Terza parte
Una notte d’estate, Tauriel
decise di scendere nelle segrete
a controllare che fosse tutto in ordine. Oltrepassò la cella
di Kíli senza guardarla, ma la pietra runica fu subito nella
sua mano – era diventato un riflesso, ormai.
Le
due guardie davanti alla cella di Gollum si raddrizzarono di scatto
nel vederla avvicinarsi… e Tauriel si accigliò
nel vedere che dietro le sbarre non c’era nessuno.
«Dov’è
Gollum?»
domandò, fissando le guardie con aria inquisitoria.
Loro
parvero a disagio. «È sul solito albero,
capitano».
«A
quest’ora?» chiese Tauriel,
accigliandosi.
«Si
era rifiutato di scendere… Ci sono delle
sentinelle con lui, però. Noi aspettiamo nel caso riescano a
convincerlo a rientrare».
Delle
sentinelle si trovavano con lui? Quali e quante? E soprattutto,
dove avrebbero dovuto trovarsi anziché ai piedi del faggio?
«Arrampicarsi
per prenderlo era così
difficile?» chiese Tauriel, più aspramente di
quanto avesse voluto.
Le
due guardie sussultarono e lei sospirò.
«Non
importa» disse, rigirandosi rapidamente la
pietra tra le dita. «Voi restate qui, io vedrò
cosa posso fare».
Salì
i gradini per uscire dalle segrete e si
infilò la pietra runica nella tasca interna
all’altezza del suo seno, quindi si diresse verso le porte
del Reame Boscoso. Lungo il tragitto, chiamò a sé
Inhel ed un altro Elfo Silvano che stavano facendo una partita a carte.
«C’è
un problema con Gollum»
disse loro e spiegò cos’era successo mentre si
dirigevano fuori dalle sale del Reame Boscoso.
Era
una notte tranquilla; soffiava una brezza tiepida e leggera che
frusciava appena tra le fronde degli alberi, e il cielo che
s’intravedeva tra le foglie era blu scuro, privo di luna e
stelle.
Tauriel
camminava con Inhel alla propria destra e l’altro
Elfo alla propria sinistra. I loro passi producevano a stento un suono.
Erano
quasi arrivati al faggio, quando una freccia sibilò
attraverso l’aria e si conficcò nella gola
dell’Elfo Silvano alla sinistra di Tauriel.
Lui
si portò le mani al collo e stramazzò a
terra, e lei si sentì mozzare il fiato in gola mentre Inhel
si bloccava per capire cos’era successo.
Tauriel
si riscosse ed afferrò il braccio
dell’altra, gettandosi a terra con lei in tempo per evitare
una nuova raffica di frecce.
Col
mento premuto sul terreno, Tauriel tese una mano e la mise sul
collo dell’Elfo Silvano colpito. Sentì sangue
sotto le dita, e nessun battito.
Tauriel
avvertì un vuoto allo stomaco, poi portò
le mani ai propri pugnali e si girò verso Inhel, il cui
volto era diviso tra orrore e determinazione.
Dopo
un istante, quattro Orchi sbucarono dagli alberi dai quali erano
arrivate le frecce, e Tauriel ed Inhel si alzarono per affrontarli.
Gli
Orchi parvero presi alla sprovvista – forse avevano
creduto di averli eliminati tutti e tre – ma risposero con
ferocia all’attacco.
Tauriel
disarmò e sgozzò il primo con un gesto
fluido, consapevole dei movimenti di Inhel al proprio fianco, e
decapitò il secondo mentre l’altra ne uccideva un
terzo.
A
sostegno dell’Orco rimasto, però, ne arrivarono
altri, sbucando dagli alberi. Mentre impegnava anche loro, sempre
affiancata da Inhel, Tauriel si rese conto che una lotta più
violenta doveva essere in corso nei pressi dell’albero di
Gollum. Anche se non riusciva a vederla, udiva delle urla e un clangore
di armi.
Gli
Orchi erano venuti per Gollum? Intendevano catturarlo, ucciderlo?
Per un istante, mentre si abbassava per evitare un colpo, Tauriel si
sentì nauseata da quell’idea.
Era
più preoccupata per la propria gente, ma per un istante
pensò anche a tutto ciò che Gollum doveva aver
passato, a quei segnali di guarigione che aveva mostrato…
Nella frazione di secondo successiva, realizzò che era
probabile che non fossero lì per catturarlo, ma per
liberarlo. Forse avevano addirittura con la sua complicità.
Se
solo fosse riuscita a guadagnare un attimo di calma per permettere
ad Inhel di correre a dare l’allarme, pensò,
abbattendo un altro Orco e mettendosi schiena contro schiena con la
compagna così da guardarsi le spalle a vicenda.
Sembravano
arrivarne sempre di più, feroci e rumorosi.
Tauriel realizzò che non erano abituati a combattere in una
foresta… Le avevano attaccate in un piccolo spiazzo, e lei
iniziò a spostarsi poco a poco verso gli alberi –
non sapeva se Inhel avesse capito o no il suo piano, ma in ogni caso
stava assecondando i suoi movimenti.
Stringendo
la mascella, Tauriel conficcò i pugnali nel collo
dell’Orco di turno, e del sangue nero le schizzò
sulla faccia… Poi, finalmente, si ritrovarono tra gli alberi.
Era
stata una buona idea: con un ridotto spazio di manovra, gli Orchi
parevano più lenti ed impacciati –
l’arma di uno si piantò nel tronco di un albero, e
mentre lui cercava di liberarla con mille grugniti, Tauriel gli
tagliò la gola.
Alla
fine, forse qualcuno riuscì a chiamare aiuto, o forse
dal Reame Boscoso si accorsero che qualcosa non andava, fatto sta che
di lì a poco Tauriel ed Inhel furono raggiunte da altri Elfi.
Forti
dell’arrivo dei loro alleati, combatterono con
rinnovato vigore. Senza fermarsi, Tauriel gridò alcuni
ordini in Sindarin alle guardie più vicine. Se gli Elfi
Silvani avevano dapprima combattuto in modo quasi caotico, ora parvero
trovare un ritmo comune, serrando i ranghi, supportandosi
l’un l’altro.
Ad
un certo punto, a Tauriel parve di cogliere un guizzo dei capelli
biondi di Legolas con la coda dell’occhio, e provò
l’impulso di andare al fianco del principe. Poi,
però, rimase accanto ad Inhel. Ormai i loro movimenti si
erano sincronizzati, e riuscivano ad avvertirsi di potenziali minacce
con rapide gomitate o brevi esclamazioni.
Finalmente,
qualche ora prima dell’alba, gli Orchi rimasti
fuggirono o furono uccisi.
Tauriel
si guardò attorno con aria vigile, quindi
– senza rinfoderare i pugnali – si voltò
verso Inhel. Quest’ultima aveva del sangue incrostato tra i
capelli e lungo il sopracciglio destro, ma sembrava incolume.
«Stai
bene?» le domandò Tauriel, ed
Inhel annuì stringendo le labbra.
Gli
Elfi attorno a loro continuavano ad osservare la foresta, per
niente persuasi che lo scontro fosse davvero finito. Tauriel
ricordò Gollum e, dopo aver dato ordine di occuparsi dei
feriti ma di restare in guardia, si diresse verso il faggio, seguita da
Inhel.
Quando
giunsero alla radura dove cresceva la pianta, si arrestarono di
colpo. Il terreno era ingombro dei cadaveri delle sentinelle. Erano una
decina: alcune giacevano a faccia in giù, altre fissavano
verso il cielo senza vederlo.
Legolas,
che si trovava in piedi accanto all’albero, si volse
verso Tauriel e Inhel con espressione cupa, dolorante.
«Sméagol è scomparso».
Tauriel
inghiottì un paio di volte, rinfoderando infine i
propri pugnali. «Credi che…?»
«Sì»
rispose lui, pallido in volto.
«Potrebbe essersi trattato di un piano per liberarlo».
Tauriel
fece per parlare, ma in quel momento udì un gemito
strozzato accanto a sé e si voltò.
Inhel
si era portata le mani davanti alla bocca, e fissava con orrore i
cadaveri delle sentinelle. «Oh, no» la
sentì dire Tauriel. «No, no, no».
Il
capitano si accigliò. «Inhel?» la
chiamò. Non l’aveva mai vista tanto sconvolta.
L’altra
si girò a guardarla, lasciando ricadere le
mani e prorompendo: «È stata colpa mia.
È stata colpa mia!»
Tauriel
sentì che Legolas faceva un passo in avanti. Un
tempo, si sarebbe fatta da parte e avrebbe volentieri affidato al
principe il compito di consolatore. Adesso, però,
allungò una mano ad afferrare il braccio di Inhel.
«Sono
stata io a proporre di lasciar uscire
Sméagol» proseguì Inhel, gli occhi
ingigantiti per lo shock. «Se non lo avessi
fatto…»
Tauriel
strinse la presa sul suo braccio. «Non essere
sciocca» le disse. «Non è stata solo una
tua idea».
«È
stata colpa mia» continuava a
ripetere Inhel, allora Tauriel la allontanò dalla radura e
la fece sedere per terra.
«Respira»
le disse, più gentilmente che
poté, accovacciandosi di fronte a lei.
«Respira».
«Loro
non possono più farlo!»
gridò Inhel, con voce strangolata. «Sono stata
così stupida…»
Tauriel
avvertì una fitta al cuore. «Non sei stata
stupida» le disse. «Hai provato pietà, e
questo non è mai stupido».
La
capiva sin troppo bene. Ripensando all’empatia che aveva
provato per Gollum, all’orrore davanti all’idea che
gli Orchi lo catturassero, si sentì invadere da un misto di
collera e vergogna.
Inhel
emise un suono sarcastico sul fondo della propria gola. Aveva gli
occhi lucidi. «Davvero?» Affondò le mani
nei propri capelli setosi, e una lacrima di rabbia e dolore
sfuggì al suo controllo, rigandole la guancia.
«Davvero?»
«Inhel…»
iniziò Tauriel.
Forse si era sbagliata. Forse avrebbe dovuto lasciare che fosse Legolas
a cercare di consolarla.
«Tutte
quelle sentinelle uccise, e… per i Valar,
quello che è successo nel bosco!»
Tauriel
ricordò l’Elfo morto nella foresta, e al
modo in cui l’aveva trovato a giocare a carte con Inhel.
Erano rilassati e sereni, e lui stava sorridendo. E poi era arrivata
lei, che li aveva trascinati dritti in una carneficina.
Contrasse
la mascella. «Non è colpa tua»
affermò. «Non puoi biasimarti per cose che sono
fuori dal tuo controllo».
Qualcosa
nel suo tono indusse Inhel a sbattere le palpebre e a
guardarla. Tauriel distolse gli occhi, indurendo il proprio volto.
In
quel momento, una voce le raggiunse. «Tauriel?»
Al
suono del proprio nome, lei scattò subito in piedi.
Thranduil
era a pochi metri da loro, una spada nella mano destra. I
suoi occhi azzurri sembravano bruciare.
Inhel
aggrottò la fronte davanti alla reazione di Tauriel e
si girò per controllare cosa avesse visto. Nel riconoscere
il re, emise un’esclamazione sorpresa e si
affrettò ad alzarsi a propria volta.
«Mio
re?» chiese Tauriel, avanzando verso di lui ed
indagandolo con gli occhi per accertarsi che non fosse ferito.
«Legolas
mi ha detto che eri già nella
foresta» affermò lui.
«Cos’è successo?»
«Avevo
appena scoperto che Gollum era ancora fuori dalla sua
cella, così ho preso con me Inhel e…
e…» La sua voce vacillò nel ricordare
di nuovo la guardia che era stata uccisa.
Thranduil
indirizzò un’occhiata ad Inhel prima di
riportare lo sguardo su Tauriel.
Lei
trasse un respiro. «Eravamo in tre. Uno di noi
è stato ucciso mentre ci stavamo dirigendo verso il faggio,
poi sono iniziati ad arrivare un Orco dopo l’altro».
Thranduil
non rispose. La sua espressione non rivelava nulla, ma la sua
mano si contraeva sull’elsa della spada. «Siete
ferite?» domandò alla fine.
«No,
mio signore» rispose Tauriel.
In
quel momento, arrivarono Legolas e Feren.
«Padre»
disse il principe, e Thranduil si
voltò verso di lui. «I morti ammontano a sedici,
più undici feriti. E uno dei feriti ha detto di aver visto
degli Orchi catturare tre guardie nei pressi del faggio».
Tauriel
sussultò, mentre il sovrano considerava velocemente
le notizie.
«La
priorità va alla difesa del Reame Boscoso e
dei villaggi» disse poi Thranduil. «Se
l’obiettivo degli Orchi era davvero liberare Gollum, non
credo torneranno, ma la prudenza non è mai troppa.
Feren» aggiunse, guardando il proprio ufficiale,
«raduna quante guardie puoi ed organizza il trasporto dei
feriti e dei caduti».
L’Elfo
Silvano annuì con serietà,
quindi fece un mezzo inchino e si allontanò per eseguire
l’ordine ricevuto.
Thranduil
si rivolse a suo figlio. «Legolas. Prendi con te
qualche guardia. Cercate di ritrovare Gollum, di riportarlo
qui».
Legolas
annuì, ed Inhel si fece avanti.
«Se
posso, mio signore» disse, rivolgendosi al re,
«vorrei partecipare alla ricerca di
Sméagol».
Thranduil
la guardò, e Tauriel abbassò il capo in
un discreto cenno affermativo. Il re non mancò di notarlo,
ed annuì.
«Molto
bene».
Inhel
si spostò per affiancare Legolas.
«E
per quanto riguarda le guardie catturate?»
chiese Tauriel.
«Prendi
con te Merion e almeno altri due soldati»
rispose Thranduil, «e seguite le tracce degli
Orchi».
«Non
servo qui, mio signore?»
«Per
organizzare e dare ordini?» replicò
il re. «Prendo io il comando delle mie guardie».
«Sì,
mio signore» rispose lei, e fece
per allontanarsi.
«Tauriel»
la fermò Thranduil.
«Normalmente invierei più guardie per questa
impresa, ma al momento mi servono le mie forze qui. Sarà
rischioso. Siate prudenti».
Lei
annuì con serietà. «Certo, mio
signore».
A
quel punto, si inoltrò nella boscaglia per cercare Merion.
Lo trovò quasi subito: un Elfo Silvano dai capelli scuri e
gli occhi grigi, che sembrava piuttosto scosso dal recente attacco.
«Merion»
lo chiamò Tauriel,
avvicinandosi, «mi servi per un incarico».
Sapeva
che lui aveva meno esperienza di lei nei combattimenti, ma
sapeva anche che aveva un buon talento nel seguire le piste. Thranduil,
ovviamente, non aveva preso una decisione senza riflettere.
Merion
ascoltò in silenzio mentre Tauriel gli spiegava cosa
avrebbero dovuto fare. Dopodiché, lei si guardò
attorno alla ricerca di altre due guardie per quel compito, e gli occhi
le caddero su un paio di identiche teste rossicce.
I
gemelli erano appena più vecchi di lei, sebbene i loro
volti avessero tratti delicati e quasi femminei che li facevano
apparire come due ragazzini. Era raro vederli l’uno lontano
dall’altro, e tra le guardie venivano chiamati semplicemente
Gwanunig,
gemello, e Pîn
Gwanunig, piccolo gemello.
Era
inusuale, ma loro lo trovavano calzante, perché si
sentivano definiti l’un dall’altro. Non
perché non potessero sopravvivere se separati, ma
perché sentivano che senza il fratello con cui avevano
condiviso il grembo materno e la loro intera esistenza sarebbero stati
persone completamente diverse.
Tauriel
e Merion li avvicinarono, e i gemelli li guardarono con uguali
espressioni interrogative. Dopo una breve spiegazione, si diressero
tutti e quattro verso il faggio dal quale Gollum era sparito.
I
corpi delle sentinelle erano già stai spostati, ma dalle
silenziose reazioni dei suoi compagni – occhi che si
chiudevano, labbra che si serravano – Tauriel capì
che sapevano delle uccisioni avvenute in quella radura.
Fu
Merion ad individuare le tracce degli Orchi. C’erano anche
quelle di Gollum, ma Tauriel disse agli altri di ignorarle –
«Se ne sta già occupando il principe
Legolas».
La
pista che interessava a loro si dirigeva verso sud, in direzione di
Dol Guldur. Tauriel, Merion ed i gemelli la seguirono in silenzio,
facendosi strada nella foresta con facilità.
Dopo
qualche tempo, giunsero ad un punto in cui gli Orchi si erano
divisi in due gruppi. A giudicare dalla terra spostata e
dall’abbondante numero di tronchi e rami spezzati, doveva
esserci stata una sorta di schermaglia.
«Sembra
si siano divisi anche i prigionieri»
osservò Merion, dopo aver esaminato le tracce con aria
accigliata.
Tauriel
inveì mentalmente, poi guardò gli altri.
«D’accordo» disse. «Gwanunig,
Pîn Gwanunig, voi procedete in quella direzione, io e Merion
andremo per di qua. Siate prudenti».
I
gemelli annuirono e si allontanarono mentre Tauriel e Merion si
incamminavano nell’altro senso. Il loro gruppo aveva deviato
verso ovest. Forse era per questo che si erano separati,
perché una manciata di Orchi aveva preferito uscire da Bosco
Atro anziché tagliare sino a Dol Guldur attraverso la
foresta.
«Meglio
per noi» si limitò a dire
Tauriel, in risposta allo sguardo di Merion.
Avrebbero
avuto a disposizione più tempo per raggiungerli e
liberare le guardie prigioniere.
Ben
presto, giunsero al limitare della foresta, e sbucarono
all’aperto con una certa prudenza. Si vedevano alcuni segni
sulla terra e sull’erba, e una traccia di sangue, come se
qualcuno avesse cercato di lottare.
Tauriel
si morse le labbra, e lei e Merion ripresero a seguire la pista
ad un ritmo più sostenuto. A quel che sembrava, gli Orchi
avevano deciso bene di fiancheggiare il limitare del bosco.
Ad
un certo punto, Merion si bloccò e si
inginocchiò per studiare alcune tracce più da
vicino.
Tauriel
lo guardò. «Che succede?»
Lui
alzò gli occhi su di lei. Era stranamente pallido.
«Quanti hai detto che sono gli Elfi che sono stati
catturati?»
Tauriel
si accigliò. «Tre» rispose,
«perché?»
«Prima,
nel bosco, mi sono sbagliato» disse Merion,
con l’aria di sentirsi male. «Non si sono divisi i
prigionieri. Vedi queste tracce?» Fece segno verso il
terreno. «È chiaro che gli Elfi con questo gruppo
d’Orchi sono tre».
Tauriel
inspirò bruscamente. «Ne sei
certo?»
Merion
indugiò un istante solo.
«Sì».
«Va
bene» disse Tauriel, raddrizzandosi.
«Va bene». Considerò la situazione, e
prese in fretta la sua decisione. «Io continuo a seguirli. Tu
va’ a chiamare i gemelli. Portali qui».
Forse
un altro Elfo avrebbe obbiettato, ma Merion era di natura
accomodante.
«D’accordo»
disse, alzandosi in piedi.
«Fa’
più in fretta che puoi»
gli raccomandò Tauriel, e l’altro le rivolse un
sorriso tirato prima di inoltrarsi di nuovo nella foresta.
Rimasta
sola, Tauriel riprese a camminare. Ogni tanto si fermava per
controllare di star seguendo la pista giusta, ma tutto sommato
procedeva in modo abbastanza spedito.
Dopo
un po’, scorse del fumo in lontananza, ed
aggrottò la fronte. Gli Orchi erano così stupidi
da accamparsi e accendere un falò?
Non
si era aspettata che fossero ancora più vicini. Forse
sarebbe riuscita ad assalire gli Orchi e a liberare i prigionieri prima
ancora che Merion tornasse con i gemelli.
In
quel momento, le sembrò di udire una voce alle proprie
spalle.
Chi è spericolato, adesso?
Il
cuore le balzò in gola e lei si girò di
scatto, un pugnale nella mano destra… Ma non c’era
nessuno. Ovviamente.
Tauriel
sbatté le palpebre e tornò a guardare
avanti, rimettendosi in cammino.
Dopo
un po’, iniziò ad intravedere il
falò da cui si levava il fumo, ma attorno non sembrava
esserci nessuno… O forse c’era qualcosa
dall’altra parte delle fiamme?
Tauriel
aggrottò la fronte, inclinando la testa…
E in quel momento un Orco emerse dalla foresta, scontrandosi con lei.
L’impatto
le strappò un grido smorzato e la
mandò col sedere a terra, ma fortunatamente aveva
già un pugnale tra le dita. Riuscì a mantenere la
presa e a sporgersi in avanti per menare un fendente e costringere
l’Orco ad indietreggiare.
Quel
momento era tutto ciò che le serviva; fu subito in
piedi, evitò con facilità il colpo
d’ascia dell’avversario e lo sgozzò.
L’Orco
cadde a terra con un tonfo, e Tauriel strinse gli
occhi. Gli Orchi… avevano acceso un falò e poi
uno di loro si era inoltrato nel bosco, tornando indietro ad aspettare
eventuali inseguitori?
Era
un piano sorprendentemente elaborato, per i loro standard.
Forse
sarebbe dovuta tornare nella foresta anche lei… Ma del
resto avrebbe corso il rischio di perdere le tracce del gruppo.
Con
un sospiro, riprese ad avanzare. C’era davvero qualcosa
dall’altra parte del falò, come una sagoma distesa
a terra… Era troppo piccola per essere quella di un Orco.
Tauriel
affrettò il passo, e quando capì di cosa
si trattava si mise a correre.
Disteso
sul terreno si trovava un Elfo Silvano dai capelli castano
scuro. Sul suo petto era aperta una larga ferita che sanguinava
abbondantemente.
Tauriel
lo riconobbe subito. Era Magoldir, ed era stato il suo primo
istruttore in materia di armi e combattimenti. Si
inginocchiò accanto a lui, cercando di fermare il sangue con
le proprie mani.
Magoldir
mosse appena la testa, e a Tauriel parve che lui la guardasse
tra le palpebre socchiuse. Una mano si alzò per sfiorare
debolmente le sue, e le labbra dell’Elfo si schiusero.
«Gli altri» sussurrò. «Sono
ancora vivi».
«Va
bene» disse Tauriel, lanciando uno sguardo
verso il limitare del bosco. Dov’erano Merion e i gemelli?
Magoldir
trasse un respiro faticoso. «Va’ da
loro» mormorò. «Qui non
c’è… molto da fare».
Tauriel
scosse la testa. Aiutandosi col pugnale, lacerò una
striscia di stoffa dei propri abiti e la utilizzò per
tamponare la ferita.
«Magoldir»
lo chiamò, poiché
le sue palpebre si erano chiuse. «Magoldir, apri gli occhi.
Guardami».
In
quel momento, sentì un rumore alle proprie spalle e
dovette cacciare indietro un gemito. Se erano tornati gli
Orchi…
“Non
adesso” implorò mentalmente,
frustrata.
Si
voltò, e la sua schiena tesa si rilassò
immediatamente, mentre un barlume di speranza si accendeva nel suo
petto. Le figure che si stavano avvicinando erano tre Elfi: Merion e i
gemelli erano tornati.
Nel
notare lei e Magoldir, accelerarono il passo e la raggiunsero in
poco tempo, fermandosi a fissare l’Elfo moribondo.
«Merion»
disse Tauriel.
Lui
si inginocchiò davanti a lei, mettendo le mani sulla
garza improvvisata in modo da permetterle di togliere le proprie.
«Ce
la fai a riportarlo nel Reame Boscoso?»
«Da
solo?» domandò l’altro.
Tauriel
si voltò verso i gemelli. «Pîn
Gwanunig» disse, alzandosi in piedi. «Tu rimani con
loro. Aiutalo».
L’interpellato
diede un’occhiata al suo gemello,
poi annuì. «Sì, capitano».
«Bene»
disse Tauriel, «io e Gwanunig
continuiamo l’inseguimento».
Prima
di rimettersi in marcia, guardò Magoldir. Era cinereo,
e sembrava respirare sempre più a fatica.
Tauriel
inspirò profondamente mentre Pîn Gwanunig
si chinava accanto a Merion, quindi fece cenno a Gwanunig di seguirla,
e si allontanarono a passo spedito.
Sperava
di aver fatto la scelta giusta, lasciando indietro Merion.
Dopotutto, la pista era ormai chiara, ed i migliori combattenti tra
loro quattro erano senza dubbio lei e Gwanunig.
Era
agitata per Magoldir, ma si costrinse a relegare quel pensiero in
un angolo della propria mente. Merion e Pîn Gwanunig
l’avrebbero riportato al Reame Boscoso. Sarebbe andato tutto
bene.
In
quel momento, lei e Gwanunig udirono delle grida. Si fermarono e
Tauriel si schermò gli occhi con una mano. Aguzzando la
vista, scorse in lontananza un gruppetto di sagome scure. Allora si
girò verso il suo compagno, accennando al bosco.
Gwanunig
capì senza bisogno di parole. Insieme, rientrarono
nella foresta, e camminarono tra gli alberi sinché non
giunsero all’altezza degli Orchi.
Con
loro, si trovavano i due Elfi Silvani che erano stati catturati. Il
più vicino al limitare della foresta doveva da poco aver
tentato di fuggire, poiché era accasciato a terra mentre un
Orco gli tirava indietro la testa per i capelli castani, esponendo alla
loro vista il suo labbro spaccato e sanguinante.
Tauriel
estrasse i suoi pugnali, e Gwanunig fece lo stesso. A quel
punto uscirono allo scoperto: Tauriel si lanciò
sull’Orco che aveva atterrato una guardia, mentre Gwanunig
attaccava quello che teneva ferma l’altra.
L’Elfo
col labbro spaccato incespicò nel
rimettersi in piedi. Tauriel tagliò rapidamente le corde che
gli imprigionavano i polsi, per poi lanciargli uno dei propri pugnali.
Approfittando
di quell’istante di distrazione, un Orco le si
scagliò contro e la fece cadere lungo distesa sul terreno.
Lei si girò rapidamente su un fianco, evitando la sua lama e
colpendolo alle ginocchia con un calcio furioso, per poi balzare in
piedi e affondargli il proprio pugnale nel collo scuro e tozzo.
Si
sarebbe scagliata subito su quello successivo, ma si costrinse a
dare una rapida controllata all’Elfo che aveva liberato. La
priorità, si ricordò, era il salvataggio dei
prigionieri.
Si
accostò al compagno in modo da poterlo aiutare
– sembrava infatti che lui ne avesse bisogno: da come si
spostava, era probabile che avesse una gamba fratturata.
Tauriel
si passò il pugnale da una mano all’altra
e trafisse l’Orco più vicino.
Gwanunig
non era molto lontano, e Tauriel gli gettò una
breve occhiata per accertarsi che accanto a lui ci fosse
l’altro prigioniero. Era così, ma
l’attenzione di lei venne subito catturata da un altro
dettaglio. Un Orco si era distanziato dal gruppo, ed ora stava puntando
contro Gwanunig un arco rozzamente intagliato.
Tauriel
si abbassò per evitare un colpo, e si
risollevò gridando: «Gwanunig! Dietro di
te!»
Lui
sgranò gli occhi e si voltò di scatto,
prendendo coscienza del pericolo… per poi lanciarsi di lato
quando la freccia partì.
Tauriel
era quasi certa che lui l’avesse evitata, ma non ebbe
il tempo di fermarsi a controllare. La lama di un Orco le
lacerò il fianco, e lei annaspò per la sorpresa
ed il dolore, incespicando di lato per sottrarsi all’arma. Fu
un movimento goffo, ma servì allo scopo.
Stringendo
una mano sul pugnale, Tauriel portò
istintivamente l’altra alla ferita, e sentì il
sangue bagnarle le dita.
L’adrenalina
alleviava il dolore, però, e la
aiutò a finire l’Orco che l’aveva
colpita. Un altro prese il suo posto, e Tauriel lo affrontò
con determinazione, sinché l’Elfo dal labbro
spaccato non spuntò alle spalle del nemico e lo
decapitò.
A
quel punto, i loro occhi si incrociarono per un istante, poi loro due
si guardarono attorno, ma degli Orchi non erano rimasti che i cadaveri
sul terreno.
Tauriel
si lasciò cadere seduta sull’erba,
respirando appena troppo affannosamente e premendo una mano contro il
proprio fianco.
«Capitano?»
chiamò l’Elfo di
fronte a lei, ignorando il sangue che gli era colato dal labbro e gli
aveva impiastricciato il mento. «Sei ferita».
Tauriel
lo fissò. «Senti chi parla»
borbottò, e lui sorrise.
Lei
era meno incline a farlo. A parte il bruciore del taglio, le era
appena sovvenuto che sarebbe stato meglio tenere in vita almeno un
Orco, così da poterlo interrogare.
«Che
è successo?» domandò
Gwanunig, la preoccupazione dipinta sul volto fanciullesco mentre si
avvicinava seguito dall’altro prigioniero.
Tauriel
sentì una fitta di immotivata irritazione.
«Niente di ché» rispose, inspirando dal
naso.
Gwanunig
guardò prima lei e poi la gamba spaccata
dell’altro Elfo con una punta di incertezza.
«Riuscite a camminare?»
Tauriel
soffocò l’impulso di rispondergli male.
Tendeva a diventare alquanto indisponente quando era ferita, e ne era
consapevole.
Senza
staccare la mano dal proprio fianco, si alzò con
cautela. Fortunatamente la ferita non era troppo profonda. Faceva male,
specie quando lei si muoveva, ma non così tanto da impedirle
di stare in piedi.
«Io
ce la faccio» affermò, decisa, poi
si voltò verso l’Elfo con la gamba rotta.
«Tu?»
Lui
fece una smorfia. «Con qualche
difficoltà».
«Lo
aiuto io» intervenne l’altra guardia,
facendo un passo in avanti. Aveva splendidi occhi marroni, contornati
da lunghe ciglia nere, ed i capelli molto scuri.
Quando
l’altro Elfo gli passò un braccio attorno
alle spalle, lui lo guardò con sollievo e preoccupazione, e
gli rivolse un borbottio. Suonava sospettosamente come
«idiota, ti sei quasi fatto ammazzare».
Tauriel
distolse lo sguardo. «Va bene»
mormorò, mentre Gwanunig la affiancava.
«C’era
un altro con noi» disse
l’Elfo dai capelli castani e il labbro spaccato.
«Magoldir. Si era ribellato e lo hanno ferito, per poi
lasciarlo indietro».
«Lo
sappiamo» disse Tauriel, voltandosi a
guardarlo. «Lo abbiamo trovato. Altri due Elfi lo hanno
riportato a Bosco Atro».
Il
suo interlocutore annuì, appoggiandosi all’Elfo
dai bellissimi occhi scuri.
Erano
un gruppetto un po’ malconcio e procedettero con una
certa lentezza, ma alla fine giunsero al Reame Boscoso. Avvertiti dal
corno di Feren, degli Elfi Silvani accorsero per accogliere i feriti, e
Tauriel si fece da parte per mandare avanti i prigionieri che avevano
liberato.
Giunse
anche Pîn Gwanunig – seguito a breve
distanza da Merion – e corse incontro al suo gemello,
abbracciandolo.
Tauriel
sorrise appena e si rivolse a Merion.
«Magoldir?» domandò.
La
sua espressione fu una risposta sufficiente, e le fece morire il
sorriso sulle labbra.
Quella
sera, Tauriel si trovava nelle proprie stanze, seduta
sull’orlo del letto.
Aveva
cercato di sgusciare via subito, ma aveva avuto la sfortuna di
essere intercettata da una guaritrice, che l’aveva guardata
con occhi di falco e si era subito accorta della sua ferita.
Una
volta sistemato il fianco, Tauriel si era recata a far rapporto a
Thranduil. Dopodiché, nonostante le fosse stato raccomandato
di non muoversi troppo almeno sino al mattino successivo, aveva cercato
di dare una mano coi feriti, per poi recarsi a parlare coi propri
uomini e con le famiglie delle guardie uccise.
Alla
fine, Galion le aveva suggerito di andare a riposare nelle proprie
stanze.
Tauriel
strinse la mano sulla pietra di Kíli,
così forte che le parve che le rune si incidessero sul suo
palmo. Nel sentire un rumore leggerissimo, sollevò il capo.
Sulla
soglia della sua camera da letto si trovava Legolas. A giudicare
dal suo aspetto un po’ scarmigliato, non doveva essere
rientrato da molto dalla sua ricerca.
«Galion
mi ha detto che eri qui» disse,
semplicemente.
Tauriel
abbassò gli occhi e si rimise in tasca la pietra.
«Avete trovato Gollum?»
Ci
fu un momento di silenzio.
«Abbiamo
perso le sue tracce verso Dol Guldur».
Tauriel
strinse le labbra ed annuì, sempre senza guardarlo.
«Ho
saputo di Magoldir» disse poi Legolas,
pesantemente, e lei lo sentì trarre un respiro prima di
domandare: «Stai bene?»
Tauriel
si morse il labbro inferiore, spostandosi appena come per
cercare una posizione più comoda, poi alzò gli
occhi sul principe e scosse la testa. «No»
mormorò.
Legolas,
allora, lasciò la soglia della stanza e venne a
sedersi di fianco a lei. Le circondò le spalle con un
braccio, e Tauriel posò la testa sul suo petto come faceva
quando era bambina e lui le narrava una storia.
«C’erano
troppe sentinelle ai piedi
dell’albero di Gollum» gli disse. «Alcune
guardie avevano abbandonato le loro postazioni per
sorvegliarlo».
«L’avevo
immaginato» rispose Legolas,
quasi con cautela, lisciandole un ciuffo ramato.
Tauriel
trasse un respiro. «Avrei dovuto accorgermi prima che
Gollum non era nella sua cella».
Le
mani del principe si fermarono sui suoi capelli. «Non
è stata colpa tua».
Tauriel
si raddrizzò per poterlo guardare in faccia, e
Legolas la lasciò andare. «Ma è una mia
responsabilità. Sono il capitano delle guardie, dovrei
proteggere la nostra gente».
“Dovrei
mostrarmi degna” aggiunse col pensiero,
“della fiducia che tu e tuo padre riponete in me”.
Erano
morti una ventina di Elfi, Magoldir tra loro. Tauriel non poteva
dire di conoscerli perfettamente, ma aveva pur sempre combattuto al
loro fianco per secoli. Faceva male.
«E
io sono il loro principe» ribatté
Legolas. «Credi che il mio dovere verso di loro sia minore
del tuo?» I suoi pugni si serrarono sulle sue gambe.
«Mi daresti la colpa di quanto è
accaduto?»
Tauriel
fu colpita dalla sua veemenza. Per un momento, si
sentì la bambina che si contorceva e si accigliava di fronte
ad un rimprovero.
«No»
disse poi. «Certo che no».
Legolas
esalò un respiro, rilassando le mani, e la sua
espressione si addolcì. «Hai fatto tutto quello
che potevi. Con Gollum, e con Magoldir».
Tauriel
abbassò il capo, sentendo la forma della pietra
runica contro il martellare del proprio cuore.
Subito
dopo aver ricevuto la notizia della morte di Magoldir, era
tornata indietro con la mente. Aveva pensato a tutto ciò che
aveva fatto, a tutto ciò che avrebbe potuto fare. Aveva solo
cercato di fermare l’emorragia; forse avrebbe dovuto dare
ordini differenti a Merion e Pîn Gwanunig. Alla fine, aveva
concluso di aver fatto tutto quel che poteva.
Ora
combatté l’impulso di digrignare i denti per
la rabbia e la frustrazione. Tutto quel che poteva. Perché
sembrava non essere mai abbastanza?
«Lo
so» mormorò comunque, guardandosi le
ginocchia. Si morse le labbra e cambiò argomento:
«Come stava Inhel?»
«Sembrava
provata» ripose Legolas dopo un attimo.
«E penso che in parte si senta ancora responsabile di quanto
è successo».
Tauriel
scosse impercettibilmente la testa. «Che
sciocca».
«Già»
concordò Legolas,
«somiglia al suo capitano più di quanto avessi
notato all’inizio».
A
quel commento, Tauriel aggrottò la fronte, ma
continuò a fissare le proprie gambe.
Legolas,
allora, sospirò. «Comunque, dopo aver
fatto rapporto abbiamo incrociato Merilwen, e Inhel è andata
con lei».
Per
un istante, Tauriel si chiese chi era Merilwen… Poi
ricordò una giovane dai capelli castani che talvolta
raggiungeva Inhel alla fine degli allenamenti. Di consueto, la sua
presenza era sufficiente a rendere il sorriso di Inhel abbacinante.
«Mi
auguro che lei abbia più successo a
consolarla».
Ci
fu un istante di silenzio. «Ti ricordi» chiese
poi il principe, in tono pensoso, «cosa diceva Magoldir
quando veniva sconfitto in un duello, o nel tiro con l’arco,
o… In qualsiasi cosa?»
Tauriel
aggrottò la fronte ed annuì.
«Domani è un altro giorno. Me lo diceva anche
quando ero bambina e non imparavo subito quel che cercava di
insegnarmi». Tacque un istante, alzando lo sguardo su
Legolas. «Era una cosa che odiavo. Pensavo che sì,
sapevo che avrei avuto altro tempo per correggere i miei sbagli, ma io
volevo essere brava subito».
Legolas
sorrise mestamente, le perdite vive e presenti nei suoi occhi
azzurri. «Povero Magoldir» disse, «gli
hai dato del filo da torcere…»
«Neanche
troppo» replicò Tauriel.
«Ero molto interessata a quello che mi insegnava».
«Pensa
se non la fossi stata».
I
due giovani tacquero e si sorrisero, ed altrettanto rapidamente
tornarono seri.
Tauriel
abbassò di nuovo lo sguardo sulle proprie mani.
«Galion mi ha offerto del vino»
borbottò. «Il suo rimedio a tutti i
mali».
«Non
mi stupisce affatto. E tu hai accettato?»
Tauriel
alzò di colpo gli occhi sul principe.
«No!» esclamò, sin troppo sulla
difensiva. «Ecco… quasi. Ma poi ho cambiato
idea».
Legolas
la trasse a sé per stamparle un bacio sulla tempia.
«Brava bimba».
Tauriel
gli indirizzò una smorfia, ma non mancò
di notare la tensione sotto il suo tono scherzoso. Senza dir nulla,
allungò una mano a stringere quella del principe.
Lui
non si mosse. Rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno
immerso nei propri pensieri.
Per
qualche motivo, Tauriel ricordò Tilda. A volte, di
notte, la bambina si infilava nel suo giaciglio e la pregava di
raccontarle una storia.
Una
storia sugli Elfi, o una storia che facesse paura.
Tauriel
poteva parlare di mostri e battaglie, e Tilda ascoltava
avidamente. Non aveva paura perché le storie non potevano
ferirla. Non aveva paura perché c’era sempre un
lieto fine.
Legolas
sospirò. «Domani è un altro
giorno» disse, accarezzando col pollice il dorso della mano
di Tauriel. «Domani è un altro giorno».
Lei
non rispose. Il cuore le picchiava contro il petto, e lei si
sentiva stanca e prosciugata, e pensò che in
realtà il lieto fine non esisteva. Esistevano solo altri
giorni. Potevano essere sereni. Potevano essere pessimi e pieni di
morte.
Per
un istante, cercò di riportare alla mente lo sguardo di
Kíli. Lui sarebbe riuscito dove lei stava fallendo, ne era
sicura. Lui avrebbe avuto fiducia, senz’ombra di dubbio, nel
fatto che l’indomani sarebbe stato migliore.
Note:
E così, ecco anche l’ultima parte.
Spero non sia stata una delusione (non so ancora perché ho
voluto scrivere delle scene di combattimento, visto che le scene
d’azione sono tutto fuorché il mio forte).
Chiedo scusa per il finale non esattamente consolatorio, e ringrazio
tantissimo tutti i lettori e recensori e chi ha messo la storia tra le
preferite/seguite/scelte.
Alla prossima!
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