Fango

di Matih Bobek
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Fosca è la mia condizione spirituale:
calato giù da nebbie di cotone
come pioggia muta
e versato su correnti di aguzza pietra
tra briciole di prati e petali e legno.

Sono fango: agglomerato di sospiri terreni,
e di risate su specchi di fiume
e noviluni appesi al soffitto.

La schiena è ruvida di calcare
ma l'addome liscio come pareti d'olio;
Figura senza lati, circonferenza senza raggio.

Dio lo sa che scorrerei immobile
eppure giaccio senza sosta
ad impastare l'asflato d'autunno.
Ammanto ruote di gomma
in questo abbraccio ibrido;
spargo le mie estremità
sui passi lenti e su quelli celeri.

A metà capra di montagna,
a metà granchio di mare.
A metà cobaltea corrente,
a metà frutto di orogenesi.

Arenatomi nelle baie vuote
della mia solitudine,
mi confronto poi con i riflessi
dei boschi, dei rami secchi
delle fonti fredde, delle pozze blu;
mi riconosco nelle corrispondenze
silenti del loro chimico assenso.

Fosca è la mia condizione spirituale,
fosca degli abissi della terra o 
di crepacci d'oltremare;
fitta come le indistricabili chiome delle sequoie
e come le gocce che si ammassano nell'oceano;
selvaggia come la rete di stelle che si specchia nel mare
e come tappeti di muschio bianco del sottobosco.


Mai in bilico tra spinte opposte 
ma racchiuso in un incastro voluto dal cosmo.

Corrispondo a me stesso,
da qualsiasi lato io mi osservi,
e mi ricongiungo al mio sguardo
attraversandomi il lago del dorso,
le stalattiti degli arti, il colle fulvo,
e i ruscelli vermigli.
Io sono fango e fango devo essere.




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