Erwin
Smith
Città
Sotterranea
Anno
844
Il
tonfo della porta di casa che andava chiudendosi fu come la scritta
"fine" nei libri che Mari era riuscita a rubare in qualche casa. Le
piaceva leggere, era un modo totalmente diverso, ma pur sempre
efficace, di spiccare il volo e allontanarsi da tutto quello.
Ultimamente però non riusciva a trovare libri che non avesse
già letto e questo non aiutava i suoi tentativi di fuga. Si
raggomitolò sotto quel sottile lenzuolo, tirandoselo fin
sopra la testa, in un infantile tentativo di nascondersi da quello che
la circondava. Isolarsi, restare finalmente sola, anche se faceva
freddo. Il consumato materasso, messo direttamente a contatto con il
pavimento, non isolava del tutto e certamente non bastava un misero
lenzuolo stracciato a riscaldare il suo corpo nudo. Eppure, dopo aver
sopportato per mezzora un calore sopra di sé per niente
piacevole, ora anche il freddo della stanza sembrava quasi paradisiaco.
La solitudine la rassenerava e pian piano tornava a respirare.
La
porta della stanza si aprì alle sue spalle, ma lei non si
voltò a guardare chi fosse entrato e restò
immobile, a fissare la bizzarra angolatura che prendeva la strada fuori
dalla sua finestra spalancata. Poteva vedere le crepe del muro di
fronte articolarsi come un fiume, verso l'alto, aprirsi in una piccola
voragine di muschio e erbacce e poi il vuoto. Oltre, ancora solo
roccia, benché le ombre prodotte su quella crepa fossero
quasi simpatiche.
L'ospite
che era appena entrato nella sua stanza le si avvicinò a
passi lenti, delicati, quasi che non avesse voluto disturbarla e si
sedette alle sue spalle. Mari continuò a non volgergli
l'attenzione, sperando che la scambiasse per addormentata, ma quando
percepì il delicato tocco della sua mano contro i propri
capelli, intenta ad accarezzarli, tutto il dolore parve sparire in un
istante. Quel tocco era l'unico che riuscisse a tollerare, anzi, quasi
ad apprezzare, soprattutto quando su di lei cadeva morbido, gentile e
non violento e iracondo.
«Muller
sembrava essere soddisfatto» le disse la delicata voce di
Harvey. «Hai fatto un buon lavoro, sorellina. Ci ha pagati
bene.»
La
notizia avrebbe dovuto rincuorarla, forse addirittura renderla
orgogliosa, ma non ebbe affatto l'effetto desiderato. Non provava che
disgusto, dolore e rammarico. Sapere che le persone potevano trovare
del piacere nel recarle quelle orribili sensazioni non la rincuorava
per niente.
«Sai,
è stato generoso. Con la promessa di tornare, ci ha lasciato
una piccola mancia» insistè Harvey.
«Dovremmo ringraziarlo, perciò assicurati di
dargli lo stesso trattamento anche la prossima volta, intesi?»
L'idea
che avrebbe presto rivisto quegli occhi viscidi, famelici, e avesse
risentito quel terribile odore su di sé le fecero venire i
conati di vomito. Harvey le afferrò una ciocca di capelli
dal viso e gliela portò dietro l'orecchio, scoprendo
così i suoi occhi umidi e pieni di lacrime. Li
osservò per un paio di interminabili secondi, poi
afferrandola per una spalla la costrinse a voltarsi. Se la
tirò contro, facendole poggiare la testa sulle proprie gambe
e avvolgendole le spalle con un braccio riprese ad accarezzarle i
capelli. Era sempre così gentile dopo che i clienti uscivano
da casa loro soddisfatti, e a volte bastava questo per convincere Mari
a stringere i denti.
«Sai
che ti dico? Con quei soldi in più ti compro un
regalo!» e per la prima volta gli occhi di Mari sembrarono
tornare vivi, spalancandosi leggermente. «Caspita, non credo
di essere mai riuscito a fartelo un vero regalo, qualcosa che non fosse
rubato. Non lo trovi magnifico? Questa vita, la tua grande
qualità, ci sta donando una vera vita. Figurati che tra poco
neanche ricordo più cosa voglia dire avere fame»
ridacchiò, credendo divertente quella sua ultima battuta.
«Sono così fiero di te, sorellina»
disse, tornando dolce nel tono.
Sì,
decisamente bastava quello a convincerla a stringere i denti e
accettare un altro lavoro.
«Allora!»
continuò a parlare lui, prima di allungarsi sul mobile a
fianco e prendere una spazzola. «Fatti dare una
sistemata» e la sollecitò a mettersi seduta. Mari
obbedì, premurandosi di tenere ben stretto il lenzuolo
contro il proprio seno, nascondendo il corpo ancora nudo, e
lasciò che il fratello cominciasse a spazzolarle i capelli.
«Che
regalo vuoi? Un vestito nuovo? Scarpe? O magari posso vedere di trovare
qualche cosmetico che usano tanto le donne di un certo rango. Chiedi
quello che vuoi e il tuo fratellino te lo porterà!»
«Libri»
mormorò Mari con un filo di voce.
«Libri?»
chiese conferma Harvey, inarcando un sopracciglio.
«Sì.
Libri nuovi, che non ho mai letto.»
Harvey
esitò un po', prima di rispondere: «Se
è quello che desidera la mia principessa, allora
l'avrà.»
Un
timido sorriso fece capolino sul volto corrucciato di Mari, e pian
piano dalla sua espressione eliminò il dolore lasciando
spazio a una piacevole sensazione di benessere. Era sempre
così bello, dopo.
Mari
si sistemò meglio il cappuccio sopra la testa, sforzandosi
di coprire il più possibile i suoi carmini capelli. Harvey
le proibiva di tagliarli e più crescevano e più
diventava difficile gestirli e nasconderli, anche se Harvey le diceva
sempre di non farlo. Se si fosse mostrata in giro più uomini
sarebbero venuti a conoscenza di quella caratteristica che incollava lo
sguardo e loro avrebbero potuto avere più clienti. Proprio
per quello stesso motivo lei, invece, si impegnava a nasconderli il
più possibile. Sfilò da sotto la casacca una pera
appena comprata -e non rubata, il che la rendeva ancora più
gustosa- e ne tirò un morso. Il sapore dolciastro,
leggermente contrassegnato dall'aspro del frutto non ancora maturo del
tutto, le pervase la bocca. Il succo umido, unito alla croccantezza
della buccia e la sua ruvidezza, in contrasto con la polpa morbida,
rendeva diverso ogni morso. Mai si era goduta così un pasto
e la libertà di poterlo fare alla luce del sole, in mezzo
alle persone, senza nascondersi, era un delizioso premio a tutti quei
sacrifici. Alla fine Harvey aveva ragione, lo sapeva che aveva ragione
e lei avrebbe solo dovuto stringere i denti.
Si
inoltrò nella zona mercantile, ora affollata per il mercato
della mattina. I banchetti, come sempre, erano le zone dove
più si concentravano le persone, anche se in pochi
compravano e altrettanti si affaccendavano a rubare. Mari vi
passeggiò attraverso, gustando la sua pera, senza una meta
precisa, godendosi solo la tranquillità di un luogo ormai
fin troppo familiare.
Passò
davanti al banchetto con i vasetti di marmellata ed esitò
qualche istante, osservandoli con riluttanza. I ricordi ad essi
associati erano così terribili, la responsabilità
legata a quella stupida sostanza zuccherina era così alta,
che l'avrebbe ripudiata in eterno nonostante il magnifico sapore. Stava
per rimettersi a passeggiare, quando casualmente intercettò
una conversazione tra due mercanti.
«Ce
n'è di tranquillità ultimamente, da queste
parti» aveva detto il primo.
«Da
quando Levi e i due deficienti che lo seguivano sono stati portati via
sembra un'altra città» rispose il secondo, e fu
proprio quel nome a convincere Mari a temporeggiare ancora un po'
davanti a quel terribile banchetto della vergogna.
"Li
hanno portati via?" si chiese, curiosa tanto quanto sconvolta. Erano
riusciti a prenderli? Loro, che erano in grado di volare,
irraggiungibili sopra i tetti, erano stati presi?
«Sono
stati portati via? Finalmente la Gendarmeria ha avuto la
meglio!»
"Non
può essere!"
«E
invece ho sentito che non è stata opera della Gendarmeria,
lo sai?» disse il secondo, con un velo di orgoglio nella
voce. L'orgoglio di chi ha un gustoso pettegolezzo nel taschino della
giacca da sventolare, sapientemente, sul muso degli ignari.
«Ah
no? E chi è stato? Rivali? Li hanno ammazzati? Non trovo
difficile credere che gente come quella fosse pieno di
nemici.»
«Niente
di tutto questo, ma qualcosa di ancora più
sconvolgente!»
«Sul
serio? E chi li ha portati via, dimmelo!» certo quell'uomo
non vantava di scarsa curiosità.
«Erwin
Smith!» disse solennemente il compagno.
"Erwin
Smith?" si chiese Mari, non riuscendo ad attribuire nessun viso a quel
nome. Chi diavolo era quell'Erwin Smith? Quanto poteva essere forte,
per essere riuscito ad acciuffare Levi e i suoi?
«Erwin
Smith? Il comandante dell'Armata Ricognitiva?»
«Proprio
lui!»
«Hanno
smesso di dar la caccia ai Giganti e si son dati ai banditi? D'altro
canto, con tutti quei fallimenti sulle spalle, chiunque avrebbe chiuso
baracca.»
«No,
no, no! Non riesci proprio a capire, citrullo? Li hanno
arruolati!»
«Arruolati?»
chiese sconvolto, allungando smisuratamente la parola.
«Sì!
Quel folle, dev'esser proprio disperato per venire a raccattare
delinquenti qua sotto» rise. «Eppure è
così! Se ne parla un sacco tra le file della Gendarmeria,
trovando sconvolgente tanto quanto vergognoso che siano venuti a
prendere questi disgraziati di cui non ci si può fidare e
che abbiano deciso di regalar loro soldi, un letto e del cibo senza che
lo meritassero. La galera! In galera dovevano sbatterli! E invece...
che storia! Fanno morir di fame i poveracci e regalano la bella vita ai
bastardi!»
«Veramente
una vergogna.»
«Signorina?»
l'improvvisa voce del mercante, davanti a lei, la riscosse
così bruscamente da farle venire il batticuore dallo
spavento. «Signorina, desidera comprare qualcosa?»
Mari
strabuzzò gli occhi, spaventata più che mai:
quanto tempo era rimasta ferma a fissare quei dannati barattoli di
marmellata? Negò rapidamente con la testa e senza spiccicare
parola, scappò via, lasciandosi cadere dalle mani la pera
divorata per metà.
Harvey
afferrò la patata bollita e se la portò alle
labbra, strappandone un pezzo a morsi. Buttò giù
anche del pane e subito dopo una manciata di fagioli, aiutandosi
nell'ingoiare con un lungo sorso d'acqua. Sembrava non mangiasse da
mesi. Da quando il cibo sulla tavola era cominciato ad essere
più abbondante, non faceva che abbuffarsi con ingordigia,
come se con quel singolo pasto avesse colmato anni di digiuno.
Mari,
seduta di fronte a lui, fissava il suo piatto silenziosa giocherellando
con un fagiolo, facendolo roteare da una parte all'altra. Un guancia
posata sul palmo della mano, il gomito ben piantato sul tavolo e lo
sguardo più assorto che avesse mai avuto.
«Com'è
andata la tua passeggiata?» chiese Harvey, notando come fosse
strana.
«Bene»
rispose senza troppo interesse.
«Hai
comprato qualcosa?»
«Una
pera.»
«Ancora
pere? Devono piacerti proprio tanto!» la canzonò,
sperando di riuscire a strapparle un sorriso, almeno uno sguardo, senza
successo. «Sai, ho chiesto al mercante se riuscisse a
procurarmi libri nuovi, magari qualcosa che viene dal nord. Ha detto
che forse è in grado di recupare qualcosa di
interessante.»
Mari
esitò qualche istante, ancora immersa nel suo fagiolo che
ormai si era percorso l'intero piatto rotolando, poi finalmente disse,
decisa nel tono: «Harvey, tu sai chi è Erwin
Smith?»
«Erwin
Smith?» si corrucciò appena, Harvey.
«Perchè vuoi saperlo?»
«Ecco...»
arrossì appena, Mari. «Oggi ho sentito due uomini
parlare di lui. Dicono sia un comandante dell'Armata Ricognitiva, ma
non so cosa significhi.»
Harvey
esitò, continuando a guardarla poco convinto. Sapeva
benissimo chi era Erwin Smith, ciò che però non
sapeva e che lo turbava era perché Mari improvvisamente
fosse tanto interessata a lui e all'Armata. Ma decise di mettere da
parte i suoi pregiudizi e rispondere alle curiosità di sua
sorella, come sempre aveva fatto. Era meglio che certe cose venisse a
saperle da lui che da qualche voce in giro che avrebbe potuto metterle
in testa strane idee.
«Il
corpo militare è diviso in tre legioni principali. La
Gendarmeria, che è quella che si occupa dell'ordine delle
strade. Poi c'è la Guarnigione, che si occupa invece delle
Mura, quelle che proteggono gli umani dai Giganti» aveva
già sentito parlare dei Giganti e delle Mura che tenevano
imprigionati gli umani lì dentro, proprio come loro lo erano
sottoterra, perciò non fu difficile per lei capire di cosa
stesse parlando. «E infine c'è l'Armata
Ricognitiva, che invece si occupa delle spedizioni in esterno. Vanno
dritto in bocca ai Giganti, a contargli quanti denti hanno»
disse con riluttanza. Aveva sperato di destare la stessa sensazione
nella sorella, di infonderle timore per quegli idioti che andavano a
morire, invece quando alzò lo sguardo su di lei lesse sul
suo viso tutto tranne che la paura. Gli occhi sgranati, le labbra
dischiuse, e lo sguardo di una bambina di fronte a un meraviglioso
gioco. Che diavolo le passava per la testa?
«Non
c'è niente di emozionante in quello che fanno! Vengono
mandati a morire, trucidati e senza nessuno che possa dir loro a
addio.»
«Ma
escono fuori» balbettò Mari. «Dove non
ci sono mura, né soffitti.»
«Non
dire stronzate! Che valore ha un po' di visuale in più se
dieci passi più avanti vieni sgranocchiato per
bene?» rispose Harvey sempre più nervoso. Ci
mancava solo che la sorella cominciasse a provare ammirazione verso
quei bifolchi, e che magari le passasse per la testa di seguirli! Non
le avrebbe mai permesso di andarsene, nemmeno per sogno.
«Tanto
ai reietti come noi non è permesso nemmeno di annusarla
quell'aria. Dimenticalo.»
«Non
è vero!» disse Mari, ora improvvisamente
emozionata. Si sollevò in piedi e sbatté il
cucchiaio sul tavolo, continuando a dire sempre più
focosamente: «Non è vero! Hanno portato
lassù la banda di Levi! Sono venuti a prenderli, Erwin Smith
è venuto a prenderli! Li ha portato fuori, ti rendi conto?
Dove non ci sono mura né soffitti, a vedere il cielo e le
nuvole! La Luna! A respirare la vera aria! Erwin Smith porta fuori
quelli come noi! Non è vero che...» non
terminò la frase che un pesante schiaffo da parte del
fratello la fece tacere.
Il
silenzio calò tra i due con una pesantezza tale da
costringere Mari a tornare seduta. E tremolante, si portò
una mano ad accarezzare la guancia colpita che ora bruciava da morire.
«Pensi
ancora a quel Levi? Pensavo di essere stato chiaro!»
Gridò severo, Harvey. «Lasciali perdere, sono
sacchi di merda e per questo che il tuo eroe Erwin Smith è
venuto a prenderli! Per lanciarli direttamente tra le fauci dei
Giganti, perché nessuno piangerebbe la perdita di reietti
come noi! Vuoi fare anche tu quella fine? Morire nel peggiore dei modi,
sacrificata da chi non gliene frega un cazzo di te, da chi ti vede solo
come carne da macello? Ci usano per ingrassarli, ecco la
verità! Togliti dalla testa qualsiasi sciocchezza fiabesca,
quell'Erwin Smith è la peggiore delle fecce ed è
venuto qui a raccogliere qualcuno di altrettanto peggiore da
sacrificare per i suoi luridi scopi! Mi stai ascoltando,
cazzo?» gridò ancora, provando ancora
più ira nel vedere il viso spento della sorella, come se non
fosse lì. Con un colpo di mano colpì il suo
piatto e lo lanciò a terra, frantumandolo. Mari
sussultò al rumore e volse gli occhi, ora terrorizzati, ad
Harvey.
«Non
voglio più sentirti pronunciare quel nome, né
tanto meno quello di Levi! E' chiaro?» e Mari
continuò a guardarlo terrorizzata, mentre gli occhi le si
riempivano di lacrime. «E' chiaro?» urlò
ancora più forte, ormai accecato dall'ira.
«Sì!
Sì! Ho capito!» si affrettò a
rispondere Mari e questo, miracolosamente, sembrò calmarlo
in parte.
«Spero
possa sentire distintamente le proprie ossa sbriciolarsi, quel Levi,
prima di morire in bocca a quegli schifosi.»
Amore,
amore, amore, amore, amore, amore
Cercami
trovami fammi sentire il tuo odore
Rendimi
libera dall’idea che io stessa ho di te
Salvami,
salvami da me
Fa
che la mia solitudine si dissolva nel vento con le lacrime
Portami
via con te
(Missiva
d’amore - Arisa)
|