Ed
eccomi! Capitolo purtroppo abbastanza lungo che segna la fine del
“primo libro” di questa Storia nonché Il suo giro
di boa verso nuovi sviluppi e vicende. Spero che possa piacervi!
Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito fin qui rendendo
possibile, uno dopo l'altro, la stesura di ogni pagina.
I
prossimi capitoli che (spero) vedrete potrebbero non essere
pubblicati di seguito ma in una parte totalmente nuova così da
dare un po' più di respiro al tutto.
Che
dire? Grazie ancora di cuore a tutti per la pazienza e la gentilezza.
Grazie anche a coloro che, pur non sapendolo, mi danno ogni giorno la
possibilità di portare avanti la mia passione
Bacius
Elendil
________________________________________
Per
un po’ non parlarono. Preferirono accelerare l’andatura
fino al momento in cui il riverbero dei loro respiri smise di
infrangersi sulle pareti circostanti per aprirsi in un morbido e
vasto riverbero cavernoso. Qui si fermarono, senza fiato, l’oscurità
a costringerli alla cieca a cercare un punto ove aggrapparsi e
riposare. Solo dopo qualche istante Zaphil si rese conto che l’acqua
qui era assai meno salata di come la ricordasse all’esterno ed
ovunque percorsa come da una corrente leggera ma costante. Resistette
tuttavia all’impulso di bere, un vago sentore ferrugginoso a
suggerirgli che quel liquido non fosse affatto puro come i suoi sensi
ora gli suggerivano.
Si
concesse allora un sospiro contratto cui l’altro rispose con un
risolino egualmente distorto.
“Quando
giungemmo qui su indicazione delle lettere” prese a dire
muovendo appena le gambe a mollo “Le torce erano state accese
per guidarci verso il luogo in cui la Nihaar’ì avrebbe
celebrato il Rito. E’ un vero peccato che ora non ci siano,
pochi spettacoli su tutta Harryan reggono il confronto”.
Pur
sapendo che l’altro non l’avrebbe vista, il Naphil non
potè trattenere una smorfia contrita.
“Ho
visto e viaggiato più di quanto voi possiate pensare, Anhayt”
rimbrottò nervoso “Penso sopravviverò a questa
privazione” “Certo, immagino di si” convenne
l’altro mentre, cauto, prendeva ad allontanarsi lungo la
parete. Subito Zaphil gli fu dietro “Eppure in qualche modo
sono certo che questo l’avreste voluto vedere...”
Poi
un lungo fischio proruppe dalle labbra dell’Anhayt, vibrando e
spargendosi nell’immobilità di quel luogo come un
brivido lanciato alla cieca nel buio. Senza direzione e meta esso
parve dapprima scomparire per poi subito tornare quasi che altri
avessero a loro volta fischiato di rimando.
Silenzio.
Fischiò
ancora, più lungamente. E di nuovo eccola andare e tornare
quella marea invisibile, risacca sul viso e nel corpo.
Silenzio.
Poi,
al terzo fischio, una luce si schiuse improvvisamente nell’oscurità.
Dapprima fioca e lontana, poi via via più vicina e calda. Ed
infine lucida e splendente fra le mani della sagoma glabra che la
reggeva, nulla più che una donna dall’aspetto esile e
minuto a confronto della vastità di quella sala.
E
per quanto gli costasse farlo, Zaphil dovette suo malgrado ammettere
che l’Anhayt aveva avuto ragione. Pochi spettacoli potevano
competere con quello offerto ora dal Tempio delle Tinte.
La
cavità adibita all’ultima fase di riposo e fissaggio
della Tinta non era altri che un’immensa caverna dalla volta a
cupola sul cui soffitto erano stati aperti naturali ed artificiali
buchi affacciati su un piano superiore, anch’esso in nuda
roccia calcarea. Da questi squarci pendevano immensi teli rosso cupo,
alcuni lunghi poco meno di qualche metro, altri tanto estesi da
sfiorare quasi la superfici delle acque sottostanti. Da ogni stoffa
precipitavano lente e costanti gocce d’acqua frutto dell’umido
dilavamento delle rocce. Il loro stillare pareva un lieve rumore di
sottofondo nell’atmosfera di placida e calma stasi.
Immobile,
Zaphil si ritrovò improvvisamente incapace di parlare.
Espirò
invece piano, lasciando che la fragile ed al contempo ciclopica
bellezza di quel luogo calasse su di lui come un velo di pura e
semplice meraviglia. Al suo avvertì allora l’Anhayt
sogghignare prima di sfiorargli con la mano la spalla.
“Andiamo”
sussurrò “Quella è la luce che ci farà
uscire di qui”.
In
silenzio presero a nuotare in direzione della luce ora ferma sulla
riva opposta del lago. La persona che la reggeva, chiunque fosse,
pareva come in attesa o incerta della fonte del suono che l’aveva
spinta a scendere fin lì. Per fortuna di tutti parve non
trovarla perché dopo un istante questa si voltò
prendendo subito dopo ad ontanarsi portando via con sé l’unico
risplendete chiarore del luogo.
Rapidi,
l’Anhayt e Zaphil le furono dietro, nemmeno il tempo di uscire
dall’acqua per impedirsi di rimanere nuovamente nel buio e
perdere così definitivamente l’occasione di muoversi
all’interno del Tempio dei Tintori.
Solo
quando a quell’unica luce se ne sommarono in lontananza altre
fioche, i due si diedero il tempo di ripararsi in un angolo e
vestirsi alla bell’é meglio con i propri stracci ora
zuppi e freddi. Loro malgrado, in un attimo entrambi presero a
battere i denti dal freddo.
Tuttavia
Zaphil pareva affatto intenzionato a perdere tempo.
“Avete
detto che trovaste torce accese ad attendervi e guidarvi verso il
luogo delle Celebrazioni” si rivolse all’altro notando
ora le sue labbra vagamente annerite dal gelo. L’Anhayt annuì
una volta. “Cos’altro?” lo incalzò subito.
Nel
buio, per un attimo l’incertezza parve balenare sul volto
dell’altro, quasi che in un determinato istante il dubbio vi
avesse fatto capolino distorcendolo appena nei tratti e lineamenti.
Poi si morse le labbra.
“Solo
le indicazioni per uscire senza che i Danzatori potessero
intercettarci” esalò in un lieve tremito. Zaphil si
ritrovò ad aggrottare appena le sopracciglia.
Possibile
che tutti i Tintori sapessero così tanto della loro dimora?
Possibile che chiunque, se opportunamente guidato, avesse il potere
di entrare ed uscire a piacimento da uno dei luoghi più sacri
di tutta Harryan?
Infine
sospirò, le dita infreddolite che andavano per un attimo a
schermare il suo sguardo incupito.
No.
Impossibile.
“Voglio
che tu mi mostri esattamente il tragitto che avete percorso per
entrare ed uscire da questo luogo” ordinò monocorde.
Il
percorso che ne seguì fu in realtà cosa di poco conto
nella memoria del Naphil. Non serviva infatti un grande intuito né
uno spiccato senso della logica per capire che quei corridoi, quei
passaggi, quelle gallerie ed insomma ognuno di quei percorsi sempre e
comunque ritagliati al di là delle vie più comunemente
usate dai Tintori non potevano di certo essere il frutto della
memorie e delle conoscenze di un discepolo comune. Nè di un
semplice membro anziano.
Ma
dunque chi?
La
risposta, per quanto cupa, non necessitava di particolari
elucubrazioni.
O
qualcuno di estremamente umile, o qualcuno di estremamente potente.
Poco
prima di giungere in superficie verso l’ultima e memorabile
barriera che li separava dall’esterno, Zaphil brancò il
suo compagno di viaggio imponendogli una brusca fermata.
“Penso
di aver visto abbastanza per ora” esalò l’uomo in
un ringhio basso “Venite con me”
La
trovarono seduta nella stanza delle Celebrazioni, le gambe
rannicchiate sotto il corpo ritto in una parentesi sottile. Sostava
sul bordo della medesima discesa sulla quale poco tempo prima si
erano poggiati i piedi della Nihaar’ì durante il rito
della Purificazione.
La
Gunar Arvasti.
Dava
le spalle ad entrambi, ma dal guizzo dei muscoli della schiena, fu
chiaro che li avesse sentiti arrivare già da tempo.
“Lieta
di rivedervi” li salutò senza voltarsi.
Di
rivedere entrambi.
Zaphil
esalò un sospiro contrito. L’ultima volta che aveva
veduto quella donna si era ripromesso che mai e poi mai avrebbe
rimesso piede in quelle dannate sale, in quella gabbia di pazzi
travestita da luogo di pace e sacralità. Ed invece eccolo di
nuovo lì, bagnato ed infreddolito come poche volte nella sua
vita ad attendere che quella pazza lo sbalordisse con nuovi e
meravigliosi segreti.
“Spiacente
di non poter dire lo stesso, Gunar Arvasti” rispose monocorde
“Temo che i luoghi chiusi e sotterranei mi stiano divenendo
assai indigesti”.
Lei
non colse la battuta - o meglio fece finta di non coglierla -
limitandosi a tirarsi semplicemente seduta e voltare la testa. Il
Naphil si accigliò: per qualche ragione, pareva più
vecchia dell’ultima volta che l’aveva vista. La donna si
concesse qualche istante per guardare attentamente lui. Poi spostò
il proprio sorriso sull’altro.
“Tu
devi essere l’Anhayt” lo salutò piano, voltando
solo allora tutto il corpo per fronteggiarli. Sorrise ancora, questa
volta più lungamente. Poi abbassò lo sguardo.
“Lei
mi ha parlato di te”
Lei?
Nel
medesimo istante in cui formulava questa domanda, il Naphil seppe di
conoscerne la risposta.
Del
resto non sarebbero arrivati fino a quel punto se già non
avessero sospettato di lei e del suo legame con la giovane amata
dell’Anhayt.
Anche
il suo compagno di viaggio parve arrivare alla medesima conclusione
perché si limitò a rispondere al sorriso ricevendone
uno più largo in cambio.
“Sery
mi descrisse così tanti dettagli del tuo volto che confesso,
sospettai ti avesse già incontrato”
Calmo,
l’Anhayt si limitò a scrutare per un poco la Gunar
Arvasti prima di passarsi due dita sugli occhi. “Siete la madre
di Sery?” chiese atono. L’altra socchiuse per un attimo
le palpebre, poi scosse il capo “No, se per madre intendi colei
che la diede alla luce”.
Si,
se stai parlando della donna che ella consideri tale.
“Eppure
da come mi guardi, Anhayt, deduco che ella non ti abbia mai parlato
di me”
Suo
malgrado, l’uomo non potè che rimanere in silenzio. “No”
continuò quindi l’altra “Suppongo di no”.
Si
tirò in quella in piedi, un morbido movimento a rivelare solo
allora braccia e spalle interamente velate di rossa Tinta quasi che
ella vi si fosse immersa per intero lasciando affiorare solo collo e
testa.
“Del
resto fui io stessa a raccomandarle di non farlo quando ci lasciammo.
So per esperienza quanto grande possa essere la curiosità
delle persone se paragonata alla loro discrezione” rapido, il
volto dell’Anhayt ebbe come una contrazione “Se pensate
che io le abbia chiesto di svelare i suoi segreti, rimarrete delusa”
sibilò guadagnandosi un ghigno beffardo.
“Delusa?”
ironizzò “Ma io sono certa
che
tu non abbia mai avuto il cuore di chiederle alcunché.
Viceversa non le avrei mai permesso di andarsene come ha fatto
lasciandomi qui a marcire tutta sola”.
Per
quanto inavvertibile, parve quasi di vedere il volto dell’uomo
contrarsi ancora una volta, la mascella a sgranarsi di un poco sotto
il velo traslucido della pelle.
Non
capisco.
Fu
l’evidente pensiero. Ma tacque, probabilmente troppo orgoglioso
per mostrare la sua incertezza. Di diverso avviso fu tuttavia Zaphil
la cui pazienza pareva assai meno incline a questo tipo di giochetti.
Con una semplice mossa si frappose fra i due, la figura rilassata
eppure colma di una minaccia latente, appena sobillata.
“Sery
è una Tintrice?” chiese monocorde. Per la prima volta da
che era cominciata quella conversazione, lo sguardo della donna tornò
su di lui degnandolo di un’occhiata solo moderatamente
interessata.
“Era”
rispose
dopo un attimo.
“Era?”
si
accigliò l’uomo “Eppure se ben ricordo, l’Ordine
dei Tintori non riconosce a nessuno la facoltà di abbandonare
la propria vocazione”
Era
cosa risaputa in tutta Arryan che l’Ordine considerasse estinto
il ruolo di Tintore solo con la morte dello stesso ed in nessun altro
modo che comportasse la sopravvivenza dei loro affiliati.
La
donna si strinse nelle spalle “Ed ecco il motivo per cui chiesi
a Sery di non rivelare mai il suo passato ad anima viva” spiegò
con semplicità. Troppa
semplicità
perché Zaphil vi si accomodasse sopra con tutta la
soddisfazione del mondo. Storse il naso.
“Foste
voi ad aiutarla a scappare? Organizzaste insieme la sua fuga?”.
Nuova
pausa, nuova stretta si spalle “No, non direi. Fu lei ad
organizzare tutto. Di me si può dire piuttosto che tentati di
fermarla fino all’ultimo. Non volevo che se ne andasse”
abbozzò come una smorfia infantile, il rammarico a stemperarsi
nel suo stringersi le braccia al petto “Pur sapendo quale fosse
il destino dei Risvegliati all’interno dell’Ordine,
provai comunque a fermarla, scioccamente convinta che per lei
avrebbero fatto un’eccezione. Che l’avrebbero
risparmiata”
Suo
malgrado, alla parola Risvegliata
Zaphil
dovette fare una faccia assai sbigottita perché nel medesimo
istante la Gunar Arvasti scoppiò a ridere prima di rivolgersi
all’Anhayt..
“Dunque
Sery non si era sbagliata. Siete davvero
un
uomo capace di mantenere i segreti” si complimentò
“Peccato che allora non mi fidai delle sue parole. Non le
credetti quando mi disse che tu l’avresti protetta e amata e
che insieme sareste stati felici. L’unica cosa a cui riuscivo a
pensare era che lei desiderava solo allontanarsi da me e lasciarmi
sola”.
Disorientato,
il Naphil dovette schiarirsi nuovamente la gola “Dunque Sery è
una Risvegliata?” esalò titubante. “Sembra
impensabile, non è vero?” sogghignò di rimando la
Gunar Arvasti “Ammetto che inizialmente anche io fui sorpresa
quando Sery iniziò a parlarmi dei suoi Nayel (visioni).
Pensavo mi stesse prendendo in giro o che più semplicemente
ella confondesse i sogni con la fantasia” si umettò le
labbra “Del resto tutti sanno che i Tintori non
possono dormire e
di conseguenza, non possono fisicamente Sognare. Ma con il passare
dei giorni - e delle notti - ella sembrava sempre più sicura”.
Incerto, Zaphil si portò due dita al mento “Forse Sery
stava trasgredendo ai dettami dei Tintori” ipotizzò
scrollando appena le spalle. L’altra scosse subito la testa
“Giunsi inizialmente anch’io alla medesima conclusione.
Ed infatti la minacciai di riferire all’Ordine quanto stava
accadendo. Ma mi sbagliavo. Per un lungo periodo Sery cominciò
infatti a compiere lo Anyatsy (Rito del Riposo)
al
mio fianco. Insieme chiudevamo gli occhi ed insieme intonavamo la
litania che i Tintori usano per calmare la mente e ristorare lo
spirito. E quando insieme ritornavamo nello stato di veglia ella era
sempre pronta a darmi nuovi particolari del tuo volto” spostò
lo sguardo sull’Anhayt “Presto ogni particolare della tua
persona divenne così chiaro che mi fu impossibile non credere
che esistessi per davvero là fuori, da qualche parte nelle
terre di Arryan” “Fu allora che la tradiste?” la
voce di Zaphil giunse secca e grave al contempo, come un sibilo da
dentro la gola.
Improvvisamente
lei esitò, il capo a chinarsi istantaneamente verso il basso
in un’espressione quasi stanca “Io volevo bene a Sery”
parve giustificarsi dopo un attimo “Non avrei mai avuto il
cuore di tradirla” “Nemmeno se l’intero Ordine dei
Tintori fosse stato minacciato dal suo Risveglio?” la incalzò
l’altro. Nuovo scuotersi della testa “Nemmeno in quel
caso” “Eppure lo faceste, non è vero?”
improvvisamente lei strinse le labbra fino a farle sbiancare di netto
“Ho già detto che non la tradii” digrignò
pallida; poi, lentamente, abbassò nuovamente lo sguardo “Ma
minacciai di farlo se mi avesse abbandonata”.
Per
un attimo, la Guar Arvasti parve ancora più piccola e fragile
di quanto fosse sembrata fino a quell’istante. Restò
qualche istante così, ferma ed immobile dinnanzi ai loro
sguardi confusi. Poi, stanca, si sedette allora sul bordo
dell’immenso bacino, i flutti cremisi a lambirle appena le
punte dei piedi irsuti. Poggiò il capo alle ginocchia.
Eppure
lei mi lasciò comunque.
“Dunque
è per questo che le inviaste quelle lettere” riprese con
il dire dopo un attimo Zaphil “Per farla tornare da voi”.
Ancora una volta, contro ogni aspettativa, la donna scosse sconsolata
il capo.
“Non
inviai mai alcuna lettera a Sery. Ancora oggi non so nulla della sua
vita attuale” lungo sospiro, eco sbiadita della nuova
espressione incerta dei due uomini dinnanzi a lei “Le parole
che vi hanno guidato fin qui e che voi pensate essere state vergate
dal mio pugno sono in realtà di Shayarin”
Shayarin?
Dallo
scatto che seguì, fu chiaro che l’Anhayt si sarebbe
all’istante scagliato sulla Gunar Arvasti se Zaphil non
l’avesse fermato frapponendosi fra i due. Con un ringhio sordo,
l’uomo si arrestò ad un passo da lei.
Immobile,
la donna si limitò a portarsi le mani in grembo “Vedete,
Zaphil, al mondo esistono solo due cose più grandi dell’amore.
Il rimorso e coloro che sono abbastanza astuti da sfruttarlo a
proprio piacimento”
E
fu così che in un breve ed assai desolante monologo, la Gunar
Arvasti rivelò infine di come, esasperata tanto dal proprio
amore perduto quanto dal rimorso per ciò che aveva fatto, ella
lasciò infine che il dolore la guidasse laddove ogni buonsenso
l’avrebbe di certo allontanata. Andò da Shayarin, il
signore delle Tinte, che solo aveva il potere di entrare ed uscire a
suo piacimento dal Tempio.
Fiduciosa,
ella gli parlò di Sery e del loro prezioso legame oramai
irrimediabilmente andato distrutto. Gli descrisse la fuga della
ragazza ed i suoi Nayel. Ed infine gli chiese consiglio.
“All’epoca
tutto ciò che desideravo era scusarmi con lei. Chiederle di
perdonarmi” pallide, le sue mani parvero allora intrecciarsi
tanto da sbiancare le nocche “Mai avrei pensato a cosa la mia
avventatezza mi stava portando”
Alle
conseguenze che quelle rivelazioni avrebbero comportato.
“Quel
giorno Shayarin mi promise che avrebbe trovato Sery e le avrebbe
portato le mie scuse. Mi rassicurò inoltre che avrebbe
custodito il mio segreto per sempre” sorrise come fra sé
e sé “Beh, non si può certo dire che su quello
abbia mentito”
Per
un attimo la macabra visione dell Signore delle Tinte riverso a
terra, uno sbavo di sangue a scivolargli dal labbro appena dischiuso
riverberò nella mente di Zaphil. Il Naphil si umettò
improvvisamente le labbra, a disagio.
“Fu
dunque Shayarin a guidare i Figli delle Ombre fino alla Nihaar’ì?”
concluse quindi dopo un attimo. La Gunar Arvasti si limitò ad
annuire volgendo contemporaneamente il proprio sguardo all’Anhayt
“Sapeva che avreste seguito la speranza che vi offriva anche a
costo delle vostre stesse vite”.
Impossibilitato
a qualunque esternazione fisica - Zaphil si trovava ancora fra i due
-, per questa nuova rivelazione l’Anhayt tentò dunque la
via dell’espressione verbale, il viso che in un istante si
imporporava di una sincera ed assai rubescente collera prima che egli
prendesse a dilungarsi in una dettagliata descrizione di cosa ne
pensasse lui dei Tintori, di Shayarin e non per ultima della medesima
Gunar Arvasti.
Immobile
fra i due contendenti, il Naphil lasciò invece che la sua
mente si dilungasse per un istante nel riesame dell’incerto
- eppure inaspettatamente delineato - quadro che fino a quel punto la
donna aveva fornito loro.
Mancava
qualcosa. Intuì suo malgrado. Qualcosa che la sua mente gli
suggerì annidarsi nei ricordi che egli aveva accumulato in
quei giorni senza curarsene affatto.
Sospirò,
abiti ancora umidi a rabbrividirgli addosso, sulla pelle. Poi, un
pensiero.
Shayarin
aveva mai parlato alla Nihaar’ì? Esitò. Più
in generale, Shayarin aveva mai parlato? Rammentare
fu abbastanza complesso da costringerlo ad un tenue sibilo fra i
denti. Tuttavia la risposta non tardò comunque ad arrivare.
Sì,
aveva parlato. Annuì fra sé e sé. Ma anche
impegnandosi, il Naphil era certo di poter riassumere le parole
dell’uomo sulla punta di una mano. Un po’ poco per una
Volpe.
Lo
incalzò qualcosa nella sua testa. Un
po’ poco per chiunque, in effetti.
Che
Shayarin fosse stato un uomo silenzioso?
Meglio.
Che
fosse stato un uomo minacciato?
E
di nuovo fu come averle davanti, l’una in rapida successione
dell’altra, le molteplici occasioni dove Shayarin avrebbe sì
potuto parlare ma che per qualche ragione, aveva in effetti mancato
di farlo: il primo incontro al Porto, la lunga discesa all’interno
del Tempio delle Tinte punteggiata dal fitto sproloquiare di Mathias.
E poi, più avanti, le sue scarne parole di discolpa nei
confronti di Hevnan k’ar, pronunciate come a difesa
dell’imperdonabile carenza di attenzione
mostrate
nel primo attacco.
Improvvisamente
si bloccò, la sua percezione che rapidamente lo rimetteva al
passo con gli istanti di intenso ed assai costruttivo dialogo fra
Gunar Arvasti e Anhayt.
“Rapire
la Nihaar’ì servendosi dei Figli delle Ombre era solo il
primo
piano,
non è vero?” esordì quindi. Ancora intento nella
propria concitata esplicazione di dove
esattamente
egli avrebbe mandato la donna e tutto il suo inutile schieramento di
scuse, l’Anhayt si bloccò, il volto che di scatto si
voltava a fronteggiare quello del Naphil. Viceversa, la Gunar Arvasti
rimase immobile. Poi, lentamente, alzò il capo. Evitò
tuttavia di guardare dritto in viso il proprio interlocutore.
“Solo
gli stupidi non hanno un piano di riserva” sorrise senza
allegria. Di rimando, il Naphil avvertì chiaramente la
sensazione di un nodo alla gola a formarsi fra bocca e trachea “E
le Volpi non sono affatto stupide, non è vero?” esalò
di rimando.
Lucido
e scintillante, il riverbero della lama fra le dita della donna fu
poco meno che uno sfarfallio, poco più che un brillio nel buio
prima che ella la cavasse improvvisamente dalle vesti per piantarla
senza un suono dritta nel petto di Zaphil. Lui gemette, il toc
della
guardia che si incastrava in un non meno precisato punto a metà
fra petto e mano destra volata di riflesso a sua protezione; ed
espirò, una vibrazione dinnanzi ai suoi occhi ad informalo
contemporaneamente del rapido scatto dell’Anhayt in direzione
della donna.
Indietreggiò
di qualche passo, la mano sacrificata a cascare dolente lungo il
fianco prima che un grido soffocato lo informasse che l’Anhayt
era stato in grado di sedare gli intenti omicidi della donna. Quando
alzò lo sguardo su di loro, li trovò stretti in un
caldo e ansante abbraccio, vaghe strisce di sangue ad imporporare
entrambi.
“Questo
sarebbe il vostro
piano
di riserva?” esalò con un mezzo sogghigno. Lei non tentò
neppure di negare, il volto sfregiato di sangue a brillare quasi
nella stretta dell’Anhayt.
Nessun
piano di riserva. Affatto. Solo un unico, estremo, tentativo.
“Perdonate
la sua pochezza sommo Zaphil, ma temo non me ne siano più
rimasti molti. L’Ordine ha richiesto il mio Henv’Yeraz
(riposo senza sogni)” sogghignò in un ghigno amaro.
Lo
Henv’Yeraz?
Zaphil
non potè impedirsi una smorfia contrita “Credevo che le
Gunar Arvasti come voi fossero esenti da simili idiozie rituali”
una lieve contrazione della mascella lo informò di quanto la
donna avesse gradito le sue parole. Tuttavia rimase immobile “Credete
pure
ciò che volete, Sommo Zaphil” lo derise tuttavia “La
realtà è cosa assai diversa” “E sarebbe?”
lei strinse nervosamente le labbra “Sarebbe che tutti prima o
poi devono pagare per i propri errori a discapito di importanza o
posizione”
Il
sorriso di lui fu quasi una carezza a fior di pelle.
“Anche
Shayarin ha dovuto pagare?” sobillò “L’Ordine
ha deciso che anche per lui fosse tempo di giustizia?”
stretta
fra le braccia dell’Anhayt, lei si irrigidì appena
“L’Ordine non uccide i suoi fedeli, nemmeno se bisognosi
di assoluzione quanto Shayarin” concluse.
Ed
ancora una volta, il Naphil ebbe come la netta sensazione di trovarsi
dinnanzi ad una di quei meravigliosi spettacoli di magia cui nei
lunghi anni di permanenza al fianco della Nihaar’ì gli
era capitato -suo malgrado - di assistere. Il Lai Mephi di turno
mostra un anello chiuso. Poi un altro. E per qualche ragione, ecco
l’attimo dopo i due anelli intrecciarsi perfettamente in un
legame apparentemente impossibile. E lui lì, ogni volta, a
domandarsi dove diavolo fosse il trucco in tutto ciò.
Ora,
immobile dinnanzi alla donna, Zaphil si ritrovò ad arricciare
le labbra in un’espressione seria, decisa, compunta. E poi ad
accigliarsi.
“Dunque
Shayarin è stato ucciso dalle Volpi” sibilò
improvvisamente. L’altra sospirò “Per mano sua o
altrui, il suo Henv’Yeraz si è infine compiuto”
una
pausa, lo sguardo che per un attimo si spostava sulla distesa d’acqua
che li circondava “Vor yersyel ve’Nai”
Mentre
senza volerlo imitava quel gesto, un doloroso affanno che rapido
aveva preso da qualche istante a risalire in violente pulsazioni mano
e petto insieme, Zaphil ebbe finalmente l’intuizione del
perchè, fra molti luoghi, la Gunar Arvasti ora si trovasse
proprio lì, nella stanza del rito, ad intingere il proprio
corpo nelle medesime acque nella quale si era immersa la Nihaar’ì.
Comprese il motivo della sua solitudine, religiosa e inviolata
(nessuno era giunto fino ad allora) al pari delle più sacre
cerimonie.
Dannati
Tintori.
Suo
malgrado, sentì proprio allora la necessità di sedersi.
E riprendere fiato. Ma desistette.
“Dove
si trova la Nihaar’ì?” digrignò avvertendo
alcune fredde gocce di sudore condensarsi sotto l’attaccatura
del naso. Lei piegò appena il capo “Dopo il secondo
attacco, le Volpi nascosero qui
la
Nihaar’ì. Solo quando voi partiste per salvare
l’Hayeli’vo si arrischiarono a portarla via”
“Dove?” “Non lo so. Edereth è troppo astuta
per rivelare simili informazioni in presenza di estranei. Ricordo
però di aver sentito due Danzatori dire qualcosa a proposito
della necessità di evitare le Tempeste di Sabbia”.
Attimo
di silenzio, poi il sospiro di Zaphil “Potrebbero essersi
diretti verso Anaphantum. In questo periodo è la prima città
ad essere raggiunta dalle Tempeste” caldo, avvertì ora
il sangue prendere ad inzuppargli gli abiti. Strinse appena le labbra
prima di sospirare “Da quanto tempo sono in viaggio?” “Il
giorno dopo la vostra partenza giunsero qui e portarono via la
Nihaar’ì.”
Nuovo
attimo di silenzio, lo sguardo velato di lui che soppesava per un
attimo l’esile figura di lei studiandone i tratti aridi,
consunti, dilaniati da quella sua sofferenza insostenibile. Capì
allora che avrebbe dovuto provare pietà per lei. Per lei e la
sua afflizione. “Le avete parlato?” esalò invece.
Avete
parlato alla Nihaar’ì?
Il
sorriso di lei fu l’ultimo ad abbandonare i ricordi di quel
giorno.
Gentile,
fugace eppure incredibilmente tranquillo nell’immobilità
di quell’attimo. Poi di nuovo il buio, nudo, teso come il corpo
di lei contro la lama che non pochi momenti oltre avrebbe lacerato
per la prima ed ultima volta la sua pelle.
“Continuamente
da che la portarono qui” esalò in un sospiro “Desideravo
che mi perdonasse”
Una
pausa. Lunga. Dolorosa. Estenuante come il sentimento che qui l’aveva
condotta per poi abbandonarla, cieco, al proprio destino.
“Ma
lei non mi ha mai risposto. Nemmeno una volta”
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