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Autore: _ayachan_    09/10/2016    3 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 39
Capitolo trentanovesimo

L'eccezione e la regola




La bussata di Hitoshi non ottenne risposta.
Il ragazzo si guardò attorno nervosamente, cercando di evitare gli Anbu che fingevano di essere impegnati e in realtà se la ridevano sotto i baffi. Non riusciva a capire cosa ci fosse di tanto divertente, ma lo irritavano per principio. Se non avesse saputo perché erano lì avrebbe attaccato briga.
Comunque un Uchiha era un Uchiha, e non sarebbe rimasto a farsi prendere in giro. Incurante della risposta oltre la porta, abbassò la maniglia e si intrufolò all'interno della stanza di Chiharu.
Ebbe forse due secondi per osservarla prima che lei si girasse, ma notò molte cose: la curva della sua guancia era più spigolosa di quanto ricordasse, così come le spalle sotto la camicia da ospedale. Il suo colorito era più vicino al giallo che al bianco, e i capelli, raccolti in una coda molle, spettinati e opachi. Quando si voltò verso di lui, Hitoshi vide tutto il resto che c'era da vedere, la conseguenza della solitudine e delle medicine: le labbra asciutte, le palpebre gonfie, le minuscole rughe tra gli occhi, e gli occhi stessi, che ci misero un po' a metterlo a fuoco. E allora Chiharu sbatté le palpebre, al che Hitoshi provò un misto di orgoglio e offesa nel vedere che era assolutamente sorpresa dalla sua visita.
Non si vedevano dalla missione di Loria, praticamente da quando avevano passato la notte insieme. Trovandosela davanti senza essersi preparato adeguatamente, subito avvertì sulle labbra la sensazione dei suoi baci, e questo abbassò di colpo il livello di risentimento nei suoi confronti.
«Hitoshi» disse Chiharu, evidentemente a corto di parole.
«Chiharu» rispose lui, con un cauto cenno del capo.
Sentendo la sua voce lei si raddrizzò leggermente, avvertendo un lungo brivido lungo la colonna vertebrale: pochissimi minuti prima Akeru era uscito da quella stessa stanza perché l'infermiera era tornata per l'iniezione. Se l'infermiera non fosse venuta, o se Hitoshi fosse arrivato prima... Represse un brivido. Sperava che Hitoshi e Akeru non si fossero incrociati lungo il corridoio.
«Non sapevo che fossi in ospedale» disse Hitoshi, avvicinandosi. «Sarei venuto prima, altrimenti.»
Sarebbe venuto all'istante, per essere precisi, andando contro tutti i desideri e gli ordini di Sakura. A dire il vero nemmeno in quel momento sarebbe dovuto essere lì. Sua madre era stata molto chiara al riguardo, e ripensandoci provò una piccola fitta di inquietudine...

Mei Lee gli aveva messo la pulce nell'orecchio dicendogli che Chiharu era in ospedale, e lui aveva provato a cercarla chiedendo al personale. Purtroppo non era riuscito a trovare nessuno che sapesse dove era la ragazza, così, furioso, aveva deciso di cercare direttamente sua madre per avere spiegazioni.
«Hitoshi! Stai male?» gli aveva chiesto lei vedendolo. Era nel suo studio, e lui per entrare aveva interrotto una piccola riunione.
«Perché mi hai detto che Chiharu era a casa?» l'aveva aggredita, senza darle il tempo di capire che c'era da difendersi.
Sakura si era fatta rigida. Con un'occhiata di intesa aveva congedato il medico calvo con cui stava discutendo, e a quel punto aveva offerto a Hitoshi una sedia.
«Non voglio sedermi. Voglio sapere perché non mi hai detto che Chiharu è in ospedale!»
Sakura aveva incrociato le braccia sul petto, assumendo la sua tipica posa da madre inflessibile, ma Hitoshi aveva già deciso che non sarebbe servito a niente.
«Da chi l'hai saputo?» chiese lei.
«Non importa. Perché non me lo hai detto?»
«Non ti ho detto che era in ospedale perché eri emotivamente fragile e...»
«Ero cosa? Mi stai prendendo in giro? Mi hai fatto credere che stesse bene, e invece adesso scopro che è ricoverata!»
«Ci sono persone che si prendono cura di lei egregiamente.»
«Mamma!»
Sakura aveva sbuffato. «Non pensare che abbia chiesto di te. Come al solito, sta pensando solo a se stessa.»
«Ma tu non avevi il diritto di nascondermi che...»
«Non avevo il diritto di proteggere mio figlio da una stupida cotta sbagliata?»
Hitoshi era arrossito, poi però aveva alzato il mento. «Sì, beh, è la mia cotta. Non sono fatti tuoi!»
Sakura gli aveva dato le spalle, una mano a nascondere le labbra come per trattenersi dal parlare. Per un attimo Hitoshi aveva pensato di andarsene sbattendo la porta, ma poi Sakura si era girata di nuovo e aveva parlato.
«Sono fatti miei, invece; perché sospetto che Chiharu sia coinvolta in qualche modo con Yoshi. E non posso permettere che mio figlio resti invischiato nella faccenda.»
Hitoshi ci aveva messo qualche secondo a capire cosa lei intendesse.
«Chiharu una traditrice? Ma per favore!» aveva esclamato allora. «Lavoro con lei da cinque anni, e ti posso giurare su qualunque cosa che quella ragazza non ha voglia nemmeno di fare il suo lavoro, figuriamoci il doppiogioco!»
«Tu hai una cotta per lei! Non vedresti il doppiogioco nemmeno se te lo sbattesse in faccia.»
«Beh, tu lo avevi visto con papà.»
Silenzio. Sakura era impallidita.
Hitoshi si era reso conto di essersi spinto troppo oltre, ma aveva deciso di difendere comunque la sua linea. «Tu hai potuto scegliere cosa fare quando papà se ne è andato. Lascia scegliere a me come comportarmi con Chiharu.»
Sakura si era presa qualche secondo per elaborare una risposta, poi aveva distolto lo sguardo da quello del figlio.
«Va bene» aveva detto, a fatica. «Mi dispiace di averlo tenuto nascosto» Hitoshi aveva annuito. «Però, come Hokage, devo importi di non dirle niente dei sospetti su lei e Yoshi. C'è un'indagine in corso. E' sotto sorveglianza.»
Hitoshi aveva serrato le labbra. Era stato difficile promettere quello, perché una parte di lui avrebbe voluto chiedere a Chiharu in che rapporti era precisamente con Yoshi, ma alla fine lo aveva fatto.
Non voleva che sua madre pensasse che era un bambino.

«Mi dispiace» borbottò, anche se non aveva colpa, e tornò a concentrarsi su Chiharu.
«Non fa niente» disse lei, un po' irrigidita. E meno male che non sei venuto prima! «Come... Come stai?»
«Bene» Hitoshi si sedette. La sedia era tornata subito fredda dopo che Akeru se ne era andato. Non si accorse che l'aveva usata qualcun altro.
«Le emicranie?»
«Una ogni tanto... Ma adesso so perché vengono.»
«Kotaro mi ha detto che hai una nuova tecnica.»
«Ah, quindi è venuto a trovarti?»
Il bastardo sapeva che era ricoverata! Altro che equilibrio e diritti...
«Quando ha potuto è venuto, sì» disse Chiharu, un po' perplessa.
Forse mi porterà le arance in carcere, aggiunse mentalmente, con una stretta allo stomaco.
Il quadro che Akeru le aveva dipinto del suo prossimo futuro continuava a ripresentarsi davanti agli occhi: Yoshi che faceva il suo nome, gli interrogatori, la guerra... Non avrebbero mai, mai, mai creduto che aveva solo fatto un errore. Avrebbero detto che era una traditrice.
«Mi stai ascoltando?»
Chiharu si riscosse e fissò Hitoshi.
Lui, innervosito, si alzò dalla sedia. La aggirò, si appoggiò allo schienale, piegò la testa. La rialzò.
«Okay, a cosa stai pensando?»
«A niente.»
«No. Stai pensando a qualcosa, non mi ascolti. Ti parlo del rin'negan e non fai una piega: la Chiharu che conosco io mi avrebbe già ucciso con un paio di battute al vetriolo pur di sentirsi superiore.»
«Come posso invidiarti per lo sharingan? Non lo avrò mai.»
«Non ho detto sharingan.»
Chiharu chiuse la bocca, corrucciata.
«A cosa stai pensando?» ripeté Hitoshi.
«A me» cedette lei, con un sospiro.
Hitoshi lasciò ricadere la testa, constatando amaramente che sua madre aveva ragione. Chiharu Nara pensava sempre prima a se stessa... Per un attimo aveva sperato che fosse turbata dalla sua comparsa, invece non le faceva caldo né freddo. «Non ci vediamo da quella notte a Suna» disse, senza guardarla. «A quella almeno hai pensato?»
Chiharu trattenne un gemito, limitandosi a una smorfia.
No, okay, in quel momento non poteva proprio discutere di chi aveva fatto cosa con chi. C'erano in ballo troppe cose importanti, c'era in ballo la sua vita! E non avrebbe passato la prossima mezzora a spiegare a Hitoshi Uchiha che ora non poteva occuparsi dei suoi ormoni.
Quindi, come chiudere il discorso senza che lui si arrabbiasse e insistesse per continuarlo?
«Hitoshi, guardami un momento» disse. Lui lo fece. «Non sto bene. C'è stato... una specie di incidente, quando siamo tornati. E' per questo che sono ancora qui; non so se l'hai saputo» Hitoshi si accigliò. «Secondo i medici devo abbandonare la carriera, o stavolta ci lascio davvero le penne.»
«Cosa?»
«Ti chiedo davvero scusa, ma in questo momento non ho la testa di pensare a qualunque cosa che non sia la mia salute. Mi dispiace.»
Hitoshi la fissò, turbato, preoccupato. La vita di Chiharu era in pericolo, e proprio in un momento del genere sua madre sospettava che fosse una traditrice... Doveva dirglielo. Non poteva lasciare che qualcuno piombasse in camera e la portasse via per interrogarla, senza preavviso, senza attenzione...
«Come Hokage, devo importi di non dirle niente dei sospetti su lei e Yoshi. C'è un'indagine in corso. E' sotto sorveglianza.»
Serrò i pugni, costringendosi a tacere. Era un ordine dell'Hokage, e lui era un aspirante Anbu... Non poteva, non poteva disobbedire, anche se avrebbe voluto.
Chiharu non è una traditrice, ricordò a se stesso. I sospetti di mia madre scompariranno presto.
«Io potrei starti vicino» disse, in un borbottio quasi inaudibile.
«Lo so» sospirò Chiharu. «Ma io non sarei di gran compagnia. Ho bisogno di tempo.»
Niente sesso parte seconda, dunque.
Hitoshi si tirò su dallo schienale della sedia, per andare a sedersi sul bordo del letto. Senza volerlo Chiharu si fece un po' indietro, in atteggiamento difensivo.
«A me sta bene» disse lui, cercando la mano con la sua. «Solo... Ho bisogno di sapere che lo stai dicendo perché hai davvero bisogno di tempo, e non perché stai pensando a te stessa e io sono solo una seccatura.»
Oh.
«Ti ho detto che ho bisogno di tempo» ripeté Chiharu, lasciando la mano in quella di Hitoshi e sperando che lui non lo prendesse come una dichiarazione. «Questa volta non è come cinque anni fa, è più complicata...»
Hitoshi sospirò, un pochino risentito: perché Chiharu non poteva essere come le altre ragazze e appoggiarsi a lui nei momenti di difficoltà?
«Ho capito. Non insisto, non importa» le lasciò la mano, lanciandole uno sguardo di sbieco. «Spero solo che non sia una scusa.»
Lei inarcò le sopracciglia con espressione indignata.
Hitoshi si rialzò dal letto e affondò le mani in tasca, preda dell'insoddisfazione. Cercò di dirsi che non poteva pretendere di più se le condizioni di salute di Chiharu erano così critiche... Ma aveva diciassette anni e una scarsa attitudine a preoccuparsi del prossimo, quindi si sentiva raggirato.
La guardò un'ultima volta, alla ricerca di qualche segno di colpevolezza. Si chiese che cosa ci fosse stato davvero tra lei e Yoshi, se sua madre sospettava perché erano stati in atteggiamenti intimi o per altro... Ma non poteva chiederglielo.
«Tornerò a trovarti» promise.
«Grazie» rispose lei, anche se il suo stomaco si contrasse sgradevolmente.
Hitoshi annuì, senza sorridere, e andò verso la porta con le spalle un po' curve. Aveva già una mano sulla maniglia quando un pensiero gli attraversò la testa. Si girò un'ultima volta.
«Qualcuno ti ha detto della Roccia?»
«Intendi la dichiarazione di guerra?»
«Sì. Sono stato convocato.»
Chiharu socchiuse leggermente la bocca.
Come cinque anni prima, i suoi compagni venivano chiamati a combattere e lei restava in disparte. Non ci aveva pensato, quando Akeru le aveva detto della guerra, ma davanti a Hitoshi la vecchia rivalità tornava a galla.
«Bene» disse meccanicamente, perché doveva elaborare la cosa prima di esprimere un'opinione.
Sul volto di Hitoshi passò un guizzo di irritazione. «Bene? Ma certo. Cos'altro dovrei aspettarmi da Chiharu Nara?»
Irritato, aprì la porta e uscì sbattendosela alle spalle.
Chiharu rimase confusa. Che diavolo avrebbe dovuto dire? Lei era incastrata in un letto d'ospedale mentre tutti andavano sul campo, che cosa voleva sentire Hitoshi?
Oh, al diavolo!
Aveva problemi molto più gravi da affrontare. Persino la guerra passava in secondo piano ora che Yoshi l'aveva tirata in ballo.
Il suo stomaco si ribellò a quel pensiero, costringendola a cambiare soggetto: l'angoscia per le conseguenze che potevano venirne era semplicemente troppa. Per un attimo desiderò che né Hitoshi né Baka fossero mai venuti a trovarla... Era tutto migliore quando pensava solo a odiare il medico pelato. Adesso invece si sentiva stupida, inutile e braccata, senza punti fermi: aveva sempre pensato di essere un certo tipo di persona, aveva avuto delle certezze; ma erano solo illusioni. Non era la kunoichi più forte del suo anno, non era nel gruppo dei migliori, non era la ragazza brillante che aveva sempre creduto. E Baka, che doveva essere soltanto uno stupido, le aveva aperto gli occhi, e lo aveva fatto senza la cattiveria che si sarebbe aspettata da lui. Questo significava che non li invidiava più, forse... che non ne vedeva più la ragione.
Non sottovalutare Baka, Chiharu. Potrebbe sorprenderti un giorno.”
Lui? Ahah, proprio no!”
Il sesto Hokage glielo aveva anticipato, cinque anni prima, e lei non lo aveva nemmeno ascoltato. Adesso aveva fatto la figura della stupida. Cieca, stupida e arrogante.
Appoggiò la fronte a una mano, ripiegandosi su sé stessa.
Stupido Naruto, stupido gruppo sette, stupida lei e la sua ingenuità, la sua boria, la sua superficialità... Non aveva imparato niente da suo padre.
Stupida, stupida, stupida!


Sakura richiuse il fascicolo di Chiharu e si prese la testa tra le mani.
Non c'era niente che potesse fare per quella ragazza: il suo cuore era troppo compromesso e il sistema del chakra era usurato dal superlavoro per compensare. Honmaru era stato chiaro, e di solito era uno che ci pensava mille volte prima di dare una diagnosi definitiva. Probabilmente avrebbero dovuto proibirle di tornare a essere ninja, cinque anni prima, ma come potevano sapere che sarebbe stata tanto incosciente?
E dire che dovrebbe essere una Nara!
Si lasciò la testa e appoggiò la schiena alla sedia, incrociando le braccia.
Era un bel problema che Chiharu fosse tanto importante per Hitoshi... Più aveva a che fare con lei e più Sakura la prendeva in antipatia.
Sapeva che non era tutta colpa della ragazza: in lei rivedeva molti degli atteggiamenti del Sasuke dodicenne, e guardando Hitoshi, pochi minuti prima, aveva visto se stessa. Non voleva che suo figlio soffrisse come aveva sofferto lei.
D'altronde Sasuke si era preso le sue responsabilità, come avrebbe dovuto fare Chiharu... Invece lei non lo faceva. E di anni ne aveva diciotto, non dodici, quindi era anche meno scusabile.
Spostò il suo fascicolo sopra una pila di esami di altri pazienti, sentendosi vagamente a disagio. Aveva l'impressione che il suo atteggiamento verso Chiharu Nara le segnalasse qualcosa di poco piacevole, tipo una faccenda in sospeso con Sasuke... Ma non poteva permettersi di pensarlo; perché per Sasuke aveva sacrificato tutto, incluso Naruto, e se si faceva venire dei dubbi dopo sette figli e trent'anni di abnegazione, allora poteva anche chiudere bottega e ritirarsi a vivere nella chiocciola di Tsunade, sepolta nel profondo della foresta.
Cosa avrebbe dato per essere adattabile come Naruto, che invece era andato oltre il tradimento di Sasuke, quello di Sakura e persino quella brutta faccenda di suo padre... Non aveva mai capito come riuscisse, ogni volta, a passare sopra a tutto. Doveva avere delle riserve inesauribili.
Persino adesso, se ne era uscito con l'idea di bloccare la guerra anche se di fatto era già iniziata: aveva insistito per creare una piccola task force di ambasciatori da mandare nei Paesi confinanti, aveva voluto a tutti i costi una dichiarazione ufficiale in cui la Foglia si discolpava per il massacro di Anka, e aveva addirittura iniziato a parlare di andare di persona dallo Tsuchikage per discutere la faccenda.
Bello, eh. Molto da Naruto, molto ottimista. Ma assolutamente folle.
Eppure ci credeva, e Sakura sapeva che Naruto riusciva sempre a fare quello in cui credeva - aveva riportato a casa Sasuke, dopotutto. Così anche lei, nel profondo, aveva iniziato a sperare... Ma era difficile andare contro la logica comune per seguire quella di Naruto.
E comunque sarebbe molto meglio se Hitoshi non la seguisse, nel caso di Chiharu, ricordò a se stessa. Se solo avesse potuto fargli vedere a cosa andava incontro... Ma dirlo a Hitoshi era quasi come tradire Sasuke, come ammettere che non lo aveva mai perdonato. Non poteva.
Fu allora che l'argomento Chiharu si impose di nuovo alla sua attenzione, questa volta nella figura di Baka Akeru che bussava alla sua porta.
«Buongiorno. Scusi il disturbo, è impegnata?»
Eccolo qui, l'altro. Messo anche peggio di Hitoshi... Quasi quanto Naruto era fissato con Sasuke, mi tocca ammettere.
«In realtà in ospedale sono sempre impegnata» sospirò, indicandogli la sedia davanti alla scrivania. «E' una cosa veloce, almeno?»
«Ehm...» Akeru fece una smorfia, accomodandosi. «Non tanto.»
«E' urgente?»
«Yoshi ha fatto il nome di Chiharu.»
Silenzio.
Sakura fissò Baka per un lungo istante, elaborando.
Lo sapevo!, pensò una brutta parte del suo cervello. Non è possibile, pensò un'altra.
«In che senso?» chiese cautamente. «Morino non ha scritto niente nel suo rapporto.»
«E' successo mentre Morino non era presente.»
«Ti ha lasciato solo con un prigioniero?» Sakura era allibita.
«Era uscito per una boccata d'aria... Sarà stato via due minuti, non è che sono rimasto proprio...»
«No, non sono arrabbiata: sono stupefatta!» questo poteva voler dire soltanto che a Morino Baka piaceva un sacco. «Continua.»
«Morino era uscito, e io ho curato Yoshi» riprese Akeru, giocando con le proprie dita. «Mentre lo curavo mi sono innervosito, perché... Sa, sono un ninja medico, e la tortura non... Va beh. Gli ho chiesto perché diavolo non parlasse e basta; e lui mi ha detto che se avesse parlato Chiharu ci sarebbe andata di mezzo.»
«E poi?»
«Poi è tornato Morino, e non ha detto più niente.»
«Perché non lo hai riferito subito?»
Akeru distolse lo sguardo, ritrovandosi ad arrossire suo malgrado.
«Che te lo chiedo a fare?» mugugnò Sakura. «Avrebbe più senso chiederti perché me lo stai dicendo, invece di tenerlo per te.»
A quella domanda Akeru avrebbe potuto rispondere facilmente: glielo stava dicendo perché era un Anbu, e in quanto Anbu aveva un quadro molto ben definito dei doveri di uno shinobi e di tutte le possibili declinazioni del tradimento: non dire a Sakura che Yoshi aveva nominato Chiharu era uno dei sottoparagrafi più gravi della casistica, indipendentemente dal fatto che lui fosse convinto della sua innocenza.
Per quanto affezionato a lei, sapeva di non poter soprassedere su una cosa tanto grave.
«Io non credo che Chiharu abbia fatto qualcosa contro Konoha intenzionalmente...» iniziò, chiedendosi se doveva riferire di averne parlato con la diretta interessata. «Piuttosto penso che Yoshi l'abbia usata in qualche modo, finendo per coinvolgerla nei suoi piani.»
«Chiharu non è una stupida. Non può non essersi accorta di niente.»
Sì invece. Purtroppo.
«Ma Yoshi finora si è dimostrato molto abile... Se ha raggirato noi... cioè, voi, potrebbe aver raggirato anche lei.»
Sakura sbuffò. «Smettila di provarci: sei troppo coinvolto, vuoi vedere solo le possibilità che la discolpano.»
«E lei vuole vedere solo quelle che la incastrano.»
«Ne deve passare di tempo, prima che mi offenda per il parere di un ragazzino con la metà dei miei anni...»
Akeru strinse le mani una all'altra.
Aveva promesso a Chiharu che l'avrebbe aiutata, ma iniziava a pensare che avrebbe dovuto parlare con Naruto, invece che con Sakura. Credeva che lei sarebbe stata più ragionevole, ma iniziava a pensare di aver preso una cantonata. Rischiava di finire in tragedia.
«Dovrebbe chiedere il parere di Naruto prima di decidere, credo. L'Hokage è lui» tentò di suggerire.
Sakura corrugò la fronte e si morse la lingua per non sbottare. Se lo immaginava proprio Naruto che affrontava la cosa razionalmente e prendeva le misure per gestirla... Come minimo sarebbe piombato nella stanza di Chiharu per parlarle e ne sarebbe uscito per convincere il Consiglio che era tutto un suo piano per carpire informazioni a Yoshi. Neanche se Chiharu avesse provato ad ucciderlo avrebbe smesso di credere nella sua lealtà. Dopotutto lo aveva già fatto una volta. Era ingenuo, Naruto, un po' troppo ingenuo.
«Basta» disse Sakura. «Hai fatto il tuo dovere riferendo quello che hai scoperto, da qui in poi la cosa non ti riguarda. Considerati fortunato perché sto soprassedendo sul ritardo con cui sei venuto a fare rapporto, ma non tirare la corda più di così.»
«Non voglio tirare la corda, sto solo dicendo che potrebbero esserci mille ragioni per cui Yoshi ha fatto il nome di Chiharu!» insisté Akeru. «Potrebbe anche essere stato un tentativo per confondermi. Lo ha detto solo a me, non a Morino: sapeva che così mi avrebbe mandato in tilt.»
«Oppure lo ha detto a te perché pensava che per proteggere lei avresti dato una mano a lui.»
«Io sono un Anbu. Soltanto un cretino avrebbe pensato che un Anbu potesse comportarsi così, e Yoshi per ora sembra tutto fuorché un cretino.»
A quel punto Sakura esplose. «Per tutti gli dei, lascia perdere quella ragazza! Tutto quello che ho sentito uscire dalla tua bocca fino ad ora è in sua difesa! Se tu fossi un Anbu come si deve ti sarebbe almeno venuto un dubbio.»
«Essere un bravo shinobi quindi vuol dire dubitare dei compagni?» esclamò Akeru, furioso.
Sakura si bloccò per un istante.
Oh, questo sì che era in pieno stile Naruto... Come tanti anni prima, quando tutti gli dicevano di lasciar perdere Sasuke e lui, invece, le aveva promesso che lo avrebbe riportato indietro...
Già, e poi come era finito Naruto grazie al ritorno di Sasuke?
L'espressione di Sakura si addolcì leggermente. «Non rovinarti la vita per qualcuno che non farebbe la stessa cosa per te» disse in tono più gentile.
«Proprio lei me lo dice?» ribatté lui, quasi accusatorio.
«Esatto. Te lo dico proprio perché sono io. La mia storia è l'eccezione, non la regola» Sakura sbuffò. «E vorrei tanto che tu e mio figlio lo capiste, invece di affannarvi dietro a Chiharu Nara.»
Akeru rimase corrucciato, senza rispondere.
«Ascolta, voglio concederti un minimo di fiducia» riprese Sakura, mettendo da parte il tono confidenziale. «Hai ragione quando dici che Yoshi potrebbe averla coinvolta con qualche obiettivo... Voglio vedere come si evolve la situazione. Le permetteremo di tornare a casa, ovviamente sotto sorveglianza. Le faremo sapere che Yoshi è stato catturato e osserveremo le sue reazioni. Tu non hai detto a nessun altro quello che hai detto a me, vero?»
Akeru deglutì.
«Hai rispettato il mio divieto a incontrare Chiharu, vero?» insisté Sakura.
«Naturalmente!» esclamò lui, sudando copiosamente. Per fortuna tra gli Anbu aveva molti amici, e poteva essere sicuro che non lo avrebbero tradito.
«Bene. Perché se sapesse già di Yoshi tutto il mio piano non servirebbe a niente.»
Lo stomaco di Akeru si strizzò in una morsa di senso di colpa. Si augurò che la futura sorveglianza di Chiharu fosse molto abile.
«Adesso vai, devo preparare un po' di cose prima di dire a Chiharu che può tornare a casa» lo congedò Sakura a quel punto.
Akeru si rialzò dalla sedia con le gambe che tremavano leggermente. Forse era riuscito a fare qualcosa per aiutarla, dopotutto... Da lì in poi la faccenda era nelle mani di Chiharu.
«Cosa devo fare con Yoshi e Morino?» domandò esitante.
«Cerca di restare di nuovo solo con Yoshi e scopri qualcosa in più. Non dire niente a Morino... Se capisce che Yoshi nasconde qualcosa lo ammazza davvero.»
Quella sì che era una bella responsabilità. Akeru raddrizzò le spalle e si inchinò in segno di ringraziamento.
«Un'ultima cosa...» aggiunse a testa bassa. «Quando Chiharu sarà a casa potrò incontrarla?»
Sakura roteò gli occhi. Questa cosa stava diventando snervante.
«Dipenderà da quello che dirà o non dirà Yoshi» gli concesse.
Akeru si tirò su sorridendo. «Mi basta.»
Sakura scrollò le spalle, quasi rassegnata. Trovava che Akeru fosse un ragazzo in gamba, un buon medico e un ottimo shinobi... finché non si parlava di Chiharu. Naruto aveva ragione a dire che il problema di Baka era lei: se Chiharu non fosse stata nei dintorni, Akeru sarebbe già stato uno dei membri di punta del Villaggio.
«Non sarai mai più importante delle sue ragioni personali» mormorò.
Akeru non rispose. La salutò cortesemente e se ne andò senza aggiungere altro.
Sakura riprese il fascicolo di Chiharu, sfogliandolo distrattamente mentre si toglieva dalla testa i residui della conversazione con Baka. Quanto era difficile tenere a bada i paragoni con le vicende di vent'anni prima!
Scosse la testa per concentrarsi. Come fare per tenere Chiharu sotto controllo a casa, senza togliere elementi importanti alle squadre di Konoha? Chi poteva metterle alle costole?
Qualcuno bussò alla porta che Akeru aveva lasciato aperta, spingendola ad alzare lo sguardo.
«Sei impegnata?» chiese Sasuke, facendo un passo nella stanza. «Naruto sta progettando il suo viaggio dallo Tsuchikage per fermare la guerra... Prova a fermarlo tu, perché io sto per ammazzarlo» mugugnò irritato.
E, guardandolo, Sakura capì chi poteva mettere a sorvegliare Chiharu.


Shikaku aveva raggiunto il limite.
Ormai era in ospedale da giorni, ma ancora non aveva potuto sapere cosa aveva di preciso sua nipote: il personale non scuciva mezza informazione, lei men che meno; tutti non facevano che ripetergli che erano dati riservati. Aveva provato a comunicare con Shikamaru, ma anche lì i suoi messaggi erano tornati indietro con la dicitura rispedito al mittente, e allora aveva capito che non sarebbe andato da nessuna parte.
Adesso però era stufo.
«Spiegami perché le notizie sulla tua salute sono improvvisamente materiale top secret» sbottò, in piedi accanto al letto di Chiharu.
Lei roteò gli occhi e li fissò fuori dalla finestra.
«Se non me lo dici chiamo Inoichi Yamanaka e glielo faccio scoprire con la forza.»
Questa volta Chiharu lo guardò malissimo. Il che non ebbe assolutamente nessun effetto. Allora sospirò, fissò tutte la pareti della stanza, e alla fine tornò a lui.
«Perché ho diciotto anni e ho firmato un foglio che mi permette di decidere a chi dire cosa» sbottò.
«Va bene. Chiamo Inoichi.»
«Non puoi!» abbaiò Chiharu, ma Shikaku già era lanciato verso la porta e aveva abbassato la maniglia...
Per trovarsi davanti Sakura.
«Buongiorno, Shikaku» disse lei, inarcando un sopracciglio di fronte alla sua espressione corrucciata.
Lui si limitò a un cenno del capo. «Sakura» borbottò, facendo un passo indietro.
Chiharu trasalì capendo chi stava per entrare.
Fu assalita dalla nausea: Sakura aveva saputo di Yoshi? Akeru era stato scoperto? La sua vita stava per finire in una cella nei seminterrati di Konoha? Lanciò un'occhiata spaventata al nonno, che non la comprese, e poi si domandò quante possibilità avesse di cavarsela se tentava la fuga dalla finestra.
«Scusate il disturbo» disse Sakura, entrando nella stanza a passo deciso. Passò lo sguardo da Shikaku a Chiharu e viceversa, poi si voltò verso la donna che l'accompagnava, e che era subito dietro di lei. Trattenne una smorfia di disappunto. «Shikaku, posso chiederti di uscire?»
«Preferirei restare» tentò lui, gli angoli della bocca rivolti verso il basso.
«Questo va contro le volontà di Chiharu...»
«Nonno, per favore esci» intervenne subito lei. Se Sakura doveva accusarla di tradimento non voleva che succedesse di fronte a lui.
Shikaku non la prese bene, ma negli ultimi tempo tutti non facevano che congedarlo quando si trattava di Chiharu; così represse le polemiche, si costrinse a un respiro profondo e fece un inchino un po' rigido. «Aspetterò fuori.»
Sakura attese che il vecchio uscisse, poi la donna che era con lei chiuse la porta e si mise al suo fianco. Chiharu la squadrò vagamente, ma era troppo spaventata per ragionare.
«Puoi tornare a casa.»
Il ronzio nelle orecchie di Chiharu divenne un fischio.
«Cosa?» alitò.
«Puoi tornare a casa» ripeté Sakura. «Mi sono consultata con il medico che si occupa del tuo caso, e insieme abbiamo pensato che saresti stata contenta di uscire di qui.»
«Perché? Non stavo morendo?» Chiharu sentì tutti i peli sul suo corpo rizzarsi per la diffidenza.
«Non sei guarita miracolosamente, se è questo che intendi. Ma non abbiamo nemmeno ragioni per tenerti ricoverata, e crediamo che tornando a casa la tua salute mentale sarà un po' meno precaria.»
L'istinto di Chiharu sarebbe stato di ribattere acidamente, ma qualcosa la spinse alla cautela. Era strano che allentassero la sorveglianza, se Akeru credeva che la sospettassero...
«E se stessi male?» indagò.
Sakura sorrise, accennando alla donna al suo fianco. «Questa è Fay. E' una tirocinante del dottor Senju, e ha cortesemente accettato di restare accanto a te per i primi tempi... Come misura preventiva. Sempre che tu voglia tornare a casa tua e non preferisca invece andare da tuo nonno.»
Finalmente Chiharu prestò attenzione alla donna che era entrata con Sakura: era una bella donna, con lunghi ricci scuri e le labbra carnose. Ma di sicuro non aveva l'aria del medico.
Una guardia, realizzò.
«Ovviamente non andrò da mio nonno» disse tra i denti – prima o poi sarebbe diventato impossibile tenere tutto nascosto.
Sakura represse un sorriso di trionfo: la pagliacciata della privacy alla fine le era tornata utile, non poté fare a meno di notare. Si limitò ad annuire, guardando poi Fay.
«La accompagnerai in ospedale per tutti gli esami e prenderai i parametri ogni giorno, come accordi.»
Fay annuì. Nonostante l'espressione neutra era evidentemente poco entusiasta dell'incarico, ma per qualche ragione non aveva potuto opporsi. Chiharu sperò che significasse che l'avrebbe ignorata per la maggior parte del tempo, ma capì subito che non l'avrebbero mai messa in mano a un'imbecille.
«La tua sospensione rimane confermata» continuò Sakura rivolta a lei. «Naruto lo ha deciso perché è un impulsivo, ma con la tua cartella clinica è l'unica soluzione sensata.»
Che coincidenza, vero?, pensò Chiharu, stringendo involontariamente il lenzuolo con la mano.
Sakura dovette accorgersene, perché un muscolo sulla sua guancia ebbe un guizzo e oltrepassò i suoi sforzi per mantenersi neutrale.
«Ogni azione ha delle conseguenze» disse in tono più duro, pensando a Yoshi, ma la rigirò sul piano medico. «Avresti dovuto pensarci prima di ignorare le tue condizioni di salute.»
Chiharu si morse la lingua per non insultarla. «E Baka?» chiese invece. «Le sue conseguenze per avermi aiutato?»
«Per tua e sua fortuna in questo momento non possiamo fare a meno di nessun membro utile... La sua punizione è stata rimandata.»
Chiharu annuì, intimamente sollevata, e si accorse che per tutto il tempo aveva tenuto la schiena così rigida che ora le doleva tra le scapole. Si lasciò andare contro i cuscini.
«Bene, faccio rientrare Shikaku» concluse Sakura. «Fay ti accompagnerà a casa non appena avrai raccolto le tue cose.»
Chiharu chiuse gli occhi.


«Vedi ancora il fumo?»
Un ciuffo di capelli di un rosa improponibile spuntava tra gli aghi del pino più alto di Konoha, ondeggiando dolcemente al vento del tardo mattino.
«Neanche un filo!» esclamò Itachi, abbarbicato su un ramo tanto sottile da piegarsi sotto il suo scarso peso.
«Allora vieni giù!» piagnucolò Minato.
Itachi scese dall’albero con l’agilità di un gatto, e balzò a terra davanti ai compagni come se fosse nato tra le liane.
«Sei solo più fortunato...» bofonchiò il giovane Uzumaki, scalciando un sasso con rabbia. «Potevo arrivarci anche io lassù!»
La bambina che era con loro sbadigliò e si stropicciò la pancia mugolando. «Adesso possiamo andare a mangiare?»
«No! Adesso scopriamo cosa è successo!» sbottò Minato con foga, alzando un pugno verso il cielo.
Itachi sbuffò e distolse lo sguardo, grattandosi il collo.
Visti dall’esterno i tre erano davvero un bizzarro assortimento: Minato, con i vestiti sporchi e i capelli in disordine, sembrava appena uscito da una lotta nel fango; Itachi, immacolato come appena alzato, si era visto rifilare dalla madre una maglietta arancione che strideva con i capelli rosa in maniera quasi imbarazzante; Chomi, degna figlia di Ino, portava un enorme fiocco azzurro tra i capelli, ma considerata la stazza ricordava pesantemente un uovo di Pasqua. Se un adulto si fosse affacciato a una finestra e avesse visto il misterioso conciliabolo, davvero non sarebbe riuscito a intuirne la ragione.
In verità era molto semplice; e traeva la sua origine – com’era ovvio – da Minato Uzumaki. Alcuni minuti prima infatti, Itachi era stato bruscamente distratto dallo studio da sassi tirati contro il suo vetro con forza poco meno sufficiente a spaccarlo; imbestialito, aveva costruito mentalmente un rimprovero con i fiocchi, ma non aveva fatto in tempo ad affacciarsi sul giardino che Minato lo aveva afferrato per il colletto e lo aveva trascinato in strada, blaterando qualcosa su una colonna di fumo dalla foresta.
«Dobbiamo scoprire cosa è successo!» sosteneva entusiasta; e Itachi non era riuscito a bloccarlo.
Com’era prevedibile, il giovane Uzumaki aveva giudicato imprescindibile la presenza del terzo membro del loro gruppo, Chomi, ed era andato a tirare fuori di casa anche lei. Poi li aveva fatti correre come degli scemi fino all’albero più alto del villaggio e aveva tentato di arrampicarsi sul pino, finendo immancabilmente con il sedere a terra. Itachi si era offerto di sostituirlo per risparmiargli l’umiliazione, ma il degno figlio di Naruto si era intestardito, allora se l’erano giocata con una sfida, e insomma... la maglietta si era ridotta a uno straccio e Itachi aveva vinto sette incontri di fila.
«Per me te lo sei sognato» disse Chomi, frugando nelle tasche in cerca di una caramella.
«Figurati se mi sogno una roba del genere!» protestò Minato, furioso.
«Anche se fosse, ci sono gli shinobi seri per queste cose» constatò Itachi pragmaticamente.
Minato gonfiò le guance oltraggiato. Quei due non avevano il minimo spirito d'avventura! Era quasi avvilente giocare con loro. Ma lui era assolutamente certo di aver visto del fumo nella foresta, una bella colonna nera che saliva verso il cielo, e per questo non aveva intenzione di mollare l'osso.
«Andiamo a indagare?» propose tutto fiero.
«Neanche per sogno» sospirò Itachi.
«Allora ti obbligherò a farlo!» Minato si esibì in un ghigno spaventosamente simile a quello del padre, e con espressione tronfia assunse la posa da combattimento di Naruto. «Ora vi mostrerò la mia nuova, strabiliante tecnica ninja!»
Chomi e Itachi lo fissarono in tralice: da un paio di mesi il loro giovane e sciocco amico era ossessionato dall’esame d’ammissione all’Accademia, il che si traduceva in giornate passate a ideare allenamenti ninja e cercare di coinvolgere anche loro. A Chomi la faccenda era indifferente – lei stava da una parte e sgranocchiava patatine – ma per Itachi era la seconda sessione della tortura dopo gli allenamenti con il padre.
«Micchan, tu non sai raccogliere il chakra» sbuffò Chomi indispettita. «Smettila di fare lo scemo e andiamo a pranzo!»
«Certo che so raccoglierlo! Mia sorella mi ha insegnato!»
Bugia spudorata: Hinagiku lo aveva schernito per venti minuti, il giorno in cui l’aveva scoperto a provarci. Ma Minato era un tipo cocciuto, ancor più cocciuto del padre: unì le mani sotto il mento, serrò i denti da latte fino a sentirli scricchiolare, e imitò l’urlo paterno di concentrazione.
Itachi e Chomi non fecero una piega: attorno al bambino non si muoveva una foglia.
«Lascia perdere... Te lo insegnano all’Accademia» sbuffò Itachi annoiato. Lui il chakra lo sapeva già raccogliere, grazie a Sasuke, ma non gli sembrava nulla di straordinario – e di certo non avrebbe commesso l’errore di dirlo in quel momento.
«Invece io ti dico che lo so fare!» gridò Minato.
E fu anche l’ultima cosa che disse: un secondo dopo divenne bianco come cenere, gli occhi gli si rovesciarono dietro le palpebre e le sue gambe cedettero di schianto, facendolo piombare con la faccia nella polvere.
«Micchan! Micchan!» gridarono Itachi e Chomi, correndo a scuoterlo spaventati. Pallidi quanto lui, lo girarono sulla schiena e lo schiaffeggiarono.
Qualcosa piombò dall’alto, balzato giù dal tetto più vicino. I due bambini nemmeno lo notarono, ma l'anziano Naruto-gatto zampettò silenzioso fino al corpo di Minato, lo annusò con delicatezza, e poi guardò verso il cielo, in un’imitazione terribilmente realistica di essere umano.
«C’è-c’è un gatto...» balbettò Chomi, le guance piene ormai rigate di lacrime. «E’ venuto a portare via la sua anima?»
«Non è mica morto!» ribatté Itachi con la voce strozzata. «Respira ancora... Vero che respira?»
Si chinò in fretta sul suo viso, e con orrore si accorse che il filo d’aria che usciva dalla bocca di Minato era terribilmente fievole.
«Dobbiamo chiamare aiuto!» ansimò, schizzando in piedi.
I baffi del gatto vibrarono, mentre posava gli occhi azzurri sul bambino. In quel momento Minato tornò alla vita, ingoiando aria come un affogato.
«Micchan!» gridò Chomi, strattonando la maglietta fino a strapparla sulle cuciture. «Sei vivo?»
Il bambino tossì, allontanando la sua mano, e si tirò a sedere faticosamente.
«Cosa... Cosa è successo?» ansimò, gli occhi umidi di lacrime. «Male... La gola mi fa male...»
«Sembravi morto!» singhiozzò Chomi, asciugandosi il naso con la manica. «Sei caduto giù e sembravi morto!»
Minato si guardò le mani, premute a terra; tremavano. Non capiva cosa fosse successo, ma si sentiva la testa leggera e allo stesso tempo pesantissima... Come se per un attimo fosse stata sul punto di andare altrove, e all’ultimo istante fosse piombata bruscamente indietro.
«Stai bene?» chiese Itachi con un filo di voce, bianco quasi quanto lui.
«Ora sì...» mormorò Minato.
Le imposte di una casa si aprirono sbatacchiando, e la testa di un uomo si affacciò sulla strada.
«Bambini! Che avete da urlare?» chiamò, evidentemente irritato ma anche un filino ansioso.
«Ci scusi!» rispose pronto Itachi, tirando in piedi Minato. «Ci scusi, noi...»
«Ci scusi!» strillò Chomi, e tenendo Minato per le braccia insieme a Itachi corse via come una furia.
L’uomo alla finestra richiuse le imposte borbottando contro i genitori moderni.
Naruto-gatto, quasi invisibile, zampettò via facendo ondeggiare la coda in un ombra simile a un serpente.
Mentre si allontanavano dalla zona con il fiatone, Itachi e Chomi furono costretti a promettere malvolentieri di non dire ad anima viva quello che era successo.

Nella foresta, dove la colonna di fumo vista da Minato era salita verso il cielo, una squadra Anbu osservava i resti di un falò deserto chiedendosi cosa diavolo fosse.




Nessuno di loro l’aveva ancora capito,
ma quella mattina di stravolgimenti avrebbe segnato l’inizio della fine.




Il tempo è giunto.











* * *

E... BAM!
Siamo entrati nell'ultima fase della storia.
Più o meno. Quasi, diciamo.

Perdonate il ritardo nell'aggiornamento,
ma la mia vita è tornata frenetica e stancante.
So che è stato orribile tardare dopo il cliffhanger della volta scorsa, ma siate buoni!

In più non ho pronto assolutamente niente del prossimo capitolo,
però spero di avere un'ispirazione fulminante nei prossimi giorni.
Lo spero intensamente.

Che dire a questo punto?
...Che spesso voi lettori leggete prima questo angolino che il capitolo.
Quindi niente anticipazioni.

Mi sono anche dimenticata di preparare i disegni dei mocciosi che avevo promesso,
il che mi rende veramente una persona inutile, ecco.
Giuro che provo ad averli scannerizzati per la prossima volta!

Grazie a voi che siete ancora qui
nonostante la mia scarsa affidabilità.
Siete sempre il mio pilastro!

A presto!



Susanna
  
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