Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Dobhran    24/06/2016    2 recensioni
Si avvicinò per sussurrarmi nuovamente nell'orecchio, a bassa voce come per rendere quella conversazione il nostro sporco segreto. «Lui ti ha fatto delle promesse che non può mantenere, assicurandoti che ti proteggerà. Io invece sono un uomo di parola e ti faccio la mia promessa: ti ucciderò. Non so come, non so quando, ma so per certo che morirai. Non ti lascerò tregua, ti tormenterò, ti farò soffrire e soprattutto farò soffrire lui che guarderà la sua protetta spegnersi per colpa sua».
- La distrazione di una sera e Amber si trova a dover affrontare un pericolo più grande di lei, un predatore spietato e all'apparenza imbattibile. Impaurita, isolata e incapace di distinguere gli amici dai nemici, la realtà dall'incubo, Amber sarà spinta al limite delle proprie forze. Ad aiutarla, un ragazzo misterioso e dall'aria innocente che afferma di essere qualcosa in cui Amber non ha mai creduto. In fondo, angeli e demoni sono solo frutto di sciocche superstizioni popolari...giusto? -
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Avvertimento: sebbene io abbia già indicato che il rating della storia non è esattamente quello adatto a dei bambini, mi sembra doveroso menzionare la presenza di scene violente e di un po' di sangue in questo capitolo. Giusto un po'...
Colgo anche l'occasione per ringraziare AnonymousA e Mivi28. Grazie davvero di cuore per aver lasciato un commentino. Spero che il capitolo, seppure un po' breve, non vi deluda. :) Buona lettura!












Gli empi, invece, secondo i loro progetti, riceveranno il castigo, essi che non si sono presi cura del giusto e si sono allontanati dal Signore.
Sapienza 3,10.







8.




Il suo movimento fu così fulmineo che la mia mente non riuscii ad elaborare il tutto e quel lampo di dolore alla gola mi parve insensato, senza un’origine precisa.
D’istinto cercai di evitare l’attacco, ma il braccio di Simon mi stringeva il busto immobilizzandolo, e ogni mio tentativo risultò vano.
Sebbene il colpo fosse stato quasi impercettibile, sentii ogni istante di quando il coccio di bottiglia fu strappato via dalla ferita. Qualcosa di caldo mi scivolò lungo il petto, dentro la scollatura del vestito, e per quanto quel pensiero mi sembrasse inutile, mi stupì la temperatura del mio stesso sangue. Il respiro mi si spezzò in gola.
Simon sciolse la sua stretta e crollai a terra, mentre la forza defluiva velocemente dagli arti, e nel mio campo visivo il bianco intenso delle mattonelle fu guastato dal rosso del sangue che zampillava.
Mi portai una mano alla gola e percepii con orrore i lembi della ferita lasciar sgorgare il sangue come una diga distrutta.
«Te l’ho detto, piccola, ho i gusti dei gatti coi topi e tu sei un adorabile animaletto con cui giocare. Tutti voi lo siete». La voce di Simon era un sussurro intriso di un piacere perverso. Era chiaro che quella visione lo divertiva molto. Non capii che cosa intendesse per voi, ma non mi importava, non volevo ascoltarlo. Volevo gridare, chiedergli che cosa avesse fatto e soprattutto perché, ma le parole non ne volevano sapere di uscire dalle labbra e ad ogni respiro mancato la bocca si riempiva di sangue.
«Adesso resta lì e lascia che ti guardi morire».
Sentii le forze abbandonarmi più velocemente di quanto mi sarei mai aspettata, come se in ogni millilitro di sangue fosse contenuta la mia energia. Non sarebbe stata una cattiva idea abbandonare la testa contro il pavimento fresco e chiudere gli occhi aspettando che finisse, ma l’istinto ebbe la meglio.
Alzati e scappa. Esci di qui, chiedi aiuto.
Feci forza sulle mani e riuscii chissà come a tirarmi faticosamente in piedi, a gettarmi contro la porta e spingermi fuori, armeggiando con la maniglia di metallo divenuta improvvisamente scivolosa, le mani premute contro la ferita. Alle mie spalle, Simon gridò qualcosa con voce sprezzante.
Il passaggio dal bagno all’esterno fu uno shock, la musica mi assalì come una forza fisica e il cervello parve rimbombare all’interno della scatola cranica. Le orecchie ronzavano in sottofondo e ad ogni battito del cuore il palmo della mia mano incontrava il pulsare frenetico del sangue. Le luci stroboscopiche mi circondarono rendendo il mondo attorno a me un frammento d’incubo, composto di lampi bianchi e rossi incessanti, e persone accanto a me che sembravano muoversi a scatti come in preda alle convulsioni.
Sentii le forze venire meno, le membra intorpidite e gli arti deboli. Riuscii a coprire una distanza minima, poi le gambe cedettero a metà della scaletta che dava sulla pista da ballo. Sentii la caviglia piegarsi sotto il mio peso e crollai faccia a terra. Con le mani strette sulla ferita mi fu impossibile attutire la caduta e impedirmi di picchiare la fronte contro il duro pavimento.
Decine di piedi attorno a me erano ancora in movimento quando, malgrado la musica, udii uno strillo.
Ciò che seguì furono immagini, lampi di oblio e coscienza. Qualcuno gridò di chiamare un’ambulanza, qualcun altro chiese se ci fosse un medico tra i presenti. Poi, tra le centinaia di voci, distinsi il mio nome.
Tra la calca riuscii a individuare chiaramente solo il volto di Jennifer, china su di me, sull’orlo del panico, pallida come una morta e con i grandi occhi scuri sbarrati per lo shock. Riconobbi la sua mano fresca premere sulla gola, mentre io non sapevo nemmeno più che fine avessero fatto le mie. Non avevo più la sensibilità degli arti.
Le sue labbra si mossero, ma non ne uscì alcun suono, solo il suo viso carico d’angoscia mi suggerì che stava pronunciando qualsiasi cosa che potesse aiutarmi a restare lucida e sveglia. I lati del mio campo visivo ormai erano appannati, come se stessi guardando in un oblò molto piccolo e in una dimensione in cui tutto era distorto. La musica ancora picchiava incessantemente nella mia testa, ma come potevo sentirla se attorno a me si presentava un mondo muto?
Dopo qualche istante capii che si trattava del mio stesso cuore che rimbombava nelle orecchie.
Qualcosa cambiò: una voce si fece largo tra un battito e l’altro. Percepii una mano che mi sollevava la testa e un’altra che allontanava con decisione quella di Jennifer, per intervenire sull’emorragia. Nella confusione della mia vista, occhi celesti ricambiarono il mio sguardo.
«Andrà tutto bene, devi fidarti di me» mormorò una voce, così distinta che mi sembrò di percepirla solo nella mia mente. La presa sulla ferita era salda. Qualcuno mi strinse con forza la mano, le dita scivolose per il sangue.
I polmoni mi bruciavano per la mancanza d’aria e qualcosa mi colava dalla bocca e dal naso, gorgogliando ad ogni tentativo di respirare.
Gli occhi del ragazzo misterioso guardavano solo me, tralasciando la ferita, stranamente confortanti. Un lampo di speranza nel bel mezzo di quell’inferno di volti spaventati.
«Non ti preoccupare, ora passerà, te lo prometto. Devi solo respirare. Coraggio, respira».
Disse, con una naturalezza e una tranquillità che mi parvero impossibili in un momento tale. Riuscivo solo a pensare Non posso, non ci riesco.
Le palpebre divennero troppo pesanti perché riuscissi a sostenerle ancora a lungo, desideravo solo lasciarmi andare e fidarmi ciecamente di quello sconosciuto.
Il bruciore alla gola e ai polmoni era insostenibile, ma feci un ultimo tentativo. Come se si sciogliesse un enorme blocco di ghiaccio nel mio petto l’aria riempii i polmoni e il sollievo mi invase. Incamerai ossigeno finché mi fu possibile, mentre attorno a me il buio calava lentamente come un sipario. La testa ancora pulsava e il corpo sembrava appartenere a qualcun altro, ma ogni traccia di dolore o fatica era svanita completamente.
«Bene» disse ancora il ragazzo, con un ampio sorriso rassicurante. Fu l’ultima cosa che vidi, prima di abbandonare la testa contro il suo palmo e chiudere del tutto gli occhi.
  
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