Qui
e adesso
Sono
ferma davanti alla porta della mia stanza, Checco mi osserva con
un'espressione indecifrabile.
Non
è facile capirlo, certe volte. Eppure adesso vorrei proprio
poter entrare nella sua testa, comprenderlo, perché non so
proprio cosa aspettarmi. Ammesso e non concesso che ci sia qualcosa
da aspettarsi.
«Cosa
dobbiamo fare?» sbotto, non potendone più di questo
silenzio assordante. So che magari può sembrare paradossale,
ma mi sento oppressa da tutto questo. Non capisco perché.
«Niente»
ribatte Checco senza battere ciglio. Sembra essere indifferente a
tutto, ma ci dev'essere qualcosa sotto quella maschera di noncuranza
che mi sta mostrando.
«Mia
madre ha voluto...»
«Mandarci
qui, lo so. Almeno sediamoci allora» conclude, poi spinge la
porta della mia stanza ed entra senza che io gli abbia dato il
permesso.
«Scusa!»
protesto, afferrandolo con impeto per il polso.
Checco
mi ignora e prosegue, strattonandomi. Pur di non lasciargli fare
quello che vuole, lo seguo e sbatto la porta.
Riesce
a liberarsi dalla mia presa e si accomoda sul letto. Per fortuna
Maria Vittoria mi ha obbligato a rifarlo stamattina, altrimenti
sarebbe disgustoso vedere quel tipo seduto sulle mie lenzuola. Non
capisco cosa voglia, perché ci tenga tanto a conquistare
ulteriormente la fiducia di mia madre.
«Ascolta...
possiamo parlarne. Ci inventiamo che hai un impegno e te ne vai, cosa
ne pensi? Diciamo alla pazza che ti hanno telefonato da casa...»
faccio, cercando una soluzione equa per entrambi.
«Per
me è indifferente, posso stare tranquillamente qui a riposare,
non ho niente da fare» mi interrompe, per poi sdraiarsi
comodamente sul materasso e fissare il soffitto, con le braccia
incrociate dietro la testa.
Questa
cosa mi fa irritare tantissimo, come si permette di fare come se
fosse a casa sua? Razza di deficiente decerebrato, vorrei veramente
dirgliene di tutti i colori, ma non voglio che mia madre ci senta
litigare. È una ficcanaso, sono certa che stia in agguato con
le orecchie tese ad aspettare che le giungano i rumori del nostro
accoppiamento, cosa che sembra aspettare come se dovesse essere lei a
viverlo. Che strazio!
«Per
favore, Filippo! Mi stai disturbando. È meglio se vai a casa,
il teatrino è durato abbastanza» replico con tono
rassegnato. Non ne posso più, ormai possiamo parlarci
chiaramente e non c'è più bisogno di fingere.
«Voglio
restare.»
Questo
è troppo. Ma chi si crede di essere? Oggi non ho voglia di
scherzare, né di discutere con gente che non capisce un
accidente. Devo assolutamente cacciarlo di casa prima che succeda il
finimondo.
«Spiegami
perché mai dovresti volerlo!»
«Ti
piace scappare, vero Albertina?»
La
domanda mi coglie alla sprovvista e gli lancio un'occhiataccia.
Questo non ha nessuna attinenza con il discorso che stavamo facendo,
e non ho neanche capito a cosa si sta riferendo. Io non scappo, sono
qui, è lui che tra poco dovrà scappare se non vuole che
lo scaraventi giù dalla finestra, infischiandomene di ciò
che penseranno i miei.
«Ti
piace scappare dalle situazioni, piuttosto che affrontarle. Questo
non fa di te una persona matura, non ti rende migliore, non ti rende
forte come vuoi dimostrare» prosegue, ignorando la mia faccia
stranita. Del resto non mi sta neanche osservando, intendo com'è
a esaminare le crepe del mio soffitto. È un grandissimo
maleducato.
Oltre
a questo, non posso pensare all'eventualità che abbia ragione.
Sta parlando a vanvera, sta dicendo un mare di cazzate e continua a
stazionare sul mio fottuto letto e io non lo sopporto più.
Stringo
i pugni e glielo dico: «Stai parlando a vanvera, non ti
sopporto più».
«Non
è questo che conta. Fingi, fingi sempre Albertina. Io non
sopporto te, perché so che ti sei costruita un personaggio,
indossi una maschera ogni giorno della tua vita. Credi di essere
intoccabile, pensi di essere superiore a qualsiasi tipo di sentimento
ed emozione vagamente umana. Ma credi di venire da Marte per
caso? Sei esattamente come tutti gli altri, mettitelo in testa»
mi gela lui, continuando a non guardarmi.
Non
ci posso credere, lui sta dicendo a me queste cose? Ma come osa? Non
ho parole. La cosa più grave – anzi, che dico, la cosa
gravissima! – è
che sento, da qualche parte dentro me, che lui ha ragione, ma non
capisco perché mi stia rendendo conto di queste cose solo ora,
solo adesso che lo osservo disteso sul mio letto e vorrei spingerlo
via, ma allo stesso tempo sento montare in me qualcos'altro...
qualcosa a cui non sono disposta a dare un nome, né tanto meno
ad accettare.
Mi
avvicino al mio giaciglio e mi decido a catturare il suo sguardo,
perché voglio comprendere se sta dicendo sul serio o se mi sta
prendendo per il culo. Quasi quasi spero che sia la seconda, così
potrei semplicemente mandarlo al diavolo e sbraitargli contro –
ormai non me ne frega più niente di mia madre, che ci senta
pure gridarci contro –, ma nei suoi occhi chiari e fin troppo
limpidi leggo soltanto sincerità. Ci fissiamo per un po' e
quel qualcosa continua
a tormentarmi, mentre le mani prendono a tremarmi e per nasconderlo
le nascondo dietro la schiena.
«Stai perdendo
tempo Filippo» mormoro mentre continuo a fissarlo, del resto
non riesco a fare altrimenti – cazzo!
Albertina,
riprenditi! Smettila subito!
Filippo,
d'improvviso, solleva un braccio – non tanto all'improvviso, in
effetti, a me però sembra che tutto accada in fretta e furia,
dato che non ho il coraggio di muovermi o reagire in nessun modo –
e mi afferra saldamente il mento,
costringendomi a guardarlo ancora un po', a fare proprio quello che
non vorrei fare assolutamente, per nessun motivo al mondo.
«Non penso,
sai? Ora hai uno sguardo così smarrito e dolce... cosa ti
succede?» mi dice, mentre le sue labbra si inarcano in un
sorriso quasi compiaciuto. Ha un'espressione strana, non sopporto di
vederla e di averla così vicina, quella faccia da schiaffi.
Perché è compiaciuto? Maledizione, non c'è
niente di cui compiacersi, razza di idiota!
Adorabile
idiota, mormora qualcosa dentro
di me.
Mi rendo conto che
sto trattenendo il fiato e che la pelle su cui le sue dita sono
posate brucia in maniera impressionante, non è possibile e
concepibile!
Finalmente riesco a
ritrarmi, o almeno ci provo: sollevo il viso e faccio per
indietreggiare, ma lui con un gesto fulmineo mi afferra per le
braccia e in un batter d'occhio mi ritrovo distesa sopra di lui, con
gli occhi sgranati – cazzo, mi fanno quasi male tanto li sto
spalancando – e il viso premuto contro la sua spalla.
Merda,
merdaccia schifosa! Devi alzarti, devi sollevarti subito, subito,
subito! Albertina...
Poi
le sue braccia mi avvolgono come se niente fosse, come se fosse una
cosa normale e naturale, come se l'avesse sempre fatto e quella non
fosse una novità. Rimango immobile, ancora una volta, e allora
il suo odore mi invade i sensi e non ho più tanta voglia di
andarmene da lì.
No, cosa cazzo sto
pensando? Non è da me, non sono assolutamente io questa,
questa... questa cretina in brodo di giuggiole! Porca puttana, devo
fare qualcosa.
«Cosa stai
facendo?» biascico. Non ho assolutamente la forza di gridare,
di ribellarmi, di spingerlo via e dirgliene di tutti i colori. Sono
una rammollita, sono diventata una fottuta rammollita e sembro Tita
quando è insieme a Gabri. Che vergogna!
Io
non sono così.
«Non sei
così... come?» mi sento chiedere dalla voce preoccupata
di Checco.
Merda,
l'hai detto ad alta voce, razza di stupida imbecille!
«Dicevo così,
per dire... non... non lo so» borbotto, senza sapere
effettivamente cosa rispondere. Non ci sto assolutamente capendo
niente, ma niente di niente! Cazzo, devo alzarmi.
Adesso.
«Bene, il
teatrino è finito» comincio a dire, posando i palmi
delle mani sul suo petto. Poco prima di riuscire a tirarmi su, lo
sento: un rumore fottutamente familiare, uno di quei suoni che
riconoscerei ovunque e che immediatamente mi afferra alla bocca dello
stomaco e mi fa rivoltare qualunque cosa si trovi al suo interno. Non
è possibile, non è concepibile, mi sto sentendo male,
mi sento male, mi sento male...
«No, cazzo»
impreco tra i denti.
«Albertina,
cosa...»
«Stai zitto!»
sibilo. Poi ci ripenso e aggiungo: «No, parliamo!».
Mi sollevo
finalmente da lui e mi pare quasi che manchi qualcosa, non riesco a
collocare questa strana sensazione, eppure c'è e non posso
ignorarla.
«Vuoi parlare?
Ti sei decisa allora?»
No,
deficiente, è solo che tu non devi sentire quello schifo, non
devi assolutamente!
«Ah, sì!
Dai, mettiamo su un po' di musica... ti va di ascoltare...»
Balzo giù dal letto e mi guardo intorno mentre il rumore
aumenta, mi sembra assordante, insopportabile. Individuo il CD dei
Rage Against The Machine che ho preso in quel negozio tempo fa,
l'avrò ascoltato già duemila volte. «Questo?»
aggiungo, sventolandolo in direzione di Checco.
Lui intanto si è
messo a sedere e mi sta guardando con aria interrogativa ed
espressione confusa, come se avessi appena detto qualcosa di
inaudito, incredibile e fuori luogo.
Mentre armeggio con
il disco, quel rumore mi assorda e improvvisamente so con certezza
che anche Checco lo ha udito, forte e chiaro. I suoi occhi si
scontrano con i miei e vi leggo qualcosa di simile alla compassione.
No, forse alla comprensione?
«Io... mi...
mi dispiace...» balbetto, mentre sento mia madre e mio padre
che scopano nella stanza accanto e i loro gemiti sono una tortura per
le mie povere orecchie.
Questa è la
figura di merda più grossa della mia vita. Io li sento sempre,
ma come hanno potuto farmi questo? Come hanno potuto mettersi a fare
porcate mentre in casa c'è un ospite, il quale dovrebbe in
teoria essere il mio ragazzo? Loro credono e sanno questo, anche se
in realtà non è così. Però Filippo è
un ospite, un estraneo, lui non c'entra niente con queste cose.
Le mani mi stanno
tremando, sono costretta ad appoggiare il disco sulla scrivania se
non voglio che cada per terra e si sfasci. Non potrei permettere ai
miei genitori di rovinare anche questo.
«Albertina,
sono i tuoi genitori...?» mormora come se avesse paura che
qualcuno lo senta.
Non dico niente, non
credo sia necessario. Mi viene da vomitare, sento quasi l'impellenza
di correre in bagno e rimettere tutto quello che ho buttato giù
durante il pranzo.
Sono in piedi in
mezzo alla stanza e, nel silenzio che è calato, sento i gemiti
di quei due maiali perdersi nell'aria, fino a scomparire del tutto
tra le pareti sottili della nostra casa.
«Dai, metti un
po' di musica. Quello va benissimo» mi sollecita Filippo,
sollevandosi dal mio letto e avvicinandosi pericolosamente a
me. Penso che voglia nuovamente toccarmi, invece afferra il disco e
lo sistema nel lettore che sta sulla scrivania. Anche lui si è
accorto che sono praticamente paralizzata e non riesco neanche ad
agire come dovrei.
Bombtrack
parte con tutta la sua energia, e non appena la musica mi scuote mi
ritrovo a tremare e le sensazioni tornano a invadermi, scuotendomi
pericolosamente.
Filippo sembra
accorgersene e mi raggiunge, afferrandomi per le spalle e cercando di
farmi reagire.
«Non ti ho mai
visto così, Albertina. Non pensavo soffrissi tanto»
dice.
E come potrei dargli
torto? Neanche io sapevo di essere in queste condizioni! Cazzo, com'è
possibile? Io so benissimo che questa cosa dei miei che lo fanno
sempre inibizioni mi fa schifo ed è insopportabile, ma non ha
niente a che vedere con quello che sto provando adesso. Raccontarlo a
Tita e i miei amici è un conto, ma trovarmi in questa
situazione insieme a Filippo... no, non posso farcela.
«Non so che
fare» riesco solo a dire. Sto vivendo una lotta interiore, un
qualcosa che mi fa veramente rabbrividire fino in fondo.
Lui si guarda
intorno, scuote leggermente il capo e poi mi attira nuovamente a sé.
Mentre la musica riempie la stanza e non sento più quei rumori
schifosi, mi sento meglio e mi lascio inspiegabilmente andare tra le
sue braccia, ricambiando la stretta. Per la prima volta non oppongo
resistenza, neanche mentalmente. È quello il posto dove voglio
stare adesso, sono troppo scossa per affrontare tutto da sola.
Poi dopo si vedrà,
ci sarà un altro luogo dove rifugiarmi come ho sempre fatto.
Chiamerò Tita, forse Giaco, uscirò a fare un giro e a
prendermi un gelato con loro, ma adesso sono qui e non sento la
necessità di andarmene.
Forse non è
una situazione romantica, non è una cosa da me, però
sento che Filippo, qui e ora, è l'unica persona in grado di
capire come mi sento senza giudicarmi, perché ha vissuto con
me quest'orrore e ha potuto osservare la mia reazione.
Il futuro è
incerto, ma ora non ha poi tanta importanza.
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