Avvertimento: sebbene io
abbia già indicato che il rating della storia non
è esattamente quello adatto a dei bambini, mi sembra
doveroso menzionare la presenza di scene violente e di un po' di sangue
in questo capitolo. Giusto un po'...
Colgo anche l'occasione per ringraziare AnonymousA e Mivi28. Grazie
davvero di cuore per aver lasciato un commentino. Spero che il
capitolo, seppure un po' breve, non vi deluda. :) Buona lettura!
Gli
empi, invece,
secondo i loro progetti, riceveranno il castigo, essi che non si sono
presi cura del giusto e si sono allontanati dal Signore.
Sapienza
3,10.
8.
Il
suo movimento fu così fulmineo che la mia mente non riuscii
ad
elaborare il tutto e quel lampo di dolore alla gola mi parve
insensato, senza un’origine precisa.
D’istinto
cercai di
evitare l’attacco, ma il braccio di Simon mi stringeva il
busto
immobilizzandolo, e ogni mio tentativo risultò vano.
Sebbene il
colpo fosse
stato quasi impercettibile, sentii ogni istante di quando il coccio
di bottiglia fu strappato via dalla ferita. Qualcosa di caldo mi
scivolò lungo il petto, dentro la scollatura del vestito, e
per
quanto quel pensiero mi sembrasse inutile, mi stupì la
temperatura
del mio stesso sangue. Il respiro mi si spezzò in gola.
Simon
sciolse la sua
stretta e crollai a terra, mentre la forza defluiva velocemente dagli
arti, e nel mio campo visivo il bianco intenso delle mattonelle fu
guastato dal rosso del sangue che zampillava.
Mi
portai una mano alla gola e percepii con orrore i lembi della ferita
lasciar sgorgare il sangue come una diga distrutta.
«Te
l’ho detto, piccola, ho i gusti dei gatti coi topi e tu sei
un
adorabile animaletto con cui giocare. Tutti voi lo siete». La
voce
di Simon era un sussurro intriso di un piacere perverso. Era chiaro
che quella visione lo divertiva molto. Non capii che cosa intendesse
per voi,
ma non mi importava, non volevo ascoltarlo. Volevo gridare,
chiedergli che cosa avesse fatto e soprattutto perché, ma le
parole
non ne volevano sapere di uscire dalle labbra e ad ogni respiro
mancato la bocca si riempiva di sangue.
«Adesso
resta lì e lascia che ti guardi morire».
Sentii
le forze abbandonarmi più velocemente di quanto mi sarei mai
aspettata, come se in ogni millilitro di sangue fosse contenuta la
mia energia. Non sarebbe stata una cattiva idea abbandonare la testa
contro il pavimento fresco e chiudere gli occhi aspettando che
finisse, ma l’istinto ebbe la meglio.
Alzati
e scappa. Esci di
qui, chiedi aiuto.
Feci
forza sulle mani e riuscii chissà come a tirarmi
faticosamente in
piedi, a gettarmi contro la porta e spingermi fuori, armeggiando con
la maniglia di metallo divenuta improvvisamente scivolosa, le mani
premute contro la ferita. Alle mie spalle, Simon gridò
qualcosa con
voce sprezzante.
Il
passaggio dal bagno all’esterno fu uno shock, la musica mi
assalì
come una forza fisica e il cervello parve rimbombare
all’interno
della scatola cranica. Le orecchie ronzavano in sottofondo e ad ogni
battito del cuore il palmo della mia mano incontrava il pulsare
frenetico del sangue. Le luci stroboscopiche mi circondarono rendendo
il mondo attorno a me un frammento d’incubo, composto di
lampi
bianchi e rossi incessanti, e persone accanto a me che sembravano
muoversi a scatti come in preda alle convulsioni.
Sentii
le forze venire meno, le membra intorpidite e gli arti deboli.
Riuscii a coprire una distanza minima, poi le gambe cedettero a
metà
della scaletta che dava sulla pista da ballo. Sentii la caviglia
piegarsi sotto il mio peso e crollai faccia a terra. Con le mani
strette sulla ferita mi fu impossibile attutire la caduta e impedirmi
di picchiare la fronte contro il duro pavimento.
Decine
di piedi attorno a me erano ancora in movimento quando, malgrado la
musica, udii uno strillo.
Ciò
che seguì furono immagini, lampi di oblio e coscienza.
Qualcuno
gridò di chiamare un’ambulanza, qualcun altro
chiese se ci fosse
un medico tra i presenti. Poi, tra le centinaia di voci, distinsi il
mio nome.
Tra
la calca riuscii a individuare chiaramente solo il volto di Jennifer,
china su di me, sull’orlo del panico, pallida come una morta
e con
i grandi occhi scuri sbarrati per lo shock. Riconobbi la sua mano
fresca premere sulla gola, mentre io non sapevo nemmeno più
che fine
avessero fatto le mie. Non avevo più la
sensibilità degli arti.
Le sue
labbra si mossero,
ma non ne uscì alcun suono, solo il suo viso carico
d’angoscia mi
suggerì che stava pronunciando qualsiasi cosa che potesse
aiutarmi a
restare lucida e sveglia. I lati del mio campo visivo ormai erano
appannati, come se stessi guardando in un oblò molto piccolo
e in
una dimensione in cui tutto era distorto. La musica ancora picchiava
incessantemente nella mia testa, ma come potevo sentirla se attorno a
me si presentava un mondo muto?
Dopo qualche
istante capii
che si trattava del mio stesso cuore che rimbombava nelle orecchie.
Qualcosa
cambiò: una voce
si fece largo tra un battito e l’altro. Percepii una mano che
mi
sollevava la testa e un’altra che allontanava con decisione
quella
di Jennifer, per intervenire sull’emorragia. Nella confusione
della
mia vista, occhi celesti ricambiarono il mio sguardo.
«Andrà
tutto bene, devi
fidarti di me» mormorò una voce, così
distinta che mi sembrò di
percepirla solo nella mia mente. La presa sulla ferita era salda.
Qualcuno mi strinse con forza la mano, le dita scivolose per il
sangue.
I polmoni mi
bruciavano per
la mancanza d’aria e qualcosa mi colava dalla bocca e dal
naso,
gorgogliando ad ogni tentativo di respirare.
Gli occhi
del ragazzo
misterioso guardavano solo me, tralasciando la ferita, stranamente
confortanti. Un lampo di speranza nel bel mezzo di
quell’inferno di
volti spaventati.
«Non
ti preoccupare, ora
passerà, te lo prometto. Devi solo respirare. Coraggio,
respira».
Disse,
con una naturalezza e una tranquillità che mi parvero
impossibili in
un momento tale. Riuscivo solo a pensare Non
posso, non ci riesco.
Le
palpebre divennero troppo pesanti perché riuscissi a
sostenerle
ancora a lungo, desideravo solo lasciarmi andare e fidarmi ciecamente
di quello sconosciuto.
Il
bruciore alla gola e ai polmoni era insostenibile, ma feci un ultimo
tentativo. Come se si sciogliesse un enorme blocco di ghiaccio nel
mio petto l’aria riempii i polmoni e il sollievo mi invase.
Incamerai ossigeno finché mi fu possibile, mentre attorno a
me il
buio calava lentamente come un sipario. La testa ancora pulsava e il
corpo sembrava appartenere a qualcun altro, ma ogni traccia di dolore
o fatica era svanita completamente.
«Bene»
disse ancora il ragazzo, con un ampio sorriso rassicurante. Fu
l’ultima cosa che vidi, prima di abbandonare la testa contro
il suo
palmo e chiudere del tutto gli occhi.
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