L'oscurità nel mio cuore cap5
(...)
La
mattina seguente, un suadente profumo di caffé s'infila nella camera
di Will.
Lui
si agita, fra le lenzuola, mentre la coscienza bussa alle porte della
sua mente.
Ci
mette qualche minuto per ricomporsi – per ricordare dove si trovi,
perché e, soprattutto, con
chi – e quando alla fine ce
la fa viene colpito da un altro pensiero. Chi
diavolo sta preparando il caffé?,
si domanda, sentendo un filo di panico stringersi ai suoi polmoni.
Balza
in piedi ed esce dalla stanza. Ora al profumo si è unita una leggera
musica, fischiata fra le labbra da qualcuno che evidentemente non si
dà pena di nascondere la propria presenza.
Una
volta arrivato alla cucina, Will si appiattisce contro il muro, in
ascolto. Sventuratamente, oltre alla distratta melodia, non c'è un
granché da origliare. Dopo il fischio della caffettiera c'è il
lieve crepitare del fuoco, sotto la padella, e, oltre il rumore
dell'acqua che bolle.
Will
prende un respiro profondo e si sporge, per sbirciare oltre la porta.
I suoi occhi incrociano una sagoma snella, dritta come un fuso, nera
come un presentimento.
Oh.
-Giusto
in tempo, signor Graham.- Corvina Marchesi nemmeno alza lo sguardo
dalle tazze, dove sta versando il caffé, scuro e fumante – vuole
del latte o lo preferisce nero?-
-
Nero… grazie.-
Will
sbatte le palpebre, confuso da quello che sta vedendo. Per un attimo,
si domanda se l'encefalite non sia tornata, se non abbia perso di
nuovo la cognizione del tempo e, con essa, anche qualche passaggio
fondamentale. Eppure accetta la tazza fumante che Corvina gli mette
fra le mani e beve un sorso di caffé.
Non
si dicono altro e, dopo qualche minuto, Will accetta di analizzarla.
Decide
di assecondare il desiderio di sondarla, di frugare fra i suoi
pensieri, di cogliere le sfumature nascoste di quella donna che ieri
aveva tanta fretta di giudicarlo. Della donna che ha condiviso con
Hannibal qualcosa che lui non sa, qualcosa di contorto e morboso ma
qualcosa
nondimeno.
Socchiude
appena gli occhi, mentre Corvina riempie d'acqua il bollitore e si
sceglie una tazza dalla credenza.
Lentamente,
la scompone in frammenti, in schegge. La riduce alla somma delle sue
parti, permettendo ai suoi pensieri di riecheggiare nella propria
scatola cranica.
Bambina
taciturna ma non malinconica, introversa ma non solitaria. Cresciuta
da un uomo che non è suo padre ma che ha comunque tentato di
trasmetterle amore. Amore in una forma fredda, scostante, piena di
tagli, di spigoli nascosti.
La
guarda prendere una bustina di the ed immergerla nell'acqua bollente.
Poi,
studentessa modello. Drasticamente pragmatica, asettica. Una giovane
che non cerca amici, ma che accetta di buon grado di dover dividere
la sua vita con altri esseri umani. L'uomo è scomparso dalla sua
vita, ma le ha lasciato qualcosa. Un'idea distorta di cosa voglia
dire amare ed essere amati.
E'
con la scuola di medicina, che cambia tutto, che quel qualcosa viene
alla luce. Troppa libertà, troppe potenzialità, troppa fatica a
conciliare i fastidi e le restrizioni del passato con l'assenza di
limiti del presente. L'ebbrezza di tenere un cuore umano fra le dita.
La ricerca di un luogo quieto, dove nascondersi a sé stessa, dove
poter ritrovare la lucidità per pensare.
Ed
è nell'obitorio dell'ospedale che, inaspettatamente, come una
folgore dal cielo, gli insegnamenti dell'uomo che non è suo padre
acquisiscono improvvisamente senso.
L'amore
e la morte dovrebbero stare ben separati.
-
Sembra assorto, signor Graham. Qualcosa la turba?-
Corvina
sorseggia lentamente il the; volute di fumo candido offuscano il suo
sguardo.
-
Non pensavo di rivederla così presto.- ammette Will, e non è una
menzogna
-
Il dottor Lecter tende a perdonare le mie intemperanze.- prende un
altro sorso – e, ad ogni modo, ho un compito da portare a termine.
Scomparire nel nulla non è facile come sembra. E noi non… non ci
aspettavamo di riceverla così presto, signor Graham.-
-
Però vi aspettavate che arrivassi?-
Corvina
si stringe nelle spalle:- non è mio compito fare previsioni.- dice,
picchettando con le dita sulla porcellana candida della tazza – né
trinciare giudizi su cose che, evidentemente, sono più grandi di
me.-
-
Una discepola modello.- commenta Will, senza riuscire a trattenersi –
quanti anni aveva, quando vi siete conosciuti?-
-
Potrei darle una cifra, ma la verità è che mi sembra di conoscerlo
da tutta la vita.-
-
E tutto questo tempo non le ha lasciato nessuna cicatrice?-
Corvina
inclina la testa, riflettendo. Will le fissa lo zigomo, restio a
spingersi oltre, a guardarla in quegli occhi di vetro. Vetro che
acceca alcuni e che è perfettamente trasparente per altri.
-
Erano cicatrici leggere – intuisce, mentre lei ancora tace – si
sono riassorbite in fretta. L'unica veramente profonda è stata la
prima, ma, come dice lei, è passato troppo tempo perché sia ancora
visibile.-
Corvina
beve l'ultimo sorso di the, poi lascia la tazza nell'acquaio e si
appoggia al bancone: -Come mai tanto interesse, signor Graham?-
-
La conoscenza ci mantiene vivi.- risponde Will. E che sia dannato se
c'è anche un'infinitesimale parte di lui che crede alla spudorata
menzogna che è appena uscita dalle sue labbra.
Corvina
sorride:- beva il suo caffé, signor Graham.-
I
giorni successivi scorrono rapidi e monotoni.
Corvina
appare e scompare, assorta e affaccendata. Fa la spesa, porta notizie
del mondo, limita i commenti allo stretto necessario, e lo fa con una
naturalezza che stupisce Will. E' il cane da salotto che un giorno ha
morso il figlio del padrone. E Will sa
che dovrebbe sentirsi offeso da quel paragone, però non riesce a
trattenere uno strano sollievo, a pensare che Hannibal ha tirato un
calcio al suo animale prediletto, per insegnarle a non mostrare i
denti.
Non
succede altro, fra loro. Will si sente bloccato in un equilibrio
cristallizzato e precario. Non sa come procedere, se vuole che
qualcosa cambi, e cosa, e in
cosa. Non sa cosa vuole, quindi non fa niente, per mutare lo status
quo, e aspetta che la realtà reclami il suo tributo e lo faccia al
suo posto. E' saggezza o codardia? Prudenza o un'elaborata forma di
fuga? Forse la risposta non ha poi così importanza.
A
parte la prima notte, Will ha sempre dormito nella propria stanza, e
ha finto.
Ha
finto tante cose. Ha finto di ignorare la terza porta, in fondo al
corridoio, la porta di una camera destinata a rimanere vuota. Ha
finto di non sentire la mancanza del corpo di Hannibal contro il
proprio, del suo tepore, del suo respiro. Ha finto di non saper
interpretare il fatto che non ha mai dormito un sonno più profondo,
quasi sereno.
Ad
un tratto, il suo cellulare si mette a vibrare.
Will
sta combattendo contro un'improbabile caffettiera ed esita un attimo,
prima di riconoscere il suono.
Poi
rimane fermo, le mani posate sul bancone, ed abbassa lo sguardo sullo
schermo. Lo sa prima di leggere il numero. Sa che la realtà ha
ritirato la sua tregua.
Il
nome "Jack"
pulsa sullo schermo.
Will
lo osserva. Si aggrappa al bordo del mobile, per restare ancorato
alla realtà mentre il flusso dei ricordi lo trascina indietro, alla
sua stanza d'ospedale, a Jack che lo fissava dalla poltrona di
plastica, con le mani raccolte in grembo e gli occhi vuoti, pieni di
rabbia e di confusione.
"Gli
hai promesso una resa dei conti"
ha sussurrato, quando ancora Will era troppo debole per rispondergli
"tu aiutami a trovarlo,
ed io ti aiuterò ad abbatterlo"
Si
lava la faccia, beve per placare l'improvviso fuoco che gli arde
nella gola.
Il
cellulare continua a vibrare e Will si sente soffocare. Per un attimo
è di nuovo davanti alla grande scelta. Se chiude gli occhi si trova
davanti a Jack. Jack pallido ma determinato, che lo studia, cercando
cenni di cedimento. Jack che vuole accertarsi che lui sappia da che
parte schierarsi. Jack che…
-
Will? Qualcosa non va?-
Will
trasale, si volta di scatto verso la soglia della porta e, d'istinto,
nasconde il cellulare sotto la mano.
Hannibal
lo fissa, la testa leggermente inclinata, lo sguardo di chi sa, ma
chiederà lo stesso, per educazione. Per tentare di mettere a suo
agio qualcuno che a suo agio non è mai stato.
Will
prende seriamente in considerazione l'idea di mentirgli. O di sviare
il discorso. Di lasciare Jack fuori dalla loro inattesa vacanza,
fuori dallo strano equilibrio della loro riconciliazione.
Ma
a che varrebbe? Non è che Hannibal non sappia, che Jack non
abbandonerà mai la sua caccia.
-
Jack mi ha chiamato.- risponde, sollevando il cellulare – non ho
risposto.-
-
Sarebbe stata una conversazione oltremodo interessante.-
Will
incrocia le braccia sul petto, si appoggia al mobile per mascherare
la tensione nei suoi muscoli:- pensi che ti consegnerei?-
-
Penso che l'ultima volta che hai preferito l'FBI a me, hai finito per
rimpiangere la tua scelta.-
Will
deglutisce, si volta, ricomincia ad armeggiare con la macchinetta del
caffé, per non incrociare lo sguardo di Hannibal. Odia che lui abbia
ragione, che sappia con che terribile rimorso abbia dovuto
combattere, mentre il suo corpo guariva, e la sua mente già
inseguiva le sue tracce, smaniosa di raggiungerlo.
-
Non lo farò.- dice, di scatto. Tanto vale giocare a carte scoperte.
Trasale,
quando le mani di Hannibal si posano sui suoi fianchi.
-
Preferisci che non lo faccia?- gli chiede lui, la sua voce bassa e
roca che scivola come una carezza sulla sua pelle – che non ti
tocchi?-
Will
esita, poi si appoggia indietro, contro il petto di Hannibal.
-
Non ti consegnerei mai all'FBI.- ripete. Non sa perché senta il
bisogno di ribadire il concetto, di proseguire quella conversazione
da cui, se l'esperienza insegna, non può venire nulla di buono.
Hannibal
sposta le mani, fino ad incrociarle sullo stomaco di Will,
stringendolo delicatamente a sé.
-
Perché?- domanda, in un sussurro contro il suo collo.
-
L'FBI non…- Will chiude gli occhi, sentendosi sommerso da alterne
ondate di calore e di vergogna -… non ti merita. Se tutto questo
terminerà, spetterà a me scrivere la parola fine.-
-
Perché?-
-
Perché mi appartieni. Perché apparteniamo uno all'altro e nessuno,
nemmeno Jack, ha il diritto di mettersi in mezzo.-
Will
s'irrigidisce. Dio, suona romantico.
Suona romantico anche se è esattamente l'opposto, anche se è una
promessa di mutua distruzione, una promessa d'inferno per quando la
loro delicata alleanza avrà bruscamente termine. Perché Will sa, sa
che non può durare.
-
Se finirà, non finirà con l'FBI.- ripete, spingendo via quei
pensieri invadenti.
-
Mi sembra legittimo.- sussurra Hannibal, e poi gli posa le labbra sul
collo e rimane fermo, in attesa.
-
Sì.- mormora Will. Non è solo un cenno d'assenso, è un esplicito
permesso.
E' la risposta alla domanda sottointesa, è un altro muro che viene
abbattuto.
Sente
le labbra di Hannibal rilassarsi in un sorriso. Le sente sulla
propria pelle e sente la lieve pressione dei suoi denti sul collo,
quando Hannibal lo bacia. E' un bacio leggero – qualcuno direbbe
insicuro
-, un bacio che vuole offrirgli il tempo di riflettere e la
possibilità di ritirarsi.
Will
chiude gli occhi e Hannibal lo bacia di nuovo. Gli sfiora con le
labbra le vertebre cervicali, una dopo l'altra, dalla schiena
all'attaccatura dei capelli e, ad ogni tocco, Will si sente un po'
più lontano dal mondo, un po' più accaldato ed intontito. Un po'
meno colpevole del piacere che prova.
-
Dillo di nuovo.- mormora Hannibal, parlando direttamente sulla sua
pelle – per favore.-
Will
non ha bisogno di chiedere cosa. Lascia cadere indietro la testa,
offrendo ad Hannibal la gola. Lui gli posa un bacio sulla giugulare,
socchiudendo gli occhi mentre assapora la sua carne, il ritmo del suo
cuore.
-
Tu mi appartieni. Noi
ci apparteniamo.- ripete Will e uno sbuffo d'aria forza le labbra di
Hannibal, e suona quasi come un gemito.
Prima
di arrendersi, Jack tenta una seconda chiamata.
Will
gl'invia un messaggio: "calma
piatta e batteria scarica",
poi spegne il cellulare.
Non
può essere un agente dell'FBI, ora. Non sa se vorrà mai esserlo di
nuovo.
Quando
riesce a mettere a tacere i suoi pensieri, si rende conto di voler
rimanere in quel limbo per sempre. Svegliarsi e preparare la
colazione, passare la giornata lontano dal mondo reale – lontano da
cadaveri, turbe psichiche, menzogne, deliri e carne in putrefazione –
e poi…
-
Mi aiuteresti a preparare il pranzo?-
Will
alza di scatto lo sguardo: Hannibal è di fronte alla credenza, con
in mano un tagliere di legno ed un lungo coltello e le maniche della
camicia arrotolate fino al gomito.
-
Sì.- risponde Will, prima di pensarci. Prima che il raziocinio possa
rovinare tutto.
L'ultima
volta che ha cucinato con Hannibal, si stava preparando a consegnarlo
all'FBI. L'ultima volta che ha tagliato le verdure, l'ha fatto col
cuore gonfio di qualcosa a cui non sapeva dare un nome.
Si
lava le mani, fuggendo dai propri ricordi.
-
Corvina dice che mi stavi aspettando.- dice, per rompere il silenzio.
Hannibal
inclina la testa, posa le carote sul tagliere e tende il coltello a
Will:- se puoi crederci, c'era una scommessa in ballo.-
Will
trattiene una lieve risata:- suona così infantile.-
-
Un modo come un altro per ingannare l'attesa.- Hannibal inarca un
sopracciglio – più sottili, le carote.-
-
Non sono in grado, di tagliarle più sottili di così.- protesta
Will, mentre quella risata traditrice ancora gli rimbalza nella gola.
-
Non sottovalutare le tue capacità.-
Will
storce la bocca:- e tu non sopravvalutare le mie diottrie.- replica,
e, in quell'attimo, la risata gli forza le labbra. Riecheggia per un
attimo nel piccolo cucinino, e Hannibal socchiude gli occhi, come per
imprimersi quel suono nella memoria.
-
Se puoi crederci…- sussurra, posandogli una mano in mezzo alla
schiena -… ho sentito la tua mancanza. Ogni giorno.-
Will
molla il coltello e si volta. Hannibal si appoggia al mobile, le
braccia che sfiorano i fianchi di Will.
-
Non so se la nostalgia esiste, nel tuo mondo. Non so se ha lo stesso
significato che ha nel mio. Non…- abbassa lo sguardo, irrigidendosi
quando sente il respiro di Hannibal infrangersi contro la propria
guancia -… per quanto mi sforzi, io non riesco a leggerti. Riesco a
capirti come assassino, ma non come persona.-
Hannibal
solleva una mano, per sfiorargli le labbra:- stai mentendo per
omissione?- chiede, dolcemente.
Will
annuisce.
La
verità è che ha paura che non ci sia una persona, oltre
l'assassino. Che non riesca a capirlo perché non c'è niente da
capire, perché esiste solo lo Squartatore di Cheesapeak ed Hannibal
non è altro che una menzogna. L'ombra di qualcuno che è esistito e
che, a un certo punto della strada, è scomparso.
Hannibal
allarga le dita sulla sua guancia, attirandolo delicatamente verso di
sé:- imparerai.- promette
-
E se… se non ci fosse nient'altro da imparare?-
Un'ombra
fugace oscura i lineamenti di Hannibal:- quando verrà il momento,
giudicherai.- sussurra, e Will lo bacia.
Prima
che il suo cervello possa registrarlo, le sue labbra sono su quelle
di lui, le sue dita s'infilano fra i suoi capelli. Respirano la
stessa aria, i loro cuori battono allo stesso ritmo.
Will
chiude gli occhi, prima di piegarsi in avanti, per pretendere un
altro bacio.
Nel
bene o nel male, così ha
detto Abigail, sta a te la
scelta.
Hannibal
gli succhia dolcemente il labbra inferiore, per poi infliggergli un
leggero morso. Will ingoia un gemito, mentre il senso d'appartenenza
lo sommerge.
Gli
torna alla mente la loro ultima cena. La notte in cui Hannibal ha
servito l'agnello. Il modo in cui lo guardava, gli parlava, la
reverenza con cui aveva sfiorato la sua mano. L'invisibile sorriso
quando descriveva il loro futuro. Achille e Patroclo, dopo la morte
di tutti gli Achei.
-
Avrei voluto fuggire con te.- confessa.
Hannibal
lo bacia con più forza e, per un attimo, Will pensa che non
aggiungerà altro, che non commenterà, che la sua unica risposta
sarà quel bacio, che brucia come fuoco.
Poi
Hannibal appoggia la testa sulla sua spalla, respirando contro la sua
pelle:- l'avrei voluto anch'io.- ansima
Will
gli accarezza la schiena:- stavolta lo farò- sussurra – stavolta
fuggirò assieme a te.-
Hannibal
preme la fronte contro la sua scapola e rimane in silenzio.
Will
sta lavando i piatti, quando Corvina gira le chiavi nella toppa ed
entra.
La
donna si ferma sulla soglia della cucina, poi appoggia sul tavolo una
busta di carta.
-
Hannibal sta riposando.- la informa Will, anche se non ha voglia di
fare conversazione. Ha tante cose a cui pensare, tanti sentimenti da
metabolizzare, considerazioni da ponderare, conclusioni da trarre. Un
sapore sulle labbra che non vuole andare via.
-
Meno male.- commenta Corvina, ed estrae dalla busta un involucro di
plastica.
Per
un attimo, la sorpresa scaccia ogni altra sensazione dalla mente di
Will:- mangi da McDonald?- chiede, incredulo.
Corvina
inarca un sopracciglio:- quando la situazione lo richiede.- risponde,
senza rispondere.
Will
ride, poi apre il frigorifero:- una birra?- chiede
Corvina
si accomoda su una sedia dallo schienale alto:- a tutto c'è un
limite, signor Graham.- declina, prima di pescare dal sacchetto un
grosso bicchiere di carta
-
Coca-cola batte birra artigianale?- scherza Will
Corvina
lascia andare uno sbuffo, attraverso il naso leggermente aquilino:- è
the.-
replica
-
Ok – si corregge lui, prendendo un apribottiglie dal cassetto –
the industriale iperzuccherato batte birra artigianale?-
Corvina
gli tende il sacchetto delle patatine fritte:- che rimanga fra noi.-
Mangia
in silenzio, leccandosi le dita quando ha finito e Will l'osserva, e
gli viene da ridere.
-
I Quattro Campanelli della Giullaressa
Primo:
con la dovuta calma, questa storia prosegue! Contro tutte le mie
brave scalette, ho deciso di trasformarla in una long (e tanti cari
saluti ai tre capitoli autoconclusivi), spero che la transizione non
sarà troppo traumatica o, al contrario, troppo lunga e noiosa. Farò
del mio meglio :P
Secondo:
mi sono appena accorta che i campanelli dello scorso capitolo si sono
persi nella mia maldestra formattazione, quindi, ops, scusatemi! In
mia difesa, a parte una montagna di ringraziamenti a tutti coloro che
sono giunti fin qui, non c'era nulla di davvero rilevante!
Terzo:
buon compleanno a Mads Mikkelsen!
Quarto:
oh caspita, sono in ritardo catastrofico, non arriverò mai a lezione
in tempo!!
-
- Baci!
-
Vostra,
Giullaressa
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