That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.015
- Un Gryffindor a Grimmauld Place
Sirius
Black
Hogwarts Express - sab. 18 dicembre
1971
“E comunque sappiate che me la
pagherete tutti e due!”
Peter continuava a guardarlo e a ghignare, io e Remus ci lanciavamo dei
piccoli sorrisetti innocenti e insieme maliziosi.
“E tu non ridere, Pettigrew,
perché
potrei vendicarmi anche di te! Dovevi montare la guardia, non
dormire!”
Peter smise di ridere e rischiò di strozzarsi con le
Cioccorane
con cui si stava ingozzando. James per l’ennesima volta si
controllò la capigliatura sui vetri del finestrino,
scuotendo
rassegnato la testa. A quel punto non potemmo fare a meno di scoppiare
a ridere sguaiatamente: fatture “Orcovolanti” o
meno,
l’espressione di Potter non poteva non strapparci ancora una
risata a suo danno.
*
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - 17/18 dicembre
1971
… Al termine della festa, quando ormai le tenebre erano
scese
nella nostra stanza, su alla torre di Grifondoro, Remus ed io avevamo
dato vita al famigerato attacco: intorno a noi regnava un silenzio
leggero, intervallato solo dal russicchiare regolare di Peter, che era
svenuto sul letto dopo le abbondanti abbuffate di quella sera e aver
dovuto fare un paio di giri di”ballo” con Martina
Stevens.
“Dai Peter buttati! Buttati!
Sei tutti noi! Vai! Vai dalla tua fan…”
E lui era andato, rosso come un pomodoro maturo, a farsi pistacchiare i
piedi dall’unica ragazzina di Hogwarts forse più
goffa e
imbranata di lui. Remus si avvicinò con il suo passo leggero
dalla sinistra, sollevando e ritirando piano la tenda del baldacchino,
non facendo il benché minimo rumore, io sfoderai la
bacchetta e
mi avvicinai da destra, avendo cura di evitare gli oggetti distribuiti
caoticamente da Potter: ogni volta che si spogliava per andare a
dormire, la zona della stanza intorno al suo letto pareva reduce dal
passaggio di un uragano. Sussurrai piano l’incantesimo con
cui
mio padre mi aggiustava i capelli, riportandomeli alla giusta
lunghezza, ebbi però l’ardire di aggiungere la
parola
“Totalus”, con cui mia madre più volte
mi aveva
minacciato di raparmi a zero, se non avessi smesso di fare i dispetti a
Regulus. Remus, che solo a quel punto capì cosa stavo
combinando, mi fulminò con lo sguardo, ma ormai era troppo
tardi: la chioma fluente, sparata per aria, che ci faceva tanto ridere,
aveva lasciato il posto alla vista della testa completamente liscia e
glabra di James Potter.
“Oh Merlino, stavolta siamo
nei guai!”
Remus si ritrasse spaventato e si gettò rapidamente sui suoi
quaderni, sperando di trovare tra le formule
“salvavita”
che sua madre gli aveva appuntato, anche qualcosa che facesse
ricrescere rapidamente i capelli, io invece mi stavo rotolando a terra
dalle risate, non avendo ben capito in quale mostruoso guaio mi ero
appena cacciato.
“Taci, idiota, e aiutami,
piuttosto! Vuoi
forse che Potter si accorga subito e che il preside ci cacci? Merlino,
ma si può essere più… Vieni qua e
aiutami!”
“Dai, Remus... Almeno adesso
nessuno potrà più dirgli
“porcospino”!”
Mi ero seduto sul suo letto, in preda alle risate mi tuffai
all’indietro, con la chiara intenzione di distogliere Lupin
dai
suoi libercoli e soffocare le risate sul suo cuscino. Remus
però
non mi seguiva, quando mi risollevai, anzi, vidi che mi fulminava con
lo sguardo, severo.
“E se non gli ricrescessero
più?”
Guardai intensamente la sua espressione, Remus era davvero terrorizzato
e solo a quel punto capii che forse aveva ragione…
Merlino… e se davvero non fossero più
ricresciuti? Quando
avevo affatturato la coda della gatta di Meissa, nemmeno mia madre e
Deidra erano riuscite a correggere i miei errori… Passammo
metà della notte sul suo letto, a cercare tra i libri e gli
appunti, invano, alla fine, uno dopo l’altro, cademmo in un
sonno
agitato, da cui mi risvegliai solo all’alba. Ero
già in
bilico sul bordo del letto di Remus, rischiando di cadere, quando mi
sentii prendere per la collottola del pigiama e tirare a terra.
“Tu…”
“Ahhhhh…
che….”
Non finii la frase: con gli occhi ancora annebbiati dal sonno,
intravidi una figura nera e minacciosa piombarmi addosso; ci rotolammo
a terra, portandoci dietro le coperte di Remus, parte delle tende del
suo baldacchino e almeno un paio di calzini maleodoranti di James. Uno
dei due mi fu ficcato quasi in gola con insistenza dal mio aggressore.
E questo fu il meno.
“Ma cos….
Aprii definitivamente gli occhi, quando per staccarmi quella furia da
dosso, le mie mani salirono fino alla sua testa e cercarono di
aggrapparsi e stringere le sue orecchie: non le trovai. James Potter
incombeva su di me, una foresta di capelli neri e cespugliosi irti in
testa ancora più del solito: per un attimo mi si
gelò il
sangue, complice la confusione del brusco risveglio e
l’impossibilità di quello che vedevo. Temetti di
avere di
fronte il suo fantasma, non James in carne e ossa.
“O santo boccino! Ma come hai
fatto?”
La voce ancora un po’ impastata di Remus lo colse di sorpresa
e
Potter allentò la pressione su di me, si voltò
verso
Lupin, rosso in viso, i capelli che sembravano fluttuare
nell’aria come i tentacoli di Medusa.
“Ah quindi sei coinvolto pure
tu! Quale diavolo d’incantesimo mi avete fatto?”
Si voltava una volta verso di me, una volta verso Remus, brandendo la
bacchetta e più si arrabbiava, più
misteriosamente i
capelli si allungavano e s’incasinavano sempre più
sulla
sua testa. Non che l’avessi mai visto con i capelli in
ordine, ma
quel giorno sembravano animati di vita propria.
“James calmati, che mi pare…
la situazione stia peggiorando ulteriormente….”
James corse al suo baule, riprese lo specchio e, isterico,
affondò una mano nella foresta nera: ero convinto che non
sarebbe più riuscito a tirarla fuori.
“Oh santo Boccino...”
“Dai stai fermo…
provo a sistemarteli!”
“Non ti avvicinare
Black… non ti
avvicinare o ti affatturo le chiappe… giuro... oggi non
rispondo
di me!”
Mi avvicinai, senza sapere nemmeno io cosa potessi fare, a parte
ridere, e non era esattamente quello il momento. Eppure vedere che il
mio esperimento notturno aveva avuto delle conseguenze ben diverse
dalla tragedia annunciata, mi rendeva particolarmente euforico e
persino un po’ impudente.
“Ma io te li avevo solo
accorciati un pochino,
James, non avevo di certo… Diglielo tu, Remus, diglielo che
io
non ho fatto nulla di male!”
“Oh Black… smettila
un po’… Che sei sempre tu a far casino!”
Remus era al colmo dell’esasperazione, mentre riprendeva a
stropicciare i suoi appunti cercando una formula: quel ragazzo era
troppo fiducioso nella “scienza magica”, era
più che
evidente che James Potter andava contro tutte le regole della natura e
della magia. In quel momento Peter uscì dal bagno e vedendo
di
spalle James rimase sconvolto, mettendosi a balbettare frasi sconnesse
sulla presenza di uno sconosciuto in camera.
“Sono io, Peter!”
Il nostro Pettigrew rimase in stato di shock sulla porta, le sue cose
caddero a terra e i suoi occhi rimasero a fissarsi sui capelli
svolazzanti, io scoppiai a ridere, mentre James aveva definitivamente
una crisi isterica. Fu Remus come sempre a riportare la
calma. All’improvviso, si alzò con la sua
classica
flemma, prese la bacchetta e pronunciò con
un’intonazione
e uno svolazzamento della bacchetta diverso da quello usato da me, lo
stesso incantesimo che avevo pronunciato io la sera prima: era riuscito
a stabilizzare la situazione, sembrava che ora i capelli crescessero a
una velocità inferiore.
“Forse dovremmo andare dalla
Pomfrey prima che ricomincino a crescere selvaggiamente.”
“No… rischieremmo
di perdere il
treno… ci penserai tu a tenere sotto controllo la
situazione,
durante il viaggio… Mi pare il minimo… A casa ci
penseranno i miei…”
“Ma ti porteranno al San Mungo
se ti vedono conciato così!”
“No… mio padre sa
come fare... Se ne intende, di queste cose…”
“Che cosa vorresti dire? Che
tuo padre fa il barbiere dei maghi?”
Ripresi a ridere, ma gli sguardi di fuoco di Remus e di James mi
rimisero a “cuccia”.
“No... è
che…. In famiglia
abbiamo dei capelli un po’ strani, e mio padre ha elaborato
un
incantesimo apposta per cercare di tenerli sotto controllo…
non
so come diavolo abbiate fatto, stanotte, a far cadere
l”’incanto di
mantenimento”…”
“Oh ... se è per
questo, io non ti
avevo fatto cadere solo
l’”incantesimo”…”
James mi fulminò, senza per fortuna capire di cosa parlassi,
Remus fece no con la testa e convinse Potter a non indagare oltre, i
capelli già tendevano ad allungarsi di nuovo ed era
necessario
che facessimo colazione prima che tutti gli altri si accorgessero
troppo della stranezza, o James sarebbe diventato il fenomeno da
baraccone della scuola…
Ci rivestimmo e scendemmo rapidamente in Sala Grande, io lasciai nella
mia stanza un pezzetto del mio cuore, ben sapendo che quella per me era
ormai, davvero, "casa".
*
Sirius
Black
Hogwarts Express - sab. 18 dicembre
1971
Tornai
a guardare fuori dal finestrino, il paesaggio scorreva via veloce,
nascosto sotto una candida coltre di neve fresca: quella notte, notte
oscura di luna nuova, aveva nevicato ancora abbondantemente. I minuti e
i kilometri mi avvicinavano sempre più rapidamente a casa,
un
groppo mi stringeva alla gola ed io mi aggrappavo al pensiero della
sera precedente, del ballo e degli scherzi con i miei amici per non
soccombere alla paura.
*
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - 17/18 dicembre
1971
Subito
dopo la colazione, mentre Remus prendeva da parte James e lo
sottoponeva per la terza volta a un incantesimo ai capelli, avevo
raggiunto Meissa, che sembrava meno tesa della sera precedente. Dopo
averla vista con quel biondo damerino di Corvonero e aver accettato di
ballare a mia volta con quell’ochetta della Dickens, solo per
stare sulla pista e controllare da vicino cosa combinava Emerson, ero
riuscito a passare il resto della serata con lei, il cui umore era a
dir poco funereo. Mi aveva spiegato che aveva quell’impegno a
causa di una tradizione del Nord e che probabilmente non avrebbe potuto
passare con me il giorno del matrimonio di Mirzam. Io ero dispiaciuto,
vero, ma anche piacevolmente sollevato quando mi fu chiaro che non
aveva scelto spontaneamente di ballare con uno dei ragazzini
più
celebri di Hogwarts, soprattutto ora che, catturato il boccino dopo tre
minuti dall’inizio della partita con i Tassorosso, aveva
portato
la squadra dei Corvi in testa alla classifica. Mi dispiaceva
però che fosse tanto turbata e triste a causa di queste
storie:
le dissi che la consideravo la più bella ragazzina presente
al
ballo, ma lei diventò rosso fuoco e invece di ringraziarmi
diventò ancora più taciturna… Io non
la capivo,
non sapevo cosa dovevo dirle e cosa dovevo fare perché fosse
allegra come sempre. Ai miei occhi lei era davvero meravigliosa: aveva
un bellissimo abito rosso e i capelli corvini intrecciati in una serie
di trecce che si sistemavano in maniera complicata sulla testa,
esaltando il candore e la grazia del collo. Avevamo ballato per un
po’, lei molto controvoglia, così presto
c’eravamo
ritirati a chiacchierare come nostro solito: lei mi aveva raccontato un
paio di leggende del Nord ed io già immaginavo che
meraviglia
sarebbe stato il matrimonio di suo fratello, se davvero tutto il
castello di Herrengton, già bellissimo, sarebbe stato parato
a
festa. Se non fossi stato impegnato a tramare ai danni di Potter,
probabilmente avrei passato tutta la notte a immaginarmi che ballavo
nel salone di Herrengton con Meissa. Poi quella mattina, avevamo
raggiunto la stazione insieme. L’avevo tenuta per mano,
avanzando
lentamente nella neve, un po’ indietro rispetto agli altri,
con
lei che mi distraeva dal pensiero di casa, facendomi notare gli aghi di
ghiaccio che addolcivano tutto ciò che ci circondava, e mi
coinvolgeva in una piccola battaglia a palle d neve: non so quante
volte mi centrò, preso com’ero ad ammirare il suo
ritrovato sorriso.
*
Sirius
Black
Hogwarts Express - sab. 18 dicembre
1971
“Sei ancora dei nostri,
Black?”
Mi riscossi dai pensieri, avevamo ormai superato la metà del
viaggio, restavano poco più di un paio di ore
all’arrivo,
come compresi quando la signora delle cibarie passò,
offrendoci
ogni genere di delizia. Con gli altri misi in atto una specie di
“assalto alla diligenza”, avendo cura di non
negarci
niente: “Bolle bollenti”,
”Cioccorane” e
”Gelatine Tuttigusti +1” su tutto il resto. Quel
viaggio ci
permetteva di passare insieme, seppure anticipatamente, il Natale: per
questo, per una volta, avevo preferito la loro compagnia a quella di
Meissa, che se ne stava a qualche scompartimento di distanza con Zelda,
Snivellus, Lily, Emily e le due ragazze Corvonero, provenienti da
famiglie del Nord. A meno d’imprevisti, con lei ci saremmo
rivisti già il lunedì seguente, quando sarei
andato con
la mia famiglia a Herrengton per il matrimonio di Mirzam. E, tradizioni
o meno, avrei trovato il modo di salvarla dall’obbligo di
passare
il suo tempo con quel dannato damerino biondo.
“Come pensate di passare i
prossimi giorni? Tutte abbuffate?”
James era seduto sul sedile centrale, accanto a me: stava scartando
l’ennesima barretta al cioccolato, io distolsi lo sguardo dal
timido sole che andava a tramontare dietro le colline, per osservare la
minuziosa devastazione che infliggeva alla carta stagnola che un tempo
ricopriva il pezzo di cioccolata. Remus e Peter si scambiarono le
figurine dei maghi che avevano trovato con le ultime Cioccorane: di
sicuro ce le saremmo giocate nelle nostre lunghe serate in camera,
sfidandoci a Sparaschiocco e a Gobbiglie. Da parte mia,
benché
avessi speso una piccola fortuna in Gelatine e Cioccorane, mi sentivo
lo stomaco chiuso dalla tensione.
“Io passerò le
feste dai miei nonni
babbani, vicino a Birmingham, con i cugini, gli zii, un po’
tutti, insomma: canteremo le canzoni di Natale e mangeremo i dolci di
mia nonna, non vedo l’ora di essere a
casa…”
Peter aveva gli occhi con dentro le stelline, per l’emozione:
quando passò alla descrizione delle leccornie che lo
attendevano, sentii lo stimolo della fame. Ma non era solo quello: di
sicuro a casa mia si mangiava molto di più e le pietanze
erano
molto più raffinate, ma il senso di partecipazione e calore
che
trasparivano dai racconti di Pettigrew, a casa mia non
l’avevo
percepito mai.
“E tu Remus?”
“Starò a casa,
probabilmente, dubito
che riusciremo ad andare dai nonni… Non lo so…
forse
verranno a trovarci loro…”
“Ho capito, al contrario di
me, avete tutti
delle famiglie numerose, anche tu, vero Sirius? Oltre alla tua bella
cugina Serpeverde hai altri parenti, giusto?”
Li guardai, distogliendomi annoiato dalla spettacolo del sole ormai
sparito all’orizzonte, l’ultimo bagliore color
lilla si
specchiava tendente al nero sui campi spogli, nascosti sotto il
ghiaccio e la neve: quell’oscurità che scivolava
tutto
intorno a noi, richiamava l’oscurità soffocante di
Grimmauld Place. Ero irrequieto: avrei volentieri tirato il freno di
emergenza per fermare il treno, e poi mettermi a correre tra quei capi,
fino all’orizzonte e infine sparire.
“Sì, Potter, ho una
famiglia numerosa
anch’io, anche se non tanto quanto piacerebbe ai
Black…”
Ghignai.
“… Probabilmente
passeremo il Natale
nello Wiltshire, da mio zio Cygnus, il padre di Narcissa, e forse ci
sarà anche Bellatrix, la sorella maggiore, con suo marito,
Rodolphus Lestrange, che poi sarebbe il fratello maggiore di Rabastan
Lestrange…”
“Wow…. Non
immaginavo fossi imparentato anche con quel simpaticone!”
James ghignava, ma a me quella storia non faceva ridere per niente.
Più passava il tempo più avevo paura di quel
giovane,
anche più di Malfoy.
“E poi che cosa fate tutti
insieme? Oltre ai
gran balli di società, ai pettegolezzi e ai matrimoni
combinati?
Se non sbaglio devi andare anche al matrimonio del fratello maggiore di
Meissa, il cercatore del Puddlemere, giusto?”
“Sì…
Mirzam si sposerà
martedi… ma non so se mia madre mi porterà a
Herrengton…”
“Perché non
dovrebbe portarti, scusa?”
Remus che mi aveva fatto la domanda, si morse la lingua basito quando
mi vide afferrare il cravattino per mostrarlo a tutti: immediatamente
il ghigno divertito di James lasciò il posto a
un’aria
preoccupata.
“Scherzi, vero? Voglio
dire… Noi ci
abbiamo giocato in questi quattro mesi con la storia del tuo
smistamento… era tutto uno scherzo, giusto?”
“Non lo so, James, davvero,
con i miei posso
aspettarmi di tutto: hai visto da te quanto si son sprecati a scrivermi
…”
“Ma che razza di
gente…? No scusa… scusami Sirius, io... non
volevo…”
Feci spallucce e sorrisi incurante a James. Volevo mostrarmi
indifferente, volevo che pensassero che non m’importava
niente.
Anche se il cappello non aveva riconosciuto in me una serpe, restavo
pur sempre un orgoglioso Black. Nel cuore però avevo il
fuoco.
Che cosa mi aspettava a casa? Alla fine il treno rallentò
fino a
fermarsi, da tutti i vagoni si levarono grida di giubilo, a me si
gelò il sangue nelle vene: titubante presi la valigetta con
le
mie poche cose, i miei amici erano euforici, io, al contrario, non
avevo alcuna intenzione di scendere. Invece era giunto il momento.
Avevamo rimesso a posto le nostre cose e rindossato gli abiti normali:
non sapevo che cosa mi aspettasse, ma il buon senso mi diceva che avrei
fatto meglio a mostrare il meno possibile la mia divisa da Grifondoro.
Mi chiedevo se sarebbero venuti a prendermi in stazione: qualche dubbio
a quel punto l’avevo, visto che non avevo ricevuto alcuna
lettera
da parte loro. Mi avrebbero lasciato solo sotto la neve a
King’s
Cross? Beh magari… magari gli Sherton a quel punto mi
avrebbero
ospitato… Se fossi stato fortunato, davvero i miei genitori
non
si sarebbero presentati a riprendermi... Sbirciai appena fuori dal
vetro, carico di una nuova speranza. La luce tremula dei lampioni a gas
rimandava l’immagine del binario pieno di gente, arrivata a
riprendersi i figli, io però non ebbi il coraggio di
affacciarmi
a cercare la figura nota dei miei genitori. Per i corridoi scorreva una
folla urlante, che si spingeva e non vedeva l’ora di
scendere,
all’improvviso vidi l’alta figura di Rigel farsi
largo tra
gli altri fino a raggiungermi. Meissa era dietro di lui. Per un attimo,
incrociando il suo sguardo, anche la paura di mia madre si sciolse come
neve.
“Ciao ragazzi!
Sirius… dovresti
scendere con me e Meissa… Ti aspettiamo, qui fuori, saluta i
tuoi amici e poi vieni con noi, così raggiungiamo anche tua
cugina, d’accordo?”
Lo guardai trasecolato. Il pensiero di Narcissa, con magari anche
Malfoy e i suoi amici boriosi, mi fece storcere il naso, e apprezzare
poco persino l’idea di passare quegli ultimi minuti con Mei
io
non volevo lasciare i miei amici. James percepì la mia
indecisione, si avvicinò, la solita aria spensierata e
petulante
che sapeva coinvolgere, quando non ti faceva venire voglia di
picchiarlo selvaggiamente.
“Forse è meglio che
ti faccia vedere
dai tuoi con degli amici di Serpeverde, invece che con dei grifoni come
noi”
Mi fece l’occhietto, poi mi abbracciò e mi
augurò
buone feste, salutai calorosamente anche Remus e Peter, i miei amici
fecero gli auguri a Meissa e a Rigel, poi si dileguarono in mezzo agli
altri. Sospirai. Dentro di me sapevo che un giorno avrei trovato la
forza di scendere con i miei amici, affrontando a testa alta i
pregiudizi della mia famiglia. In quel momento era ancora troppo forte
in me il terrore di non trovare nessuno ad attendermi, o trovare
un’accoglienza anche più gelida del
solito… Guardai
Meissa, stretta nel suo cappotto scuro, i capelli intrecciati,
un’aria molto più bambina di quanto avesse
mostrato la
sera precedente: era tornata a essere la deliziosa monella che mi
piaceva tanto, anche se non disdegnavo nemmeno la ragazzina raffinata
che avevo scoperto la sera prima. Mi diede la mano e insieme scendemmo
dal treno. Sull’ultimo gradino mi trattenne, avvicinandosi mi
parlò piano dandomi poi un leggero bacio sulla guancia. Un
senso
di calore e uno strano brivido mi pervasero, quando percepii le poche
parole che mi disse all’orecchio e le labbra sfiorarono
appena la
mia guancia.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 18 dicembre
1971
Mi ero nascosto nel mio studio già dalla prima mattina, con
la
solita scusa dei miei affari, ordinando agli elfi di non disturbarmi
per nessun motivo e di servirmi il pranzo in quella stanza. La
verità era che non mi andava di affrontare, come al solito,
lo
sguardo pieno di rimprovero di Walburga o le sue frecciatine velenose a
proposito di quanto le facessero schifo i grifoni o di quanto fossero
orgogliosi i Mulciber o gli Yaxley per le notizie che arrivavano da
Hogwarts sui loro figli. Non volevo si ripetesse più una
scena
simile a quella del primo settembre, per lo meno non davanti a Regulus:
avevo temuto davvero che gli volesse fare qualcosa, solo per punirmi.
Quando però il bambino stava dagli Sherton, per imparare a
stare
sulla scopa o per andare alle partite del Puddlemere, Walburga coglieva
l’occasione per insultarmi in tutti i modi, mi sembrava di
essere
tornato indietro di alcuni anni, il clima di odio tra noi ormai era lo
stesso di allora. Stavolta, però, le avevo fatto capire da
subito che erano finiti i tempi delle sue maledizioni. E che nonostante
l’amassi ancora, non le avrei permesso di fare a Sirius
quello
che aveva fatto a me. Il suo ghigno divertito alle mie manifestazioni
d’amore per lei e di preoccupazione tardiva per i ragazzi mi
gelò l’anima. Il momento peggiore fu quando
avevano
aggredito Sirius a Hogwarts, perché avevo sempre immaginato
che
Walburga con i nostri figli recitasse la parte della donna distaccata
come facevo io, ma quando vidi il suo totale disinteresse per le sorti
del ragazzo, capii: non recitava affatto. Tutte le mie idee, i miei
tentativi erano solo patetiche illusioni: in quegli ultimi anni avevo
sperato che in fondo al suo cuore fosse rimasto qualcosa di
ciò
che eravamo stati, ma la vergogna, l’orgoglio e il silenzio,
avevano fatto morire quella timida eppure travolgente scintilla che
c’era stata tra noi e tra lei e i nostri figli. In lei, la
maledizione dei Black, il nostro essere gelidi e senza cuore, alla fine
aveva preso il sopravvento. Ed era solo colpa mia.
Erano mesi ormai che mi chiedevo come avessi fatto a gettare al vento
così la mia vita: quante stupidaggini avevo inanellato fino
a
quel momento? Avevo scelto di proteggerli rinunciando a loro, ma la
verità era che li avevo solamente privati del mio sostegno.
E in
cambio, per loro, non avevo ottenuto niente. Niente. Tutto
inutile… La mia era una vita dannatamente inutile. Affondai
nel
divano, le mani nei capelli, quelli sarebbero stati giorni
d’inferno, lo sapevo. E anche quello era colpa mia: da quando
Sirius era stato smistato a Grifondoro, mi perseguitavano le ultime
parole che gli avevo detto prima della sua partenza. Tutte le notti
rimanevo per ore insonne al pensiero del terrore che sicuramente
provava a causa delle mie parole…
“Rinnegato…. Un Black che si allontanasse dalla
propria famiglia sarebbe solo un rinnegato …”
Infilai la mano nel panciotto e presi il tubetto, mi versai una
manciata di quelle pastiglie dal roseo colore plastico e le ingurgitai,
sperando di placare il mal di testa feroce e insieme non pensare
più a niente… Almeno per un po’, almeno
fino alla
partenza per King’s Cross.
*
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - dom. 29 agosto
1971
(Missing Moment di "Una settimana e un giorno")
La giornata era calda, un caldo piacevole, leggermente ventilato, la
pioggia della sera prima aveva portato via l’afa degli ultimi
giorni, e ora l’aria era intrisa di un odore umido e pulito,
in
cui si mischiavano gli ultimi profumi dell’estate. Anche quel
giorno mi ero sottratto alle mie responsabilità di genitore
e mi
ero nascosto lì dentro, tra le mie carte, tra i miei stupidi
affari, per cercare di far tacere la realtà che avevo
intorno. E
la mia coscienza. Ero un uomo, un uomo che aveva fatto delle scelte, e
dovevo portarle avanti, troppe volte ero già tornato sui
miei
passi, e ora non era più tempo per permettersi di essere
deboli
o avere dei ripensamenti, non con quella cena da Malfoy che incombeva a
giorni, non con tutto quello che stava accadendo al Ministero e nel
mondo magico. Non aveva senso avere dubbi adesso, Sirius era sul punto
di partire e ormai, giusto o sbagliato, quello che dovevo fare non
l’avevo fatto. O non l’avevo fatto come avrei
dovuto. Ogni
volta che parlavo con Alshain mi prendevano i dubbi. Quel dannato
scozzese… mi dicevo sempre che doveva occuparsi degli affari
suoi… lui e quelle sue astruse idee… Due
mesi… Due
stramaledetti mesi gli erano bastati per entrare nel sangue di mio
figlio e ora Sirius… Sirius a sorpresa aveva già
trovato
il coraggio di parlarmi delle Rune…
Che cosa ho trasmesso invece io in undici anni a mio figlio?
Sdraiato sul divano, scorrevo le righe della prima pagina della
Gazzetta senza però capire cosa stessi leggendo: il
pensiero,
come sempre, correva all’ultimo piano, alle stanze in cui
stavano
studiando Regulus e Sirius, me li immaginavo chini sui libri, perfetti
ometti, nel loro atteggiamento compito, ma con quella certa tensione
per il mondo, quella che volente o meno, gli avevo trasmesso con il
colore degli occhi e le nobili fattezze. Sospirai: di nuovo un
lancinante mal di testa. All’improvviso sentii bussare
leggermente alla mia porta. Maledizione! Avevo detto chiaramente a
quegli stupidi elfi che non volevo essere disturbato!
“Che diavolo
succede!”
Restai sorpreso, dopo un attimo di esitazione, avevo sentito di
là della porta la voce di mio figlio chiedermi di poter
entrare.
Glielo permisi.
“Posso disturbarti
padre?”
“L’hai
già fatto, Sirius, ora
vedi di andare al sodo e toglierti dai piedi in fretta! Ho da
fare!”
“Non è una cosa
rapida, padre…”
Alzai per la prima volta gli occhi dal giornale, colpito dalla
serietà della voce, e soprattutto dalla mancanza del solito
tono
lamentoso nella stessa. Non osava muoversi, sapevo che aveva paura di
me, come dargli torto, ma pur immobile la sua figura emanava
un’aria di urgenza e i suoi occhi… Mio figlio
stava ancora
sulla porta, come migliaia di altre volte, ma era diverso, non doveva
supplicarmi per uno sconto di pena, o per ottenere uno stupido regalo,
voleva invece la mia attenzione per qualcosa che lo stava facendo
ardere dentro. Non riuscii a sostenere a lungo il suo sguardo, cercai
di cancellare il mio stupore vestendo la mia maschera più
arcigna.
“Entra, non stare
là in piedi come un idiota!”
Fece pochi passi, dopo essersi richiuso la porta alle spalle, lo
fissai, studiandolo: si muoveva con maggiore sicurezza come se fosse
capace di contenere la sua paura nei miei confronti. Ghignai tra me,
quel bastardo scozzese sapeva il fatto suo, era indubbio.
“Puoi metterti seduto alla
scrivania, basta che non tocchi nulla! Intesi?”
“Tu resti
lì?”
"Sirius, per il tuo bene, non farmi
perdere la pazienza, dimmi cosa diavolo vuoi!”
“Devo parlarti di una cosa
importante…”
“Spero per te che non sia
ancora quella
dannata faccenda delle Rune, o ti tatuo io le chiappe, ma a suon di
frustate!”
Quella storia non mi andava giù, benché avessi
una buona
parte di responsabilità: sapevo benissimo che se li avessi
lasciati andare da Alshain sarebbe successo. Ma… per
Merlino!
Ora mi rendevo conto che anche solo una di quelle Rune sul suo corpo
dichiarava la mia inettitudine come uomo e come padre! Ovvero la
verità, la stramaledetta verità! Lo vidi
impallidire, ma
la sua reazione fu soltanto quella: di solito avrebbe frignato
clemenza. Mi rimandò anzi un’occhiata strana: che
fosse di
sfida? Sì, senza dubbio dovevo mandarceli prima. Poteva non
piacermi, potevo rattristarmi, ma quella era l’unica cosa
buona
che avessi fatto per loro in tutta la mia vita.
“Vorrei chiederti una
cosa… di
magia… credo che tu solo potresti
rispondermi…”
“Sirius, ho tolto dalla piazza
i due migliori
precettori d’Europa, da quando tu e tuo fratello siete nati,
solo
per garantirvi l’istruzione migliore: mi stai dicendo che
quei
vecchi cialtroni, dopo tutti i soldi che gli verso da anni, non sanno
rispondere nemmeno alle domande di un ragazzino? Merlino
santissimo!”
“No… ecco
io… io vorrei sapere
qualcosa di più sulla maledizione degli
Sherton…”
“Pagina 372, Storia della
magia volume I,
dietro di te, secondo ripiano, il terzo volume da destra, ora puoi
andare…”
“NO! Voglio che mi
ascolti!”
Alzai definitivamente gli occhi dal giornale, Sirius sapeva che certe
cose in casa mia non potevo accettarle: cosa diavolo gli era preso? Che
fosse impazzito? Sirius stava in piedi, in fondo al divano, tremava
appena, i pugni chiusi tanto da sbiancarsi le nocche, era pallido dalla
paura e si mordeva quasi a sangue il labbro inferiore. Sapeva di averla
fatta grossa, stavolta, ma i suoi occhi… Merlino se
ricordavo
bene quello sguardo… carico di passione, di
curiosità, di
voglia di vivere… Erano undici anni che lo allontanavo da
me,
per paura di rivedere in lui quello sguardo, perché sapevo
quanto quegli occhi potevano ferirmi, identici ai miei, identici a
quelli di un Orion Black ormai perduto.
“Ti sei appena guadagnato un
viaggio fino a
Hogwarts in piedi, perché di certo non potrai sederti prima
di
una settimana, piccolo, arrogante, viziato e pure maleducato!”
“D’accordo,
puniscimi quanto vuoi,
però… prima ascoltami… e rispondimi
seriamente…!”
Mi aspettavo di vederlo piangere e implorare, non che si mettesse a
mercanteggiare per una mia risposta. Sirius si era guadagnato la mia
attenzione, e anche se era bene che non lo sapesse, la mia stima, oltre
alla mia clemenza. Perché se era arrivato a tanto, quello
non
era più solo il capriccio di un moccioso, ma qualcosa di
davvero
importante per mio figlio.
“Alshain deve esserti entrato
davvero
nell’anima se sei disposto a farti picchiare solo per
toglierti
una curiosità… perché non hai chiesto
direttamente
a lui della maledizione?”
“Perché ho saputo
alcune cose solo dopo che è nata
Adhara…”
“Ah già…
La notte che Meissa ha
dormito qui e siete rimasti a chiacchierare per ore nella sala da
pranzo… Kreacher mi ha detto tutto…”
Guardarlo così sconvolto, spaventato e, pur tuttavia,
caparbio
era una gioia per gli occhi. Da sempre facevo il bastardo con mio
figlio, dovevo mantenere la mia copertura ma…
Salazar…
dovevo ammettere che quello era uno dei giorni più belli
della
mia vita… Era riuscito a spezzare quel muro di noia che mi
aveva
inghiottito da anni. E anche se lo temevo da undici anni, ero
così orgoglioso di accorgermi di quanto mi assomigliasse
davvero.
Se solo non fossi stato un vigliacco…
“Puniscimi anche per quello,
però, per
favore, prima spiegami come funziona quella maledizione!”
“Hai forse intenzione di
maledire qualcuno Sirius?”
Mi alzai, andai a versarmi del whisky, stavo per preparare qualcosa per
Sirius quando mi accorsi che non avevo idea di cosa amasse mio figlio:
succo di zucca come tutti i ragazzini, o qualcosa di più
strano?
Perché se aveva preso anche solo un decimo da me…
“KREACHER!”
L’elfo, l’orrido elfo ottenuto insieme alla casa
sposando
Walburga, apparve all’istante: mi bastava guardare lui per
capire
quanto dovevo maledire e augurare l’inferno a mio padre, per
avermi intrappolato in quel dannato matrimonio! Eppure, qualcosa di
buono alla fine ne era venuto fuori, e stava in piedi impettito davanti
a me… Se solo fossi riuscito a percorrere quei pochi dannati
metri e abbracciarlo e riconquistarlo…
“Portami della frutta e quello
che ti chiede
di solito mio figlio per merenda… Non ci siamo per nessuno,
lo
studio è vietato anche alla tua padrona almeno
finché non
sono uscito, siamo intesi, stupido elfo?”
Il mostriciattolo squadrò mio figlio con un ghigno, di
sicuro
pensava che fosse lì per qualche castigo e il fatto che
avessi
chiesto, alle quattordici, la merenda per Sirius, forse lo illudeva che
sarebbe stato un lungo pomeriggio di punizione: l’elfo non li
amava, esattamente come mia moglie, in particolar modo rispecchiava lo
scarso interesse, per usare un eufemismo, che Walburga aveva per
Sirius. Più di una volta, negli ultimi anni, le avevo
chiesto il
perché di quell’atteggiamento col nostro
primogenito un
bambino sano, robusto, sveglio, pienamente Black, l’erede
perfetto delle nostre famiglie. Dopo vari tentativi, alla fine, avevo
avuto la risposta:
“Lo odio
perché è la tua copia perfetta! Non posso
guardare lui
senza vedere l’uomo che mi ha rovinato la vita!”
Non potevo darle torto, le avevo rovinato la vita, ma la colpa era mia
e dei nostri genitori, di certo non di nostro figlio. Cercai di
rimandare giù, nelle profondità più
oscure del mio
essere, quelle immagini ed evocai un “Muffliato”
alla porta
e alle pareti, invitai di nuovo Sirius a sedersi, mentre io, sempre
alla finestra, lasciavo scorrere gli occhi sulla piazzetta: ogni volta,
non potevo evitare che mi si rivoltasse lo stomaco, guardando
dov’ero finito: io che amavo gli spazi aperti, ero chiuso
come un
topo di fogna in un dannato palazzo di città.
“Che cosa vuoi sapere sulla
maledizione che non è scritto sui libri?”
“Se il Cappello Parlante sente
quello che un
ragazzo vuole nel profondo dell’anima, perché
manda le
figlie degli Sherton a Corvonero? La maledizione confonde il
Cappello?”
“La maledizione fa vacillare
la
volontà, fa in modo che siano troppo deboli, inadatte a
quella
Casa.”
“Meissa non è
debole, e avrebbe troppo da perdere, non può
vacillare…”
“Lo sapremo la sera del
primo…”
“Ma padre…
se… “
“Se?”
“E’ mai successo che
qualcuno abbia proposto uno scambio al Cappello?”
“Il Cappello non fa stupidi
giochetti, e ciascuno è responsabile per se
stesso.”
“Ma…”
“Non dire idiozie, per favore,
chi mai
vorrebbe sacrificare il proprio destino per quello di un altro? Te
l’ho spiegato da quando eri piccolo, ormai dovresti saperlo:
chiunque si allontani dalla propria famiglia, dalla propria tradizione,
dalla propria essenza, è solo un rinnegato, poco importano i
motivi… Resta sempre e solo un rinnegato… Non si
può rinunciare al proprio destino, nessuno potrebbe,
è
qualcosa che si eredita come il colore degli occhi, il nome, il sangue.
Prendi noi… siamo Black, Sirius: a parte i capricci da
mocciosi,
alla fine il sangue torna sempre fuori, aiutato
dall’esperienza,
dai giusti maestri, dalle giuste amicizie, perché un Black
sa
che senza la sua famiglia sarebbe nessuno, che senza la sua famiglia
perderebbe tutto ciò che gli spetta di diritto e non avrebbe
più la forza per combattere per ciò che vuole. Un
Black
che si allontanasse dalla propria famiglia sarebbe solo un
rinnegato… Non scordarlo mai…”
*
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 18 dicembre
1971
“…Sono le 16,
padrone…”
La voce stridula di Kreacher mi riportò al presente, rimisi
la
giacca, uscii, presi il mantello che il servo mi porgeva, gettai
un’occhiata verso Walburga, che impassibile, leggeva nel
salone
uno dei suoi dannati giornali inneggianti Voldemort che le aveva
lasciato la nipote: di tutto si curava, tranne nostro figlio. Mi
voltai, appena sentii il passo leggero di Regulus che scendeva le scale.
“Sei pronto,
ragazzo?”
“Sì…”
Notai che aveva la scatola di Dulcitus che mi aveva chiesto con
insistenza, nascosta sotto il mantello: come me, non vedeva
l’ora
di riabbracciare Sirius. Lo invidiai: a lui era permesso farlo. A me
grazie, alla mia idiozia, non più.
***
Sirius
Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 18 dicembre
1971
Mi lasciavo guidare in mezzo alla folla dalla figura sicura di Rigel,
tutto preso da un’apparente piacevole discussione con Cissa,
e
dalla mano stretta alla mia di Meissa: aveva una straordinaria
capacità di orientarsi tra le persone ed evitare gli
ostacoli,
lo sapevo dall’estate. Era l’unica fonte di calore
e vita
per me, mentre il fiato si cristallizzava in nuvolette di vapore gelido
e il cuore mi balzava irrequieto nel petto, stretto in un misto di
paura e speranza. Alla fine individuai la figura alta e inconfondibile
di Alshain, con un ampio sorriso stampato sul volto e al suo fianco, un
po’ arretrati, zio Cygnus e mio padre, accompagnato da
Regulus:
benché avesse la classica faccia arcigna delle migliori
occasioni, sentii un piacevole senso di appartenenza e sollievo quando
vidi papà lì, la possibilità che non
mi venisse
nemmeno a prendere non mi era sembrata tanto remota nelle ultime ore.
Andò però subito a salutare Narcissa e i figli di
Alshain, non degnandomi di uno sguardo. Regulus si avvicinò
lento e impettito, da bravo Black, non mi espresse i suoi sentimenti
liberamente come sia io sia lui avremmo voluto fare, non era possibile
per noi esibirci a quel modo davanti a tutti, ma quando mi diede la
mano per salutarmi, sentii quanto fosse forte e desiderosa la sua presa
e quegli occhi dicevano molto di più di quanto fosse lecito
per
quelli come noi. Lo abbracciai, con compostezza, ma baciandogli la
guancia esitai, il tempo di sussurrargli:
“Mi sei mancato,
piattola!”
Sentii il suo brivido e l’abbraccio che si faceva
più serrato.
“Questo è per
te… idiota!”
Sì, era sempre il mio fratellino: mi porgeva una scatola, la
carta rossa non tradiva il contenuto, ma immaginavo che avesse spedito
un elfo da Dulcitus per farmi trovare quello che amavo di
più.
Poi mi lasciò per fare i suoi saluti a Narcissa e agli
Sherton:
mi ritrovai così di fronte a mio padre, il quale
continuò
a non rivolgermi una parola, si limitò ad afferrarmi la
faccia
con la sua grande mano, girarmi il viso sotto la luce del lampione a
destra e sinistra e sbuffare un semplice.
“No, per lo meno sulla faccia
non sono rimasti segni…”
Tutto qui. Non mi disse altro, non mi diede la mano, non mi
abbracciò: come se non fossi altro che un pezzo di carne in
vendita o qualcuna delle sue proprietà, che temeva si
fossero
deprezzate a causa di un difetto fisico. Mi diede le spalle per
mettersi a ridere e scherzare con Meissa e Rigel, che
ricoprì di
complimenti per com’erano cresciuti e, soprattutto Meissa,
quanto
si fossero fatti belli. Ed io che mi ero fatto chissà quali
fantasie su quel pacco di abiti che mi aveva mandato!
Bastardo!
Strinsi i pugni e mi morsi un labbro per non urlargli
addosso…
Avevo una rabbia feroce dentro in quel momento, avrei voluto, avrei
voluto… Sherton era scivolato accanto a me e da qualche
secondo
mi parlava e mi salutava, io quasi non me ne resi conto, preso
com’ero dalla mia rabbia. Riuscì ad attirare la
mia
attenzione, spettinandomi e sorridendomi, mi chiese come stessi e si
complimentò per quanto ero cresciuto in quei pochi mesi,
sostenendo ancora una volta che per i Black l’aria della
Scozia
era davvero portentosa. Eppure, per quanto mi facessero piacere la sua
attenzione e il suo incoraggiamento, dovevo avere chiaro in faccia un
forte turbamento, perché rivolse a mio padre con
un’occhiata gelida e la sua presa sulla mia spalla si fece
più possessiva e protettiva.
“E’ ora di tornare a
casa, ci vedremo domani per gli ultimi dettagli…”
Mio padre cinse con il braccio Regulus e mi fece cenno col capo
perché lo seguissi. Non potevo crederci… Quindi
non erano
scherzi, davvero la mia vita, da quel momento, sarebbe stata
così? Per sempre? Qualsiasi cosa giusta o sbagliata avessi
fatto
nella mia vita, ero condannato per sempre? Solo perché il
mio
cravattino non era del colore giusto?
Ma
io sono suo figlio…
Sentivo il sangue andarmi alla testa.
E quando ha mostrato in undici anni di considerarti suo figlio?
Infondo di che cosa mi meravigliavo? Per undici anni avevo sentito ogni
genere di nefandezze sui grifoni e anche prima dello smistamento non
è che mi ricoprissero d’amore: perché
mi ero illuso
che le cose potessero essere diverse? Solo perché Alshain
continuava a dirmi che infondo mio padre era diverso da come si
mostrava a me e mio fratello? Magari si sbagliava, magari aveva anche
lui dei motivi per mentirmi. Perso nelle mie recriminazioni, sentii,
all’improvviso, la sua mano prendere la mia con mala grazia,
poi
il turbinio della smaterializzazione congiunta mi si strinse addosso e
in pochi secondi mi ritrovai nel corridoio d’ingresso di
Grimmauld Place.
“Nessuno di voi si muova, non
fate un passo di più…”
Per tutto il viaggio avevo soffocato il pensiero di dover affrontare
mia madre con l’idea che non sarebbero venuti a prendermi.
Sentire la sua voce dopo tutti quei mesi, però,
m’inchiodò a terra. Mentre Kreacher e altri due
elfi, -non
vidi Domizia, la nuova elfa che mia madre mi aveva assegnato al ritorno
dalla Scozia-, si occupavano di mio padre e mio fratello,
accompagnandoli di sopra, lei avanzò verso di me, temibile:
mi
squadrava arcigna, nel suo abito nero, attillato, i capelli raccolti in
alto, la sigaretta con il lungo bocchino tenuto mollemente con la mano
sinistra, alla destra la sua bacchetta. Notai mio padre passarle
accanto e bisbigliarle qualcosa all’orecchio, lei gli rivolse
un
sorriso strano, cattivo, colsi la straordinaria somiglianza tra lei e
Bellatrix solo in quel momento.
“Tu, lascia qui le tue cose e
seguimi, ci penseranno gli elfi a buttarle via…”
“Come buttare via? Ci sono i
miei regali per
voi e i miei vestiti e i miei libri in quella
borsa…”
“E allora? Nulla che sia stato
a Grifondoro
entrerà nella casa dei miei padri… fosse dipeso
da me,
non saresti entrato nemmeno tu…”
Volevo urlarle che potevano lasciarmi restare a Hogwarts, che ormai non
m’importava niente di loro, che li odiavo, li odiavo
profondamente, mai come in quel momento mi resi conto di quanto avrei
voluto…
“Muoviti, non ho tempo da
perdere, devo
controllare che le elfe facciano un lavoro accurato, non posso
permettermi sbagli…”
Non capivo, ma la seguii, mi condussero fino al bagno che mi era
assegnato ormai da anni, probabilmente se voleva distruggere le mie
cose, voleva che prima mi lavassero, così che non puzzassi
di
Grifondoro alla sua presenza. In fondo non mi dispiaceva, adoravo
sentirmi pulito, e dopo un viaggio così lungo e
un’accoglienza così ruvida, Merlino solo sapeva se
avevo
bisogno di stare di solo, nell’acqua calda a rilassarmi un
po’. Quando però le elfe iniziarono a spogliarmi
m’inquietai: mia madre non accennava ad andarsene.
“Ma…”
“Non ti aspetterai che ti
lasci fare quello
che vuoi? Non uscirai da qui finché non sarò
più
che sicura che tu non abbia più addosso nemmeno un granello
di
polvere di quella sudicia topaia.
Umiliato e rabbioso, mi sottoposi a quell’ennesima
manifestazione
di amore materno: mentre le elfe mi strigliavano in malo modo, con mia
madre che le incitava a fare più forte, pensavo a quanto
fosse
diverso in quel momento il ritorno a casa dei miei amici e mi domandavo
con una certa preoccupazione per quanto sarebbe durato questo
comportamento nei miei confronti.
“Bene, ora lasciateci
soli…”
Lavato, asciugato e rivestito, ero in piedi davanti a mia madre, seduta
alla consolle da cui aveva osservato tutto il rituale del mio bagno
impartendo ordini secchi alle elfe a ripetizione.
“E ora ascolta quello che ho
da dirti e
imprimitelo nel cervello, ammesso tu lo abbia. Nella loro incredibile
bontà, tuo padre e i tuoi nonni hanno deciso di darti
un’altra possibilità, potevano cancellarti
dall’arazzo già il primo settembre, come abbiamo
fatto con
quell’altra… ma secondo loro sei ancora giovane e
magari
è colpa nostra se non hai ancora capito bene che cosa ci si
aspetta da uno col tuo nome e il tuo sangue. Io però ti
conosco,
io so: sono undici anni che combatto con te per renderti un Black degno
di questo nome, ma evidentemente sei irrecuperabile, o ora non saresti
in mezzo alla feccia. Ebbene… sappi che io non ti
permetterò di svergognare me e la mia famiglia
più di
quello che sei riuscito a fare fino adesso. E ti dico
un’altra
cosa… avvicinati a mio figlio con quelle teorie babbanofile
dei
tuoi amici e compagni e giuro che ti uccido con le mie mani. La cena
è servita alle 19.30, gradirei non vederti prima di
allora.”
Ero pietrificato. Non appena vidi la sua figura varcare la porta e
scendere le scale, scappai fino alla mia stanza, mi chiusi dentro e mi
abbandonai al pianto.
*fine
della seconda parte*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine
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