Questa storia rappresenta la sesta parte della serie Cosa
tiene accese le stelle. Si tratta di una What if? in cui
Harry è stato ucciso da Bellatrix. Sappiamo che, quando la
Mangiamorte sta combattendo contro Ginny, Harry è nei
paraggi e cerca di darle una mano, fino a quando non interviene Molly e
la uccide. Beh, e se invece fosse intervenuto lui, avendo visto che
aveva colpito Ginny? Bellatrix non aveva certo la bacchetta di Sambuco
e non poteva essere salvato come accade invece nel vero scontro con
Voldemort. Morto Potter, avendo vinto il Signore Oscuro, i membri
dell’Ordine sopravvissuti sono dovuti scappare e sono finiti
nuovamente in clandestinità. Hanno organizzato un tentativo
di resistenza, più che altro sporadici attacchi qua e
là per uccidere Mangiamorte o sventare i loro piani, e hanno
nascosto i Nati Babbani in vari luoghi sotto il Fidelius, soprattutto i
bambini. A questo punto devo segnalare che ho ucciso molta gente che la
Rowling aveva risparmiato, e fatto resuscitare altri. Giusto
perché alcune morti non mi sono mai andate giù
(leggasi Tonks, Remus e Fred). Due parole da
spendere sui personaggi originali, che hanno un’importanza
relativa, giusto per dare un’idea di chi siano. Charlotte e
Nathaniel sono entrambi Grifondoro, dell’anno di Fred e
George, e irlandesi. Fabian era il migliore amico dei due e
Tassorosso, mentre Connor è il fratello gemello della
ragazza, morto quando erano bambini. La signora Doherty è la
nonna di Charlotte, Medimaga, e quindi infermiera a Shell Cottage.
Dove
sono la gloria
e il sogno?
24
ottobre 1999
Ti ricordi, Hermione, la prima volta che ci siamo incontrati,
sul treno per Hogwarts? Tu eri solo una massa informe di capelli
cespugliosi, un nasino perennemente all’insù con
aria di superiorità e quel tuo ineccepibile (vedi che
qualcosa ho imparato in questi anni?) accento londinese. Un perfetto
concentrato di tutto quello che più mi irritava.
Io, probabilmente, un idiota insignificante che sembrava non
mangiasse da secoli, con l’ultimo morso di Cioccorana tra i
denti. Tutto ciò che, con buona approssimazione, non
sopportavi. Vedi di capirmi e perdonarmi, se mi avessero detto che quel
giorno, oltre a mangiare quante merendine volevo per la prima volta in
vita mia, avrei incontrato anche la donna della mia vita, avrei
quantomeno evitato di ingozzarmi.
Invece mi ero tranquillamente fermato alla vecchietta con il
carrello.
Le erbacce stavano inghiottendo la sua tomba, Remus le ha
tolte poco fa. Dice
che è sempre stata gentile con lui, quando era un bimbo solo
e spaventato.
Qualsiasi guida turistica, acquistata in tempi migliori, vi avrebbe
calorosamente raccomandato di visitare la Cornovaglia in autunno. I
mille colori che svolazzavano pigramente tra le folate di vento, i
tramonti sull’Atlantico che incendiavano il cielo,
l’odore pungente della pioggia e del terriccio umido.
Una vera magia, la descrivevano gli anziani seduti al vecchio pub,
giù al porto del villaggio, la pipa tra i denti e il viso
incrostato di salsedine come chi, l’oceano, l’ha
solcato per tutta la vita.
La vecchissima guida di suo padre, quella appoggiata con religiosa
devozione sul tavolino del salotto, pronta per la successiva gita di
famiglia, si azzardava addirittura a definirla una delle sette
meraviglie d’Inghilterra. Motivo più che
sufficiente per passarvi almeno un fine settimana all’anno,
nell’hotel in riva al mare con le imposte azzurre e i vasi di
gerani ormai quasi appassiti alle finestre. Ricordava ancora la zuppa
di pesce che la cuoca preparava tutte le domeniche, quel sapore
particolare che, per quanto ci tentasse, sua madre non era mai stata in
grado di ricreare.
Nemmeno Voldemort e il suo regime del terrore erano riusciti a
prosciugare del tutto quell’atmosfera, quell’angolo
di magia incontaminata. Le foglie ingiallivano ancora, i tramonti
rimanevano mozzafiato e il respiro caldo delle onde solleticava la
pelle. Certo, l’avevano resa di una bellezza sfatta, un
po’ sciupata, annacquata dalla paura e dai Dissennatori che
scivolavano silenziosi sulle loro teste. Ma l’antica
scintilla brillava ancora, resisteva ancora, piccola ma viva.
“Più o meno come noi,”
sospirò Hermione, lasciando scivolare nuovamente le tendine
candide al loro posto e voltando le spalle alla finestra.
“Damnù air,
Granger! Le Passaporte partono tra dieci minuti, credevo fossi pronta.
E poi hai il coraggio di lamentarti che sono sempre in
ritardo…”
Charlotte Sheridan fece irruzione nella stanzetta al piano terra di
Shell Cottage, che ormai era la loro camera da più di un
anno, con la sua proverbiale grazia, sbattendo la porta con una certa
irritata noncuranza che scosse l’intera casa e il letto
perfettamente e meticolosamente rifatto di Padma Patil.
Hermione si scostò una ciocca di capelli dal volto,
lanciando una veloce occhiata all’orologio ammaccato che
portava al polso. Doveva averlo rotto quando l’insegna di
Ollivander’s le era crollata addosso per uno degli
incantesimi di Rosier. Non se lo ricordava nemmeno più.
Scosse la testa e si avvicinò al proprio letto per afferrare
la borsetta di perle che vi era gettata sopra.
“Io sono pronta,
Sheridan,” commentò con un vago e malcelato
sorrisino di vittoria sulle labbra, squadrando la ragazza che si
infilava un maglione troppo grande per lei, preso dal mucchio scomposto
di vestiti che teneva sulla sedia accanto al letto. Come se non avesse
avuto a sua volta, come Hermione e Padma, posto nell’armadio
addossato a una delle pareti della stanza.
“Is ea, ovviamente,”
borbottò l’altra in risposta, lasciandosi cadere
sul letto.
“Potresti anche smetterla di insultarmi in irlandese ogni
volta, lo sai? Non è per nulla educato, né
democratico…” solo dannatamente
irritante, continuò nella propria testa Hermione,
alzando stancamente gli occhi al cielo. Sapeva già che si
trattava di una battaglia persa in partenza, farle smettere di parlare
in irlandese. Così come essere perennemente in ritardo,
maniacalmente precisa quando si trattava di piani e magia,
compulsivamente disordinata e disorganizzata in tutto il resto, e
perennemente sarcastica. Erano caratteristiche tanto radicate in lei da
non poterci fare proprio nulla. Solo imparare a sopportarle
pazientemente.
“Ma certo che no, girseach,”
rispose la ragazza, cercando il calzino destro nella confusione che
regnava sovrana nella sua parte di stanza.
“Allora dammi un buon motivo per non lanciarti una
maledizione qui e ora.”
Charlotte, esasperata per il calzino irrintracciabile, ne prese uno
rosa pallido da sotto il letto e se lo infilò velocemente.
Non che fosse una cosa strana, per lei, indossarli spaiati o accostare
vestiti che non avessero un minimo di senso assieme. Tonks e Luna,
pensò Hermione con una fitta al cuore, potevano diventare
stiliste di successo a suo confronto.
“Ti servo per riuscire a sciogliere l’incantesimo
con cui Piton ha sigillato l’Ufficio del Preside per chiunque
non fosse Potter,” spiegò tranquillamente
l’altra. “Bisogna essere in due per il rito di Am
Bealach. Le maledizioni lasciale per quando il tuo ragazzo non
tornerà dalla sua missione, e tu mi darai giustamente la
colpa.”
Hermione la guardò tristemente, mordicchiandosi nervosa il
labbro superiore.
“Era l’unica soluzione, Charlotte. Dobbiamo
allontanare i Mangiamorte da Ottery St. Catchpole e arrivare prima di
loro a qualsiasi cosa stiano cercando a Hogwarts. Ne va della salvezza
di tutto il mondo, Merlino solo sa cosa stanno cercando tanto
forsennatamente e a cosa possa servir loro!”
“Stiamo parlando di uno scontro dell’Ordine e dei
Mangiamorte in campo aperto, non sono più le solite
incursioni in cui ne attacchiamo uno o due.”
La voce della ragazza era piatta, svuotata di ogni speranza, troppo
stanca quasi per ribattere.
“Durerà solo un’ora o poco
più," tentò ancora Hermione, cercando in ogni
modo di convincere anche se stessa. "Giusto il tempo necessario a noi
due per entrare nell’Ufficio del Preside e portare via
qualsiasi diavoleria vi abbia nascosto Piton. L’intero Ordine
li attaccherà nel Devon, sicuramente i Mangiamorte se
ne infischieranno di Hogwarts, per una volta. E quando noi due
avremo finito, gli altri daranno il colpo di grazia e se ne andranno.
È solo un modo per distrarre i Mangiamorte. A dirla tutta il
tuo è un ottimo piano."
"Lo era anche quello per prendere Grayback, poi mio zio e Fabian sono
stati massacrati senza che potessi fare nulla per salvarli..."
"Torneranno questa volta, Charlotte. I ragazzi sanno quello che
fanno.”
Ma in quel torneranno,
a dirla tutta, nessuna delle due credeva più di quanto fosse
concesso in guerra. A volte era inutile pensare che la sorte fosse a
loro favore. Avevano solo l’effetto sorpresa dalla loro: per
una battaglia era fin troppo poco. Ma nell’ultimo anno
avevano imparato a farselo bastare.
Charlotte si alzò dal letto con un gran scricchiolio di
molle, avviandosi con il suo solito passo pesante alla porta.
“Sbrigati, ne sono rimasti solo tre, adesso, di
minuti,” le sorrise irriverente, riprendendo la sua abituale
determinazione, mentre le passava davanti.
Childish, pensò Hermione
chiudendosi la porta alle spalle e invocando un qualsiasi santo
magnanimo che la trattenesse dal lanciarle seriamente una qualche
maledizione almeno fino a quando non saremo riuscite
a entrare nell’Ufficio del Preside. E fa che Ron torni,
salvo, se non proprio sano.
Ti ricordi, Hermione, quando arrancavi per le scale, curva
sotto il peso dei libri, una borsa a tracolla? Eri così
buffa, mentre ti lamentavi per l’ennesimo compito in cui eri
sicura di aver scritto una vera idiozia. Buffa ed irritante,
perché tanto lo sapevamo tutti, te compresa, che sarebbe
stata un altro Eccezionale, e la McGonagall ti avrebbe sorriso
soddisfatta, privilegio concesso solo a pochi eletti. Eppure,
nonostante tutto non ti si poteva odiare, perché tu
eri anche quello: una petulante signorina So-tutto-io dalla mano sempre
alzata.
Chissà quanti sorrisi ti avrebbe regalato ora, la
McGonagall, per la donna coraggiosa e forte che sei stata costretta a
diventare.
Neville, sulla sua tomba, ha lasciato come al solito un mazzo
di cardi da parte di sua nonna. Come facesse a ritenerlo un bel fiore
resterà sempre uno dei misteri più grandi della
mia vita.
La quiete prima della tempesta.
Così doveva averla definita un qualche poeta Babbano: se non
ricordava male Hermione doveva averlo citato una volta. Sarebbe stata
fiera di lui, rifletté Ron, facendo vagare lo sguardo lungo
il profilo dolce delle colline, sfiorate dal pallore stanco della luna
e sparse di viole e foglie secche. E se proprio non era stato un poeta
Babbano – ricordarsi tutti i “riferimenti
dotti” di Hermione era pressoché impossibile
– lo faceva lui ora, gli occhi persi nella notte
d’ottobre e l’Ordine che dormiva, o almeno ci
provava, buttato sull’erba bagnaticcia, aspettando
l’alba per affrontare l’esercito dei Mangiamorte e
scatenare l’Inferno.
Rabbrividì per l’ennesima folata di vento e si
strinse nel cappotto, rialzando il bavero e stringendo il foglio a
sé, prima che volasse via nella pallida luce lunare che
illuminava quel fazzoletto di mondo.
Insomma, come altro si potevano definire una distesa di prati umidi di
un piccolo paesino e un albero solitario sulla cima della collina che,
con il fruscio malinconico del vento tra le fronde, sembrava proteggere
i corpi addormentati ai suoi piedi?
L’alterativa era inquietante, come si era ostinato a
sostenere per giorni, considerato che quella collina, su cui per anni
si era erta nella sua strabiliante e assurda eccentricità
casa Lovegood, ora era il cimitero per tutte le vittime di quella
guerra, che ormai guerra più non era, dato che Voldemort
aveva vinto.
Un’altra folata di vento li travolse, portando con
sé un turbinio di foglie e l’odore dei funghi, con
cui sua madre preparava la zuppa che tanto odiava, e della pioggia, che
come ogni inglese aveva imparato a sopportare pazientemente. Fred,
pochi passi più in là, si girò sul
fianco, assumendo la stessa posizione di George.
Oppure la si poteva sempre vedere come Charlotte: drammaticamente
ironica. O meglio, lei l’aveva definita un chiaro esempio di
umorismo, poi Nathan gli aveva spiegato che si trattava del pensiero
di un qualche scrittore (ce ne erano migliaia nella sua lista) che le
piaceva, Babbano pure lui, secondo cui dietro ogni fatto, che a prima
vista poteva sembrare comico, si celava il tragico. E viceversa. Non
che ci avesse capito molto – nemmeno Nathan a dire il vero
– ma non aveva tutti i torti. Stavano dormendo sulle tombe
dei loro amici, tra le croci che davano nome, cognome e poche altre
cifre al loro passato. E dove, con molta probabilità,
sarebbero finiti a marcire per il resto dei loro giorni entro poche
ore. Ironico e tragico lo era, senza dubbio. Perché
sì, l’intenzione era quella di scatenarlo, ma la
realtà era che la maggior parte di loro ci sarebbe finita,
all’Inferno. Non era sicuro che esistesse il Paradiso, non
per loro per lo meno, poteva tranquillamente essere un’altra
delle bugie che il mondo gli aveva propinato da ragazzo. Una di quelle
belle illusioni come altro non era stato che il loro passato.
L’unico modo per saperlo era chiedere alle ossa, corrose dal
tempo e divorate dai vermi, sepolte sotto la terra su cui aveva corso
da bambino, dove Luna aveva piantato l’albero di Prugne
Dirigibili che ora vegliava sul suo sonno eterno. Ma forse loro avevano
fatto in tempo a vederlo, il Paradiso. Non avevano dovuto sporcarsi le
mani di sangue, non quanto erano stati costretti a fare tutti quelli
che erano sopravvissuti e avevano deciso di non arrendersi. Dicevano
che affinché il male trionfasse era sufficiente che i buoni
smettessero di lottare. Si erano dimenticati di aggiungere che,
lottando, finivi per assomigliare ai cattivi. Che poi, buoni e
Mangiamorte era una divisione del mondo esistente solo nelle fiabe,
non certo nella vita vera, ma dettagli.
Tornò a concentrarsi sulla sua lettera, mordicchiando il
mozzicone di matita che Nathan gli aveva prestato. La luce della bacchetta
colpiva il viso del ragazzo accanto a lui, in un macabro gioco di luci
e ombre sulle cicatrici e i miseri tentativi di innesti di pelle,
mentre questi osservava il cielo, le braccia intrecciate dietro la
testa.
“Ti serve un'altra bella citazione poetica da inserire nella
lettera per Hermione? Penso di averne imparate migliaia, ascoltando
Charlotte negli ultimi diciotto anni,” chiese il giovane,
voltandosi verso l’amico con uno scricchiolio di foglie
accartocciate che si sbriciolavano.
“Non al momento. Riflettevo sull’ironia della
situazione, per dirlo come la tua ragazza.”
Nathan alzò come sempre il sopracciglio destro, tagliato ora
però da una cicatrice, per esprimere il proprio scetticismo.
“Non credo proprio che ironico sia
l’aggettivo che userebbe lei. Oh no, Ronald Weasley, non
guardarmi così, sai anche tu come lei ed Hermione ci tengano
a certi particolari per noi insignificanti! In ogni caso ormai
è fatta, e comunque non avevamo molte alternative. Oltre
alla Tana, il cimitero è l’unico luogo protetto
dall’Incanto Fidelius, e non sarebbe stata una gran trovata
nasconderci da tua madre. Avremmo solo messo in pericolo i bambini.
Piuttosto, se Bill non avesse tanto insistito a voler studiare
il terreno d’azione non saremmo dovuti
venire qui un giorno prima e avremmo dormito nei nostri letti, questa
notte. Quando mai avremmo ispezionato la zona dello scontro,
nell’ultimo anno?”
Mai, pensò Ron. Non avevano tempo.
Dovevano sempre attaccare velocemente, cogliendo l’effetto
sorpresa e sfruttandolo al massimo, per poi fuggire via come se non ci
fossero mai stati. Ma quella volta era diverso, sarebbe stato uno
scontro in capo aperto, tutti contro tutti, una carneficina come la
Battaglia di Hogwarts.
“Lo so. Eppure non riesco a smettere di pensare che sembri
davvero una di quelle pessime battute a cui non riderebbe nessuno.
Dormire in un cimitero…”
“Beh, Tonks e Charlotte l’hanno trovato
divertente,” puntualizzò Nathan, stringendosi
nelle spalle e sistemandosi la sciarpa. Era quella di Hogwarts, le
strisce oro e bordeaux, e lo stemma che si stava scucendo.
“Questo perché hanno un senso
dell’umorismo decisamente macabro. Solo loro farebbero
battute su cose simili,” ribatté Ron.
I due ragazzi ricevettero una scarpa a testa, lanciata da Fred e
George, che li colpì sulle gambe.
“Vorremmo dormire, se non vi dispiace. Avrete tutto il tempo
di questo mondo per chiacchierare, una volta sepolti vicini,”
borbottarono in coro, abbassandosi le cuffie sulle orecchie,
probabilmente più per il freddo che per loro.
“Hai dimenticato i gemelli,” fece notare Nathan,
increspando le labbra e le cicatrici nella macabra imitazione di un
sorriso.
Ron scosse divertito la testa, tornando alla sua lettera ancora scritta
solo per metà, mentre Nathan si abbassò il berretto
a coprire gli occhi socchiusi nel vano tentativo di assopirsi.
Ti ricordi, Hermione, tutti quegli sguardi, a volte
inconsapevoli, che ci siamo lanciati per tutti questi anni, senza saper
dar loro un nome?
Merlino, se eravamo idioti! Aspettavamo silenziosi che
l’altro si voltasse, non ci prestasse più
attenzione, per sbirciarlo con la coda dell’occhio.
All’inizio forse per convincerci che l’altro era
ancora lì, magari con la scusa che dovevamo assicurarci che
andasse tutto bene. Perché, insomma, è questo che
fanno gli amici, no? Proteggersi a vicenda. Amici,
sì.
Ci abbiamo messo anni per smettere di essere ciechi e aprire
gli occhi, mentre il mondo, attorno a noi, lo aveva già
capito da un pezzo. Lo aveva detto, Luna, durante una riunione dell'ES.
Quasi per caso, con la sua disarmante sincerità che sapeva
vedere in profondità.
C’era una lumaca solitaria che scalava la sua croce.
L’ho fatta tornare a terra. Meglio che la smettesse di
guardare inutilmente il cielo, come me. La vita è
quaggiù. Siamo tutti nel fango, le stelle si possono vedere
di rado.
Hogsmade faceva quasi paura di notte, sotto quella coltre di abbandono
e oscurità che la rivestiva. Era animata solo dagli
inquietanti scricchiolii del vento che si intrufolava tra le fessure,
dagli stridii di civette in lontananza che sembravano profetizzare
nulla di buono e dai tonfi di porte che sbattevano. Per il vento, si
augurò Hermione.
Anzi, senza quasi, si corresse. Faceva paura e
basta. Non fosse stato che erano in missione ed era concentrata nel
portarla a termine, non sarebbe stata tanto immune all’ombra
minacciosa che aleggiava sul villaggio.
Sussultò per l’ennesimo scricchiolio indistinto
alle sue spalle, voltandosi a cercarne l’origine. Un altro,
dannatissimo, gatto. D’accordo, forse non ne era tanto
immune, ma era comprensibile. Dovevano stare attente a non farsi
scoprire: si trattava di prudenza, non certo di paura. Vigilanza
costante, l’avrebbe definita Malocchio, se fosse
stato lì. Chissà cosa pensava della resistenza,
ora. Probabilmente stava criticando la loro tendenza ad attaccare
appena se ne presentasse l’occasione – senza
prendere tutte le giuste misure di sicurezza – picchiettando
la gamba di legno al suolo, con quel ticchettio irritante che avevano
ben presto imparato a riconoscere come segno di disapprovazione,
guardandoli da dove si trovava. Oppure era semplicemente troppo
impegnato a guardarsi le spalle e sondare il terreno là dove
era finito, incurante delle loro decisioni. Se poi era davvero finito
da qualche parte.
Le mancavano i suoi modi bruschi, si ritrovò a pensare con
grande sorpresa, mentre avanzava per le vie ciottolate sotto il
Mantello dell’Invisibilità. Le mancava la smorfia
appena accennata che rivolgeva a chiunque ritenesse imprudente e
avventato, o anche solo troppo fiducioso, nonostante volesse dire che
stavano sbagliando. Ma soprattutto la sensazione che la sua presenza le
aveva sempre dato: sicurezza, fiducia. Lui una guerra l’aveva
già fatta, l’aveva già vinta. Era
stato, come Harry, la possibilità, la certezza che la
vittoria c’era, da qualche parte in fondo al tunnel. In un
presente più o meno vicino era stato il simbolo della
gloria. Poi il presente era diventato passato e la gloria ammaccata di
Malocchio Moody era diventata solo un’effimera illusione che
era volata via con lui ovunque fosse andato, anche nel nulla. Anzi,
soprattutto lì.
“Non sembra un granché, ora, Hogsmade. Non
trovi?” sussurrò Charlotte, girandosi attorno per
osservare i tetti spioventi e mezzi diroccati delle casupole, grigie e
opache, che si specchiavano nelle pozzanghere che lastricavano la via.
Hermione annuì, lentamente, la mano che si strinse
convulsamente attorno alla bacchetta per l’ennesimo rumore.
Volse rapidamente gli occhi attorno, alla ricerca di un Mangiamorte
spuntato da dietro l’angolo. Invece era solo una vecchia
porta mezza ammuffita che il vento continuava a far sbattere.
Sospirò sollevata, giusto per poi tornare a tendere
l’orecchio. Non si fidava di quel fantasma pallido della
vecchia Hogsmade, quella che era stata il simbolo della loro
libertà, delle Burrobirre fra amici, dei pomeriggi a
Mielandia, della neve soffice che ricopriva il villaggio e lo rendeva
simile al presepe che faceva ogni anno con i suoi genitori. Nonostante
nell’ultimo anno e mezzo avessero più volte
combattuto sui loro passi di ragazzini sereni, tra i vicoli
sdrucciolevoli, di quella nuova Hogsmade era meglio non fidarsi. Era
diventata la tana del nemico, non più il loro scrigno dorato
dei ricordi felici. Le ombre degli studenti che vagavano a gruppetti,
quella piccola gioia di chi non ha nulla da fare e può
godersi ogni attimo negli occhi, ora non scivolavano più sui
muri di pietra. Nei primi tempi le vedeva ovunque, sembravano quasi
schierarsi con loro, supplicando che li riportassero a correre da una
vetrina all’altra. Poi, pian piano, erano scomparse. E
Voldemort aveva definitivamente portato via anche la
felicità che il passato aveva fatto loro assaggiare
e aveva promesso per il futuro.
“Non ci resta più nemmeno Hogsmade...”
rispose malinconica all’amica, o forse solo a se stessa, come
per impedirsi di pensare a ciò che era stato e non poteva
più tornare, ora che lo aveva detto ad alta voce e quel
pensiero si era concretizzato.
“Strano come ci si possa affezionare tanto a quattro case
dove passi, sì e no, dieci pomeriggi all’anno,
elevandole a simbolo della tua massima libertà e
felicità. Soprattutto quando basta un soffio per portarti
via tutto, e ti resta solo la sofferenza e non la consolazione del
ricordo. E lo sai, cha andrà a finire così, ma ti
affezioni ugualmente.”
L’ennesimo scricchiolio sinistro le scosse dal torpore dei
loro pensieri –
crick, crack.
Regolare, preciso. Un altro stupido gatto,
cercò di convincersi Hermione, o
un’imposta che sbatte. Ce ne erano molte,
di porte e finestre a pezzi, da quando i Mangiamorte si erano
impossessati del villaggio e lo avevano ripulito da chiunque si fosse
opposto – crick,
crack.
Sentì un fruscio di stoffe al suo fianco, lento e soffocato.
Charlotte afferrò la bacchetta, negli occhi le si poteva
leggere chiaramente la paura. Lo sapeva, lo sapeva: non erano state
abbastanza attente, non erano bastati il Mantello
dell’Invisibilità, il Muffliato. Le avevano
trovate comunque. Dietro l’angolo le aspettavano i
Mangiamorte: quello era solo il rumore della ghiaia
calpestata, delle foglie che si sbriciolavano sotto i loro piedi
– crick, crack.
Entrambe avanzarono lentamente, le bacchette in pugno davanti a loro,
lo scricchiolio che martellava amplificato nelle orecchie.
“Al tre,” sussurrò Hermione, lasciando
perdere ogni paura – crick.
“Uno…” Fa che almeno
Ron ce la faccia – crack.
“Due…” Fa che sia
veloce ed indolore – crick.
“Tre.” Crack.
La maledizione già pronta sulle labbra cadde nel vuoto, come
le foglie d’autunno – crick,
crack.
L’insegna dei Tre Manici di Scopa, attaccata solo per un
gancio, cigolava in un lugubre canto di morte. Dovevano essere decenni
che non veniva oliata come doveva. Un tempo, però, era un
cigolio dolce ed invitante, come un campanello che li richiamava tutti
ad entrare. Ora ripeteva solo il suo agghiacciante memento
mori – crick, crack.
Attaccata all’altro gancio, la testa mozzata di Madama
Rosmerta penzolava nel vuoto – crick,
crack.
Neville aveva detto che era stata uccisa, ma vederla era
tutta un’altra cosa.
Una folata di vento le colpì in faccia, sibilando tra i
vetri rotti delle finestre e lasciandosi alle spalle l’eco
lugubre dell’interno, i tavoli distrutti e rovesciati a
terra. Non fece in tempo a voltarsi che Charlotte era già
crollata in ginocchio.
“No no, non adesso…” borbottò
Hermione, chinandosi per sostenere l’amica e passandosi una
mano tra i capelli, nervosamente, quasi esasperata. Proprio
nel mezzo di una missione? Il mondo era contro di
loro, quella notte, non c’erano dubbi.
Appoggiò una mano sulla spalla di Charlotte, scostandole i
lunghi capelli scuri dal viso. Tremava, sostenendosi a malapena sulle
gambe. Eccolo lì il suo punto debole: il passato. Quello
stesso passato che gli altri evocavano come consolazione, finendo solo
per sentire ancora di più il peso del presente – crick,
crack.
Un altro tremito la scosse, le lacrime amare che le solcavano le
guance. Negli occhi senza vita della donna rivedeva quelli
azzurri di Connor. Era colpa sua se non poteva più ridere.
Era stata tutta colpa sua. Se non avesse insistito per andare a giocare
nel bosco, nonostante i divieti degli adulti, se fosse stata meno
sconsiderata, nulla sarebbe accaduto. Guardava il sangue rappreso sul
collo della donna e vedeva quello che incrostava il corpo del gemello.
Era stata solo colpa sua.
E davanti a Madama Rosmerta, che per anni aveva associato al profumo
aspro dell’idromele e a quello zuccherino delle sue torte,
rivedeva tutti i suoi incubi. Con quel passato non aveva mai saldato i
conti, ed ogni volta tornava a riscuotere il suo tributo di dolore
– crick, crack.
“Va tutto bene,” ripeté Hermione, quasi
fosse un incantesimo. “Va tutto bene, tranquilla.”
Non poteva mollare proprio ora. Con tutti i momenti possibili per farsi
soverchiare dai ricordi doveva scegliere proprio quello? Dovevano
ancora entrare a Hogwarts attraverso il passaggio segreto dalla Testa
di Porco, eludere la sorveglianza che sicuramente ci sarebbe stata,
nascondersi il più vicino possibile all’Ufficio
del Preside e aspettare l’ora concordata con gli altri.
Aprire la porta con il rito di Am Bealach e prendere tutto – crick,
crack.
Charlotte si strofinò gli occhi con la manica della felpa.
“Non aveva nemmeno compiuto sei anni. Aspettava ancora i
primi incantesimi involontari, non ha mai avuto nemmeno
quelli...” sussurrò, inghiottendo le lacrime.
Poi si rialzò, tentando di scrollarsi di dosso le ombre dei
morti.
“Forza Granger, abbiamo ancora poco più di
un’ora per arrivare all’Ufficio del
Preside.”
Crick, crack.
Ti ricordi, Hermione, la Burrobirra e come ti rimanesse sempre
un baffo chiaro sulla guancia destra, vicinissimo al labbro? Ti rendeva
più umana, quel baffo dolciastro. Anche la perfettissima
Hermione Granger non era così perfetta come si pensava. O
forse solo più perfetta nella sua imperfezione, come ho
sempre pensato.
Tentavi sempre di pulirlo, inutilmente, con il tovagliolo
bianco dei Tre Manici di Scopa, quello con sopra ricamante tre Tornado
Cinque. Che dicesse pure quello che voleva, Harry, ma non erano certo
due Tornado Sette, quelle. Sono
disposto a scommettere sulla mia maglia dei Cannoni di Cudley.
Sono andato a trovarlo, prima. Fa così male,
Hermione, ogni volta di più. Pensavo
di essermici abituato, e invece niente. Ma forse, lui, è
più felice di noi.
“Stupeficium!”
Il lampo rosso venne disperso senza fatica e Ron si buttò a
destra per schivare l’incantesimo successivo. La vampa verde
di un Avada Kedavra gli passò sopra la testa,
così vicino da rizzargli i capelli. Un Mangiamorte a pochi
passi da lui cadde a terra, le mani strette attorno alla gola,
emettendo un gorgoglio roco e soffocato. Si rialzò, la
bacchetta davanti a sé, e lanciò lo Schiantesimo
seguente. Un incantesimo ancora e uno dei mannari che erano passati
dalla parte di Voldemort gli balzò addosso. Neanche gli
servì dirlo, Sectumsempra, ormai
era diventato bravo con gli incantesimi non verbali. Mosse rapidamente
la bacchetta dall’alto verso il basso e poi rotolò
di lato, mentre il sangue del lupo gli schizzava in viso. Non
aspettò nemmeno di sentire il tonfo del corpo che cadeva a
terra, e si alzò in fretta. Probabilmente nemmeno lo
sentì, coperto dallo sfrigolio degli incantesimi e dalle
urla indistinte che rimbombavano tra le colline di Ottery St.
Catchpole. Non lo avrebbe sorpreso se i morti, tranquilli
sotto la cupola del Fidelius e la terra umidiccia, si fossero
risvegliati. Magari avrebbero anche potuto aiutarli, il che non avrebbe
guastato.
Si pulì il viso dal sangue del lupo mannaro con la manica
del maglione granata – regalo di sua madre per un Natale
lontano – e tranciò di netto le gambe del
Mangiamorte che stava attaccando alle spalle Neville, impegnato a
combattere con Dolohov. Una Maledizione Cruciatus andò a
schiantarsi contro il sortilegio Scudo innalzato alla bell'e meglio,
mentre si voltava verso il lampo, che fece piegare e tremolare per
l’impatto le barriere dell’incantesimo che si
sbriciolò poco dopo. Miseriaccia,
e dire che di solito gli uscivano decisamente meglio. Agitò
rapidamente la bacchetta: “Expelliarmius!”
L’incanto andò a vuoto, mentre il ruggito quasi
diabolico dell’uomo lo travolse.
“Incendio!”
La veste nera del Mangiamorte prese fuoco, giusto il tempo necessario
perché un colpo di bacchetta rapido e deciso lo spegnesse.
Il tempo necessario perché Ron lanciasse l’anatema
successivo e lo colpisse in pieno petto.
“Avada Kedavra!”
Si voltò velocemente, l’ultimo lampo di cosciente
terrore negli occhi dell’uomo che non era ancor evaporato, e
tentò di evitare un incantesimo. Sentì qualcosa
di rovente strusciargli contro lo zigomo e l’occhio destro.
Metà del campo visivo si annerì
nell’esplosione di dolore incandescente. Gridò,
per la rabbia e il dolore, l’incanto che spezzò la
vita dell’uomo che gli stava davanti. Sentiva
l’occhio sciogliersi, sfrigolante, il bruciore che colava
all’interno, sotto la pelle, fino alle ossa. Sarebbe finito
anche lui a far parte del Club degli Sfregiati, insieme a Bill e Nat (e
George che era stato nominato membro onorario), come il gemello li
aveva soprannominati. Incredibili i limiti fino a cui si spingeva il
suo sarcasmo. O forse era solo quell’umorismo di cui parlava
la Sheridan. Dietro il tragico si poteva anche trovare il comico.
Tentò di avanzare, barcollando, le orecchie che ronzavano
troppo perché potesse sentire altro che non fosse il suo
sangue che pulsava martellante. Intravide un’ombra che si
muoveva e puntò la bacchetta istintivamente,
l’incantesimo sulla punta della lingua. Poi l’ombra
prese forma, evitandogli di lanciare una maledizione a Lupin.
“Forza ragazzo, resisti. Ci siamo quasi,” gli
sussurrò l’uomo, armeggiando di fretta e furia
attorno al suo occhio.
“Dovrebbero avere quasi finito,”
mormorò, più rivolto a se stesso, sfiorando la
tasca dei pantaloni per controllare che la moneta fosse ancora al suo
posto e non scottasse. Diede un ultimo colpetto di bacchetta e poi
entrambi fecero esplodere l’aria attorno a loro. Due corpi
sfrecciarono in aria contorcendosi, i mantelli gonfiati come vele dal
vento d’ottobre. Ron e Remus si separarono, buttandosi di
nuovo nella mischia.
L’occhio continuava a sfrigolare, ma quantomeno riusciva a
vedere davanti a sé. Bastava solo che non lo colpissero da
destra, tentò di rincuorarsi il ragazzo. Evitò
accuratamente di pensare al calcolo della propria
probabilità di salvezza. Doveva solo sperare che Hermione e
Charlotte finissero a momenti.
Scagliò l’ennesimo Avada Kedavra e se ne
infischiò totalmente delle probabilità. Sembrava
non avessero mai fatto altro in tutta la vita. Non avevano mai fatto
altro, dopo tutto. Se mai l’avessero fatto, ormai se ne erano
dimenticati.
Ti ricordi, Hermione, quando andavamo a studiare sotto il
salice, quello in riva al Lago?
O meglio, tu studiavi, io e Harry facevamo esattamente
l’opposto. Stavi lì, seduta, un libro aperto sulle
ginocchia e una ciocca di capelli che ti scivolava continuamente
davanti agli occhi. E tu, ogni volta, ti ostinavi imperterrita a
spostarla dietro l’orecchio.
Eri così bella, Hermione.
C’erano il sole alto nel cielo, la brezza tra le
fronde, pensieri leggeri come piume e sogni da realizzare. Era
primavera e noi aspettavamo la luce dell’estate ignari di
cosa ci aspettasse. Adesso
è autunno e non resta che l’inverno.
“E così siete sicure di aver fatto tutto per
bene?”
Charlotte alzò le sopracciglia fin quasi a farle scomparire
sotto la frangia irregolare, a Hermione non servì nemmeno
guardarla per saperlo.
“Ti pare una domanda da fare, Neville?” rispose
infatti seccata, stringendo il pugno tanto forte da far divenire le
nocche bianche.
Hermione immaginò lo sguardo vibrante tra i due, mentre
continuava a tenere il suo fisso sulla lettera che Melissa Doherty
aveva trovato nella tasca di Ron, mentre gli dava un’occhiata
velocemente. Tranquilla Hermione, le
aveva detto, consegnandole la lettera sulla porta
dell’infermeria, quando era andata a chiedere notizie del
ragazzo, per poi chiudergliela in faccia mentre correva dai
feriti più gravi. Sarebbe passata a visitarlo per bene
più tardi.
“Charlotte…” la ammonì
Nathan, seduto poco più in là con il braccio
legato al collo. La sua dose di Ossofast sarebbe arrivata dopo aver
fatto il giro di tutti gli altri feriti: faceva parte
dell’elenco dei graffi. Se non
fosse finito prima, ovviamente, altrimenti avrebbe fatto alla vecchia
maniera Babbana fino a nuove scorte.
Hermione sentì il sospiro della ragazza mentre si lasciava
cadere sul letto a fianco, sfinita.
“I ritratti sono stati abbastanza espliciti. Non
c’era più nulla. Questo è quanto
custodiva la stanza.”
Non che fosse poco, pensò Hermione. Se solo gli altri
avessero letto qualche libro in più, non
le avrebbero guardate così. L’Olio di Nathair non
era una pozione da niente – una goccia e ti scioglievi come
neve al sole –, la spada di Grifondoro, decine di libri
proibiti per ovvi motivi. In mano a
Voldemort avrebbero sancito la fine di ogni loro speranza di salvezza.
Definitivamente.
“D’accordo…” si arrese il
ragazzo, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. Sembrava
quasi Harry, pensò Hermione, cercando di
cancellare subito quel pensiero.
Si alzò, probabilmente intenzionato a farsi una bella
dormita fino a nuove notizie dall’infermeria. Fino a quel
momento non sarebbero stati di alcun aiuto.
“Se avete voglia di aiutare Remus e Kingsley con quello che
avete trovato…” suggerì, guardandole
sconsolato. Ce l’avevano fatta, sì, ma a che
prezzo. Poi scomparì oltre la porta, lasciandole a fissarsi
silenziose.
“Andiamo noi,” decise Charlotte alzandosi dal letto
di Padma, che aveva irrimediabilmente sfatto, tendendo la mano verso
Nathan. “Ho bisogno di fare qualcosa o esplodo, ora come
ora.”
Era stata male di nuovo, arrivati a Shell Cottage, davanti ai
morti. Colpa sua, come con Fabian, zio Duff e Connor,
come sempre.
Hermione annuì vagamente, tornando subito a concentrarsi
sulla lettura della sua lettera da cui l’avevano distratta
poco prima.
Il vento sibila tra le foglie del vecchio albero di Prugne
Dirigibili, in cima alla collina, la stessa nenia malinconica del
salice, i fiori appassiscono sulle croci di ferro. Appassiremo
anche noi, come loro, in un lampo verde e freddo. Così,
come i fiori vecchi, come le foglie d’autunno che cadono
dagli alberi e muoiono.
Cadremo, ma nonostante tutto, davanti a queste croci,
l’unica cosa a cui si può pensare è la
luce di quell’estate che ci avevano promesso e non
abbiamo mai visto. Quella gloria in cui sognavamo di spegnerci anziani
e rugosi.
Forse non vedrò che una manciata d’ore,
domani, e ti lascerò qui, come Harry ha fatto prima di me, e
Ginny e Luna, e tutti gli altri.
Forse io me ne andrò, Hermione, non
potrò più baciarti fino a che non passa tutto il
dolore.
Ma tu, tu ricordati così, anche quando non ci
sarò più. Seduta sotto un salice, un libro sulle
ginocchia e il vento tra i capelli.
Io ti aspetterò, sempre.
Ron
NdA
Salve a tutti!
Se non avete capito un granché, non preoccupatevi,
è solo che vi manca la parte iniziale della serie
(che poi iniziale non si può nemmeno definire, ma immagino
di volta in volta scene separate e piuttosto limitate). In ogni caso le
due storie sono solo ambientate nello stesso mondo in cui Voldemort ha
vinto e quel poco che resta dell’Ordine cerca di resistere, e
si possono, più o meno, leggere autonomamente. La
storia è stata scritta per il contest "But there's a tree, of many, one - quando Harry Potter incontra la poesia inglese" indetto
da Phae. sul forum di EFP, e
il titolo riprende un verso della poesia di Wordsworth presente nel
pacchetto che ho scelto di sviluppare. (Ode all'immortalità).
Per quanto riguarda la storia, l’unica nota che ho (strano
siano poche) riguarda la lettera di Ron. È stato un parto
decidere che farne: troppo poetica, troppo corretta. Alla fine, ho
deciso di lasciare le parti "poetiche" (in fin dei conti Nat dice di
suggerirgliene alcune) dato che stiamo pur sempre parlando di una
lettera scritta pensando di morire alla propria fidanzata e ritengo che
Ron sia maturato notevolmente, in questo contesto. Spero renda bene
l’idea che volevo trasmettere.
Ringrazio chiunque si sia soffermato e abbia letto questa mia piccola
storia, i lettori silenziosi e chiunque vorrà lasciare un
piccolo commento
A presto!
Maqry
Gaelico
irlandese: maledizione!
Gaelico
irlandese: ragazza.
Rivisitazione
di “ "Il mondo non è diviso tra persone
buone e Mangiamorte! Tutti abbiamo sia luce che oscurità
dentro di noi." (Sirius Black, OdF)
Ho
preso ispirazione a mani basse dal Ciclo
dell’Eredità di Christopher Paolini, con il suo
olio di Sethir.
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