Penne 39
Capitolo
trentanovesimo
L'eccezione
e la regola
La
bussata di Hitoshi non ottenne risposta.
Il
ragazzo si guardò attorno nervosamente, cercando di evitare
gli Anbu
che fingevano di essere impegnati e in realtà se la ridevano
sotto i
baffi. Non riusciva a capire cosa ci fosse di tanto divertente, ma lo
irritavano per principio. Se non avesse saputo perché erano
lì
avrebbe attaccato briga.
Comunque
un Uchiha era un Uchiha, e non sarebbe rimasto a farsi prendere in
giro. Incurante della risposta oltre la porta, abbassò la
maniglia e
si intrufolò all'interno della stanza di Chiharu.
Ebbe
forse due secondi per osservarla prima che lei si girasse, ma
notò
molte cose: la curva della sua guancia era più spigolosa di
quanto
ricordasse, così come le spalle sotto la camicia da
ospedale. Il suo
colorito era più vicino al giallo che al bianco, e i
capelli,
raccolti in una coda molle, spettinati e opachi. Quando si
voltò
verso di lui, Hitoshi vide tutto il resto che c'era da vedere, la
conseguenza della solitudine e delle medicine: le labbra asciutte, le
palpebre gonfie, le minuscole rughe tra gli occhi, e gli occhi
stessi, che ci misero un po' a metterlo a fuoco. E allora Chiharu
sbatté le palpebre, al che Hitoshi provò un misto
di orgoglio e
offesa nel vedere che era assolutamente sorpresa dalla sua visita.
Non
si vedevano dalla missione di Loria, praticamente da quando avevano
passato la notte insieme. Trovandosela davanti senza essersi
preparato adeguatamente, subito avvertì sulle labbra la
sensazione
dei suoi baci, e questo abbassò di colpo il livello di
risentimento
nei suoi confronti.
«Hitoshi»
disse Chiharu, evidentemente a corto di parole.
«Chiharu»
rispose lui, con un cauto cenno del capo.
Sentendo
la sua voce lei si raddrizzò leggermente, avvertendo un
lungo
brivido lungo la colonna vertebrale: pochissimi minuti prima Akeru
era uscito da quella stessa stanza perché l'infermiera era
tornata
per l'iniezione. Se l'infermiera non fosse venuta, o se Hitoshi fosse
arrivato prima... Represse un brivido. Sperava che Hitoshi e Akeru
non si fossero incrociati lungo il corridoio.
«Non
sapevo che fossi in ospedale» disse Hitoshi, avvicinandosi.
«Sarei
venuto prima, altrimenti.»
Sarebbe
venuto all'istante, per essere precisi, andando contro tutti i
desideri e gli ordini di Sakura. A dire il vero nemmeno in quel
momento sarebbe dovuto essere lì. Sua madre era stata molto
chiara
al riguardo, e ripensandoci provò una piccola fitta di
inquietudine...
Mei
Lee gli aveva messo la pulce nell'orecchio dicendogli che Chiharu era
in ospedale, e lui aveva provato a cercarla chiedendo al personale.
Purtroppo non era riuscito a trovare nessuno che sapesse dove era la
ragazza, così, furioso, aveva deciso di cercare direttamente
sua
madre per avere spiegazioni.
«Hitoshi!
Stai male?» gli aveva chiesto lei vedendolo. Era nel suo
studio, e
lui per entrare aveva interrotto una piccola riunione.
«Perché
mi hai detto che Chiharu era a casa?» l'aveva aggredita,
senza darle
il tempo di capire che c'era da difendersi.
Sakura
si era fatta rigida. Con un'occhiata di intesa aveva congedato il
medico calvo con cui stava discutendo, e a quel punto aveva offerto a
Hitoshi una sedia.
«Non
voglio sedermi. Voglio sapere perché non mi hai detto che
Chiharu è
in ospedale!»
Sakura
aveva incrociato le braccia sul petto, assumendo la sua tipica posa
da madre inflessibile, ma Hitoshi aveva già deciso che non
sarebbe
servito a niente.
«Da
chi l'hai saputo?» chiese lei.
«Non
importa. Perché non me lo hai detto?»
«Non
ti ho detto che era in ospedale perché eri emotivamente
fragile
e...»
«Ero
cosa? Mi stai prendendo in giro? Mi hai fatto credere che stesse
bene, e invece adesso scopro che è ricoverata!»
«Ci
sono persone che si prendono cura di lei egregiamente.»
«Mamma!»
Sakura
aveva sbuffato. «Non pensare che abbia chiesto di te. Come al
solito, sta pensando solo a se stessa.»
«Ma
tu non avevi il diritto di nascondermi che...»
«Non
avevo il diritto di proteggere mio figlio da una stupida cotta
sbagliata?»
Hitoshi
era arrossito, poi però aveva alzato il mento.
«Sì, beh, è la mia
cotta. Non sono fatti tuoi!»
Sakura
gli aveva dato le spalle, una mano a nascondere le labbra come per
trattenersi dal parlare. Per un attimo Hitoshi aveva pensato di
andarsene sbattendo la porta, ma poi Sakura si era girata di nuovo e
aveva parlato.
«Sono
fatti miei, invece; perché sospetto che Chiharu sia
coinvolta in
qualche modo con Yoshi. E non posso permettere che mio figlio resti
invischiato nella faccenda.»
Hitoshi
ci aveva messo qualche secondo a capire cosa lei intendesse.
«Chiharu
una traditrice? Ma per favore!» aveva esclamato allora.
«Lavoro con
lei da cinque anni, e ti posso giurare su qualunque cosa che quella
ragazza non ha voglia nemmeno di fare il suo lavoro, figuriamoci il
doppiogioco!»
«Tu
hai una cotta per lei! Non vedresti il doppiogioco nemmeno se te lo
sbattesse in faccia.»
«Beh,
tu lo avevi visto con papà.»
Silenzio.
Sakura era impallidita.
Hitoshi
si era reso conto di essersi spinto troppo oltre, ma aveva deciso di
difendere comunque la sua linea. «Tu hai potuto scegliere
cosa fare
quando papà se ne è andato. Lascia scegliere a me
come comportarmi
con Chiharu.»
Sakura
si era presa qualche secondo per elaborare una risposta, poi aveva
distolto lo sguardo da quello del figlio.
«Va
bene» aveva detto, a fatica. «Mi dispiace di averlo
tenuto
nascosto» Hitoshi aveva annuito. «Però,
come Hokage, devo importi
di non dirle niente dei sospetti su lei e Yoshi. C'è
un'indagine in
corso. E' sotto sorveglianza.»
Hitoshi
aveva serrato le labbra. Era stato difficile promettere quello,
perché una parte di lui avrebbe voluto chiedere a Chiharu in
che
rapporti era precisamente con Yoshi, ma alla fine lo aveva fatto.
Non
voleva che sua madre pensasse che era un bambino.
«Mi
dispiace» borbottò, anche se non aveva colpa, e
tornò a
concentrarsi su Chiharu.
«Non
fa niente» disse lei, un po' irrigidita. E meno
male che non sei
venuto prima! «Come... Come stai?»
«Bene»
Hitoshi si sedette. La sedia era tornata subito fredda dopo che Akeru
se ne era andato. Non si accorse che l'aveva usata qualcun altro.
«Le
emicranie?»
«Una
ogni tanto... Ma adesso so perché vengono.»
«Kotaro
mi ha detto che hai una nuova tecnica.»
«Ah,
quindi è venuto a trovarti?»
Il
bastardo sapeva che era ricoverata! Altro che equilibrio e diritti...
«Quando
ha potuto è venuto, sì» disse Chiharu,
un po' perplessa.
Forse
mi porterà le arance in carcere,
aggiunse mentalmente, con una stretta allo stomaco.
Il
quadro che Akeru le aveva dipinto del suo prossimo futuro continuava
a ripresentarsi davanti agli occhi: Yoshi che faceva il suo nome, gli
interrogatori, la guerra... Non avrebbero mai, mai, mai creduto che
aveva solo fatto un errore. Avrebbero detto che era una traditrice.
«Mi
stai ascoltando?»
Chiharu
si riscosse e fissò Hitoshi.
Lui,
innervosito, si alzò dalla sedia. La aggirò, si
appoggiò allo
schienale, piegò la testa. La rialzò.
«Okay,
a cosa stai pensando?»
«A
niente.»
«No.
Stai pensando a qualcosa, non mi ascolti. Ti parlo del rin'negan e
non fai una piega: la Chiharu che conosco io mi avrebbe già
ucciso
con un paio di battute al vetriolo pur di sentirsi superiore.»
«Come
posso invidiarti per lo sharingan? Non lo avrò
mai.»
«Non
ho detto sharingan.»
Chiharu
chiuse la bocca, corrucciata.
«A
cosa stai pensando?» ripeté Hitoshi.
«A
me» cedette lei, con un sospiro.
Hitoshi
lasciò ricadere la testa, constatando amaramente che sua
madre aveva
ragione. Chiharu Nara pensava sempre prima a se stessa... Per un
attimo aveva sperato che fosse turbata dalla sua comparsa, invece non
le faceva caldo né freddo. «Non ci vediamo da
quella notte a Suna»
disse, senza guardarla. «A quella almeno hai
pensato?»
Chiharu
trattenne un gemito, limitandosi a una smorfia.
No,
okay, in quel momento non poteva proprio discutere di chi aveva fatto
cosa con chi. C'erano in ballo troppe cose importanti, c'era in ballo
la sua vita! E non avrebbe passato la prossima
mezzora a
spiegare a Hitoshi Uchiha che ora non poteva occuparsi dei suoi
ormoni.
Quindi,
come chiudere il discorso senza che lui si arrabbiasse e insistesse
per continuarlo?
«Hitoshi,
guardami un momento» disse. Lui lo fece. «Non sto
bene. C'è
stato... una specie di incidente, quando siamo tornati. E' per questo
che sono ancora qui; non so se l'hai saputo» Hitoshi si
accigliò.
«Secondo i medici devo abbandonare la carriera, o stavolta ci
lascio
davvero le penne.»
«Cosa?»
«Ti
chiedo davvero scusa, ma in questo momento non ho la testa di pensare
a qualunque cosa che non sia la mia salute. Mi dispiace.»
Hitoshi
la fissò, turbato, preoccupato. La vita di Chiharu era in
pericolo,
e proprio in un momento del genere sua madre sospettava che fosse una
traditrice... Doveva dirglielo. Non poteva lasciare che qualcuno
piombasse in camera e la portasse via per interrogarla, senza
preavviso, senza attenzione...
«Come
Hokage, devo importi di non dirle niente dei sospetti su lei e Yoshi.
C'è un'indagine in corso. E' sotto sorveglianza.»
Serrò
i pugni, costringendosi a tacere. Era un ordine dell'Hokage, e lui
era un aspirante Anbu... Non poteva, non poteva disobbedire, anche se
avrebbe voluto.
Chiharu
non è una traditrice, ricordò
a se stesso. I sospetti di mia madre
scompariranno presto.
«Io
potrei starti vicino» disse, in un borbottio quasi inaudibile.
«Lo
so» sospirò Chiharu. «Ma io non sarei di
gran compagnia. Ho
bisogno di tempo.»
Niente
sesso parte seconda, dunque.
Hitoshi
si tirò su dallo schienale della sedia, per andare a sedersi
sul
bordo del letto. Senza volerlo Chiharu si fece un po' indietro, in
atteggiamento difensivo.
«A
me sta bene» disse lui, cercando la mano con la sua.
«Solo... Ho
bisogno di sapere che lo stai dicendo perché hai davvero
bisogno di
tempo, e non perché stai pensando a te stessa e io sono solo
una
seccatura.»
Oh.
«Ti
ho detto che ho bisogno di tempo» ripeté Chiharu,
lasciando la mano
in quella di Hitoshi e sperando che lui non lo prendesse come una
dichiarazione. «Questa volta non è come cinque
anni fa, è più
complicata...»
Hitoshi
sospirò, un pochino risentito: perché Chiharu non
poteva essere
come le altre ragazze e appoggiarsi a lui nei momenti di
difficoltà?
«Ho
capito. Non insisto, non importa» le lasciò la
mano, lanciandole
uno sguardo di sbieco. «Spero solo che non sia una
scusa.»
Lei
inarcò le sopracciglia con espressione indignata.
Hitoshi
si rialzò dal letto e affondò le mani in tasca,
preda
dell'insoddisfazione. Cercò di dirsi che non poteva
pretendere di
più se le condizioni di salute di Chiharu erano
così critiche... Ma
aveva diciassette anni e una scarsa attitudine a preoccuparsi del
prossimo, quindi si sentiva raggirato.
La
guardò un'ultima volta, alla ricerca di qualche segno di
colpevolezza. Si chiese che cosa ci fosse stato davvero tra lei e
Yoshi, se sua madre sospettava perché erano stati in
atteggiamenti
intimi o per altro... Ma non poteva chiederglielo.
«Tornerò
a trovarti» promise.
«Grazie»
rispose lei, anche se il suo stomaco si contrasse sgradevolmente.
Hitoshi
annuì, senza sorridere, e andò verso la porta con
le spalle un po'
curve. Aveva già una mano sulla maniglia quando un pensiero
gli
attraversò la testa. Si girò un'ultima volta.
«Qualcuno
ti ha detto della Roccia?»
«Intendi
la dichiarazione di guerra?»
«Sì.
Sono stato convocato.»
Chiharu
socchiuse leggermente la bocca.
Come
cinque anni prima, i suoi compagni venivano chiamati a combattere e
lei restava in disparte. Non ci aveva pensato, quando Akeru le aveva
detto della guerra, ma davanti a Hitoshi la vecchia rivalità
tornava
a galla.
«Bene»
disse meccanicamente, perché doveva elaborare la cosa prima
di
esprimere un'opinione.
Sul
volto di Hitoshi passò un guizzo di irritazione.
«Bene? Ma certo.
Cos'altro dovrei aspettarmi da Chiharu Nara?»
Irritato,
aprì la porta e uscì sbattendosela alle spalle.
Chiharu
rimase confusa. Che diavolo avrebbe dovuto dire? Lei era incastrata
in un letto d'ospedale mentre tutti andavano sul campo, che cosa
voleva sentire Hitoshi?
Oh,
al diavolo!
Aveva
problemi molto più gravi da affrontare. Persino la guerra
passava in
secondo piano ora che Yoshi l'aveva tirata in ballo.
Il
suo stomaco si ribellò a quel pensiero, costringendola a
cambiare
soggetto: l'angoscia per le conseguenze che potevano venirne era
semplicemente troppa. Per un attimo desiderò che
né Hitoshi né
Baka fossero mai venuti a trovarla... Era tutto migliore quando
pensava solo a odiare il medico pelato. Adesso invece si sentiva
stupida, inutile e braccata, senza punti fermi: aveva sempre pensato
di essere un certo tipo di persona, aveva avuto delle certezze; ma
erano solo illusioni. Non era la kunoichi più forte del suo
anno,
non era nel gruppo dei migliori, non era la ragazza brillante che
aveva sempre creduto. E Baka, che doveva essere soltanto uno stupido,
le aveva aperto gli occhi, e lo aveva fatto senza la cattiveria che
si sarebbe aspettata da lui. Questo significava che non li invidiava
più, forse... che non ne vedeva più la ragione.
“Non
sottovalutare Baka, Chiharu. Potrebbe sorprenderti un giorno.”
“Lui?
Ahah, proprio no!”
Il
sesto Hokage glielo aveva anticipato, cinque anni prima, e lei non lo
aveva nemmeno ascoltato. Adesso aveva fatto la figura della stupida.
Cieca, stupida e arrogante.
Appoggiò
la fronte a una mano, ripiegandosi su sé stessa.
Stupido
Naruto, stupido gruppo sette, stupida lei e la sua
ingenuità, la sua
boria, la sua superficialità... Non aveva imparato niente da
suo
padre.
Stupida,
stupida, stupida!
Sakura
richiuse il fascicolo di Chiharu e si prese la testa tra le mani.
Non
c'era niente che potesse fare per quella ragazza: il suo cuore era
troppo compromesso e il sistema del chakra era usurato dal
superlavoro per compensare. Honmaru era stato chiaro, e di solito era
uno che ci pensava mille volte prima di dare una diagnosi definitiva.
Probabilmente avrebbero dovuto proibirle di tornare a essere ninja,
cinque anni prima, ma come potevano sapere che sarebbe stata tanto
incosciente?
E
dire che dovrebbe essere una Nara!
Si
lasciò la testa e appoggiò la schiena alla sedia,
incrociando le
braccia.
Era
un bel problema che Chiharu fosse tanto importante per Hitoshi...
Più
aveva a che fare con lei e più Sakura la prendeva in
antipatia.
Sapeva
che non era tutta colpa della ragazza: in lei rivedeva molti degli
atteggiamenti del Sasuke dodicenne, e guardando Hitoshi, pochi minuti
prima, aveva visto se stessa. Non voleva che suo figlio soffrisse
come aveva sofferto lei.
D'altronde
Sasuke si era preso le sue responsabilità, come avrebbe
dovuto fare
Chiharu... Invece lei non lo faceva. E di anni ne aveva diciotto, non
dodici, quindi era anche meno scusabile.
Spostò
il suo fascicolo sopra una pila di esami di altri pazienti,
sentendosi vagamente a disagio. Aveva l'impressione che il suo
atteggiamento verso Chiharu Nara le segnalasse qualcosa di poco
piacevole, tipo una faccenda in sospeso con Sasuke... Ma non poteva
permettersi di pensarlo; perché per Sasuke aveva sacrificato
tutto,
incluso Naruto, e se si faceva venire dei dubbi dopo sette figli e
trent'anni di abnegazione, allora poteva anche chiudere bottega e
ritirarsi a vivere nella chiocciola di Tsunade, sepolta nel profondo
della foresta.
Cosa
avrebbe dato per essere adattabile come Naruto, che invece era andato
oltre il tradimento di Sasuke, quello di Sakura e persino quella
brutta faccenda di suo padre... Non aveva mai capito come riuscisse,
ogni volta, a passare sopra a tutto. Doveva avere delle riserve
inesauribili.
Persino
adesso, se ne era uscito con l'idea di bloccare la guerra anche se di
fatto era già iniziata: aveva insistito per creare una
piccola task
force di ambasciatori da mandare nei Paesi confinanti, aveva voluto a
tutti i costi una dichiarazione ufficiale in cui la Foglia si
discolpava per il massacro di Anka, e aveva addirittura iniziato a
parlare di andare di persona dallo Tsuchikage per discutere
la
faccenda.
Bello,
eh. Molto da Naruto, molto ottimista. Ma assolutamente folle.
Eppure
ci credeva, e Sakura sapeva che Naruto riusciva sempre a fare quello
in cui credeva - aveva riportato a casa Sasuke, dopotutto.
Così
anche lei, nel profondo, aveva iniziato a sperare... Ma era difficile
andare contro la logica comune per seguire quella di Naruto.
E
comunque sarebbe molto meglio se Hitoshi non la seguisse, nel caso di
Chiharu,
ricordò a se stessa. Se solo avesse potuto fargli vedere a
cosa
andava incontro... Ma dirlo a Hitoshi era quasi come tradire Sasuke,
come ammettere che non lo aveva mai perdonato. Non poteva.
Fu
allora che l'argomento Chiharu si impose di nuovo alla sua
attenzione, questa volta nella figura di Baka Akeru che bussava alla
sua porta.
«Buongiorno.
Scusi il disturbo, è impegnata?»
Eccolo
qui, l'altro. Messo anche peggio di Hitoshi... Quasi quanto Naruto
era fissato con Sasuke, mi tocca ammettere.
«In
realtà in ospedale sono sempre impegnata»
sospirò, indicandogli la
sedia davanti alla scrivania. «E' una cosa veloce,
almeno?»
«Ehm...»
Akeru fece una smorfia, accomodandosi. «Non tanto.»
«E'
urgente?»
«Yoshi
ha fatto il nome di Chiharu.»
Silenzio.
Sakura
fissò Baka per un lungo istante, elaborando.
Lo
sapevo!, pensò una brutta parte del suo cervello. Non
è
possibile, pensò un'altra.
«In
che senso?» chiese cautamente. «Morino non ha
scritto niente nel
suo rapporto.»
«E'
successo mentre Morino non era presente.»
«Ti
ha lasciato solo con un prigioniero?» Sakura era allibita.
«Era
uscito per una boccata d'aria... Sarà stato via due minuti,
non è
che sono rimasto proprio...»
«No,
non sono arrabbiata: sono stupefatta!» questo poteva voler
dire
soltanto che a Morino Baka piaceva un sacco.
«Continua.»
«Morino
era uscito, e io ho curato Yoshi» riprese Akeru, giocando con
le
proprie dita. «Mentre lo curavo mi sono innervosito,
perché... Sa,
sono un ninja medico, e la tortura non... Va beh. Gli ho chiesto
perché diavolo non parlasse e basta; e lui mi ha detto che
se avesse
parlato Chiharu ci sarebbe andata di mezzo.»
«E
poi?»
«Poi
è tornato Morino, e non ha detto più
niente.»
«Perché
non lo hai riferito subito?»
Akeru
distolse lo sguardo, ritrovandosi ad arrossire suo malgrado.
«Che
te lo chiedo a fare?» mugugnò Sakura.
«Avrebbe più senso
chiederti perché me lo stai dicendo, invece di tenerlo per
te.»
A
quella domanda Akeru avrebbe potuto rispondere facilmente: glielo
stava dicendo perché era un Anbu, e in quanto Anbu aveva un
quadro
molto ben definito dei doveri di uno shinobi e di tutte le possibili
declinazioni del tradimento: non dire a Sakura che Yoshi aveva
nominato Chiharu era uno dei sottoparagrafi più gravi della
casistica, indipendentemente dal fatto che lui fosse convinto della
sua innocenza.
Per
quanto affezionato a lei, sapeva di non poter soprassedere su una
cosa tanto grave.
«Io
non credo che Chiharu abbia fatto qualcosa contro Konoha
intenzionalmente...» iniziò, chiedendosi se doveva
riferire di
averne parlato con la diretta interessata. «Piuttosto penso
che
Yoshi l'abbia usata in qualche modo, finendo per coinvolgerla nei
suoi piani.»
«Chiharu
non è una stupida. Non può non essersi accorta di
niente.»
Sì
invece. Purtroppo.
«Ma
Yoshi finora si è dimostrato molto abile... Se ha raggirato
noi...
cioè, voi, potrebbe aver raggirato anche lei.»
Sakura
sbuffò. «Smettila di provarci: sei troppo
coinvolto, vuoi vedere
solo le possibilità che la discolpano.»
«E
lei vuole vedere solo quelle che la incastrano.»
«Ne
deve passare di tempo, prima che mi offenda per il parere di un
ragazzino con la metà dei miei anni...»
Akeru
strinse le mani una all'altra.
Aveva
promesso a Chiharu che l'avrebbe aiutata, ma iniziava a pensare che
avrebbe dovuto parlare con Naruto, invece che con Sakura. Credeva che
lei sarebbe stata più ragionevole, ma iniziava a pensare di
aver
preso una cantonata. Rischiava di finire in tragedia.
«Dovrebbe
chiedere il parere di Naruto prima di decidere, credo. L'Hokage
è
lui» tentò di suggerire.
Sakura
corrugò la fronte e si morse la lingua per non sbottare. Se
lo
immaginava proprio Naruto che affrontava la cosa razionalmente e
prendeva le misure per gestirla... Come minimo sarebbe piombato nella
stanza di Chiharu per parlarle e ne sarebbe uscito
per
convincere il Consiglio che era tutto un suo piano per carpire
informazioni a Yoshi. Neanche se Chiharu avesse provato ad ucciderlo
avrebbe smesso di credere nella sua lealtà. Dopotutto lo
aveva già
fatto una volta. Era ingenuo, Naruto, un po' troppo ingenuo.
«Basta»
disse Sakura. «Hai fatto il tuo dovere riferendo quello che
hai
scoperto, da qui in poi la cosa non ti riguarda. Considerati
fortunato perché sto soprassedendo sul ritardo con cui sei
venuto a
fare rapporto, ma non tirare la corda più di
così.»
«Non
voglio tirare la corda, sto solo dicendo che potrebbero esserci mille
ragioni per cui Yoshi ha fatto il nome di Chiharu!»
insisté Akeru.
«Potrebbe anche essere stato un tentativo per confondermi. Lo
ha
detto solo a me, non a Morino: sapeva che così mi avrebbe
mandato in
tilt.»
«Oppure
lo ha detto a te perché pensava che per proteggere lei
avresti dato
una mano a lui.»
«Io
sono un Anbu. Soltanto un cretino avrebbe pensato che un Anbu potesse
comportarsi così, e Yoshi per ora sembra tutto
fuorché un cretino.»
A
quel punto Sakura esplose. «Per tutti gli dei, lascia perdere
quella
ragazza! Tutto quello che ho sentito uscire dalla tua bocca fino ad
ora è in sua difesa! Se tu fossi un Anbu come si deve ti
sarebbe
almeno venuto un dubbio.»
«Essere
un bravo shinobi quindi vuol dire dubitare dei compagni?»
esclamò
Akeru, furioso.
Sakura
si bloccò per un istante.
Oh,
questo sì che era in pieno stile Naruto... Come tanti anni
prima,
quando tutti gli dicevano di lasciar perdere Sasuke e lui, invece, le
aveva promesso che lo avrebbe riportato indietro...
Già,
e poi come era finito Naruto grazie al ritorno di Sasuke?
L'espressione
di Sakura si addolcì leggermente. «Non rovinarti
la vita per
qualcuno che non farebbe la stessa cosa per te» disse in tono
più
gentile.
«Proprio
lei me lo dice?» ribatté lui, quasi accusatorio.
«Esatto.
Te lo dico proprio perché sono io. La mia storia
è l'eccezione, non
la regola» Sakura sbuffò. «E vorrei
tanto che tu e mio figlio lo
capiste, invece di affannarvi dietro a Chiharu Nara.»
Akeru
rimase corrucciato, senza rispondere.
«Ascolta,
voglio concederti un minimo di fiducia» riprese Sakura,
mettendo da
parte il tono confidenziale. «Hai ragione quando dici che
Yoshi
potrebbe averla coinvolta con qualche obiettivo... Voglio vedere come
si evolve la situazione. Le permetteremo di tornare a casa,
ovviamente sotto sorveglianza. Le faremo sapere che Yoshi è
stato
catturato e osserveremo le sue reazioni. Tu non hai detto a nessun
altro quello che hai detto a me, vero?»
Akeru
deglutì.
«Hai
rispettato il mio divieto a incontrare Chiharu, vero?»
insisté Sakura.
«Naturalmente!»
esclamò lui, sudando copiosamente. Per fortuna tra gli Anbu
aveva
molti amici, e poteva essere sicuro che non lo avrebbero tradito.
«Bene.
Perché se sapesse già di Yoshi tutto il mio piano
non servirebbe a
niente.»
Lo
stomaco di Akeru si strizzò in una morsa di senso di colpa.
Si
augurò che la futura sorveglianza di Chiharu fosse molto
abile.
«Adesso
vai, devo preparare un po' di cose prima di dire a Chiharu che
può
tornare a casa» lo congedò Sakura a quel punto.
Akeru
si rialzò dalla sedia con le gambe che tremavano
leggermente. Forse
era riuscito a fare qualcosa per aiutarla, dopotutto... Da
lì in poi
la faccenda era nelle mani di Chiharu.
«Cosa
devo fare con Yoshi e Morino?» domandò esitante.
«Cerca
di restare di nuovo solo con Yoshi e scopri qualcosa in più.
Non
dire niente a Morino... Se capisce che Yoshi nasconde qualcosa lo
ammazza davvero.»
Quella
sì che era una bella responsabilità. Akeru
raddrizzò le spalle e
si inchinò in segno di ringraziamento.
«Un'ultima
cosa...» aggiunse a testa bassa. «Quando Chiharu
sarà a casa potrò
incontrarla?»
Sakura
roteò gli occhi. Questa cosa stava diventando snervante.
«Dipenderà
da quello che dirà o non dirà Yoshi»
gli concesse.
Akeru
si tirò su sorridendo. «Mi basta.»
Sakura
scrollò le spalle, quasi rassegnata. Trovava che Akeru fosse
un
ragazzo in gamba, un buon medico e un ottimo shinobi...
finché non
si parlava di Chiharu. Naruto aveva ragione a dire che il problema di
Baka era lei: se Chiharu non fosse stata nei dintorni, Akeru sarebbe
già stato uno dei membri di punta del Villaggio.
«Non
sarai mai più importante delle sue ragioni
personali» mormorò.
Akeru
non rispose. La salutò cortesemente e se ne andò
senza aggiungere
altro.
Sakura
riprese il fascicolo di Chiharu, sfogliandolo distrattamente mentre
si toglieva dalla testa i residui della conversazione con Baka.
Quanto era difficile tenere a bada i paragoni con le vicende di
vent'anni prima!
Scosse
la testa per concentrarsi. Come fare per tenere Chiharu sotto
controllo a casa, senza togliere elementi importanti alle squadre di
Konoha? Chi poteva metterle alle costole?
Qualcuno
bussò alla porta che Akeru aveva lasciato aperta,
spingendola ad
alzare lo sguardo.
«Sei
impegnata?» chiese Sasuke, facendo un passo nella stanza.
«Naruto
sta progettando il suo viaggio dallo Tsuchikage per fermare la
guerra... Prova a fermarlo tu, perché io sto per
ammazzarlo»
mugugnò irritato.
E,
guardandolo, Sakura capì chi poteva mettere a sorvegliare
Chiharu.
Shikaku
aveva raggiunto il limite.
Ormai
era in ospedale da giorni, ma ancora non aveva potuto sapere cosa
aveva di preciso sua nipote: il personale non scuciva mezza
informazione, lei men che meno; tutti non facevano che ripetergli che
erano dati riservati. Aveva provato a comunicare con Shikamaru, ma
anche lì i suoi messaggi erano tornati indietro con la
dicitura
rispedito al mittente, e allora aveva capito che non
sarebbe
andato da nessuna parte.
Adesso
però era stufo.
«Spiegami
perché le notizie sulla tua salute sono improvvisamente
materiale
top secret» sbottò, in piedi
accanto al letto di Chiharu.
Lei
roteò gli occhi e li fissò fuori dalla finestra.
«Se
non me lo dici chiamo Inoichi Yamanaka e glielo faccio scoprire con
la forza.»
Questa
volta Chiharu lo guardò malissimo. Il che non ebbe
assolutamente
nessun effetto. Allora sospirò, fissò tutte la
pareti della stanza,
e alla fine tornò a lui.
«Perché
ho diciotto anni e ho firmato un foglio che mi permette di decidere a
chi dire cosa» sbottò.
«Va
bene. Chiamo Inoichi.»
«Non
puoi!» abbaiò Chiharu, ma Shikaku già
era lanciato verso la porta
e aveva abbassato la maniglia...
Per
trovarsi davanti Sakura.
«Buongiorno,
Shikaku» disse lei, inarcando un sopracciglio di fronte alla
sua
espressione corrucciata.
Lui
si limitò a un cenno del capo. «Sakura»
borbottò, facendo un
passo indietro.
Chiharu
trasalì capendo chi stava per entrare.
Fu
assalita dalla nausea: Sakura aveva saputo di Yoshi? Akeru era stato
scoperto? La sua vita stava per finire in una cella nei seminterrati
di Konoha? Lanciò un'occhiata spaventata al nonno, che non
la
comprese, e poi si domandò quante possibilità
avesse di cavarsela
se tentava la fuga dalla finestra.
«Scusate
il disturbo» disse Sakura, entrando nella stanza a passo
deciso.
Passò lo sguardo da Shikaku a Chiharu e viceversa, poi si
voltò
verso la donna che l'accompagnava, e che era subito dietro di lei.
Trattenne una smorfia di disappunto. «Shikaku, posso
chiederti di
uscire?»
«Preferirei
restare» tentò lui, gli angoli della bocca rivolti
verso il basso.
«Questo
va contro le volontà di Chiharu...»
«Nonno,
per favore esci» intervenne subito lei. Se Sakura doveva
accusarla
di tradimento non voleva che succedesse di fronte a lui.
Shikaku
non la prese bene, ma negli ultimi tempo tutti non facevano che
congedarlo quando si trattava di Chiharu; così represse le
polemiche, si costrinse a un respiro profondo e fece un inchino un
po' rigido. «Aspetterò fuori.»
Sakura
attese che il vecchio uscisse, poi la donna che era con lei chiuse la
porta e si mise al suo fianco. Chiharu la squadrò vagamente,
ma era
troppo spaventata per ragionare.
«Puoi
tornare a casa.»
Il
ronzio nelle orecchie di Chiharu divenne un fischio.
«Cosa?»
alitò.
«Puoi
tornare a casa» ripeté Sakura. «Mi sono
consultata con il medico
che si occupa del tuo caso, e insieme abbiamo pensato che saresti
stata contenta di uscire di qui.»
«Perché?
Non stavo morendo?» Chiharu sentì tutti i peli sul
suo corpo
rizzarsi per la diffidenza.
«Non
sei guarita miracolosamente, se è questo che intendi. Ma non
abbiamo
nemmeno ragioni per tenerti ricoverata, e crediamo che tornando a
casa la tua salute mentale sarà un po' meno
precaria.»
L'istinto
di Chiharu sarebbe stato di ribattere acidamente, ma qualcosa la
spinse alla cautela. Era strano che allentassero la sorveglianza, se
Akeru credeva che la sospettassero...
«E
se stessi male?» indagò.
Sakura
sorrise, accennando alla donna al suo fianco. «Questa
è Fay. E' una
tirocinante del dottor Senju, e ha cortesemente accettato di restare
accanto a te per i primi tempi... Come misura preventiva. Sempre che
tu voglia tornare a casa tua e non preferisca invece andare da tuo
nonno.»
Finalmente
Chiharu prestò attenzione alla donna che era entrata con
Sakura: era
una bella donna, con lunghi ricci scuri e le labbra carnose. Ma di
sicuro non aveva l'aria del medico.
Una
guardia,
realizzò.
«Ovviamente
non andrò da mio nonno» disse tra i denti
– prima o poi sarebbe
diventato impossibile tenere tutto nascosto.
Sakura
represse un sorriso di trionfo: la pagliacciata della privacy alla
fine le era tornata utile, non poté fare a meno di notare.
Si limitò
ad annuire, guardando poi Fay.
«La
accompagnerai in ospedale per tutti gli esami e prenderai i parametri
ogni giorno, come accordi.»
Fay
annuì. Nonostante l'espressione neutra era evidentemente
poco
entusiasta dell'incarico, ma per qualche ragione non aveva potuto
opporsi. Chiharu sperò che significasse che l'avrebbe
ignorata per
la maggior parte del tempo, ma capì subito che non
l'avrebbero mai
messa in mano a un'imbecille.
«La
tua sospensione rimane confermata» continuò Sakura
rivolta a lei.
«Naruto lo ha deciso perché è un
impulsivo, ma con la tua cartella
clinica è l'unica soluzione sensata.»
Che
coincidenza, vero?,
pensò Chiharu, stringendo involontariamente il lenzuolo con
la mano.
Sakura
dovette accorgersene, perché un muscolo sulla sua guancia
ebbe un
guizzo e oltrepassò i suoi sforzi per mantenersi neutrale.
«Ogni
azione ha delle conseguenze» disse in tono più
duro, pensando a
Yoshi, ma la rigirò sul piano medico. «Avresti
dovuto pensarci
prima di ignorare le tue condizioni di salute.»
Chiharu
si morse la lingua per non insultarla. «E Baka?»
chiese invece. «Le
sue conseguenze per avermi aiutato?»
«Per
tua e sua fortuna in questo momento non possiamo fare a meno di
nessun membro utile... La sua punizione è stata
rimandata.»
Chiharu
annuì, intimamente sollevata, e si accorse che per tutto il
tempo
aveva tenuto la schiena così rigida che ora le doleva tra le
scapole. Si lasciò andare contro i cuscini.
«Bene,
faccio rientrare Shikaku» concluse Sakura. «Fay ti
accompagnerà a
casa non appena avrai raccolto le tue cose.»
Chiharu
chiuse gli occhi.
«Vedi
ancora il fumo?»
Un
ciuffo di capelli di un rosa improponibile spuntava tra gli aghi del
pino più alto di Konoha, ondeggiando dolcemente al vento del
tardo
mattino.
«Neanche
un filo!» esclamò Itachi, abbarbicato su un ramo
tanto sottile da
piegarsi sotto il suo scarso peso.
«Allora
vieni giù!» piagnucolò Minato.
Itachi
scese dall’albero con l’agilità di un
gatto, e balzò a terra
davanti ai compagni come se fosse nato tra le liane.
«Sei
solo più fortunato...» bofonchiò il
giovane Uzumaki, scalciando un
sasso con rabbia. «Potevo arrivarci anche io
lassù!»
La
bambina che era con loro sbadigliò e si
stropicciò la pancia
mugolando. «Adesso possiamo andare a mangiare?»
«No!
Adesso scopriamo cosa è successo!»
sbottò Minato con foga, alzando
un pugno verso il cielo.
Itachi
sbuffò e distolse lo sguardo, grattandosi il collo.
Visti
dall’esterno i tre erano davvero un bizzarro assortimento:
Minato,
con i vestiti sporchi e i capelli in disordine, sembrava appena
uscito da una lotta nel fango; Itachi, immacolato come appena alzato,
si era visto rifilare dalla madre una maglietta arancione che
strideva con i capelli rosa in maniera quasi imbarazzante; Chomi,
degna figlia di Ino, portava un enorme fiocco azzurro tra i capelli,
ma considerata la stazza ricordava pesantemente un uovo di Pasqua. Se
un adulto si fosse affacciato a una finestra e avesse visto il
misterioso conciliabolo, davvero non sarebbe riuscito a intuirne la
ragione.
In
verità era molto semplice; e traeva la sua origine
– com’era
ovvio – da Minato Uzumaki. Alcuni minuti prima infatti,
Itachi era
stato bruscamente distratto dallo studio da sassi tirati contro il
suo vetro con forza poco meno sufficiente a spaccarlo; imbestialito,
aveva costruito mentalmente un rimprovero con i fiocchi, ma non aveva
fatto in tempo ad affacciarsi sul giardino che Minato lo aveva
afferrato per il colletto e lo aveva trascinato in strada, blaterando
qualcosa su una colonna di fumo dalla foresta.
«Dobbiamo
scoprire cosa è successo!» sosteneva entusiasta; e
Itachi non era
riuscito a bloccarlo.
Com’era
prevedibile, il giovane Uzumaki aveva giudicato imprescindibile la
presenza del terzo membro del loro gruppo, Chomi, ed era andato a
tirare fuori di casa anche lei. Poi li aveva fatti correre come degli
scemi fino all’albero più alto del villaggio e
aveva tentato di
arrampicarsi sul pino, finendo immancabilmente con il sedere a terra.
Itachi si era offerto di sostituirlo per risparmiargli
l’umiliazione,
ma il degno figlio di Naruto si era intestardito, allora se
l’erano
giocata con una sfida, e insomma... la maglietta si era ridotta a uno
straccio e Itachi aveva vinto sette incontri di fila.
«Per
me te lo sei sognato» disse Chomi, frugando nelle tasche in
cerca di
una caramella.
«Figurati
se mi sogno una roba del genere!» protestò Minato,
furioso.
«Anche
se fosse, ci sono gli shinobi seri per queste cose»
constatò Itachi
pragmaticamente.
Minato
gonfiò le guance oltraggiato. Quei due non avevano il minimo
spirito
d'avventura! Era quasi avvilente giocare con loro. Ma lui era
assolutamente certo di aver visto del fumo nella foresta, una bella
colonna nera che saliva verso il cielo, e per questo non aveva
intenzione di mollare l'osso.
«Andiamo
a indagare?» propose tutto fiero.
«Neanche
per sogno» sospirò Itachi.
«Allora
ti obbligherò a farlo!» Minato si esibì
in un ghigno
spaventosamente simile a quello del padre, e con espressione tronfia
assunse la posa da combattimento di Naruto. «Ora vi
mostrerò la mia
nuova, strabiliante tecnica ninja!»
Chomi
e Itachi lo fissarono in tralice: da un paio di mesi il loro giovane
e sciocco amico era ossessionato dall’esame
d’ammissione
all’Accademia, il che si traduceva in giornate passate a
ideare
allenamenti ninja e cercare di coinvolgere anche loro. A Chomi la
faccenda era indifferente – lei stava da una parte e
sgranocchiava
patatine – ma per Itachi era la seconda sessione della
tortura dopo
gli allenamenti con il padre.
«Micchan,
tu non sai
raccogliere il chakra» sbuffò Chomi indispettita.
«Smettila di
fare lo scemo e andiamo a pranzo!»
«Certo
che so raccoglierlo! Mia sorella mi ha insegnato!»
Bugia
spudorata: Hinagiku lo aveva schernito per venti minuti, il giorno in
cui l’aveva scoperto a provarci. Ma Minato era un tipo
cocciuto,
ancor più cocciuto del padre: unì le mani sotto
il mento, serrò i
denti da latte fino a sentirli scricchiolare, e imitò
l’urlo
paterno di concentrazione.
Itachi
e Chomi non fecero una piega: attorno al bambino non si muoveva una
foglia.
«Lascia
perdere... Te lo insegnano all’Accademia»
sbuffò Itachi annoiato.
Lui il chakra lo sapeva già raccogliere, grazie a Sasuke, ma
non gli
sembrava nulla di straordinario – e di certo non avrebbe
commesso
l’errore di dirlo in quel momento.
«Invece
io ti dico che lo
so fare!» gridò
Minato.
E
fu anche l’ultima cosa che disse: un secondo dopo divenne
bianco
come cenere, gli occhi gli si rovesciarono dietro le palpebre e le
sue gambe cedettero di schianto, facendolo piombare con la faccia
nella polvere.
«Micchan!
Micchan!» gridarono Itachi e Chomi, correndo a scuoterlo
spaventati.
Pallidi quanto lui, lo girarono sulla schiena e lo schiaffeggiarono.
Qualcosa
piombò dall’alto, balzato giù dal tetto
più vicino. I due
bambini nemmeno lo notarono, ma l'anziano Naruto-gatto
zampettò
silenzioso fino al corpo di Minato, lo annusò con
delicatezza, e poi
guardò verso il cielo, in un’imitazione
terribilmente realistica
di essere umano.
«C’è-c’è
un gatto...» balbettò Chomi, le guance piene ormai
rigate di
lacrime. «E’ venuto a portare via la sua
anima?»
«Non
è mica morto!» ribatté Itachi con la
voce strozzata. «Respira
ancora... Vero che respira?»
Si
chinò in fretta sul suo viso, e con orrore si accorse che il
filo
d’aria che usciva dalla bocca di Minato era terribilmente
fievole.
«Dobbiamo
chiamare aiuto!» ansimò, schizzando in piedi.
I
baffi del gatto vibrarono, mentre posava gli occhi azzurri sul
bambino. In quel momento Minato tornò alla vita, ingoiando
aria come
un affogato.
«Micchan!»
gridò Chomi, strattonando la maglietta fino a strapparla
sulle
cuciture. «Sei vivo?»
Il
bambino tossì, allontanando la sua mano, e si
tirò a sedere
faticosamente.
«Cosa...
Cosa è successo?» ansimò, gli occhi
umidi di lacrime. «Male... La
gola mi fa male...»
«Sembravi
morto!» singhiozzò Chomi, asciugandosi il naso con
la manica. «Sei
caduto giù e sembravi morto!»
Minato
si guardò le mani, premute a terra; tremavano. Non capiva
cosa fosse
successo, ma si sentiva la testa leggera e allo stesso tempo
pesantissima... Come se per un attimo fosse stata sul punto di andare
altrove,
e all’ultimo istante fosse piombata bruscamente indietro.
«Stai
bene?» chiese Itachi con un filo di voce, bianco quasi quanto
lui.
«Ora
sì...» mormorò Minato.
Le
imposte di una casa si aprirono sbatacchiando, e la testa di un uomo
si affacciò sulla strada.
«Bambini!
Che avete da urlare?» chiamò, evidentemente
irritato ma anche un
filino ansioso.
«Ci
scusi!» rispose pronto Itachi, tirando in piedi Minato.
«Ci scusi,
noi...»
«Ci
scusi!» strillò Chomi, e tenendo Minato per le
braccia insieme a
Itachi corse via come una furia.
L’uomo
alla finestra richiuse le imposte borbottando contro i genitori
moderni.
Naruto-gatto,
quasi invisibile, zampettò via facendo ondeggiare la coda in
un
ombra simile a un serpente.
Mentre
si allontanavano dalla zona con il fiatone, Itachi e Chomi furono
costretti a promettere malvolentieri di non dire ad anima viva quello
che era successo.
Nella
foresta, dove la colonna di fumo vista da Minato era salita verso il
cielo, una squadra Anbu osservava i resti di un falò deserto
chiedendosi cosa diavolo fosse.
Nessuno
di loro l’aveva ancora capito,
ma
quella mattina di stravolgimenti avrebbe segnato l’inizio
della
fine.
Il
tempo è giunto.
* * *
E... BAM!
Siamo entrati nell'ultima fase della storia.
Più o meno. Quasi, diciamo.
Perdonate il ritardo nell'aggiornamento,
ma la mia vita è tornata frenetica e stancante.
So che è stato orribile tardare dopo il cliffhanger della
volta scorsa, ma siate buoni!
In più non ho pronto assolutamente niente del prossimo
capitolo,
però spero di avere un'ispirazione fulminante nei prossimi
giorni.
Lo spero intensamente.
Che dire a questo punto?
...Che spesso voi lettori leggete prima questo angolino che il capitolo.
Quindi niente anticipazioni.
Mi sono anche dimenticata di preparare i disegni dei mocciosi che avevo
promesso,
il che mi rende veramente una persona inutile, ecco.
Giuro che provo ad averli scannerizzati per la prossima volta!
Grazie a voi che siete ancora qui
nonostante la mia scarsa affidabilità.
Siete sempre il mio pilastro!
A presto!
Susanna
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