credo che rimarremo qui per un po’ >> disse Castiel fra una caramella e l’altra << perché io non voglio proprio andarmene di nuovo. So che il lavoro di papà è importante, ma … >>
<< Io sono nato e cresciuto qui. Non potrei stare da nessun’altra parte >> asserì Dean mortalmente serio.
<< Li hai fatti i compiti di matematica? >> domandò Castiel di botto facendo raggelare Dean sul posto.
<< Ehm … ci sto lavorando >>
Castiel gli sorrise e posò una mano sulla sua imbarazzandolo << Se vuoi posso passarti i miei domani >>
<< Lo faresti davvero? >>
<< Certo >>
Dean aggrottò le sopracciglia, perplesso << A Garth non hai mai passato i compiti! >>
<< Garth non è il mio ragazzo >> a Dean mancò un battito. Arrossì di nuovo e strinse involontariamente la sua mano << Grazie. Ma non voglio approfittarmi di te. Me la cavo da solo >>
<< Come vuoi, Dean … >> rimasero in silenzio per qualche minuto persi ad osservare le fronde degli alberi che frusciavano sotto il vento primaverile e all’improvviso si ricordò dello scomodo pacchetto che aveva infilato quella mattina dentro la tasca dei pantaloni.
<< Ehm, Cass … >>
Lui alzò gli occhi blu e lo guardò e Dean si sentì letteralmente morire di felicità. Cass era bellissimo, Cass sopportava i suoi borbottii sulla scuola e gli passava i compiti quando non li faceva, Cass rideva sempre con lui e lo faceva ridere. Cass gli permetteva di storpiargli il nome quando e come voleva e di usare le sue scarpe da ginnastica quando le dimenticava a casa. Cass inciampava nei suoi stessi passi per poi sorridere imbarazzato.
Cass era il suo ragazzo.
<< Ho una cosa per te >> parlò titubante con le orecchie rosse dall’imbarazzo, tirando fuori dalla tasca una pacchettino stropicciato.
<< Oh … >> Castiel sgranò gli occhi blu e fissò prima lui poi la carta argentata.
<< E’ un regalo … >> precisò dandosi mentalmente dello stupido per quell’ovvia affermazione.
Cass era anche molto intelligente, cosa avrebbe pensato di lui?
<< Perché? >>
<< Siamo fidanzati da due settimane … >>
<< Oh, ma io … io non ti ho preso niente … mi dispiace … non credevo che … >>
<< Ehi, tranquillo, Cass! Non importa. Io volevo farlo >>
Castiel annuì impacciato e scartò il piccolo regalo esaminando estasiato la collana con il piccolo ciondolo raffigurante uno strano simbolo.
<< Il tizio che me l’ha venduta mi ha detto che è un amuleto. Per proteggerti … >>
<< Grazie Dean … è bellissimo >> e poi Cass fece una cosa che non aveva mai fatto: lo abbracciò avvolgendolo con forza per minuti, forse ore.
<< Mi piace tanto >> sussurrò poi, provocandogli strani brividi lungo la schiena << me la metti? >>
<< Certo >> e gliela allacciò dietro il collo orgoglioso per quel gesto inaspettato.
Si sentiva altro tre metri.
<< Però non ce l’ho un regalo per te >>
<< Cass … non importa. Davvero - >>
<< Aspetta >> sbottò d’un tratto e si accostò a lui di più annullando la distanza che li separava sul grande ramo sbilenco.
<< Non ti muovere, ok? >> e Dean ubbidì se non altro perché era totalmente paralizzato.
Cass chiuse gli occhi e piegò il viso e posò le labbra sulle sue questa volta dischiudendole un po’.
Era stato più facile della prima volta, ma non meno bello.
Dean serrò le palpebre e il suo cuore galoppò impazzito assaggiando quelle labbra perfette che ora sapevano di zucchero e coca-cola. Alcuni granelli le rendevano ruvide e ora erano anche su di lui.
Dean osò accarezzargli una guancia e quando si allontanarono erano senza fiato, rossi e imbarazzati, ma cavolo, era stato bellissimo. Di nuovo.
Castiel gli pulì lo zucchero che aveva depositato sul suo mento e ridacchiò vedendo che stava iperventilando. 
Dean violò il coprifuoco di un’ora e mezza quella domenica.
 
 
                                      ***
 
Lo aspettò sotto la pioggia scosciante, battendo i denti dal freddo, con l’ombrello aperto e lo sguardo teso ad osservare la strada. Dello scuola bus non c’era traccia.
Aspettò per altri venti minuti, senza curarsi della grandine che cadeva a fiotti.
Appena Cass scese dal bus notò Dean infreddolito che lo aspettava con un sorriso distorto dal gelo.
<< Sapevo che ti saresti dimenticato l’ombrello >> esordì coprendolo con il suo.
Castiel ne rimase sorpreso e si strinse a lui << Grazie >>
Dean si sentì alto cinque metri.
 


 
<< Cosa farai questa estate? >>
<< Non lo so. Penso che mio padre porterà me e Sammy a pescare durante i week and e tu? >>
<< Campeggio estivo. Potresti chiedere ai tuoi genitori di lasciati venire. Così staremo insieme >>
Maggio era alla porte e Dean s’imbronciò all’idea che per tutto il mese di luglio non si sarebbero visti.
Stupido campeggio estivo.
<< Sì, posso chiedere … ma mio padre non sarà d’accordo. Lo so >>
<< Convinci tua mamma >> lo supplicò.
<< Ci proverò >>
Castiel si sedette più comodo sulla sua parte di ramo nascondendosi alla vista degli studenti del liceo che facevano baccano nel prato sottostante giocando a calcio e fischiando appena una ragazza attraversava il sentiero.
Castiel li trovava maleducati e rudi oltre che idioti.
Li avevano visti più volte arrampicarsi sull’albero e ora li prendevano in giro soprattutto quando si tenevano la mano.
Dean li mandava al diavolo, Castiel arrossiva e si nascondeva dietro le foglie oramai verdi e rigogliose.  Si vergognava di quello che dicevano di lui senza capirne il reale motivo, senza capire cosa volessero dire quando pronunciavano quella parola ridendo.
<< Dean … >>
<< Mmh? >>
<< Cosa significa “frocio”? >>
Dean si accigliò << Davvero non lo sai? >>
Castiel scosse la testa mordendosi le labbra.
<< E’ una brutta parola >>
<< Ma perché la dicono? >>
<< Perché sono del liceo. Quelli del liceo sono stupidi. Lo dicono perché ti tengo la mano >>
<< E cosa c’è di male? >>
<< Niente, ma loro non lo sanno >>
Castiel sospirò con aria confusa << Frocio significa gay? >>
<< Già >>
<< E noi siamo gay >>
Dean si strinse nelle spalle giocherellando con una formica.
<< Credo … io non lo so … >> sussurrò indeciso con una gelida paura addosso << a me piaci Cass >> si sentì in dovere di dire a voce alta nell’inconscio timore che lui se ne andasse per colpa di quel cretini che ogni volta gli ridevano dietro.
<< Anche tu mi piaci >>
<< Non devi dare ascolto a quello che ti dicono >>
<< Mio padre dice che è sbagliato quando due ragazzi si amano >> borbottò tristemente << anche lui li chiama froci >>
Dean avrebbe voluto prenderlo a pugni. Jim Novak era un perbenista e ottuso individuo che bazzicava la chiesa con assiduità e riempiva moglie e figli di parole rabbiose verso tutti. Non risparmiava mai nessuno. Dean lo detestava e lo temeva al tempo stesso. Era alto, robusto, con occhi scuri minacciosi e un dito sempre pronto ad indicare dove Cass o i suoi fratelli dovessero stare.
<< Non mi importa quello che dice tuo padre o quegli idioti del liceo. Loro non possono capire >>
<< Ma ci prendono in giro >>
<< Che ti importa, Cass? >> sbottò improvvisamente confuso << tu sei felice di stare qui con me? >>
<< Certo >>
<< Allora non ascoltarli >> e detto questo si alzò restando in equilibrio sull’albero e raggiunse il tronco tirando fuori poi dalla tasca un coltellino svizzero che due giorni prima aveva rubato a suo padre.
Incise C + D sulla corteccia sorridendogli quando finì l’opera con un 4ever scritto a caratteri cubitali appena sotto.
<< Perché l’hai fatto? >> gli domandò Castiel con un sorriso che andava da orecchio ad orecchio.
<< Perché l’ho visto in un film … così non ce lo dimentichiamo >>
<< Dimentichiamo? >>
<< Che stiamo insieme >>
<< Come possiamo dimenticarcelo? >>
Castiel rise divertito e Dean alzò le spalle.
Sì, era stata una cosa stupida, ma lasciò lo stesso le loro iniziali incise sul tronco.
 
                              
 
 
Mancava una settimana alla fine della scuola e Castiel non era con lui a godersi l’estate che nel frattempo era arrivata portando con sé afa e sole accecante.
L’aveva aspettato per venti minuti davanti alla fermata del bus, ma non era sceso e preoccupato a morte si era scapicollato fino in segreteria chiedendo di lui.
<< Ehm … ha il mio quaderno di storia >> si giustificò quando la donna dietro il bancone gli rifilò un’occhiata sorpresa.
<< Castiel Novak … sì. È a casa, ragazzo. Ha un braccio rotto. Il padre ha telefonato questa mattina >>
<< Oh … >> e prese un lungo respiro di sollievo.
Non si era trasferito.
Respira. Respira.
Braccio rotto.
Si morse le labbra a sangue dal dispiacere e decise di andare a trovarlo appena la giornata scolastica fosse finita.
Alle sedici bussò alla porta di casa Novak e un uomo alto e dall’aspetto severo lo accolse con un sorriso tirato.
<< Sono Dean Winchester. Un compagno di scuola di Cass- Castiel >> recitò sorridendo mesto << Sono venuto a portargli i compiti >> mentì facendogli vedere dei libri al cui interno vi erano decine di fumetti nascosti appena comprati.
<< Castiel ha un braccio rotto e sta male >>
<< Oh … ehm, capisco … posso solo salutarlo? >>
Il signor Novak sospirò e scosse la testa << torna domani ragazzo. Sono sicuro che Castiel sarà contento di vederti >> e tutto sembrò esprimere tranne ciò che aveva appena detto, sputando invisibile veleno ad ogni sillaba.
Dean si accigliò e annuì voltando le spalle alla porta.
<< Grazie lo stesso, signor Novak >>
<< Winchester, hai detto? >> domandò d’un tratto e Dean gli rivolse uno sguardo spaurito << Sì … Sì, Dean Winchester >>
<< Passi molto tempo con mio figlio, vero? >>
Dean soppesò la domanda e si morse le labbra a sangue. Sudò freddo e per la prima volta nella sua vita ebbe paura, tanta paura.
<< Sì, siamo amici. Mi aiuta con i compiti di storia e io con quelli di geometria >>
Il padre annuì, storse il naso e richiuse la porta.
Dean tornò a respirare e, involontariamente, alzò lo sguardo verso la finestra al primo piano e incontrò gli occhi spenti e tristi di Castiel: posò una mano contro il vetro della finestra e lo salutò.
Dean gli fece un cenno con la testa e tornò a casa con i fumetti ancora nascosti fra le pagine di storia.
 
 
 
 
 
 
Scivolò fuori dal letto cercando di fare meno rumore possibile, ma doveva trovare le scarpe e soprattutto la sua felpa.
Controllò l’ora e poi suo fratello il quale decise di aprire gli occhi proprio in quel momento.
<< Dean >> biascicò lui stropicciandosi le palpebre con le dita << dove stai andando? >>
<< Shht, Sammy. Non devi dirlo a nessuno >>
<< Ma dove vai? >>
<< A trovare Castiel >>
Sam si tirò su e il suo pigiama con le stelle fosforescenti illuminò di poco la stanza << il tuo amico? >>
<< No, il mio ragazzo >> bisbigliò << ma non devi dirlo a nessuno che ho un ragazzo, capito?  Sammy, promettilo >>
<< Te lo giuro … ma è notte. E se papà ti scopre? Mi sgriderà … >>
<< No, tu dormi e vedrai che non se ne accorgerà … l’hai promesso, Sammy >>
<< Dean … perché hai un ragazzo? >> domandò lui con la fronte corrucciata.
<< Perché quando si diventa grandi si ha un ragazzo >>
<< Ma è un maschio? >>
<< Certo che è un maschio, lo conosci. È Cass! >>
Dean frugò dentro il suo armadio e trovò la felpa infilandosela al contrario senza rendersene conto.
<< E perché è un maschio? >>
Dean smorzò un sorriso divertito << Che razza di domande fai, scemo? >>
<< Ma Dean … non ti piacciono le ragazze? >>
Dean non sapeva cosa rispondere; non si era mai posto una domanda del genere.
Gli piacevano le ragazze?
Forse, ma non ne aveva mai guardata una per più di tre secondi ed era difficile dirlo se gli piacessero o no.
<< Non lo so >> ammise << a me piace Cass >>
<< E perché non posso dirlo a nessuno? >>
<< Perché papà si arrabbierebbe e la gente mi prenderebbe in giro >>
<< E perché? >>
Dean ruotò gli occhi al cielo e sbuffò esasperato << Non lo so, Sammy! Ok? Non lo so … tu non dirlo a nessuno e appena saprò la risposta te la dirò >>
<< Dicono che è sbagliato se tu hai un ragazzo? >> domandò con un pigolio sommesso a causa del sonno. Lo vide distendersi tra le coperte e chiudere gli occhi.
Suo fratello era intelligente e le deduzioni se le faceva da solo e Dean ringraziò il cielo per questo mentre apriva la finestra della camera << Te lo prometto, Dean. Non lo dico a nessuno >>
<< Grazie, Sammy >>
<< Sarà il nostro segreto >> sussurrò ancora << ma tu non dire a papà che ieri ho mangiato le sue ciambelle >>
Dean rise e annuì poi si calò giù dalla grondaia.
 
 
Salì arrampicandosi lungo il pergolato d’edera della casa bianca raggiungendo la finestra di Cass bussando al vetro piano e delicatamente.
La cittadina era deserta e aveva dovuto rinnegare più volte di aver paura a girare per le strade buie all’una del mattino, ma non avrebbe fatto mai dietrofront nemmeno sotto minaccia di un fucile.
Era stata una vera impresa arrampicarsi con i fumetti incastrati fra i denti, ma non aveva demorso nemmeno quando la rugiada aveva rischiato di fargli rompere l’osso anche a lui.
Castiel si rigirò fra le coperte e Dean bussò ancora.
Lo vide alzarsi quasi spaventato e correre ad aprirgli la finestra.
<< Dean!! >> sussurrò con tono smorzato << sei diventato matto? Se i miei ti … >>
<< Dormono, giusto? >> domandò sarcastico scavalcando la finestra ed entrando nella camera. Non l’aveva mai vista e sembrava un museo di fumetti della Marvel con poster su tutte le pareti azzurre e fumetti impilati in ordine nella libreria circondati da altri libri noiosissimi di scuola.
<< Sì, ma … >>
<< Oggi tuo padre non mi ha fatto entrare. Volevo portarti questi >> e gli sporse la pila di fumetti un po’ addentati e bagnati di saliva << sì, li ho un po’ masticati, ma … >>
<< Grazie >> sorrise abbracciandolo con l’arto sano << grazie. Ma hai rischiato grosso a venire. E se i tuoi … >>
<< Non importa. Non dirò mai dove sono stato >> asserì indicando infine il suo braccio << cosa è successo? >>
<< Stavo giocando con Gabriel in giardino e sono caduto in una buca. Ho urlato come un lattante >>
<< Mi dispiace … la collana non ha funzionato >>
Castiel sorrise e si strinse nelle spalle e lo abbracciò ancora.
<< Tuo padre è arrabbiato con me? >> mugugnò Dean con il viso infossato nella sua spalla. Cass profumava di menta anche quando non mangiava il gelato.
<< Dice che passo troppo tempo con te invece che fare i compiti >>
<< Ma non è vero >>

<< Lo so. Dice che mi distrai >>
Dean sbuffò e cercò di tornare a respirare ma Castiel non sciolse l’abbraccio stringendo ancora più forte.
<< Hanno parlato ancora di trasferirsi a Dallas a luglio. Io non voglio … >>
Dean ricambiò la stretta in modo goffo e impacciato e per la prima volta non sapeva cosa replicare.
Non voleva che partisse, non voleva dirgli addio, ma sarebbe successo? Come avrebbero fatto a vedersi dopo? E a scuola?
No, no, non ci voleva nemmeno pensare.
<< Ti terrò con me >>
<< Non dire scemenze >>
<< Ti terrò con me lo stesso >> mormorò triste << non voglio che te ne vada >>
<< Magari mamma lo convince a restare e potremmo andare insieme al campo estivo >>
Dean annuì e nonostante l’abbraccio cominciò ad avere freddo: colpa della stanchezza e della paura.
<< Dean sei ghiacciato >>
<< Fa fresco fuori … >>
Castiel scostò le coperte e gli indicò il letto e Dean non si fece pregare e con un innocenza degna dei dodici anni si rannicchiò con Cass accanto a lui che giocava con i suoi capelli.
<< Non posso restare … se mi … beccassero >> sbadigliò.
<< Resto sveglio io. Ti chiamo fra poco. Rimani ancora un po’, ti prego >>
Dean chiuse gli occhi e le braccia attorno a Castiel e ascoltò il suono del suo respiro fino a cedere al sonno.
 
 
 
 
<< Dean!! Dean! Dean!! >>
<< Che c’è …. ? >> biascicò lui rigirandosi fra le coperte << cinque minuti … ti prego >>
<< No! Dean!! Svegliati!! >>
<< Non voglio! >>
<< Oh, e va bene! >> sbottò Castiel togliendogli il cuscino da sotto la testa << Dean, sono le sette del mattino!! Devi andartene, ora! >>
Dean scattò seduto come una molla, terrorizzato e ancora intontito dal sonno
<< Cass! Perché ti sei addormentato?! Avresti dovuto svegliarmi! >>
<< Scusa, scusa, scusa! Ma ora vai via! Mia madre mi chiama sempre alle sette e venti! >>
<< Ok, ok!! >> riaprì la finestra a guardò giù. C’era già il sole e probabilmente molte persone si sarebbero insospettite a vedere un ragazzo alle sette del mattino correre in pigiama per le strade, ma se ne infischiò perché entrambi stavano rischiando di essere scoperti.
Dean posò una bacio sulla sua guancia e si calò dalla finestra e poi giù dal pergolato fino a toccare l’erba con i piedi. E si accorse di aver dimenticato le scarpe in camera di Cass.
<< Maledizione! >>
Non aveva tempo per tornare su a prenderle.
Corse come un matto lungo la strada facendo abbaiare tutti i cani dei vicini. Corse lungo la via principale e poi voltò a destra dove abitava trovando ancora le tende di casa tirate.
Prese un respiro di sollievo e s’incamminò verso il giardino quando la porta di casa si spalancò di colpo rivelando suo padre che lo fissava con gli occhi sgranati dalla sorpresa.
<< Cosa diavolo ci fai qui fuori alle sette del mattino, Dean? >>
Dean raggelò e trattenne il fiato incapace di pensare alle mille e più che ragionevoli punizioni che gli sarebbero aspettate se avesse scoperto dove aveva passato la notte. Era stato un incidente, ma sicuramente non gli avrebbe più permesso di vedere Cass.
Preso dal panico si guardò attorno alla ricerca di una scusa plausibile per essere lì in piedi, in pigiama alle sette del mattino. Guardò a terra e alla fine notò il giornale stropicciato e abbandonato sull’erba.
<< Ti volevo portare il giornale! >>
<< Non raccontare balle, Dean! Cosa stavi combinando? >>
<< Ma è vero! Avevo caldo, così sono sceso e ho deciso di prendere il giornale! >> urlò due ottave sopra la media.
John Winchester lo scrutò attentamente e Dean ne approfittò per raccattare il giornale e portarglielo. Quando si sentì al sicuro sgattaiolò in casa raggiungendo sua madre e Sammy in cucina.
<< Dean, che hai combinato sta volta? >>
<< Dice che aveva caldo e che voleva portarmi il giornale >> s’inserì suo padre.
Mary ridacchiò dell’imbarazzo del figlio e del tono burbero di John e servì ad entrambi la colazione.
<< Ah, gli ormoni … >> cinguettò allegra.
John scosse la testa ancora dubbioso, ma accettò la spiegazione di Mary.
Già gli ormoni … che assurdità!
Sammy si trattenne a stento dal ridere e gli mimò di avere la bocca cucita, chiusa con il lucchetto e di aver buttato la chiave.
Dean sorrise e capì di aver avuto solo una fortuna sfacciata.
 
***
 
 
<< Non ti annoi mai d’estate? >> borbottò Castiel calciando una povera pietra lungo il selciato finché questa non rotolò nell’acqua del laghetto artificiale del parco.
<< Ma che, sei matto? Niente scuola, niente compiti! Come potrei annoiarmi? >>
<< Io mi annoio da morire! Gabriel è partito per il college, mia sorella passa le giornate al telefono e i miei litigano tutte le sere … >>
<< Vogliono ancora trasferirsi? >> Domandò Dean rammaricato.
<< Non lo so … papà ha ricevuto un’offerta a Houston ieri. Dice che ci sono in ballo un sacco di soldi … un lavoro a progetto. Non lo so …  >>
<< Io devo ancora convincere la mamma a lasciarmi andare al campo estivo. Ehi! Sammy! Non ti allontanare!! >> urlò correndo dietro al fratello già con i piedi immersi dentro il laghetto.
<< Dean!  Dean! L’acqua è gelida! >>
<< Levati da lì allora, scemo! >>
Dean sospirò frustrato e prese la mano di Castiel camminandogli accanto in quel parco quasi deserto.
<< Devo badare a lui oggi, mi dispiace >>
<< Non è un problema. Sam è simpatico >>

<< Lo so, ma a volte è una rottura perché ha solo sette anni >>
<< Quasi otto! >>
<< Tanto non li dimostri! >> gridò
<< Oggi torniamo al nostro albero? >>
<< Certo. Appena torna mia madre dal supermercato le mollo Sammy e andiamo lì >>
<< Voglio venire anche io! >> si lamentò Sam incrociando le braccia al petto.
<< Non ci pensare proprio! Ho detto nostro albero, non tuo! >>
<< Eddai cattivo!! Lasciami venire con voi! >>
Castiel rise e Dean lo seguì a ruota.
Sam gonfiò le guance offeso a morte.
Non lo portarono con loro nemmeno dopo ore di suppliche e minacce.
Quell’albero era il loro posto segreto e nemmeno Sammy poteva avvicinarsi.
Si arrampicarono sopra il ramo nel tardo pomeriggio scambiandosi i fumetti di Batman e X-man progettando la loro estate. Dovevano assolutamente andarci a quel capo estivo.
 




 
Alla fine luglio era arrivato nessuno dei due era andato al campo estivo.
I genitori di Castiel litigavano ancora e vivevano nell’indecisione di lasciare o no la città e Dean, nonostante avesse convinto sua madre e suo padre, non era partito. Senza Cass era solo uno spreco di tempo: non si sarebbe nemmeno divertito.
E così luglio era trascorso fra i giochi con Sammy in giardino e i pomeriggi in gelateria con Cass.
Il coprifuoco era stato spostato alle undici e ogni sera lo riaccompagnava a casa nascondendosi dalla vista del padre di Cass, dietro il portico.
I liceali si erano sparpagliati per l’America in vacanza e nessuno li stava più infastidendo.
I compiti estivi furono presto dimenticati e rimpiazzati dai fumetti e dai libri che Cass aveva scoperto di amare.
Era cresciuto di due centimetri, Sammy di cinque e trovava la cosa profondamente ingiusta.
L’imbarazzo nel tenere la mano di Cass quando andavano al cinema o mentre camminavano era sparito insieme alla paura di essere giudicati e nonostante lui tenesse spesso lo sguardo basso, Dean affrontava le occhiatacce con orgoglio perché – che diavolo!- quello era il suo ragazzo e non stava facendo del male a nessuno.
La commessa della libreria un pomeriggio gli aveva detto che la loro era una fase preadolescenziale e sarebbe passata con il tempo come se fossero stati fatti suoi, come se potesse essere vero.
Castiel aveva un numero in più di scarpe a fine luglio.
Il 14 luglio Dean disse la sua prima vera parolaccia “merda” seguita da un vaffanculo molto urlato e un vai al diavolo rivolto al coltellino svizzero che gli caduto sul prato dall’alto del loro albero. Castiel lo aveva guardato quasi allucinato mentre lui scendeva a raccoglierlo e risaliva.
<< Che c’è? >>
<< Niente … solo che … dove le hai imparate? >>
<< Papà le dice sempre >> si era giustificato scrollando le spalle << ma a me non è permesso ripeterle >>
<< Però lo fai >>
<< Certo che lo faccio >>
<< Non ha senso, Dean … >>
<< Provaci anche tu … urla vaffanculo, Cass! Ti sentirai meglio >>
<< Ma io sto bene! >>
<< Fallo! >>
Castiel aveva preso un respiro << Dean … non credo sia … la mia famiglia è molto religiosa … se dico parolacce senza ragione mi uccidono! >>
<< Non sono mica qui! >>
E Castiel aveva detto la sua prima parolaccia insieme a Dean: un vaffanculo rivolto al cielo, urlato con tutto il fiato che aveva in gola e dopo si era sentito bene, benissimo. E sì, al diavolo tutto.
L’imbarazzo era quasi sparito anche quando si baciavano. Premevano le labbra con meno urgenza, meno rigidamente. Ora si abbracciavano prima dopo e durante per poi ridere come avessero commesso il crimine più divertente del mondo.
 


Un giorno di fine luglio Dean, più per istinto che per curiosità, schiuse le labbra e la punta della sua lingua toccò la sua per una frazione di secondo.
Fu come prendere la scossa.
Castiel si rizzò in piedi sconvolto andando a sbattere la testa contro un ramo che sporgeva lasciando Dean sbigottito. << Scusa! Scusa, scusa! Non volevo! È stato … >>
<< Wow >>
Dean sgranò gli occhi sorpreso << Wow? >>
<< Sì, wow … devi rifarlo >> ordinò imperterrito tornando seduto vicino a lui.
Dean arrancò spremendosi le meningi senza sapere cosa realmente avesse fatto.
Si erano baciati, no? Lo facevano spesso.
Garth e quel cretino di Uriel dell’ultimo anno gli avevano detto che i veri baci si danno con la lingua. Oh, se solo si fossero sprecati a spiegargli come.
Si sentiva molto ignorante in quel momento.
<< Ma io … >> biascicò confuso.
<< Devi usare la lingua, Dean >>
Uoh! E questo da dove gli era uscito?
Dean si paralizzò contro il tronco dell’albero incapace di decriptare quella frase << Me l’ha spiegato mio fratello. Non che gliel’abbia chiesto ma … beh sai com’è fatto … >>
Deglutì a fatica e si domandò se non sarebbe stato disgustoso. Eppure nei film facevano così e qualcosa dentro di lui gli disse che era giusto provarci.
Prese coraggio e posò di nuovo le labbra su quelle di Cass.
Le schiusero entrambi poi si ritrassero con una faccia schifata.
<< Blah! >> dissero in contemporanea, disgustati, asciugandosi le labbra con la maglietta << ma come diavolo fanno gli adulti? >>
Si promisero di non baciarsi mai più con la lingua.
 

 
 
<< Non ti lascerò mai >> gli giurò Dean un pigro pomeriggio assolato steso accanto a lui nel verde di quei prati finalmente dimenticati da estranei.
Castiel storse il naso e gli occhiali gli scivolarono via.
<< Mai? Mai significa per sempre Dean >>
<< Per sempre mi va benissimo … l’ho scritto sull’albero porca miseria >>
<< Dean! >>
<< Scusa! Porca paletta >>
Si mise a ridere.
In fondo Cass restava sempre il più maturo dei due. Ma a lui piaceva tanto dire parolacce.
Dean lo sfidò sapendo che Cass avrebbe risposto con un lieve calcio e un abbraccio.
<< Oh, guarda! Un cazzo di aereo in cielo! >>
<< Dean! >>
<< Scusa! >>
Il calcio arrivò prepotente. L’abbraccio che ne seguì fu dolce.
 
 
 
 
 
L’inevitabile accadde l‘ultima domenica d’agosto quando Dean – chiuso nella sua stanza con le lacrime agli occhi – capì finalmente che il paradiso non esisteva. Il paradiso è un’illusione ottica creata dalla vita che alla fine ti uccide lentamente lasciandoti senza speranza,  arido e distrutto.
Le voci di Castiel e Dean e delle loro giornate passate su un albero erano arrivate anche alle orecchie di Jim Novak, non che loro non si erano sprecati molto nel celarsi in quei mesi. Perché poi? Cosa stavano facendo di sbagliato?
Ma la gente parlava e Jim Novak aveva cominciato a guardarli con sospetto, più di prima.
Il padre di Cass lavorava tutta la settimana senza sosta; non c’era mai e si presentava sulla soglia di casa solo poche volte e solo per lanciargli occhiatacce gelide.
Castiel quella domenica mattina sgranò gli occhi blu quando dall’alto del loro albero lo vide marciare, furente, verso di loro.
Non ebbe il tempo di chiedersi cosa ci facesse lì o perché fosse arrabbiato.
Scese dal ramo appena lui glielo ordinò, con le mani che tremavano e gli occhi lucidi di lacrime.
Dean lo seguì e lo schiaffo che ferì Castiel in pieno viso lo scioccò. Sentì il suono prima ancora di vedere la mano colpirlo. Quel rumore sordo e lacerante sembrò incastonarsi nel cervello più dello sguardo d’odio di Jim Novak e dell’espressione terrorizzata di Castiel.
<< Cosa credevi? >> urlò Jim con il viso rosso e gli occhi fuori dalle orbite << che non me ne sarei accorto? Cosa credevi di fare, Castiel? Eh? Mi fai schifo, mi hai capito? Schifo! E tu … ! >> tuonò poi puntandogli un dito contro. Dean indietreggiò fino a incontrare il tronco del loro albero << Lo sapevo che c’era qualcosa di malato in te, lo sapevo! Ma non ti lascerò deviare mio figlio, mi hai capito?! >>
Dean si toccò il petto dove il cuore martellava impazzito. La voce gli morì dentro la gola mente lo sguardo si spostava da Cass – Cass, Cass, il suo Cass – con la guancia in fiamme rigata di lacrime, a Jim che sembrava sul punto di conficcargli quel dito dentro la testa e ucciderlo.
<< Noi … Noi non stavamo … >>
<< Non provare a negarlo! Tutta questa maledetta città parla di voi che ve ne andate in giro come due cazzo di femminucce tenendovi per mano! >>
<< Non facevamo niente di male! >>

Lo sguardo di Jim parve infuocarsi ancora più e Cass si risvegliò dal suo stato allucinatorio balzando in piedi con rabbia << NO! Lascialo stare, papà!! Non ha fatto niente! >>
<< Ti ha costretto, Castiel? Vero? >>
<< No! Non è così … io gli voglio bene! >> il secondo schiaffo lo fece cadere a terra e sanguinare.
<< Cass!! No! Lo lasci stare!!! >>
Jim prese un respiro e raccattò suo figlio da terra, strattonandolo e lui si lasciò trascinare come fosse di pezza. Aveva un profondo taglio sullo zigomo e Dean trattenne il respiro totalmente paralizzato.
Aveva paura, più di quanta ne avesse mai provata in tutta la sua vita, era arrabbiato, così arrabbiato che la vista gli si offuscò e tutto divenne nero.
Si scagliò addosso al padre tirandogli un pugno nel costato.
<< Figlio di puttana! >> lo apostrofò scansandolo minimamente toccato da quel pugno.
<< Lo lasci stare! Non ha fatto niente! Niente!! >>
Cass lo guardò in un modo strano, profondo. Gli occhi blu divennero più scuri.
<< Dean … Dean non importa. Va tutto bene >> sussurrò e Dean scosse la testa. Stava piangendo e non se ne era nemmeno reso conto. Quello sguardo sconfitto – sì, sconfitto – lo destabilizzò più ancora dello sguardo furente di Jim.
Combatti, pensò, urla vaffanculo, digli che lo odi, digli che vuoi restare.
Ma Castiel rimase immobile a subire gli strattoni che lo stavano conducendo fuori dal giardino.
<< Sì che importa >> tremò e incespicò nel corrergli dietro per pararsi davanti e impedirgli di continuare a camminare.
Dean alzò lo sguardo e trasmise a quell’uomo tutto il suo odio pur senza capire perché quel padre fosse così arrabbiato.
<< Non può trattarlo così! Non ha fatto niente di male! >>
<< Basta con queste cose da finocchi! >> urlò ancora Jim << Non voglio più rivederti vicino a mio figlio! Hai capito? Stupido bambino deviato! >>
Castiel chiuse gli occhi e singhiozzò davanti al terribile significato di quelle parole e non fece niente.
Aveva il viso rosso, gli occhiali storti sul naso e il taglio sanguinante sullo zigomo.
<< Cass … Cass … di qualcosa … >> ma rimase muto con le palpebre serrate e i pugni stretti in una morsa dolorosa. << Cass … >>
Jim lo scansò prepotentemente e costrinse Castiel a salire in auto.
 
 
 
 
Fu sua madre a dirglielo, il giorno dopo, rovinandogli inconsapevolmente la possibilità di essere di nuovo felice.
<< I Novak si trasferiscono. E’ un vero peccato, la mamma di Castiel faceva delle torte superbe >>
Tutto aveva immaginato in quella lunga notte, ma non che potesse davvero avverarsi il suo più terribile incubo.
Vegetò a letto con gli occhi sgranati senza più lacrime. E da qualche parte, in quella triste stanza, c’era anche Sam che tentava invano di capire cosa stesse succedendo.
 
 
Arrivò settembre e Castiel sembrava scomparso.
Il parco era occupato dagli studenti del liceo e la fine delle vacanze estive la si poteva percepire dai rumori della città ripopolata e di nuovo in piena attività. Presto la scuola sarebbe ricominciata e Dean cominciò a temere di non rivedere Castiel nemmeno fra i banchi.
Oramai, sembrava il fantasma del dodicenne che era stato prima di quel terribile giorno d’agosto. I suoi genitori parlavano di mandarlo da uno psicologo, suo fratello lo evitava e persino altri adulti pensavano fosse malato. Ma non gli importava: l’unica cosa che riusciva a pensare era rivedere Castiel.
Trascorreva le giornate di fine estate a vagare per il centro, fermandosi come ultima tappa davanti alla casa dei Novak, sempre buia e desolata, poi con un dolore al petto tornava indietro per ricominciare tutto d’accapo il giorno dopo.
 
 
 
Il primo giorno di scuola arrivò, indesiderato, facendo sprofondare Dean nel più totale sconforto. Sua madre lo accolse alle sette e mezza del mattino, come sempre, con un toast senza bordi, succo d’arancia e un sorriso dolce in volto.
<< Ciao, tesoro. Pronto per il primo giorno di scuola? >>
<< No >> sbottò stancamente.
<< Vedrai che ti farai nuovi amici >>
Dean sgranò gli occhi << Cosa? E perché? >>
<< Beh, so che tu e Castiel eravate molto amici ma sta per partire e … >>
<< Castiel non se ne va!!! >> gridò spiazzando sua madre.
La donna si corrucciò e mise davanti al naso anche una torta – la sua preferita- per rabbonirlo.
<< Credevo lo sapessi, Dean. Scusami. Ho incontrato la signora Novak in chiesa ieri. Partono questa mattina >>
Dean balzò in piedi e la sedia si rovesciò con un rumore sordo << No, non è vero … >>
<< Dean … tesoro, mi dispiace. Potrete scrivervi delle lettere e vedervi durante l’estate. Vedrai che io e papà … >>
<< No! Tu non capisci!!! Jim Novak è uno stronzo! Non ci permetterà mai di- >>
Sua madre parve scandalizzarsi << Non ti permetto di usare queste parole, Dean Winchester!!! >>
Dean prese un respiro rabbioso e, con uno scatto veloce, aprì la porta che dava al garage e corse fuori sotto lo sguardo incredulo di sua madre. Non si era mai comportato così, ma doveva raggiungere Castiel prima che fosse troppo tardi.
<< Dean! Dean!!! >>
Afferrò la sua bici e la cavalcò la sua bici schizzando fuori dal garage con la disperazione più sfiancante che avesse mai provato.
Arrivò in pochi secondi davanti all’abitazione di Castiel, ma la macchina dei Novak era già un puntino sfocato in lontananza.
Dean non pensò più, agì e prima di rendersene conto era di nuovo a cavallo della sua bici e pedalava forte nel tentativo di seguire l’auto. Ma anziché deviare per la città, virò verso la periferia. Le auto raddoppiarono e le insegne dell’autostrada triplicarono mentre filava a bordo strada. 
Annegò nel suo stesso respiro cercando disperatamente l’auto blu dei Novak e la scorse, in mezzo ad altre, zavorrata di bagagli, intravedendo finalmente il profilo di Castiel dietro il vetro aperto. Pedalò più veloce con le ginocchia dolenti e il respiro mozzo, strinse i pugni attorno al manubrio e urlò.
<< Cass!!! >>
Per una frazione di secondo temette di non aver gridato abbastanza forte, ma gli occhi blu si spalancarono e Dean sorrise.
<< Cass! >> urlò ancora più forte. L’auto accelerò e s’infilò in autostrada dove il traffico si intensificava.
Castiel si voltò e appoggiò i palmi sul vetro posteriore mordendosi le labbra a sangue. Stava piangendo.
L’auto sparì fra molte altre.
Dean frenò senza fiato e, prima di cadere a terra, si rese conto che stava piangendo anche lui.
 
 
 
 
 
   
 
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