That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.012
- Slytherins vs Gryffindors (2)
Rigel
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 30 ottobre
1971
“Bastardo!”
“Ma cos…”
Non riuscii nemmeno a finire la frase. Non riuscii nemmeno a capire. Mi
ritrovai tirato fuori a forza dalla doccia, i piedi non fecero presa
sul pavimento, persi l’equilibrio e rovinai, nudo e bagnato,
a terra. Un secondo dopo Jeremy Wood mi era sopra e mi picchiava senza
pietà. Cercai di difendermi, di nascondere la faccia tra le
braccia, ma lo schiocco secco dell’osso che si rompeva, il
dolore pulsante che mi devastava la faccia e un orrendo sapore di
sangue in gola, mi fecero capire che non avevo ancora imparato
abbastanza bene a coprirmi. Sconvolto dal dolore, mi sentivo inerme
come da bambino, quando Mirzam mi faceva scherzi stupidi e pesanti se
non c’erano i nostri genitori in giro, mollandomi sonore
sberle senza motivo, certo di restare impunito. Mio fratello, mio
malgrado, mi aveva insegnato rapidamente cosa significasse essere uno
Sherton fuori dal nido sicuro di Herrengton, dovevo essere pronto in
qualsiasi momento: l’avevo odiato per anni, ma da quando ero
in quella scuola, lo ammettevo almeno con me stesso, lo ringraziavo
mentalmente per avermi insegnato tutto. Ora mi avrebbe deriso dandomi
dell’incapace. E questo mi faceva più male di
quell’energumeno che incombeva sul mio corpo. Forse,
però, nemmeno lui si sarebbe mai immaginato di essere
prelevato a forza da una doccia degli spogliatoi di Hogwarts ed essere
pestato così a tradimento.
“Ma porc…”
Strinsi i denti, cercai di resistere al dolore, assestai una
ginocchiata dove sapevo avrei fatto male e mi sottrassi alla presa,
volevo riparare il prima possibile, lontano da lì, ma
alzandomi sentii chiaramente la fitta tipica di una costola incrinata.
Perfetto…
Eppure dovevo farcela, dovevo fare in fretta, evitare che qualcuno si
accorgesse delle mie reali condizioni. Dovevo assolutamente riprendere
il controllo della situazione, mettermi al sicuro.
“La
prima regola è sopravvivere, la seconda è
vendicarsi”.
Quante sberle mi aveva dato Mirzam, prima che imparassi? Quando provai
a trascinarmi verso le mie cose, per prendere la bacchetta e
riequilibrare la situazione, mi sentii afferrare per una gamba e tirare
di nuovo indietro. Mi voltai, stavolta era McLaggen: per quanto fossi
grande e grosso, capii subito che da solo in quelle condizioni non ce
l’avrei mai fatta. Quasi mi avesse letto nel
pensiero, Rabastan gli saltò addosso e riuscii a sfuggire,
mi nascosi, dovevo assolutamente prendere la mia bacchetta. Per fortuna
da due anni mio padre mi faceva esercitare. Iniziai a recitare, come un
mantra, gli incanti che permettevano di tollerare il dolore, quelli che
acceleravano la ripresa da ferite e fratture. Dovevo calmare il dolore,
o non sarei mai stato capace di reagire. Dovevo evitare di finire in
infermeria, a qualunque costo. Dovevo smettere di avere paura.
Gli incantesimi mi riuscirono, lentamente; mentre riprendevo fiato,
osservai la scena assurda che si stava consumando attorno a me: non
potevo credere a quello che vedevo, Cox si stava picchiando con uno dei
Prewett, Lucius con l’altro. Basty e
Beckett se le davano con McLaggen e Wood, al quale evidentemente non
avevo poi fatto troppo male. Scorsi in giro con gli occhi,
fino a trovare Mills: era ferito e abbandonato dentro una delle docce,
forse aveva battuto la testa, dovevo raggiungerlo e curarlo, anche
perché sarebbe stato la rovina di tutti noi se qualcuno dei
professori si fosse accorto di quello che stava accadendo. Noi Serpi
eravamo in vantaggio numerico negli spogliatoi dei maschi, loro avevano
due ragazze, noi solo una, quindi avevamo un elemento in
più, io. Loro però erano senza dubbio
più assatanati, non li avevo mai visti così, non
capivo. Erano tutti impazziti. Dovevo fare qualcosa,
ma le gambe non reggevano il mio peso e la prima regola, per me, in
quel momento, valeva più della fedeltà ai miei
amici e alla mia Casa. Rabastan si ergeva su McLaggen
trionfante, lo sguardo allucinato, un occhio nero e un rivolo di sangue
alla bocca. Tremai, perché non ero poi tanto convinto che
quel sangue fosse il suo. Era il mio migliore amico, ma a volte mi
metteva lo stesso i brividi addosso. Si era liberato di
McLaggen con una gomitata sullo zigomo, avevo sentito il rumore
dell’osso che si rompeva, si voltò verso di me, si
avvicinò, non mi disse nulla, nemmeno rise della mia
codardia, cercò tra le sue cose e ritornò nella
mischia, bacchetta sfoderata, colpii Wood con un leggero Schiantesimo
alle spalle, così da liberare Beckett. Solo Lucius e Cox
continuavano a duellare con le bacchette contro i Prewett: non avevo
mai visto Malfoy così, scarmigliato e feroce, non lui che
anche quando cercava di farti davvero male manteneva sempre
un’aura di diafana eleganza… Basty colpì Gideon Prewett, con
notevole soddisfazione, alle gambe, liberando Cox dal suo Petrificus e
ponendo suo fratello Fabian da solo contro tutti noi. Lucius rimase con
la bacchetta puntata al suo collo, uno sguardo assassino sulla faccia.
Chiusi gli occhi, per fortuna era finita. Finalmente. I
Grifoni arretrarono doloranti e sconfitti, Lucius riusciva a mantenere
calmi le Serpi a stento.
“Tornate nella nostra
metà e restateci… Se si accorgono di qualcosa, ci
ritroviamo tutti con 300 punti in meno!”
“E
“chissenefrega” delle punizioni, Malfoy, chi ce la
dà più un’occasione come questa? Ho
proprio voglia di spaccare qualche altro naso.”
Guardai Lucius, orripilato, stava ghignando d’approvazione,
poi Rabastan: sembravano entrambi drogati di sangue, trattenni il
disgusto. Mio padre, in fondo, aveva ragione, noi
Sherton non eravamo uguali agli altri. A me interessava solo
il Quidditch… Mi chiedevo che cosa ci stessi facendo in
mezzo a quella manica di pazzi. Lestrange mi
riversò addosso una risata da far rizzare i peli sulla
schiena, mi guardò come se fosse riuscito a leggermi di
nuovo nel pensiero, io gli rivolsi un sorriso sghembo, era meglio
fingere che la pensassi come lui. Mi rimisi in piedi, uscendo
dal mio momentaneo rifugio, mentre evidentemente Lucius era riuscito a
far tornare alla ragione quasi tutti… Ciascuno di
noi andava in giro a raccattare le proprie cose, quelli meno malconci
iniziarono a riportare ordine nell’ambiente, i feriti erano
impegnati a curarsi e nascondersi le ferite, io mi chinai su Mills,
cerando di fargli sparire quel brutto bernoccolo che si stava
ingrossando sulla fronte. Mi resi conto che le mie mani
tremavano.
Era da un anno che giocavo seriamente a Quidditch, quella era la mia
quarta partita, la seconda contro i Grifoni. Loro non mi piacevano, non
possono piacerti troppo i Grifoni se sei una Serpe, ma mio padre mi
aveva insegnato a portare rispetto per l’avversario.
Sempre. E i Grifoni, i Tassi e i Corvi, mi avevano sempre
rispettato per questo, fino a quel momento. Sempre. Non
capivo. In tre anni avevo visto altre partite chiudersi con un
cercatore vittorioso mentre l’altro era a terra, ma non era
ma accaduto niente del genere. Non capivo davvero. O forse
semplicemente non volevo capire, non era la prima volta.
*
inizio
flashback
Herrengton Hill, Highlands - estate
1971
“Che cosa stai leggendo Mir?”
Mi sedetti con fare
fintamente disinteressato, Mirzam si affrettò a chiudere
scocciato il giornale, appena fui a portata di sguardo.
“Nulla che debba riguardare pivelli come
te…”
“Certo che sei proprio uno stronzo…. Un fottuto
bastardo, un falso, come Giuda…”
“Falso come Giuda? Ora parli come i babbani?”
Mirzam mi
fulminò con occhi di luna, forse lo odiavo pure per quello,
perché guardarlo, significava avere davanti agli che eravamo
in parte dei Malfoy anche noi… o forse odiavo Lucius,
perché era dannatamente simile a mio fratello.
“Con questi discorsi sui babbani sei diventato monotono,
Mirzam… dico davvero… sei a tanto così
dall’entrare nel Puddlemere, il sogno di tutta la tua vita, e
invece ormai sembra che per te sia importante solo la
politica!”
Lo distrassi con la
storia del Quidditch e con rapidità gli sottrassi
il giornale, avevo capito da subito che non era la “Gazzetta
del Profeta”; lui cercò di prendermi, ma ormai lo
conoscevo abbastanza, e sapevo come fare per giocarlo. Aprii il
giornale e non riuscii a nascondere lo sgomento che mi prese quando
misi a fuoco l’immagine dell’uomo in prima pagina e
le scritte a caratteri cubitali che stavano sotto e sopra la sua
figura. Guardai mio fratello con sguardo interrogativo… la
sua faccia non mi piacque per niente: c’era sfida, nei suoi
occhi, c’era un insano compiacimento… No, non era
mio fratello quello in piedi davanti a me.
“Se lo sapesse papà... ”
Gli tirai addosso il
giornale, infuriato e deluso.
“Se lo sapesse papà… Che cosa
dovrebbe fare secondo te? Sentiamo! Non credi che dovrebbe
sostenermi nelle mie scelte, che tutti voi dovreste sostenermi, visto
che sono le uniche adatte a quelli come noi? Secondo me nostro padre
dovrebbe seguirti di più, Rigel, perché tu stai
crescendo anche più strano di quanto siamo già
noi tutti… A volte… A volte mi preoccupi davvero,
io spero che sia solo perché in fondo sei solo un ragazzino,
ma se continui a far di testa tua…”
“Se continuo a far di testa mia, cosa? Che cosa avrei fatto
di tanto vergognoso? Sentiamo? Aver protetto il nostro nome e nostra
sorella? O non aver baciato le chiappe a Malfoy?”
“Non è certo per nostra sorella che ti sei battuto
con Malfoy… E poi questi son discorsi privi di valore,
discorsi da ragazzini! E’ questo il nostro futuro…
Quand’è che lo capirai?”
Mi piazzò il
giornale con forza sul petto, io mi scansai schifato e lo guardai con
odio.
“Futuro, Mirzam? Se il nostro futuro è chinarci a
questa gente... Beh… Allora forse è meglio non
averlo affatto, un futuro…”
Fine flashback
*
“Tutto bene?”
“Sì,
perché?”
Lestrange allungò una mano
verso la mia faccia, io mi ritrassi, lui rise. Lucius si mise in mezzo
senza tanti
complimenti, come suo solito.
“Non sei ancora molto bravo a
curarti, Sherton, è meglio se lasci fare a uno di noi o quel
naso non ti tornerà mai normale…”
Rimasi fermo, lasciando che Malfoy
armeggiasse: sapevo che suo padre aveva fatto mille volta la stessa
cosa col mio, e sapevo bene, dallo sguardo che mi stava lanciando, che
stavamo pensando entrambi alla stessa cosa.
“Passata la paura,
Sherton?”
“Io non ho paura!”
Risero tutti, io mi conficcai le unghie
nella carne, nervoso e ostile. Mi ero comportato proprio da vigliacco.
“Non sei un granché
nemmeno come bugiardo!”
“Vai al diavolo,
Malfoy!”
Lucius si alzò, evidentemente
non era propenso a infierire, mi porse uno specchio, non si vedeva
più nulla, sembrava che non fosse accaduto nulla…
Mi guardai attorno, nemmeno gli altri
avevano più l’aspetto pesto di pochi minuti prima.
In momenti come quello si capiva
perché il borioso Malfoy fosse prefetto e Capitano: aveva
una capacità di infiammare o di tranquillizzare gli animi,
che nessun altro aveva, aveva la capacità di ordire un
piano, stilare una strategia, di guidare. Aveva la politica nel sangue,
c’era poco da fare, solo un idiota poteva fingere che non
avesse quelle qualità. Fuori Hogwarts avrebbe sicuramente
fatto
strada.
“Quello che è
successo qua dentro non deve uscire da qui siamo intesi? Nessuna
reazione… nessuna, capito Lestrange? Nessuna…
almeno finché non si saranno calmate le acque e…
mi raccomando… non organizzate niente di troppo
plateale…”
Lestrange e Mills ghignarono, io sentii
lo stomaco contorcersi per il disagio… Di sicuro
entro la serata avrebbero
raccontato tutto a McNair, a Rosier e a Goyle, e nel giro di pochi
giorni sarebbe successo qualcosa a qualche matricola o qualche altro
Grifone che non c’entrava niente. Di sicuro entro due giorni
Lestrange mi
avrebbe spiegato il suo piano e stavolta non si sarebbe trattato solo
di lanciare una “Orticaria Gnaulante” contro due
ragazzini di Tassorosso. Avevo solo voglia di vomitare. Uscimmo, circa
dieci minuti dopo i
Grifoni, di certo non avremmo corso il rischio di un altro agguato sul
sentiero che si snodava nel bosco, visto che erano messi anche peggio
di noi… Lungo il percorso mi accodai
taciturno a Lestrange, perso nei miei pensieri, sotto una pioggia
battente che sembrava non volerci dare tregua.
“Ora hai ancora i tuoi nobili
dubbi, Sherton?”
“Lasciami in pace,
Lestrange…”
“Dovevi vederti…
andare lì, con la mano tesa, a far la pace con il vice di
Brent, chiedere a Prewett come stava…. Anch’io ti
avrei sputato sulla mano tesa, fossi stato al posto di
Wood….”
Mi fermai, pronto a fare a pugni con
lui, avevo ancora negli occhi la scena, appena rientrati negli
spogliatoi, sotto lo sguardo sorpreso di tutti, mi ero avvicinato ai
Grifoni, con la mano tesa in gesto di pace, e avevo rimediato solo
sputi e insulti. Anche da Gideon: con lui, in quei tre
anni, non eravamo mai stati nemici, forti dei legami di sangue che
ancora univano alla lontana le nostre famiglie. Una smorfia e un
brivido mi percorsero. Ero confuso. Lucius si era fermato e
rapido era
scivolato tra le retrovie, ora ero stretto tra i due: di solito la
presenza di Rabastan mi rincuorava e Malfoy mi dava sui nervi, in quel
momento li osservavo come se fossero entrambi a me alieni.
“Che cazzo ti è
passato per la testa, Sherton?”
“Vai al…”
Non finii la frase, Rabastan mi
piantò una mano aperta e forte sul petto, bloccandomi, per
una volta le alleanze si erano ribaltate. Li fissai entrambi,
risoluto. Quanto aveva ragione mio padre! Ed io che spesso non
gli avevo voluto
credere.
“Mio padre mi ha insegnato a
uscire così da una partita di Quidditch… Chiunque
sia l’avversario, sempre e comunque, con una stretta di
mano…”
Risero, Rabastan mi circondò
le spalle con il suo braccio, come se avessi detto una cosa
particolarmente divertente, Lucius si mise dall’altra parte,
una leggera aria divertita sul viso, i capelli incollati, come tutti,
noi sulla faccia.
“Sei ancora troppo piccolo per
capire, Sherton, ma giornate come queste servono anche a questo. Noi
qui oggi non ci siamo battuti solo per una stupida partita di
Quidditch, ma per il nostro futuro glorioso… Imparalo alla
svelta… perché tutti gli altri giocano con regole
che sono diverse da quelle di tuo padre… Prega che anche lui
se ne renda conto in fretta.”
Volevo rispondere a tono a Lucius
Malfoy, ma lo sguardo allucinato di Lestrange si sommava al suo,
risoluto. Sentii nella testa le raccomandazioni di
mia madre, la sera prima della partenza, che mi pregava di tenere
d’occhio Meissa e stare entrambi lontano dai guai, non
criticare mai certi discorsi da Serpeverde, anche se diversi dalle
posizioni tenute in Casa da nostro padre. Anzi. Dovevamo fingere che
quelle stranezze
non esistessero, che fossero solo leggende messe in giro da chi ci era
nemico. Mi chiesi fino a dove ci avrebbe portato
quella recita. Non mi sentii mai così solo a
Hogwarts come in quel momento. Prima o poi avrebbero imposto anche a me
di scegliere, forse quel giorno i Grifoni avevano addirittura
accelerato gli eventi. Continuai a camminare in silenzio,
sperando di allontare i dubbi per qualche ora, quella sera, almeno
durante la festa. Sì, Mirzam mi aveva detto
tutto quello che serviva sapere per vivere in quel dannato castello. Ma
non volevo accettare che quello fosse
l’unico modo possibile. Ed io che
m’illudevo che
salendo su una scopa, avrei semplicemente giocato una partita di
Quidditch…
“Ci
sono poche regole
importanti a Hogwarts… la prima tra tutte, è che
devi sopravvivere, perché il nostro sangue ha più
valore di qualsiasi altra cosa…. La seconda è la
vendetta, perché uno Sherton senza onore, non è
uno Sherton.”
“Tu sei uno sciocco,
Mir… Hogwarts è una scuola, non un campo di
battaglia, non ci sono nemici…”
“I Grifondoro sono i nostri
nemici, Rigel, nemici da combattere fino alla
morte…”
“E se uno di noi finisse a
Grifondoro, allora?”
“Se accadesse sarebbe un
nemico, non più un fratello…”
***
“Sei sicuro che abbiamo
tutto?”
Rosier, ai miei piedi, faceva
l’inventario per la serata che sarebbe iniziata tra meno di
un’ora, continuamente importunato da Rabastan.
“Se hai preparato quella
dannata pozione come Merlino comanda…
sì… ma visto che non sei molto affidabile, per
sicurezza ho chiesto anche ad Alecto di prepararcene un
po’…”
Rabastan ghignò, se in mezzo
c’era Alecto Carrow, settimo anno, il successo era
assicurato, e di conseguenza anche la riuscita della festa.
“E da Abe hai ottenuto quel
vino… spero…”
Evan sbuffò, e
sollevò sulla sua testa una pregiatissima bottiglia di un
bel rosso rubino, le scritte sull’etichetta parlavano delle
calde terre italiche. Ecco: fuggire lì, in quel
momento, sarebbe stato l’ideale. Rabastan
cercò di prenderla
ma Evan la tenne stretta, non fidandosi del nostro losco compagno di
Casa.
“Fermo lì,
Lestrange: annata ottima, Slughorn non dirà di
no… e, per la cronaca, sono riuscito a invitare persino
Pascal… ci sarà da divertirsi!”
A quella notizia non ne potei
più… tutto ma non Pascal… non
l’orrido vegliardo, nuovo professore di Difesa contro le Arti
Oscure.
“Salazar! Perché
lasciare qualcuna di quelle vecchie cariatidi lontano di
qui?… e pensare che doveva essere una bellissima
festa!”
Ero preso dallo sconforto più
nero. Rabastan ghignò e mi
abbracciò.
“Uomo di poca fede, vedrai se
non sono un genio!”
“Del Male…. senza
dubbio… un Genio del Male, Lestrange!”
Evan scoppiò a ridere, mentre
Rabastan sembrava gli avessi fatto il più bel complimento
della sua vita.
“Mi sa che i Grifoni ti hanno
attaccato qualcosa di pernicioso, sei così acido e ostile,
Sherton…"
“Fottiti,
Lestrange…”
Ghignò, ammiccando a tre
biondine del quarto anno che lo guardavano sorridenti.
“Beh, penso proprio che
stasera avrò di meglio da fare… se vuoi, puoi
unirti a noi, c’è posto anche per
te….”
Sapevo bene che non stava scherzando,
non avrei più scordato la mia “prima
volta”, durante la festa per la vittoria sui Corvonero, tutta
opera sua. Era uno degli aspetti basilari della mia
amicizia con Basty, insieme agli scherzi idioti, inutile negarlo, anche
se a volte me ne vergognavo, ma in quel momento sembrava che non
m’importasse nemmeno di quello, eppure era l’unico
modo per scrollarmi di dosso i pensieri oscuri che mi pressavano dalla
partita. Rosier e Lestrange, finito di sistemare
gli incantesimi che ponevano al sicuro le casse di beveraggi, sostanze
non propriamente legali, cibi che non potevamo richiedere agli elfi
cucinieri e i fuochi “sprizzallegri”, si
allontanarono sghignazzanti; Paulette Thomas, del quinto, si
avvicinò sinuosa, avevo fatto il diavolo a quattro per
invitarla quella sera, me l’avevano descritta come una
ragazza molto disponibile… ma non mi andava nemmeno di
guardarla… Ero dolorante e scocciato, avrei rotto
volentieri la testa a qualcuno, altro che pensare a una serata galante.
Si sedette sulle mie ginocchia e
iniziò a baciarmi, la fulminai con lo sguardo e con modi
decisamente grossolani le bloccai le mani e me la staccai da dosso.
“Non ora... ho da
fare…”
Avrebbe mandato al diavolo chiunque, ma
non me. Mi scoccò uno sguardo carico
di promesse, ma al momento non m’interessava. Corsi da
Rabastan deciso a partecipare
alla prima fase del piano. Avevo bisogno di un’esperienza
pericolosa ed esaltante.
***
“Sei stato geniale, ragazzo,
voglio dire… certe cose non si fanno, no, certo che no, dico
bene Jeremiah?”
Impegnato nell’esaltare le
prodezze truffaldine di Lestrange, Slughorn si piegò tutto
addosso al suo degno compare, Jeremiah Albertus Pascal, anziano
professore di Difesa contro le Arti Oscure, convocato a inizio anno da
Slughorn stesso a causa del nostro persistente problema didattico: in
quella materia, nessun insegnante durava più di un anno
scolastico. Chiamato in causa, Pascal
squittì grondando approvazione, i già piccoli
occhietti porcini resi due fessure dalle abbondanti libagioni di quel
dolce nettare opportunamente corretto dalla mano sapiente di Alecto
Carrow… Rosier mi guardò trionfante,
probabilmente mancavano pochi minuti e finalmente i due vecchi babbioni
avrebbero ceduto. Tornai a guardare i nostri ospiti,
quando Pascal si produsse in un suono davvero strano: che
cos’altro poteva fare un roditore come lui, d’altra
parte?
Ex-Serpeverde, anche se non avevo ancora
capito in virtù di quale caratteristica, Pascal era un mago
minuto, il viso nascosto dietro un paio di occhiali molto
più grandi della sua faccia, esageratamente
“peloso”, al punto che aveva una strana peluria
perfino sui palmi delle mani e una copiosa pelliccetta usciva non solo
dal colletto della camicia inamidata, ma persino in abbondanti ciuffi
candidi e lanosi dalle orecchie. Dall’inizio
dell’anno, ci chiedevamo se per caso quello non fosse il
risultato fallimentare di un esperimento per diventare Animagus. Non
era facile mantenere il sangue
freddo e non scoppiare a ridere in sua presenza. Il capo, per esempio,
al contrario del
resto del corpo, era completamente calvo, sembrava una liscia pietra
veggente di mio nonno, eccetto un unico, lunghissimo capello
opportunamente acconciato affinché avvolgesse mezza testa:
alcuni dicevano di averlo sentito rivolgersi al capello come fosse un
figlio, per me, anche se non l’avesse davvero fatto,
c’erano comunque tutti gli elementi necessari e sufficienti
per considerarlo un pazzo .
“Hai ragione
Horace… in fondo… nulla impediva a Brent di
mollare la caccia, no? Non era mica obbligatorio permanere in quella
posizione…”
Rise, viscido. Metà delle parole che
uscivano da quel soggetto erano incomprensibili: come se non fosse
già abbastanza derelitto, quell’uomo si produceva
in tutta una serie di difetti di pronuncia e strani tic. Non riusciva a
dire “insomma” senza creare uno strano risucchio
che ci faceva ridere per mezza lezione, e visto che intercalava tutto
il discorso sempre con quell’espressione, non riuscivamo mai
a restare seri. Inoltre stranamente ingobbito solo sul
lato sinistro, si muoveva per la stanza con fare teatrale, fermandosi
poi all’improvviso come se fosse stato colto da un
“petrificus totalus”: la prima volta pensai che
qualcuno l’avesse davvero centrato con un qualche incantesimo
ben fatto. Invece era proprio il suo modo di
descriverci le strane avventure di cui sosteneva di essere il
protagonista, anche se nessuno di noi ci credeva, visto che si lasciava
spesso spaventare persino dalla sua stessa ombra.
“Professore, lasciamo perdere
Brent… che cosa dice, abbiamo fatto un buon acquisto da Abe,
prendendo questo vino? Noi purtroppo siamo ancora minorenni, non
possiamo assaggiarlo.”
Come se il vecchio tricheco non fosse
felice di non dover dividere quella prelibatezza con noi. Slughorn si
appropriò avido anche della terza bottiglia che gli porsi
con fare cerimonioso, riannusò il dolce effluvio che usciva
dal contenitore appena stappato e andò a versarsi un altro
abbondante bicchiere, per sé e per il suo compare.
“Oh sì, ragazzi
miei, sono veramente lieto di scoprire che, oltre alla superiore
conoscenza delle arti pozionistiche, sto facendo di voi anche dei maghi
di gran... claa…”
Il tricheco si afflosciò a
bocca aperta sulla sua poltrona imbottita e ricolma di morbidi e
stucchevoli cuscini fiorati e vaporosi, notai scomporsi anche i piedi
porcini sul predellino posto a dar sollievo a quelle sue gambette corte
e carnose. Dall’alta parte, col capello
scomposto sul tavolo, abbandonata a fianco del vassoio di pasticcini
ormai completamente ripulito persino delle briciole, la liscia testa di
Pascal annunciava la resa anche del secondo rompiballe.
“Datti da fare Rosier,
così poi li sistemiamo di la!”
Evan estrasse la bacchetta, si produsse
in un arzigogolo per aria che culminò in una leggera luce
violetta che avvolse la testa dei due professori: era
l’”oblivion selettivo”, di cui era
diventato un esperto molto apprezzato nella Casa di Serpeverde.
“E ora dai, che la festa ci
aspetta!”
Io mi occupai di Pascal, più
piccolo e leggero, Evan e Rabastan presero con una notevole
difficoltà il professor Slughorn, sostenendolo con la forza
delle loro bacchette e facendolo levitare fino a pesante armadio
rinforzato che campeggiava nella sua stanza personale, come avevamo
scoperto entrando l’anno prima nei suoi appartamenti per
rubacchiare qualche sostanza utile in pozioni non proprio
legali. Li accomodammo uno in braccio
all’altro, lasciandoli che ronfavano sonoramente: dovevano
svegliarsi senza ricordare nulla non prima delle 9.30 del mattino
seguente, ma notai che, benché le pesanti ante fossero
chiuse con i migliori incanti di chiusura a tempo, sembrava che una
mandria di bufali inferociti stesse premendo dall’interno per
riversarsi nella stanza.
“Sei sicuro che possiamo star
tranquilli? Quelle ante non mi pare che reggano a
sufficienza!”
“Non temere, Rigel, Alecto non
perdona, e il mio Oblivion non fallisce mai!”
“Ma… ma non credi
che domattina, al risveglio, non troveranno un po’ strano la
loro situazione?”
Rabastan rise fino a farsi venire le
lacrime agli occhi.
“Non ti preoccupare, a
qualcosa dovevo servire anch’io, non credi? Abbiamo pensato
anche a quello…”
Li vidi sogghignare, io non capivo...
poi di colpo…
Salazar!
“NON VORRAI DIRMI CHE
TU…”
“Shhhhhh… fai
silenzio… Sherton! si può sapere che
cos’hai oggi? Lo sai bene non è la prima volta che
l’ho fatto, mi sono esercitato molto con quelle ragazze che
altrimenti mi farebbero perdere tempo… puoi star tranquillo
che non ho sbagliato nemmeno stavolta!”
Lo guardai allucinato, non poteva essere
vero.
“Salazar, e ne sei pure fiero!
Ma ti rendi conto che è una Maledizione senza
Perdono?”
“Santo Boccino! Ma sei Rigel
Sherton o una verginella di Tassorosso? Basta! Che
c’è di sbagliato? In fondo vogliamo solo
divertirci... Non si farà male nessuno!”
“Voi siete una manica di
pazzi... Se vi scoprono...”
Evan intervenne con un rapido
tossicchiare stizzito, che pose fine alla nostra scaramuccia. E mi
gettò nella disperazione
più nera.
“Se CI scoprono, Sherton,
ricordatelo… Se CI scoprono, questa è la via
diretta per farci sbattere fuori di qui, destinazione Azkaban, quindi
acqua in bocca e pensa a divertirti, ti ho visto prima con la
Thomas… Non pensare a niente, va da lei, ti assicuro che ne
vale la pena…”
Sospirai, di fronte al ghigno lascivo
che si scambiarono: forse mio padre non aveva poi tutti i torti sui
Lestrange. Ma visto che ormai ero in mezzo, tanto
valeva cogliere anche i frutti di tanto rischioso lavoro. Rientrai
nella sala comune delle Serpi
insieme ai miei compagni, gli addetti ai festeggiamenti si erano dati
davvero da fare!
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 30 ottobre
1971
“Infami! E ladri! Non
è giusto!”
“Smettila Potter…
E’ solo una partita…”
“Solo una partita? Solo una
partita? Ma l’hai visto?”
“Sì che ho visto,
James… te lo ripeto da questa mattina! E conoscendolo, so
che Rigel sarebbe arrivato al boccino anche con Brent tutto
intero…”
“Balle! Doveva fermarsi,
doveva…”
“Ma lui è un
cercatore, no? Quindi doveva prendere il boccino, punto. E quella ha
fatto…”
“Parli così
perché…”
James si fermò in tempo, ma
lo sguardo diceva più di mille parole… gli
ghignai contro…
“Perché sono un
bastardo Serpeverde anche io?”
Mi guardò ancora,
deglutì e rimase in silenzio davanti al ritratto della
Signora Grassa, poi si decise, umettandosi appena le labbra.
“Hanno rubato la partita. E
questo è quanto.”
Entrammo nella Sala Comune di
Grifondoro, di ritorno dalla cena in Sala Grande, notai subito che la
tristezza e il nervosismo non erano caratteristici solo del nostro
gruppo di amici, tutta la Casa non aveva preso bene quel brusco
risveglio. Dovevo ammetterlo, anche se mi ero
emozionato a vedere Rigel giocare seriamente a Quidditch, forse
iniziavo a considerami sul serio un Grifone anch’io,
perché ero uscito deluso dalla partita, sebbene non mi
sentissi di parlare in termini altrettanto offensivi delle Serpi,
escluso Lestrange. Era lui il baro sleale, che
c’entrava Sherton? Secondo me, preso dalla febbre del
boccino, nemmeno si era accorto di Brent a terra. Il mio umore era
ancora peggiorato
quando la squadra era rientrata, dopo la partita, e fu chiaro a tutti
che negli spogliatoi era successo il finimondo: McLaggen e Wood
avrebbero avuto bisogno di cure mediche, ma il pericolo della punizione
di Dumbledore aveva fatto optare per cure fai-da-te nei
dormitori. Stando ai racconti dei Prewett, le Serpi
non erano messe meglio, Wood si gloriava di aver spaccato il naso a
Rigel: quando sentii quelle parole il mio giusto dispiacere per la
sconfitta della mia Casa lasciò posto a un sentimento
diverso, il sangue mi andò alla testa e se non fossi stato
solo un ragazzino di undici anni avrei cercato di vendicare il mio
amico. Rimasi scontroso e avvelenato per tutto
il resto della giornata, quindi le battute di Potter mi trovavano
particolarmente mal disposto.
James non capiva: lui parlava in termini
di ideali e di squadra, per me invece si trattava di persone. A me non
importava che Rigel fosse una Serpe ed io un Grifone, per me era un
amico, e sapevo di esserlo anch’io per lui. E al
contrario di quanto pensasse James,
quest’amicizia non mi rendeva meno Grifondoro di Potter. A
volte ragionava come un bambino. Era così chiuso nelle sue
idee… cambiava solo il colore del cravattino, ma era fissato
come la mia famiglia.
“Dobbiamo fargliela
pagare… E so anche come…”
Gideon Prewett, davanti al fuoco, poco
lontano da noi, stava confabulando con suo fratello e altri ragazzi del
sesto e del settimo, l’umore di tutti loro era a dir poco
funereo: quando scoprii le loro intenzioni, le cose cambiarono
drasticamente, quello che volevano fare avrebbe messo in pericolo Rigel
e forse persino Meissa. Presi all’istante la mia
decisione: non potevo permettere che succedesse qualcosa agli
Sherton. Dovevo agire subito. Saltai in piedi e mi avviai alla
porta,
James capì subito e mi fu alle costole.
“Che intenzioni avresti,
Sirius?”
“Secondo te?”
“Non ci pensare nemmeno, o
stavolta davvero ti appenderanno per i pollici fuori della torre. Come
si fa con le spie.”
“Vai al diavolo
Potter… “
“Vuoi che ti considerino una
spia? È questo che vuoi? E per cosa? Per chi?”
Mi voltai, fulminandolo con odio.
“Per i miei amici, Potter,
perché ci sono amici, amici veri, anche fuori da qua
dentro… se davvero fossi mio amico, lo
capiresti…”
Corsi fuori della Sala, contravvenendo
al coprifuoco e a ogni forma di buon senso, complice la confusione che
regnava tra i Grifoni, presi tra delusione e pensieri di
rivalsa. Dovevo raggiungere i sotterranei e Rigel
prima che fosse troppo tardi. Non sapevo quando avrebbero
agito. Potter stavolta era intenzionato a non
lasciar correre, mi raggiunse sul pianerottolo, mi prese per la
collottola e mi riportò dentro, senza tante cerimonie. Mi
voltai disperato ed esasperato, di
fronte a tutti, cercai di divincolarmi e picchiarlo, Remus si rese
conto che stavamo attirando troppo l’attenzione,
cercò di riportarci alla ragione e ci convinse a salire in
camera per parlare e trovare una soluzione, anche lui sembrava dubitare
che fossi nel torto. Una volta lì,
però, feci capire di non aver tempo per parlare e trattare,
non mi trattenni più, con Potter ci azzuffammo davanti ai
nostri amici, come mai era avvenuto tra noi fino a quel momento: le
presi, le ridiedi ma, a quanto pareva, anche James era ben motivato e
stavolta picchiò più forte di me. Remus e Peter
si diedero da fare per
togliermelo di dosso, io, malconcio e ferito nell’orgoglio,
mi chiusi in bagno, acceso d’odio e frustrato. Quando alla
fine mi calmai, sapevo che
non c’era più nulla da fare, i Grifoni avevano
già messo in moto la loro vendetta.
Restai sulla porta, socchiusa, sentivo
Remus sibilare minaccioso contro James, la sua cieca ostinazione mi
faceva anche più male dei pugni che mi aveva dato. Secondo
Remus l’unica cosa da
fare era andare dalla Mc Gonagall e raccontare come stavano le cose,
non si poteva permettere che per colpa di una stupida partita di
Quidditch, scoppiasse una guerra dentro la scuola. James sosteneva che
stesse esagerando,
che quelle situazioni c’erano da quando Hogwarts era stata
fondata, e che nessuno correva dei veri rischi, nessuno era mai morto
per una stupida rissa. Che non sarebbe passato per spia per
salvare le chiappe alle Serpi. E che non potevamo perdere anche 300
punti per impedire che le Serpi ricevessero la lezione che meritavano.
“E Godric solo sa se se le
meritano, fottuti bastardi…”
“Sai James… il
Quidditch e la Casa a volte non sono tutto… e non
è detto che i Grifoni siano sempre nel giusto. Questa volta
non siamo nel giusto, James… l’amicizia, di
qualunque colore sia, è molto più importante di
una stupida partita… pensaci…”
“Amicizia? Io non
avrò mai amici tra le Serpi e vuoi sapere perché?
Perché l’amicizia per loro non sarà mai
sacra come lo è per noi…”
Rivolse gli occhi verso la porta dietro
la quale mi nascondevo, uscii in quel momento, con la mia presenza
avrebbero finito di parlare. Muto, scorsi gli occhi preoccupati di
Remus e Peter su di me. E l’ostilità in
quelli di James. Sentii un brivido di freddo, avevo
deciso. La mente persa in pensieri spaventosi su
quello che poteva accadere nei sotterranei se non avessi agito.
“Prega che non succeda nulla a
Rigel o Meissa, Potter, o ti giuro che te la farò
pagare!”
In silenzio uscii… Remus mi aveva dato l’idea
giusta. In fondo, si sapeva, i Serpeverde
facevano sempre la spia.
***
Rigel
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 30 ottobre
1971
La musica era sparata a tutto volume, mi
guardai attorno, la stanza aveva perso completamene l’aspetto
austero e nobile della Sala Comune di Serpeverde. Avevo caldo, pur
essendo rimasto
già da un pezzo solo in maniche di camicia.
“Ma non avete paura di
Slughorn?”
Sorrisi a quel ragazzino strano, che
stava sempre due passi dietro a mia sorella, il figlio mezzosangue di
Eileen Prince.
“Non ti preoccupare,
è tutto a posto, pensa a divertirti… Severus,
dico bene?”
Annuì, il classico pallore
appena rosato da un moto d’imbarazzo. Gli circondai
le spalle con un braccio e
me lo portai dietro, mentre cercavo di raggiungere il tavolo delle
bevande lo sentivo rigido e a disagio sotto il mio tocco, non doveva
essere facile per uno come lui stare lì dentro, a volte non
mi ci sentivo bene nemmeno io. Mi guardai attorno, intravidi mia
sorella che chiacchierava con un paio di sue compagne di corso e mi
rasserenai, almeno da quel fronte non c’era nulla di cui
preoccuparsi, anche grazie ai vari incantesimi che avevano preparato i
prefetti per quella sera a difesa dei ragazzini più piccoli,
non avevo il pensiero di doverla controllare. Certo questo significava
che anche per
me le possibilità d’infrattarmi erano ridotte a
zero a causa degli stramaledetti incantesimi di Lucius Malfoy.
“Bastardo! Sono il
protagonista della festa e per colpa tua non posso nemmeno
divertirmi!”
“Ti divertirai
l’anno prossimo, quando io non ci sarò
più… Non voglio che tuo padre venga a reclamare a
casa mia perché la tua idea di divertimento è
mettere nei guai qualche ragazzina, mezzosangue magari, insieme
quell’altro imbecille di Lestrange!”
“Spero che
tu…”
“Shhhh…. Ora non ho
tempo per i mocciosi!”
Avevo cercato di affatturarlo, ma
Lestrange mi aveva bloccato in tempo, o sarebbe stata
l’ennesima rissa di quella lunga giornata. Feci no
con la testa, mentre passavo a
uno Snape vagamente trasognato una burrobirra. Dall’inizio
della festa, era
passata più di un’ora ormai, ero stato innalzato
agli onori da tutta la mia Casa, perché avevo contribuito
alla mia maniera a fargliela vedere ai cari Grifoni, ma con tutto
quello che era accaduto, non mi sentivo felice e appagato come sempre,
e ben presto mi ero staccato dalla folla urlante, ritornando un
po’ tra le retrovie. I miei compagni di avventure
erano tutti
piacevolmente impegnati e Paulette mi aveva lasciato perdere, quando si
era resa conto, grazie al bello scherzetto di Lucius, che, infondo il
cercatore di Serpeverde, anche se grande e grosso, era solo un
bambino. Tanto meglio… Quella era la sera
adatta a sbronzarmi
fino a scordarmi persino il mio nome.
Che giornata di mer…
“Tu guarda quel gran bastardo!
Devo uscire, ti va di venire con me a controllare il
“servizio d’ordine”?”
Snape mi guardò stranito,
dovevo parlare runico, ai suoi occhi.
“Rosier doveva assicurarsi che
i due mocciosi alla porta fossero sempre svegli e presenti, caso mai
qualche professore si avvicini alla Sala, ma mi pare di averlo visto
infrattarsi con una del sesto, quindi è meglio se vado a
controllare io.”
Snape si guardò attorno,
probabilmente solo in quel momento si stava rendendo conto che non
c’era più traccia da un pezzo né dei
prefetti né del caposcuola: ebbene sì, tutti i
“grandi” erano pateticamente presi in
attività che non c’entravano molto con
l’idea che doveva essersi fatto di Serpeverde. Ci tenemmo ai
margini di quella bolgia
sulfurea, di cui evidentemente il famigerato responsabile, oltre a me,
era il solito: Rabastan stava ancora in piedi sul tavolo, incitando la
folla a ballare e fare casino, tempo un’altra mezzora e
sarebbe sparito anche lui. Primo perché lo
conoscevo
tanto bene da sapere che era già di là della
soglia del non ritorno, secondo perché già ora
aveva chiare difficoltà a tenere a bada un paio di ragazze
che se lo stavano letteralmente divorando sotto gli occhi d tutti. Io
era l’addetto ai beveraggi,
ma avevo ceduto per un po’ l’incarico a Cox: la mia
ultima missione a Hogsmeade, un paio di settimane prima, era stata
piuttosto fruttuosa, anche se parecchio dispendiosa, e ora per la Sala
circolava di tutto, o meglio, tutto ciò che fosse inadatto a
una scuola come Hogwarts. Cercai di individuare Lucius Malfoy, ma
sembrava essersi dato alla macchia, cercai nella stanza
qualcos’altro di biondo, invano: uno strano senso di
oppressione mi strinse alla gola, di certo erano insieme. In
fondo… ormai…
perché no? Non era più farsi bloccare al
muro come una ragazza qualsiasi, non più, ora che Lucius
poteva offrirle seriamente tutto ciò che poteva
desiderare…
Se solo fossi stato più
grande…
Raggiunsi con le lacrime agli occhi la
porta, con il fumo e il caldo che c’era lì dentro,
nessuno avrebbe mai potuto sospettare il vero motivo del mio
aspetto. Appena aprii, mi si gelò il
sangue. Capii subito. E capii anche che ormai era troppo
tardi, qualche idiota non era rimasto al suo posto e
l’apertura del ritratto era stata
violata. Più di venti Grifoni
scorazzavano per i corridoi esterni, a caccia, e di certo appena ci
avessero visto, non avrebbero trovato difficoltà ad
abbattere quella stupida porta di quercia.
“Edward, Sam, aiutatemi a
barricarci, tu…”
Guardai il piccolo Snape e mi chiesi se
potevo fidarmi o se si sarebbe fatto cogliere dal panico e si sarebbe
nascosto. Non avevo altra scelta.
“Devi andare da Malfoy e,
costi quel che costi, devi farlo uscire dalla sua stanza, hai capito?
Non farti spaventare… e avvisa quanti più
possibile che i Grifoni sono entrati a Serpeverde!”
Snape impallidì, ma dallo
sguardo serio e risoluto capii che non si sarebbe tirato
indietro. Con Flitt e Jackson iniziammo a far
levitare tavoli e sedie e altri mobili da frapporre tra noi e gli
invasori: certo se avessero usato un “bombarda” non
sarebbe servito a niente, giusto a rallentarli un po’.
“Eddy, vai da Lestrange e
portamelo, dobbiamo recuperare a tutti i costi Slughorn...”
“Ma, sei pazzo? Se si rende
conto…”
“Immagina cosa succederebbe se
i Grifoni devastassero Serpeverde e Slughorn fosse ritrovato
nell’armadio… vai… prima che ci
espellano tutti!”
Mi diressi con Sam
all’appartamento di Slughorn, non avevo idea di come fare per
risvegliare lui e Pascal dalla pozione di Alecto e dagli incanti di
quegli altri due idioti, ma per lo meno dovevamo tirarli fuori
dall’armadio e riportarli nella sala da pranzo. In
questo modo saremmo stati solo
corresponsabili della loro sbornia, anche se forse Dumbledore avrebbe
capito anche tutto il resto. Sì, era proprio una
giornata
di merda… Sentivo i rumori sinistri provenire
dall’ingresso, qualcuno doveva aver fatto sapere ai Grifoni
della patetica idea di togliere di mezzo il tricheco, persino loro non
potevano essere tanto idioti da assaltarci con un professore in giro
per la Casa. D’altra parte, era nota a
tutti la passione per i cicchetti di Slughorn, e chiunque avrebbe
immaginato che quella sera avesse un’occasione ghiotta per
festeggiare.
Al diavolo…
Aiutato da Sam ricollocammo i due
professori nella sala da pranzo, coprendoli persino con un paio di
trapuntine, a indicare quanto ci fossimo presi cura di loro, prima di
andarcene, al termine della cena. Riorganizzai la scena della
tavola
imbandita, ma mi premunii di sostituire le bottiglie con altre
recuperate dalla cantinetta di Slughorn, sperando che non se ne
accorgesse: tutto pur di evitare che si ritrovassero tracce della
pozione di Alecto. Alla fine della messinscena, corremmo
via in tempo per vedere la porta saltare dietro il
“bombarda” e lo spettacolo indegno delle prime
serpi, allucinate da ogni genere di sostanza strana e dalle pesanti
libagioni, reagire all’assalto non con paura o
determinazione, ma con delle beote risate. Dovevo raggiungere
gli altri prima dei
Grifoni e portare in salvo mia sorella, non doveva nemmeno assistere
alla scena indecorosa che stava per scatenarsi… Non
che quello che vidi fosse tanto
meglio: trovai Lestrange in stato catatonico a bocca aperta e seminudo
sul tavolo con le sue amichette, semi svenute su di lui, Rosier in
mutande correva diretto alla stanza di Slughorn, cercando di mettere
una pezza ai danni che avevamo combinato. McNair,
l’unico che da solo
sarebbe stato in grado di tenere testa ad almeno un terzo degli
assalitori non dava cenno di essere nemmeno nei sotterranei. E
Malfoy… guardai con
disgusto verso la stanza del Caposcuola, ermeticamente chiusa sotto i
colpi disperati di Severus. Eravamo ufficialmente nei guai,
c’era
poco da fare, corsi verso Meissa, la costrinsi a darmi ascolto e le
intimai di scendere nei dormitori, e di non uscire per nessuna ragione,
lei naturalmente mi rise in faccia, dicendo che ero impazzito o brillo:
non si rendeva conto ancora che il fumo che saliva dalla porta
d’ingresso non era l’ennesimo “fuoco
sprizzallegro” sparato durante la nostra festa del piffero,
ma gli effetti degli incantesimi dei Grifoni.
“Per l’amor di
Merlino, devi andartene!”
Stavo riflettendo se schiantarla e
trascinarla di peso in camera mia e sprangare la porta, o mettermi in
ginocchio e pregarla di essere ragionevole per una volta, quando Snape
finalmente riuscì a farsi aprire da Lucius: Malfoy
uscì dalla sua stanza, inferocito e scarmigliato, la camicia
ancora appena sbottonata, gli occhi che promettevano
vendetta. Sorrisi tra me, tra tante sventure,
almeno una cosa buona c’era stata, quella sera: i suoi piani
di seduzione erano andati a monte ancora una volta.
“Ci stanno attaccando,
Lucius!”
Gli bastò darmi
un’occhiata per capire che Slughorn non era in condizioni di
far nulla, per merito nostro.
“Razza di piccoli
idioti….”
“Mi pare che facesse comodo
pure a te che fosse fuori dalle…”
Guardai con odio prima Lucius poi
Narcissa Black, che cercava di svicolare furtivamente dietro di lui,
come se passasse di lì per caso. Il suo sguardo colpevole si
posò sul mio, sicuramente sconvolto.
“Le ragazze dovrebbero andare
di sotto e chiudersi nei dormitori, dico bene, Malfoy?”
Lucius mi guardò e
annuì.
“Black, per favore, fa
scendere le più piccole di sotto, le altre, quelle ancora in
grado di lanciare incantesimi, invece ci servono
qui…”
Solo a quel punto Meissa capì
che quell’idiota di suo fratello per una volta stava facendo
la cosa giusta: mi lanciò uno sguardo spaventato e
colpevole, ma io non sapevo che farmene del suo
pentimento. Anche perché ormai non
c’era neppure più il tempo di muoversi di
lì: gli aggressori, che avevano finora trovato campo libero,
avendo incrociato solo ragazzini e matricole impauriti o in stato
catatonico, erano arrivati al centro della Sala. Gideon aveva
colpito Rabastan, ancora
incosciente, e si divertiva a far roteare per aria il suo corpo inerme,
Lucius cercò di mettere mano alla bacchetta, ma aveva anche
lui i riflessi intorpiditi dall’alcool, non riuscì
a spostarsi in tempo, lo vidi cadere ai miei piedi, svenuto da uno
schiantesimo ben assestato di Fabian. Vendetta personale. Mi
avrebbero braccato.
“Narcissa… ti prego
metti in salvo mia sorella! E tu… aiutami a tenerli a
bada… guarda come faccio io e ripeti!”
Sapevo che era sbagliato, che Narcissa
mi faceva più comodo accanto a me, per difendere tutta la
Casa, ma la mia famiglia veniva prima di tutto. E lei era
abbastanza spaventata da voler
scegliere la via più semplice. Per la seconda volta, quella
sera, mi
resi conto che stavo puntando tutto su un ragazzino
delletà di Meissa, ma quando fissai i miei occhi
in quelli di Severus Snape lessi tutto l’orgoglio che da
brava Serpe provava a essere lì, in quel momento, al mio
fianco. Tutto c’era in quello sguardo.
Tutto tranne la paura.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine:
non sono ancora riuscita a risalire alla fonte di questa
immagine
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