Rieccomi, con un nuovo capitolo. Ringrazio ancora
AnonymousA e Mivi28 per le belle parole lasciate nelle recensioni. Voi
mi allietate la giornata! :)
Guai ai cuori timidi e
alle mani rilassate, al peccatore che cammina su due sentieri. Guai
al cuore meschino che non crede, perché non avrà
protezione.
Siracide, 2,
12-13.
10.
Il
detective Collins indicò le sedie che si erano liberate dopo
l’uscita dei miei genitori.
«Possiamo
accomodarci?»
«Prego,
fate pure». Lei
si sistemò accanto a me, dove poco prima era seduto
papà e
finalmente il suo viso, in apparenza duro, si aprì in un
sorriso che
riuscì a donarmi un certo sollievo. Non c’era
tensione sul suo
volto, solo una luce di concentrazione negli occhi castani che mi
rincuorò e mi fece istintivamente sentire in buone mani.
«Per
prima cosa ci tenevo
a dirle che sono felice di sapere che sta bene. Di certo non
è
nostra intenzione sconvolgerla parlando di questa faccenda, ma
è
necessario per poter venire a capo della questione. Lei immagina che
stiamo cercando di trovare la persona che le ha fatto questo,
perciò
se potesse fornirci alcuni particolari sarebbe molto più
facile».
La formalità delle sue parole mi intimidì, ma mi
schiarii la voce e
accennai un sorrisino.
«Ecco,
preferirei che mi
deste del tu…e che mi chiamaste Amber. Mi sentirei
più a mio
agio».
«D’accordo,
Amber, puoi
raccontare com’è andata? Cerca di essere
più dettagliata
possibile, per favore».
Distolsi lo
sguardo,
puntandolo sulle mie mani, intrecciate in grembo e posate sulle
lenzuola azzurre. Tutto il resto della stanza richiamava quella tinta
tenue che aveva lo scopo di infondere ai pazienti pace e
tranquillità. Non sapevo come sentirmi al riguardo. I
ricordi lo
facevano apparire scioccante come un verde acido. Quella
tonalità mi
aveva circondata in attesa che Chris fosse operato e che i medici ci
mettessero al corrente delle sue condizioni. Vedermi di nuovo immersa
in essa provocò in me una sorta di
strano déjà-vu,
come se fossi tornata improvvisamente indietro nel tempo, al due
aprile dell'anno prima...
«Amber?»
L’intervento
di Collins mi riportò alla realtà.
«Mi
scusi, ero
soprappensiero…devo cominciare dal principio?»
«Sarebbe
utile. Un paio di
agenti sul posto stanno interrogando i presenti, ma la tua
testimonianza, come puoi immaginare, è
fondamentale». La detective
accavallò le lunghe gambe fasciate dai pantaloni neri, e mi
guardò
fissa in attesa del mio racconto. La sua voce era lievemente bassa,
graffiante, ma riusciva comunque a comunicare una certa
femminilità.
A prima vista sembrava una donna forte e avevo l’impressione
che i
suoi colleghi la stimassero e che ne fossero al contempo anche un
po’
intimiditi.
Cominciai a
parlare,
dapprima dubitando dell’efficacia del mio racconto, poi
sempre più
convinta. Le parole cominciarono ad avere volontà propria e
a
scivolarmi fuori dalle labbra con naturalezza e spontaneità.
Avevo
creduto di sentirmi spaventata di fronte a due poliziotti
così
autorevoli, ma parlare con loro fu meno fastidioso del previsto.
Avrei potuto parlare per ore di come tutti e tre fossimo rimasti a
bocca aperta nel contemplare le meraviglie del locale, le pitture
sulle pareti e quegli specchi suggestivi. Il fumo che si innalzava
dal pavimento, il rosso dominante, la sensazione di essere in un
luogo proibito e affascinante. Ma era Simon l’oggetto del
loro
interesse e le circostanze che mi avevano portata a cadere nella sua
trappola.
Quando
accennai al fatto
che non ero stata autorizzata da mia madre ad uscire, il detective
Sanchez alzò la testa dal blocco per gli appunti che reggeva
in
grembo e su cui dall’inizio dell’interrogatorio
stava
freneticamente scrivendo.
«Per
quale motivo sua
madre non ha voluto che uscisse?» chiese. Era la prima volta
quella
sera che udivo la sua voce, molto giovanile, gentile e pacata, ma
incalzante. Sapevo che fare domande e valutare ogni singola parola
faceva parte del loro lavoro, perciò cercai di non dare peso
all’insistenza che notai nella voce di entrambi. Era notte
anche
per loro e li aspettava ancora un duro lavoro.
«Mia
madre è un po’
prevenuta, crede che in South of Market girino tipi poco
raccomandabili, che la zona sia pericolosa e che io non sappia
cavarmela da sola. È una specie di maniaca del controllo,
credeva
che potesse succedermi qualcosa di brutto».
«Cosa
che effettivamente è
successa» commentò Collins con un mezzo sorriso.
«Beh
sì, ma lì per lì
non aveva motivo di sospettare nulla. L’aggressione
è stato un
caso, sarebbe potuta accadere ovunque e a chiunque» mi
difesi,
sapendo in cuor mio che la donna aveva ragione. Se solo avessi dato
ascolto a mia madre non sarebbe successo nulla di grave, ma
ammetterlo era troppo fastidioso.
«Avete
litigato?»
«Non
proprio, ho cercato
di far valere le mie ragioni, ma come sempre lei non mi ha dato
ascolto ed è uscita per andare al lavoro. Programmavo di
tornare a
casa prima che lei rientrasse».
Sanchez
lanciò un’occhiata
alla collega. Qualcosa mi suggerì che avessero intuito la
situazione.
«Mi
sembra di capire dalle
tue parole che tra voi non c’è un buon
rapporto» tentò lui.
«Credete
che sia stata lei
ad architettare il tutto? Non ci avevo pensato, ma a dire il vero
molte cose sarebbero più chiare se fosse lei il mandante del
tentato
omicidio».
Collins
ridacchiò,
riuscendo evidentemente a prendere la mia battuta come tale. Sanchez
per sicurezza annotò pure quello sul notes.
«Veniamo
all’aggressore.
Come si è avvicinato a te?»
«In
nessun modo, sono
stata io ad andare da lui. Era seduto al bancone, poco distante da
dove stavamo io e i miei amici».
Sanchez
alzò lo sguardo
dal notes e la donna corrugò la fronte. I suoi occhi scuri
assunsero
un’aria incuriosita.
«Davvero?
Avremmo giurato
che fosse accaduto esattamente il contrario».
«Che
importanza ha?»
chiesi, stringendomi nelle spalle. Credevano che una ragazza come me
non potesse fare il primo passo?
«Ne
ha molta. La sua
azione violenta mi fa pensare ad una premeditazione, a meno che tu
non l’abbia provocato in modo grave. La premeditazione
comporta fin
dal principio l’intenzione di avvicinarti». Ogni
parola aveva una
logica, ed era proprio ciò a cui avevo pensato io. Non ero
stata io
a scatenare la sua ira, probabilmente fin dal principio aveva avuto
l'intenzione di farmi del male.
Feci un
profondo sospiro.
Pensare a Simon mi lasciava senza parole, con la mente in subbuglio
nel tentativo di risolvere i miei dubbi e di comprendere il motivo di
tutto ciò che aveva fatto. Descrissi ai detective il momento
in cui
l’avevo individuato al tavolo da biliardo, il fatto che
l’avessi
fin da subito ritenuto uno schianto e il desiderio di conoscerlo.
Raccontai la nostra lunga chiacchierata, soffermandomi in particolare
sull’entusiasmo del ragazzo a proposito
dell’arredamento del
locale.
«Sembrava
molto
interessato a tutto ciò che riguardava il Mephisto.
Era a conoscenza delle spiegazioni di molti elementi, come per
esempio la forma del bancone, le scritte, i dipinti…e sapeva
diverse cose a proposito del Faust
di Goethe. Mi è parso molto
affascinato…»
«Come
se avesse per lui un
significato particolare?»
Annuii
pensierosa. «Proprio
così. Quando abbiamo iniziato a chiacchierare tutto
è andato a
meraviglia, poi il discorso si è fatto più teso
perché abbiamo
nominato le nostre famiglie. I suoi sono divorziati, i miei
separati…»
Di nuovo le
parole uscirono
dalla gola senza sforzi, descrivendo le reazioni esagerate di Simon,
la fuga in bagno, i gesti e la confessione della fine dei nostri
fratelli. Di come mi ero sentita bene all’idea di non essere
la
sola a soffrire di un lutto simile. Dannazione, se solo fossi stata
più assennata non sarei stata lì in un letto
d’ospedale immersa
in un interrogatorio di polizia. Avrei dovuto essere più
timida e
restare con i miei amici, lasciare che Simon stesse per conto suo a
sorseggiare in solitudine il suo drink e ordinare tutte le birre che
voleva.
A proposito
di questo,
evitai con cura di nominare ai due poliziotti il fatto che avevo
bevuto degli alcolici senza poterlo fare. Era irrilevante in quel
momento, ma non volevo ramanzine da parte di sconosciuti, per quanto
qualificati fossero. Bastava il mio senso di colpa a rimproverarmi
per aver trasgredito una legge ben precisa. E se quella sera fossi
uscita di strada con Louis e Jennifer a bordo? In fondo era bastato
qualche sorso per farmi sentire decisamente meno lucida.
Fu Sanchez a
farmi tornare
con i piedi per terra, con gentilezza, ma anche con una dose di
determinazione nella voce che mi diede la spinta giusta ad
abbandonare i se e a concentrarmi sulla concretezza degli eventi.
Quando con il racconto giunsi all’aggressione vera e propria
confessai agli agenti le mie impressioni e le riflessioni fatte poco
prima.
«Si
stava divertendo e
sembrava che la situazione gli piacesse molto, rideva per il fatto
che io credevo che avessimo molte cose in comune. Ora che ci penso
su, sono certa che quello che mi ha raccontato di sé no
fosse
vero…almeno non tutto».
«Credi
che abbia mentito
sulla sua famiglia? Per quale motivo?» Collins sembrava
scettica.
«Perché
ho pensato che
lui si sentisse proprio come mi sento io. Ma non riesco a capire
com’è possibile che lui sapesse della mia
situazione…è stato
lui a parlarmi per primo della sua famiglia, per questo gli ho
creduto subito».
«Credi
che ti conoscesse
già?»
«Non
l’ho mai visto
prima, lo giuro». Ne ero convinta, poi una stretta allo
stomaco mi
ricordò che cosa Simon aveva detto prima di ferirmi. Un
regalo per
un amico. Lo ripetei ai due detective, aggiungendo i riferimenti al
Faust.
Tutto sembrava assurdo, come se stessi raccontando una barzelletta o
un aneddoto altrettanto ridicolo, ma qualcosa doveva pur significare.
Collins si
stava mostrando
molto interessata alle mie parole e la cosa mi fece uno strano
effetto. Era un po’ che non mi accadeva di essere ascoltata
davvero, dalla prima all’ultima parola che pronunciavo. Certo
faceva parte del suo lavoro, ma era comunque molto gratificante. Allo
stesso modo Sanchez dimostrava di apprezzare il mio discorso
semplicemente scrivendo come un forsennato sul suo notes. La punta
della penna raschiava sulla carta mentre si spostava velocemente da
sinistra a destra, dando vita ad appunti su appunti, particolari che
io non avevo notato e ai quali non avevo dato il giusto peso.
«Tutto
questo ci potrebbe
far pensare che il movente sia legato al satanismo, ma
all’inizio
eravamo convinti di poterlo escludere».
Aggrottai la
fronte. «No,
ne dubito. Insomma…non sono un’esperta di crimini,
ma sbaglio o
nei film i satanisti agiscono in maniera un po’ meno
plateale?
Comunque eseguono dei riti, o roba simile, ma se penso alla magia
nera mi vengono in mente boschi o ruderi, non un locale pieno di
gente» spiegai. La donna annuì riflessiva,
scostandosi un ricciolo
dal volto.
«Sono
d’accordo con te,
Amber, ma sento che c’è qualcosa che ci sfugge,
qualcosa che è
legato al suo interesse per gli scenari infernali. Ti ha nominato il
Faust per un motivo ben preciso».
Mi schiarii
la voce e i
punti alla gola pizzicarono come se desiderassero attirare la mia
attenzione e sbeffeggiarmi, rimproverarmi per aver dato confidenza a
Simon. Quasi per istinto avvicinai una mano alla gola e sfiorai con
le dita il grande cerotto che mi copriva il taglio. Ignorai la
sensazione e scossi la testa.
«Sono
stata una stupida,
non avrei dovuto dare confidenza a nessuno. Avreste tutti i buoni
motivi per farmi una ramanzina».
Sanchez mi
rivolse un ampio
sorriso. «Non ti devi difendere da noi, non ti stiamo
accusando di
nulla, né rimproverando. Il nostro lavoro consiste solo nel
capire
ed esaminare le dinamiche dei fatti e, credimi, la maggior parte
delle persone aggredite conosce il suo aggressore, o per lo meno ha
deciso di fidarsi di lui...o lei. Non sei la prima né sarai
l’ultima
ad aver dato retta alla persona sbagliata».
Annuii non
molto convinta.
Per quanto Sanchez fosse gentile, almeno per quella sera ero in
dovere di sentirmi un’idiota, sconsiderata e incosciente.
Collins
continuò con le domande.
«D’accordo.
Visto che tu
sei l’unica ad esserci stata così vicino, per
quanto ne sappiamo,
ricordi qualche segno particolare, magari una cicatrice, qualcosa che
potrebbe darci una mano per eventuali identificazioni?»
Scossi la
testa, senza
bisogno di sforzarmi troppo per pensare. Il volto di Simon danzava
nella mia mente e non se ne sarebbe andato per un bel po’ di
tempo.
Mi era parso perfetto, senza alcuna imperfezione.
«Nessuna
cicatrice e
nessun piercing. Niente di niente. Non ho nemmeno notato dei tatuaggi
visibili».
«Credi
di poterlo
descrivere in maniera molto particolareggiata? Domani vorremmo farti
parlare con un nostro disegnatore».
«Ci
impiegherò un po’ a
dimenticarmi la sua faccia».
La detective
Collins si
alzò in piedi e si lisciò pantaloni e giacca,
anche se tutto era in
ordine.
«Ci
vedremo ancora e
quando quel momento arriverà mi auguro che la polizia abbia
fatto
grandi passi avanti nel caso. Dato che mi hai nominato un misterioso
amico di questo Simon cercheremo qualche complice tra le persone che
frequenta regolarmente, dato che secondo me quella frase ha un
significato particolare. Non sarà facile, ma faremo del
nostro
meglio». Mi rivolse un sorriso incoraggiante e mi
ringraziò per la
disponibilità.
«Riposa»
intervenne
Sanchez, alzandosi e stringendomi la mano con entusiasmo. Ci
congedammo e non appena furono usciti, mamma fece capolino
dall’uscio
della stanza per chiedermi se tutto fosse a posto. La liquidai con
qualche rapida parola e aspettai che mi lasciasse sola.
Un’infermiera
venne ad
assicurarsi che stessi bene e a darmi la buona notte. Spense la luce
della stanza e io rimasi sola con quella dell’abat-jour
accanto al
letto.
Dopo una
mezz’ora rimasta
con lo sguardo fisso al soffitto, scivolai fuori dalle lenzuola. Un
piede dopo l’altro, zoppicando lievemente per la caviglia
indolenzita, raggiunsi le grandi finestre.
Il General
Hospital era un
edificio piuttosto alto che sembrava avere ai suoi piedi
l’intera
città. Il mio sguardo vagò dai sottili
grattacieli che si vedevano
in lontananza, fino al Golden Gate Bridge. Il suo profilo rosso era
uno dei panorami più frequenti sulle alture della
città,
inconfondibile e famoso in tutto il mondo. Mi piaceva guardarlo e
pensare che il colore rosso un tempo era stato pensato come
provvisorio. Erano stati gli abitanti di San Francisco a preferire
che rimanesse così, sebbene dovesse essere frequentemente
ridipinto.
Un applauso ai coraggiosi che arrivavano fino in cima con vernice e
pennello, fino ad un’altezza di oltre duecentoventi metri.
Era
meglio evitare di riflettere sul fatto che il Golden Gate Bridge
fosse la scelta privilegiata per gli aspiranti suicidi della
città,
sospeso com’era a ottanta metri dal livello del mare.
Abbassando
lo sguardo sulla
piazzetta di ingresso dell’ospedale, notai il grande cuore
variopinto posto proprio davanti all’entrata
dell’edificio e fu
allora, all’improvviso, che la consapevolezza di
ciò che a cui ero
scampata mi crollò addosso con violenza pari ad una
secchiata di
acqua gelida. Sarei potuta davvero morire quella
sera.
Riflettendo
su ciò che la
mia scomparsa avrebbe potuto provocare ai miei cari, ogni boccata
d’aria mi sembrò incredibilmente preziosa e
guardai il panorama
come se prima d’allora non l’avessi apprezzato al
meglio.
Rimasi
lì alla finestra
finché il silenzio non divenne insopportabile. Recuperai
l’iPod
dalla borsetta dove era rimasto per tutta la sera, socchiusi la
finestra per permettere alla brezza notturna di accarezzarmi il
volto, e passai un tempo indefinito immobile a godermi la musica e la
visione della mia città, brulicante e viva a qualsiasi ora.
Le note mi
calmarono, la
voce familiare di Van Morrison mi fece sentire cullata e protetta
anche se tutte le volte mi ricordava mio fratello.
Guardai il
cielo, scuro e
punteggiato di stelle. Se per caso Christopher aveva avuto qualche
istante di coscienza prima di morire, aveva riflettuto anche lui sul
vuoto che avrebbe lasciato nella mia vita? Aveva capito che stava per
lasciarmi o aveva sperato fino all’ultimo che potesse andare
tutto
bene? Conoscendolo avrebbe trovato un motivo per sorridere anche
allora, mentre io dopo tutto quel tempo ancora non riuscivo a cavarne
nulla di buono.
In fondo
cosa poteva
esserci di bello nella morte? Il ricongiungimento con Dio era una
balla, non c’era nulla al di là della vita e io
volevo odiare
Chris per avermi sempre raccontato fiducioso storie sulla salvezza
eterna, sul paradiso, sull’amore che Dio aveva per noi. Avrei
voluto detestarlo per avermi lasciata solo ad affrontare il terribile
silenzio di casa nostra e la freddezza di nostra madre.
Avrei voluto
odiarlo, ma
non ci sarei mai riuscita.
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