Capitolo
32
C’erano
voluti giorni per ridare al 19° Squadron un’operatività
accettabile.
Nel
devastante raid compiuto dalla Luftwaffe, strutture della base e
velivoli avevano subito danni ingenti, alcuni uomini erano morti e
c’era stato un gran numero di feriti.
Praticamente
era rimasta in servizio poco più della metà degli effettivi, e i
rincalzi tardavano ad arrivare.
Seduto
al sole davanti alla baracca del comando, Stuart lasciava vagare lo
sguardo sulle rovine della chiesa. Poco dopo che lui e von Rohr ne
erano usciti, una bomba l’aveva colpita in pieno. La navata aveva
perso il tetto, il campanile già danneggiato era collassato su se
stesso e della graziosa canonica non erano rimaste che macerie, dalle
quali gli avieri avevano volenterosamente scavato fuori la maggior
parte dei suoi effetti personali.
Le
rovine della chiesa, comunque, erano niente rispetto alle rovine
della sua anima.
Il
bombardamento aveva avuto se non altro l'effetto di stornare
l'attenzione di tutti dal suo rapporto con von Rohr, e quindi a
livello di disciplina e relazioni interpersonali le cose erano
tornate più o meno come al solito.
Essendo
i soldati creature superstiziose, specialmente quando sono in guerra,
i militari della base avevano trovato inequivocabili collegamenti tra
il loro comportamento indisciplinato e l'apocalisse che si era
abbattuta sullo Squadron, quindi ora esageravano dal lato opposto nel
tentativo di liberarsi della loro hybris.
Tutto
quello sfoggio di zelante disciplina paradossalmente faceva sentire
ancora più a disagio il maggiore Stuart, che invece della sua
personale hybris era ben lungi
dall'essersi liberato.
Erano
tali e tanti i motivi di dolore e vergogna che non sapeva da che
parte cominciare a elaborarli.
Si
ergevano a silenzioso monito, esattamente come i cumuli di macerie
che costellavano il piazzale dove una volta sorgevano gli hangar.
Tanto
per cominciare, aveva intrattenuto rapporti contrari all'onore di un
soldato con un ufficiale nemico, poi gli aveva consegnato un aereo da
guerra in perfette condizioni di volo e l'aveva spinto a fuggire. E
come se tutto ciò non fosse stato sufficiente, aveva poi mentito ai
suoi superiori dicendo che l'ufficiale nemico era perito nel
bombardamento.
Se
prima di quella storia qualcuno gli avesse detto che avrebbe fatto
cose del genere, l'avrebbe senz'altro considerato pazzo.
Eppure
era esattamente così che erano andate le cose. Sodomia, alto
tradimento, azioni tese a favorire il nemico.
C'era
gente che era stata fucilata per molto meno.
Per
quanto grave, quello del tradimento nei confronti della Patria non
era il solo problema che si trovava a fronteggiare.
Aveva
tradito anche Margaret, per gradire. Con un maschio. Provandoci
gusto.
Questo
cosa faceva di lui? Un pervertito? Un pederasta? Ogni volta che
enumerava gli epiteti che si attagliavano a ciò che era accaduto fra
lui e von Rohr rabbrividiva d'orrore, e regolarmente finiva per
dibattersi nelle sabbie mobili di elucubrazioni senza capo né coda:
lo era anche prima? Lo era sempre stato e aveva ingannato tutti? Lo
era diventato? E adesso? Che sarebbe successo? Lo sarebbe rimasto per
sempre o sarebbe guarito?
E
comunque, nonostante tutto von Rohr gli mancava.
Se
pensava al tempo trascorso insieme a lui provava una nostalgia
struggente, che diventava quasi un dolore fisico quando rievocava i
particolari degli amplessi consumati.
Lo
rivedeva nei suoi atteggiamenti tipici, quando lo fissava con aria di
sfida oppure quando camminava su e giù per la navata della chiesa
con passo marziale.
Si
chiese con apprensione dove fosse, cosa stesse facendo. Era riuscito
a tornare fra i suoi camerati? Stava bene?
Immaginò
di stringerlo a sé, di accarezzarlo e baciarlo finalmente con la
dolcezza che il frenetico precipitare degli eventi non gli aveva mai
permesso di manifestare.
L'allarme
antiaereo lo sorprese mentre indugiava in quelle immagini cariche di
tenerezza e rimpianto.
In volo
sulla Manica, Stuart perlustrava il cielo alla ricerca degli aerei
della Luftwaffe.
Erano
state segnalate coppie di Messerschmitt in missione di Freie Jagd,
o caccia libera, il che significava aerei con la dichiarata missione
di cercare caccia nemici, impegnarli in combattimento e possibilmente
abbatterli.
Il
maggiore si guardò attentamente intorno, ma il cielo sembrava
sgombro. O i caccia erano andati da qualche altra parte, o era uno
dei soliti falsi allarmi della difesa costiera.
Ne fu
quasi dispiaciuto.
Sebbene
per tacito accordo nessuno al 19° Squadron alludesse più al
Cavaliere di Valsgärde, lui aveva voluto che l’emblema che l’aveva
reso famoso tra gli Squadron inglesi, ovvero il leone che azzanna
l’aquila dalla testa rossa, fosse riprodotto fedelmente su ogni suo
nuovo aereo.
Se gli
veniva chiesto il perché, era solito rispondere che si trattava di
un portafortuna.
In
realtà il motivo era del tutto diverso, e aveva a che fare con le
ultime parole di von Rohr: ci rivedremo lassù.
Voleva
che Hans fosse in grado di riconoscerlo.
Razionalmente
la cosa non aveva senso, lo capiva da solo. A prescindere
dall’insensatezza di fornire il proprio biglietto da visita al
nemico, von Rohr poteva essere stato trasferito, poteva trovarsi in
licenza di convalescenza, oppure poteva anche non essere mai arrivato
in Francia, magari abbattuto proprio da qualche cacciatore tedesco
alla ricerca di preda.
Eppure…
“A
ore tre, contro il sole!” gridò Evans, che pilotava uno dei caccia
più avanzati.
Stuart
si girò in quella direzione: c’erano dei puntini all’orizzonte,
quattro coppie. Apparivano e scomparivano nel riverbero dei raggi
solari.
“Formazione
da combattimento!” ordinò in frequenza, e subito tutti i suoi
caccia si mossero con rapidità e precisione per intercettare il
nemico.
La
Luftwaffe intanto si avvicinava. Gli aerei tedeschi si erano
distanziati e stavano velocemente salendo di quota.
Pochi
secondi dopo, Spitfire e Messerschmitt presero a duellare
furiosamente nel cielo terso, che in breve si trasformò in un
calderone ribollente di traccianti, fumo e scie di condensa.
Gli
aerei si inseguivano in combattimenti serrati, dando l’impressione
di belve rabbiose che si contendessero una preda.
I pezzi
di rivestimento alare strappati dai proiettili fluttuavano verso
terra luccicando come pesci nell’acqua profonda.
Stuart
diede il colpo di grazia a un avversario, che precipitò in vite
lasciandosi dietro una scia di fumo nero.
Stava
per correre a dare man forte ad uno dei suoi piloti in difficoltà
quando si accorse che un caccia tedesco gli veniva incontro a tutta
manetta dal fianco.
Resosi
conto che in quella posizione era un bersaglio indifeso, cercò
angosciato di scartare, ma il Messerschmitt, arrivato ad una certa
distanza, senza apparente motivo interruppe l’attacco e scivolò
d’ala per togliersi dalla sua traiettoria.
Nel
momento in cui lo vide di profilo, Stuart notò che sulla capottatura
del motore aveva dipinto lo stemma della Hitlerjugend.
Ebbe un
tuffo al cuore. “Hans!” disse a voce alta.
Si
buttò al suo inseguimento.
Il
Messerschmitt si lasciò prendere di coda quasi con indolenza,
procedette così per alcuni secondi e poi all’improvviso guizzò
via lasciando il suo antagonista stupito e disorientato. Schizzò
verso l’alto in un mezzo looping, poi completò la figura con un
mezzo tonneau finendo per trovarsi a quota maggiore e in direzione
opposta rispetto allo Spitfire.
L’inglese
lo raggiunse un attimo dopo, ma il tedesco lo vide arrivare e si
buttò in una picchiata verticale che lo sottrasse alla sua mira.
Andarono
avanti così per un po’, avvicinandosi e allontanandosi con
terribile grazia nella danza fatale del combattimento.
Il
Messerschmitt si lanciò infine in una serie di ardite acrobazie,
figure intessute nel cielo di smalto per la pura gioia del volo.
Scosse poi le ali in un gesto di saluto e si diresse a tutta manetta
verso le coste francesi.
L’ultima
cosa che il maggiore vide fu un fugace brillio nella nebbia azzurrina
dell’orizzonte, mentre Hans von Rohr scompariva come un sogno sul
fare dell’alba.
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