All'alba delle macerie
2 maggio 1998
“Pensava solo al letto a baldacchino
che lo aspettava nella Torre di Grifondoro: chissà se Kreacher gli
avrebbe portato un panino lassù.”
[Harry Potter e i Doni della Morte]
Capitolo Uno
Padrone e padrino
Harry indirizzò i propri passi verso la Torre di Grifondoro quasi senza
rendersene conto. Ron e Hermione camminavano accanto a lui in silenzio,
gli occhi che vagavano sulle mura della scuola a cercare i segni della
battaglia che l’aveva sconvolta.
Più si allontanavano dall’Ufficio del Preside, più le macerie si
diradavano e gli squarci nei muri si tramutavano in semplici crepe.
Quando arrivarono davanti al ritratto della Signora Grassa lo trovarono
vuoto, come tutte le cornici circostanti. Già di per sé era un evento
insolito, ma ancora di più lo era il fatto che il quadro fosse spostato
di lato, lasciando aperto il passaggio.
Harry si inerpicò nel buco del ritratto. Fino a quel momento non si era
reso conto di quanto gli fosse mancato quel semplice gesto, un tempo
parte integrante della sua quotidianità; attraversare quel passaggio lo
fece tornare per un attimo al suo primo giorno a Hogwarts, una vita
prima.
Quando arrivò nella sala comune si girò a guardare Ron e Hermione. Lei
aveva gli occhi lucidi, ma quando Ron le porse la mano per aiutarla a
uscire dal buco, accettò con un sorriso. Si guardarono intorno,
assaporando ogni dettaglio di quel luogo che era stata la loro casa per
tanti anni. I vetri delle finestre erano distrutti, molte sedie erano
rovesciate e c’era qualche brutta crepa nel muro, ma nel complesso la
sala non aveva subito gravi danni.
“Penso che ci siamo guadagnati qualche ora di riposo” commentò Harry
con un sorriso, tornando a guardare gli amici.
“Lo penso anche io” concordò Hermione, ricambiando il sorriso. Harry si
incamminò verso le scale che conducevano al dormitorio maschile e con
un cenno li invitò a seguirlo. Hermione annuì e mosse qualche passo
avanti, ma Ron rimase fermo in mezzo alla sala comune, a disagio.
“Hermione” mormorò infine.
Lei si girò subito verso di lui.
“Sì?”
“Puoi… prima potremmo parlare un attimo, per favore?” chiese. “Se per
te non è un problema, Harry” si affrettò ad aggiungere.
“Nessun problema” garantì lui, tremendamente felice per gli amici.
Forse, quando tutto fosse ritornato alla normalità, gli sarebbe
capitato di sentirsi un po’ tagliato fuori, ma in quel momento era solo
grato per il fatto che si fossero trovati e, soprattutto, che fossero
sopravvissuti per parlarne. Li guardò per un istante mentre si
fissavano l’un l’altra, raggianti nonostante la stanchezza, e poi
cominciò a salire le scale.
La prima cosa che lo sorprese del suo vecchio dormitorio fu l’ordine.
Nessun baule aperto che rigurgitava oggetti, nessun vestito
sparpagliato a terra o sopra le coperte, nessun poster attaccato alle
pareti, che fossero di una squadra di Quidditch o babbana: la stanza
era stata ripulita da cima a fondo. La seconda cosa che lo colpì fu
l’arredamento: aveva sempre visto quella stanza ospitare cinque letti a
baldacchino e gli sembrò terribilmente vuota notando che ce n’erano
solo due, entrambi intatti.
Si chiese quanto dovesse essere stato strano, per Neville e Seamus,
passare tutto l’anno da soli, dopo sei anni condivisi con lui, Ron e
Dean; immaginò che per loro il caos allegro della Stanza delle
Necessità fosse stato un piacevolissimo diversivo.
Harry si sdraiò sul primo letto, quello più vicino alla posizione dove
una volta si trovava il suo. Sentì le palpebre farsi pesanti, ma non
voleva ignorare più a lungo di così il morso della fame che gli
attanagliava lo stomaco.
“Kreacher” tentò ad alta voce.
Un attimo dopo, un sonoro crac esplose nell’aria e l’elfo domestico
apparve davanti a lui, la tunica lisa e macchiata.
“Il padrone mi ha chiamato” disse Kreacher, profondendosi in un
inchino. “Il padrone ha sconfitto il Signore Oscuro. Ha vendicato il
prode Regulus” continuò, commosso e orgoglioso.
“Ehm, sì, grazie, ma non serve che ti inchini, Kreacher.”
“Come il padrone desidera” rispose lui, raddrizzando la schiena, gli
occhioni lucidi.
“Ho… ho visto che hai combattuto, Kreacher. Siete stati molto
coraggiosi. Mi dispiace per le vostre perdite…”
“Grazie, padron Harry, significa molto per Kreacher e per tutti gli
elfi domestici di Hogwarts. Posso fare qualcosa per il Salvatore?”
All’improvviso Harry si sentì terribilmente a disagio. Aveva chiamato
Kreacher per farsi portare da mangiare, senza pensare al fatto che
anche gli elfi dovevano star piangendo le loro vittime. Pensò che
Hermione l’avrebbe ucciso se si fosse permesso di chiedergli anche solo
mezzo panino, così rinunciò a riempirsi lo stomaco.
“Sì, Kreacher. Per favore, porta i miei ringraziamenti a tutti gli elfi
domestici. Digli che il loro sacrificio non sarà dimenticato.”
“Kreacher lo farà” assicurò l’elfo con fierezza. “Kreacher lo dice
sempre agli altri che il suo padrone è un nobile mago e difensore degli
elfi domestici.”
“Ehm, grazie, Kreacher.”
“Anche l’elfo Dobby lo diceva sempre, Signore. Kreacher non lo vede da
giorni… Kreacher pensava che sarebbe tornato per combattere con Harry
Potter.”
Harry fu assalito da un groppo alla gola, al ricordo del sacrificio di
Dobby.
“Anche lui ha combattuto al mio fianco, Kreacher” spiegò con voce
incrinata. “È morto per salvarmi.”
Non ebbe il cuore di dirgli che era stato pugnalato dalla sua adorata signorina Bella.
Harry si risvegliò all’improvviso con la sensazione di aver appena
vissuto un terribile incubo, nonostante non ricordasse nulla. Sedeva
sul letto respirando affannato, ma si impose di calmarsi. Mentre
buttava un occhio sull’ ammaccato orologio di Fabian Prewett per
scoprire di aver dormito a malapena un paio d’ore, la sua attenzione fu
richiamata dal suono ritmico di due respiri pesanti. Harry vide Ron e
Hermione abbracciati sul letto accanto, profondamente addormentati.
Ancora una volta non riuscì a trattenere un sorriso, ma al tempo stesso
sentì una subdola sensazione di solitudine. Prima che potesse evitarlo,
il suo pensiero volò a Ginny e Harry provò l’immediata, fisica voglia
di stringerla tra le braccia e di addormentarsi accanto a lei, proprio
come aveva fatto Ron con Hermione.
Furono insieme il desiderio di rivedere Ginny e le lamentele del suo
stomaco a spingerlo ad alzarsi dal letto.
Harry rimediò dei vestiti puliti dalla borsetta di Hermione, posata sul
comodino, e si buttò sotto la doccia. Fu un sollievo lavare via la
polvere delle macerie e le incrostazioni della battaglia. Sarebbe
rimasto volentieri ore sotto a quel getto caldo e rilassante, ma dopo
poco si impose di uscire. Sentiva di essere mancato già troppo a lungo.
Quando si fu asciugato e rivestito, tornò in stanza, lanciò un’ultima
occhiata a Ron e Hermione e si avviò di sotto. Al contrario del giorno
prima, più si avvicinava all’ingresso della scuola, più la devastazione
era marcata, tanto che Harry fu più volte costretto a optare per un
percorso alternativo. La maggior parte delle deviazioni le fece per
aggirare dei crolli che avevano ostacolato il passaggio, ma fu per
scelta deliberata che evitò di passare nel punto dove Fred aveva
sorriso per l’ultima volta.
Quando arrivò nei pressi della Sala Grande, fu sorpreso
dall’incredibile brusio. Il resto della scuola era immerso in un tetro
silenzio e quel rumoroso ronzare di voci gli sembrò strano, nonostante
sapesse che la Sala era gremita di persone.
Si gettò il Mantello sulle spalle, nella speranza di arrivare
inosservato dalla famiglia Weasley per sedersi al loro fianco.
Quando entrò nella Sala, Harry rimase sorpreso: se quella mattina gli
era sembrata colma di gente, non era niente al confronto. Pareva che
l’intera comunità magica si fosse radunata a Hogwarts: studenti di
tutte le età, adulti, bambini e anziani riempivano l’affollata stanza,
chi allegro e festante, chi mesto e raccolto, chi ferito e logorato dai
combattimenti, chi troppo riposato per aver preso parte alla battaglia.
Harry intravide molti volti familiari, sia tra gli studenti che tra gli
adulti. C’erano Arabella Figg che discuteva con Mundungus Fletcher,
Olivander e un ammaccato Xenophilus Lovegood seduti vicino a Luna, ma
Harry incrociò anche Madama McClan ed Elphias Doge. Riconobbe con un sorriso il vecchio professor Tofty, che stava
raccontando con orgoglio di averlo esaminato personalmente al suo
G.U.F.O. di Difesa Contro le Arti Oscure e di avergli visto evocare un
Patronus.
Finalmente, in fondo alla sala individuò un insieme di teste rosse che
si tenevano in disparte, silenziose.
Era praticamente arrivato a loro quando notò l’intera famiglia Delacour
riunita. Fleur, seduta su una panca, aveva il capo poggiato sulla
spalla di un distrutto Bill, mentre Gabrielle teneva la testa sulle
gambe della sorella. L’ultima volta che Harry aveva visto i Signori
Delacour si trovava sotto mentite spoglie e, quando la bella giornata
si era messa male, era fuggito in fretta e furia con Ron e Hermione.
Forse fu per questo che si sentì in dovere di salutarli.
Con un rapido movimento si tolse il Mantello.
“Arrì!” esclamò Fleur, sollevando il capo sorpresa.
Gabrielle si tirò su e lo guardò intimorita e incantata al tempo
stesso, mentre Madame Delacour si alzava per abbracciarlo. “Prima
hai salvoto nostra filia, ora tutti noi” lo ringraziò commossa, mentre
Monsieur Delacour gli dava una pacca riconoscente sulla spalla.
“Sono contento che stiate bene” rispose Harry, quando lei sciolse
l’abbraccio. “Mi dispiace per come ci siamo dileguati al matrimonio…”
“Non dire sciocchès” lo rimproverò Monsier Delacour. “Avote fatto
l’unica cosa possible.”
Harry fece un cenno d’assenso, quindi si girò verso Bill e Fleur.
“Grazie” disse semplicemente. “Di tutto.”
“È stoto un onore, Arrì” garantì Fleur.
Il volto segnato di Bill si distorse in un sorriso. “E così siete
fuggiti su un drago, eh? Immaginavo che il vostro piano fosse audace,
ma non così tanto” lo canzonò.
Harry non riuscì a trattenere una risata e trovò la cosa
incredibilmente liberatoria.
“In effetti non faceva affatto parte del piano, ma a quanto pare la
promessa di Unci Unci valeva ancora meno della nostra.”
“Quell’insopportobile folleto!” commentò Fleur con astio.
Solo allora Harry realizzò una cosa che lo fece sorridere ancora di più.
“Be’, stamattina Unci Unci non sarà stato felice di scoprire che la
spada di Godric Grifondoro è tornata a un legittimo proprietario.”
“Allora è meglio che consigli a Neville di guardarsi le spalle” suggerì
Bill.
Harry stava per rispondere, quando una voce lo chiamò, troppo dolce e
familiare per poterla ignorare.
Si girò verso Ginny, ansioso di riempirsi gli occhi del suo sguardo
ardente, delle sue lentiggini e della sua chioma rossa, ma fu
qualcos’altro ad attirare la propria attenzione.
Tra le braccia della ragazza dormiva un neonato, un ciuffo verde in
fronte e le labbra strette attorno a una minuscola manina.
Harry non era certo di cosa lo avesse scosso tanto: forse incontrare
Teddy per la prima volta; forse vedere Ginny tenere un bambino tra le
mani, con un sorriso dolce a far dimenticare degli occhi arrossati. Poi
capì perché era stato sopraffatto dall’emozione: davanti a sé aveva un
bambino reso orfano dalla guerra, proprio come tanti anni prima lo era
stato lui. Quando Remus gli aveva chiesto di diventare suo padrino,
Harry aveva temuto di non essere all’altezza, ma ora, per qualche
strano scherzo del destino, seppe che l’avrebbe capito meglio di
chiunque altro.
Ignorò la lacrima che gli bagnava la guancia e alzò gli occhi da Teddy
per guardare Ginny, assaporando il fatto che fosse ancora viva, che
fosse ancora lì, nonostante tutto.
“Non vuoi conoscere il tuo figlioccio?” le domandò lei, sorridente e
forse anche commossa.
Harry annuì e si avvicinò, allungando cauto una mano, sfiorando la
fronte minuscola di Teddy, passando le dita tra i suoi capelli morbidi,
che virarono dal verde all’azzurro.
“Ciao” sussurrò, continuando a carezzarlo.
“Perché non lo prendi in braccio?” domandò Ginny, incoraggiante.
“Io non…”
“Prova” insisté lei con dolcezza. “Devi solo stare attento a
sostenergli la testa.”
Harry allungò incerto le mani, passando un braccio sotto al corpicino
di Teddy e sistemando il palmo sotto al suo capo, mentre Ginny lo
lasciava andare piano.
Teddy sembrò risvegliarsi e Harry provò un attimo di terrore, ma il
bimbo si tranquillizzò subito, adattandosi alla nuova posizione. Il
ragazzo lo avvicinò al petto e lo guardò insieme orgoglioso e commosso,
mentre Ginny sorrideva raggiante.
Solo mentre cullava piano il piccolo tra le braccia gli venne in mente
una domanda ovvia.
“Anche Andromeda è qui?”
Ginny si rabbuiò e annuì.
“Mamma l’ha accompagnata alla camera ardente” spiegò in un sussurro.
“Credo non volesse lasciarla sola. E poi… Fred e Tonks sono vicini.”
Sentir pronunciare i loro nomi fu come ricevere una pugnalata in pieno
petto. Non riuscì a capacitarsi di quando dovesse essere inconcepibile
per una madre vedere il cadavere del proprio figlio.
Mentre gli occhi di Ginny diventavano lucidi, Harry si maledisse per
aver fatto quella domanda.
“È stata Bellatrix a uccidere Tonks” aggiunse Ginny
con durezza, ricacciando indietro le lacrime. “Sono contenta che mamma
l’abbia uccisa.”
“Anche io” sussurrò Harry, senza riuscire davvero a sorprendersi per la
rabbia di Ginny. Per quanto lui avesse odiato Voldemort, il suo unico
desiderio era sempre stato quello di sconfiggerlo, ma con Bellatrix era
diverso. Aveva davvero desiderato farla soffrire, l’aveva odiata con
tutto se stesso e sì, l’aveva anche voluta morta. Sirius, i genitori di
Neville, Dobby e ora anche Tonks: erano troppe le vite che aveva
distrutto per mero piacere. Harry aveva trovato tremendamente giusto
che fosse proprio Molly, una madre, a punirla per una vita senza amore.
Per un attimo si chiese se anche lei avrebbe preferito morire,
piuttosto che vedere il suo Signore sconfitto e scoprire il tradimento
di Narcissa, ma poi una voce lo distolse dai propri pensieri.
“Vedo che hai fatto conoscenza con mio nipote, Harry Potter.”
Il ragazzo si girò verso Andromeda Tonks, cercando di ignorare
l’incredibile somiglianza con la sorella. La cosa finì per
ritorcerglisi contro, perché non riuscì a evitare di fissarsi sugli
occhi gonfi di pianto.
“Signora Tonks” fu tutto quello che riuscì a dire.
“Dovrai trattarlo bene, ragazzo” si raccomandò lei in tono severo. “È
tutto quello che mi resta della mia famiglia.”
Harry sentì la mano di Ginny stringergli una spalla.
“Lo farò” promise.
“Mio nipote, le mie regole” continuò lei. “Non potrai fare solo la
parte del padrino buono, ti avverto.”
Harry annuì.
“Bene, sono contenta che siamo d’accordo. Ora potrei riavere Teddy?”
Harry colse una sorda disperazione, in quella domanda, come se quel
frugoletto fosse l’unica cosa che tenesse ancora in piedi quella donna
stoica e altera, come se Andromeda avesse bisogno di aggrapparsi a lui
per rimanere con i piedi ancorati a terra, per non tornare con la mente
al corpo freddo di sua figlia nella stanza accanto.
Poi si ricordò che sapeva una cosa che forse avrebbe potuto farla stare
meglio.
“Narcissa mi ha salvato la vita” le disse. “Ha fatto credere a
Voldemort che fossi morto, pur di tornare al castello per trovare
Draco.”
Andromeda deglutì, prima di parlare.
“Mia sorella e suo marito hanno sempre avuto l’incredibile capacità di
salire sul carro del vincitore giusto in tempo per vedere precipitare
quello degli sconfitti” disse con amarezza. “Non ti biasimerò per
sentirti riconoscente nei suoi confronti, ma non chiedermi di
dimenticare quanto sia ingiusto che suo figlio sia vivo e mia figlia
no.”
Harry si sentì gelare.
Poi Andromeda si rivolse a Ginny. “So che hai combattuto contro l’altra
mia sorella.”
La ragazza annuì.
“Invidio tua madre per il fatto che abbia potuto proteggere sua figlia
da Bellatrix. È stata fortunata, a trovarsi nel posto giusto al momento
giusto.”
“Anche io lo sono stata.”
“Sì, suppongo di sì” commentò Andromeda seccamente. Poi scoccò
un’occhiata alla mano di Ginny, ancora stretta sulla spalla di Harry.
“Immagino che ci rivedremo presto” intuì. “Grazie per esservi presi
cura di mio nipote.”
Detto ciò, Andromeda fece loro un ultimo cenno di saluto e si allontanò.
Aveva fatto solo pochi passi quando Minerva McGranitt la raggiunse
trafelata.
“Andromeda, la stavo cercando” disse con urgenza. Poi si accorse che
Harry era lì vicino, in ascolto. Gli rivolse un sorriso orgoglioso.
“Potter, è un piacere rivederti. Faresti bene a venire anche tu.”
“Cosa succede, professoressa?” domandò Harry, seguendo la McGranitt
insieme ad Andromeda. Come al solito, al suo passaggio calamitò gli
sguardi di tutti gli astanti, ma evidentemente era chiaro che avesse
qualche faccenda da sbrigare, perché nessuno lo trattenne.
“Devo presentarvi qualcuno” spiegò la professoressa.
L’insegnante li portò fuori dalla Sala Grande, conducendoli davanti a
un uomo vestito in modo modesto, un po’ avanti con l’età e dai
lineamenti morbidi, stranamente familiari. Harry ebbe l’impressione che
fosse piuttosto provato.
“Le presento Andromeda Tonks e Harry Potter” disse la McGranitt.
Lui, però, rivolse a Harry a malapena uno sguardo. Il ragazzo rimase
sorpreso nel constatare che l’unica cosa che sembrava interessare
all’uomo fosse il fagottino tra le braccia di Andromeda.
“E questo, ovviamente, è il piccolo Teddy” sorrise la professoressa.
“Potter, Andromeda… Vi presento Lyall Lupin, il padre di Remus.”
************
Ciao a tutti! :D
È da svariati mesi che ho
scritto questo capitolo, il primo di un mio piccolo progetto che
vorrebbe raccontare il grande ‘capitolo mancante’ del primo periodo del
post-guerra dal pov di Harry (e da altri pov, ma solo tramite qualche
spin off).
Purtroppo al momento non ho
né abbastanza tempo né abbastanza ispirazione per riuscire a
realizzarlo per intero come vorrei (anche se ho già scritto o
immaginato alcuni spezzoni futuri), quindi per ora ho deciso di
pubblicare i primi tre capitoli, ovvero gli unici già completati e
capaci di funzionare da soli, visto che sono i tre capitoli che
raccontano del giorno dopo la battaglia, il 2 maggio 1998 (per
intenderci, lo stesso giorno in cui Harry ripara la sua bacchetta).
Per ogni capitolo ho già
scritto in passato – e potrei scrivere in futuro – qualche spin off, a
cui vi rimando più sotto, qualora foste interessati ^^
Spero l’idea vi piaccia!
Grazie a tutti di aver
letto, per chi volesse sotto ho aggiunto anche qualche nota al capitolo
;)
Isidar
Ps: la storia fa parte della
raccolta ‘La
quiete dopo la tempesta’
PPs: apprezzerei molto se mi
faceste notare eventuali errori che mi fossero sfuggiti ^^
Spin
off del capitolo 1
o
Spin off: ‘In punta dei piedi’ – Ron/Hermione
o Spin
off: ‘2
maggio 1998 – Unci Unci’
o Spin
off: ‘2
maggio 1998 – Lyall Lupin’
Alcune
note sul capitolo
o Nel
penultimo capitolo dei Doni della Morte non viene nominata una camera
ardente, ma ho immaginato che dopo la Battaglia avessero spostato i
defunti (nella mia mente sono nella stanza in cui Minerva fa il
discorsetto agli studenti di primo anno subito prima dello Smistamento)
o È stata
la Row a dichiarare che Bella uccise Tonks
o Lyall
Lupin non è un personaggio di mia invenzione: è davvero il padre di
Remus, e su Pottermore potrete trovare la sua storia
o
‘una squadra di Quidditch o babbana’ → anche se nel libro non è
così, preferisco usare l’aggettivo ‘babbana’ minuscolo, così come
vorrebbe la grammatica italiana (corregetemi se sbaglio ^^)
o ‘Digli
che il loro sacrificio non sarà dimenticato’ → la versione corretta
sarebbe ‘dì loro’, ma visto che Harry non è Hermione è senz’altro più
probabile che abbia detto ‘digli’, pur riferendosi a tutti gli elfi ;)
o Vi
consiglio una splendida fan art del primo incontro Harry-Teddy: http://burdge.deviantart.com/art/learn-as-you-go-171334164
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