Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Tada Nobukatsu    06/03/2017    1 recensioni
Eccoti qua! Sai, mi aspettavo una tua visita. Ho visto come lo guardi, ho letto la curiosità e il disagio nei tuoi occhi. Hai bisogno di una guida, non è così? Un guida per poter leggere i pensieri del capitano Levi, perché vedere costantemente quel suo sguardo freddo, come se disprezzasse ogni cosa, ti turba. È normale, lui è fatto così. Ma, vedi, Levi in realtà è più semplice di quello che sembra e, che tu ci creda o no, nemmeno lui è immune ai sentimenti profondi di affetto. Posso assicurartelo, io c'ero, l'ho visto con i miei occhi.
Per il momento però tutto ciò che ti serve sapere è che ci sono tante cose che Levi può disprezzare, ma tra queste quelle assolutamente da evitare sono tre: lo sporco, il colore rosso e le Calendule.
Sii tenace, non demordere e avrai la meglio, perché, vedi, alla fine Levi ha il cuore tenero.
Adesso però siediti e lascia che ti racconti una storia...
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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 Erwin Smith



Città Sotterranea

Anno 844





Il tonfo della porta di casa che andava chiudendosi fu come la scritta "fine" nei libri che Mari era riuscita a rubare in qualche casa. Le piaceva leggere, era un modo totalmente diverso, ma pur sempre efficace, di spiccare il volo e allontanarsi da tutto quello. Ultimamente però non riusciva a trovare libri che non avesse già letto e questo non aiutava i suoi tentativi di fuga. Si raggomitolò sotto quel sottile lenzuolo, tirandoselo fin sopra la testa, in un infantile tentativo di nascondersi da quello che la circondava. Isolarsi, restare finalmente sola, anche se faceva freddo. Il consumato materasso, messo direttamente a contatto con il pavimento, non isolava del tutto e certamente non bastava un misero lenzuolo stracciato a riscaldare il suo corpo nudo. Eppure, dopo aver sopportato per mezzora un calore sopra di sé per niente piacevole, ora anche il freddo della stanza sembrava quasi paradisiaco. La solitudine la rassenerava e pian piano tornava a respirare.

La porta della stanza si aprì alle sue spalle, ma lei non si voltò a guardare chi fosse entrato e restò immobile, a fissare la bizzarra angolatura che prendeva la strada fuori dalla sua finestra spalancata. Poteva vedere le crepe del muro di fronte articolarsi come un fiume, verso l'alto, aprirsi in una piccola voragine di muschio e erbacce e poi il vuoto. Oltre, ancora solo roccia, benché le ombre prodotte su quella crepa fossero quasi simpatiche.

L'ospite che era appena entrato nella sua stanza le si avvicinò a passi lenti, delicati, quasi che non avesse voluto disturbarla e si sedette alle sue spalle. Mari continuò a non volgergli l'attenzione, sperando che la scambiasse per addormentata, ma quando percepì il delicato tocco della sua mano contro i propri capelli, intenta ad accarezzarli, tutto il dolore parve sparire in un istante. Quel tocco era l'unico che riuscisse a tollerare, anzi, quasi ad apprezzare, soprattutto quando su di lei cadeva morbido, gentile e non violento e iracondo.

«Muller sembrava essere soddisfatto» le disse la delicata voce di Harvey. «Hai fatto un buon lavoro, sorellina. Ci ha pagati bene.»

La notizia avrebbe dovuto rincuorarla, forse addirittura renderla orgogliosa, ma non ebbe affatto l'effetto desiderato. Non provava che disgusto, dolore e rammarico. Sapere che le persone potevano trovare del piacere nel recarle quelle orribili sensazioni non la rincuorava per niente.

«Sai, è stato generoso. Con la promessa di tornare, ci ha lasciato una piccola mancia» insistè Harvey. «Dovremmo ringraziarlo, perciò assicurati di dargli lo stesso trattamento anche la prossima volta, intesi?»

L'idea che avrebbe presto rivisto quegli occhi viscidi, famelici, e avesse risentito quel terribile odore su di sé le fecero venire i conati di vomito. Harvey le afferrò una ciocca di capelli dal viso e gliela portò dietro l'orecchio, scoprendo così i suoi occhi umidi e pieni di lacrime. Li osservò per un paio di interminabili secondi, poi afferrandola per una spalla la costrinse a voltarsi. Se la tirò contro, facendole poggiare la testa sulle proprie gambe e avvolgendole le spalle con un braccio riprese ad accarezzarle i capelli. Era sempre così gentile dopo che i clienti uscivano da casa loro soddisfatti, e a volte bastava questo per convincere Mari a stringere i denti.

«Sai che ti dico? Con quei soldi in più ti compro un regalo!» e per la prima volta gli occhi di Mari sembrarono tornare vivi, spalancandosi leggermente. «Caspita, non credo di essere mai riuscito a fartelo un vero regalo, qualcosa che non fosse rubato. Non lo trovi magnifico? Questa vita, la tua grande qualità, ci sta donando una vera vita. Figurati che tra poco neanche ricordo più cosa voglia dire avere fame» ridacchiò, credendo divertente quella sua ultima battuta. «Sono così fiero di te, sorellina» disse, tornando dolce nel tono.

Sì, decisamente bastava quello a convincerla a stringere i denti e accettare un altro lavoro.

«Allora!» continuò a parlare lui, prima di allungarsi sul mobile a fianco e prendere una spazzola. «Fatti dare una sistemata» e la sollecitò a mettersi seduta. Mari obbedì, premurandosi di tenere ben stretto il lenzuolo contro il proprio seno, nascondendo il corpo ancora nudo, e lasciò che il fratello cominciasse a spazzolarle i capelli.

«Che regalo vuoi? Un vestito nuovo? Scarpe? O magari posso vedere di trovare qualche cosmetico che usano tanto le donne di un certo rango. Chiedi quello che vuoi e il tuo fratellino te lo porterà!»

«Libri» mormorò Mari con un filo di voce.

«Libri?» chiese conferma Harvey, inarcando un sopracciglio.

«Sì. Libri nuovi, che non ho mai letto.»

Harvey esitò un po', prima di rispondere: «Se è quello che desidera la mia principessa, allora l'avrà.»

Un timido sorriso fece capolino sul volto corrucciato di Mari, e pian piano dalla sua espressione eliminò il dolore lasciando spazio a una piacevole sensazione di benessere. Era sempre così bello, dopo.


Mari si sistemò meglio il cappuccio sopra la testa, sforzandosi di coprire il più possibile i suoi carmini capelli. Harvey le proibiva di tagliarli e più crescevano e più diventava difficile gestirli e nasconderli, anche se Harvey le diceva sempre di non farlo. Se si fosse mostrata in giro più uomini sarebbero venuti a conoscenza di quella caratteristica che incollava lo sguardo e loro avrebbero potuto avere più clienti. Proprio per quello stesso motivo lei, invece, si impegnava a nasconderli il più possibile. Sfilò da sotto la casacca una pera appena comprata -e non rubata, il che la rendeva ancora più gustosa- e ne tirò un morso. Il sapore dolciastro, leggermente contrassegnato dall'aspro del frutto non ancora maturo del tutto, le pervase la bocca. Il succo umido, unito alla croccantezza della buccia e la sua ruvidezza, in contrasto con la polpa morbida, rendeva diverso ogni morso. Mai si era goduta così un pasto e la libertà di poterlo fare alla luce del sole, in mezzo alle persone, senza nascondersi, era un delizioso premio a tutti quei sacrifici. Alla fine Harvey aveva ragione, lo sapeva che aveva ragione e lei avrebbe solo dovuto stringere i denti.

Si inoltrò nella zona mercantile, ora affollata per il mercato della mattina. I banchetti, come sempre, erano le zone dove più si concentravano le persone, anche se in pochi compravano e altrettanti si affaccendavano a rubare. Mari vi passeggiò attraverso, gustando la sua pera, senza una meta precisa, godendosi solo la tranquillità di un luogo ormai fin troppo familiare.

Passò davanti al banchetto con i vasetti di marmellata ed esitò qualche istante, osservandoli con riluttanza. I ricordi ad essi associati erano così terribili, la responsabilità legata a quella stupida sostanza zuccherina era così alta, che l'avrebbe ripudiata in eterno nonostante il magnifico sapore. Stava per rimettersi a passeggiare, quando casualmente intercettò una conversazione tra due mercanti.

«Ce n'è di tranquillità ultimamente, da queste parti» aveva detto il primo.

«Da quando Levi e i due deficienti che lo seguivano sono stati portati via sembra un'altra città» rispose il secondo, e fu proprio quel nome a convincere Mari a temporeggiare ancora un po' davanti a quel terribile banchetto della vergogna.

"Li hanno portati via?" si chiese, curiosa tanto quanto sconvolta. Erano riusciti a prenderli? Loro, che erano in grado di volare, irraggiungibili sopra i tetti, erano stati presi?

«Sono stati portati via? Finalmente la Gendarmeria ha avuto la meglio!»

"Non può essere!"

«E invece ho sentito che non è stata opera della Gendarmeria, lo sai?» disse il secondo, con un velo di orgoglio nella voce. L'orgoglio di chi ha un gustoso pettegolezzo nel taschino della giacca da sventolare, sapientemente, sul muso degli ignari.

«Ah no? E chi è stato? Rivali? Li hanno ammazzati? Non trovo difficile credere che gente come quella fosse pieno di nemici.»

«Niente di tutto questo, ma qualcosa di ancora più sconvolgente!»

«Sul serio? E chi li ha portati via, dimmelo!» certo quell'uomo non vantava di scarsa curiosità.

«Erwin Smith!» disse solennemente il compagno.

"Erwin Smith?" si chiese Mari, non riuscendo ad attribuire nessun viso a quel nome. Chi diavolo era quell'Erwin Smith? Quanto poteva essere forte, per essere riuscito ad acciuffare Levi e i suoi?

«Erwin Smith? Il comandante dell'Armata Ricognitiva?»

«Proprio lui!»

«Hanno smesso di dar la caccia ai Giganti e si son dati ai banditi? D'altro canto, con tutti quei fallimenti sulle spalle, chiunque avrebbe chiuso baracca.»

«No, no, no! Non riesci proprio a capire, citrullo? Li hanno arruolati!»

«Arruolati?» chiese sconvolto, allungando smisuratamente la parola.

«Sì! Quel folle, dev'esser proprio disperato per venire a raccattare delinquenti qua sotto» rise. «Eppure è così! Se ne parla un sacco tra le file della Gendarmeria, trovando sconvolgente tanto quanto vergognoso che siano venuti a prendere questi disgraziati di cui non ci si può fidare e che abbiano deciso di regalar loro soldi, un letto e del cibo senza che lo meritassero. La galera! In galera dovevano sbatterli! E invece... che storia! Fanno morir di fame i poveracci e regalano la bella vita ai bastardi!»

«Veramente una vergogna.»

«Signorina?» l'improvvisa voce del mercante, davanti a lei, la riscosse così bruscamente da farle venire il batticuore dallo spavento. «Signorina, desidera comprare qualcosa?»

Mari strabuzzò gli occhi, spaventata più che mai: quanto tempo era rimasta ferma a fissare quei dannati barattoli di marmellata? Negò rapidamente con la testa e senza spiccicare parola, scappò via, lasciandosi cadere dalle mani la pera divorata per metà.


Harvey afferrò la patata bollita e se la portò alle labbra, strappandone un pezzo a morsi. Buttò giù anche del pane e subito dopo una manciata di fagioli, aiutandosi nell'ingoiare con un lungo sorso d'acqua. Sembrava non mangiasse da mesi. Da quando il cibo sulla tavola era cominciato ad essere più abbondante, non faceva che abbuffarsi con ingordigia, come se con quel singolo pasto avesse colmato anni di digiuno.

Mari, seduta di fronte a lui, fissava il suo piatto silenziosa giocherellando con un fagiolo, facendolo roteare da una parte all'altra. Un guancia posata sul palmo della mano, il gomito ben piantato sul tavolo e lo sguardo più assorto che avesse mai avuto.

«Com'è andata la tua passeggiata?» chiese Harvey, notando come fosse strana.

«Bene» rispose senza troppo interesse.

«Hai comprato qualcosa?»

«Una pera.»

«Ancora pere? Devono piacerti proprio tanto!» la canzonò, sperando di riuscire a strapparle un sorriso, almeno uno sguardo, senza successo. «Sai, ho chiesto al mercante se riuscisse a procurarmi libri nuovi, magari qualcosa che viene dal nord. Ha detto che forse è in grado di recupare qualcosa di interessante.»

Mari esitò qualche istante, ancora immersa nel suo fagiolo che ormai si era percorso l'intero piatto rotolando, poi finalmente disse, decisa nel tono: «Harvey, tu sai chi è Erwin Smith?»

«Erwin Smith?» si corrucciò appena, Harvey. «Perchè vuoi saperlo?»

«Ecco...» arrossì appena, Mari. «Oggi ho sentito due uomini parlare di lui. Dicono sia un comandante dell'Armata Ricognitiva, ma non so cosa significhi.»

Harvey esitò, continuando a guardarla poco convinto. Sapeva benissimo chi era Erwin Smith, ciò che però non sapeva e che lo turbava era perché Mari improvvisamente fosse tanto interessata a lui e all'Armata. Ma decise di mettere da parte i suoi pregiudizi e rispondere alle curiosità di sua sorella, come sempre aveva fatto. Era meglio che certe cose venisse a saperle da lui che da qualche voce in giro che avrebbe potuto metterle in testa strane idee.

«Il corpo militare è diviso in tre legioni principali. La Gendarmeria, che è quella che si occupa dell'ordine delle strade. Poi c'è la Guarnigione, che si occupa invece delle Mura, quelle che proteggono gli umani dai Giganti» aveva già sentito parlare dei Giganti e delle Mura che tenevano imprigionati gli umani lì dentro, proprio come loro lo erano sottoterra, perciò non fu difficile per lei capire di cosa stesse parlando. «E infine c'è l'Armata Ricognitiva, che invece si occupa delle spedizioni in esterno. Vanno dritto in bocca ai Giganti, a contargli quanti denti hanno» disse con riluttanza. Aveva sperato di destare la stessa sensazione nella sorella, di infonderle timore per quegli idioti che andavano a morire, invece quando alzò lo sguardo su di lei lesse sul suo viso tutto tranne che la paura. Gli occhi sgranati, le labbra dischiuse, e lo sguardo di una bambina di fronte a un meraviglioso gioco. Che diavolo le passava per la testa?

«Non c'è niente di emozionante in quello che fanno! Vengono mandati a morire, trucidati e senza nessuno che possa dir loro a addio.»

«Ma escono fuori» balbettò Mari. «Dove non ci sono mura, né soffitti.»

«Non dire stronzate! Che valore ha un po' di visuale in più se dieci passi più avanti vieni sgranocchiato per bene?» rispose Harvey sempre più nervoso. Ci mancava solo che la sorella cominciasse a provare ammirazione verso quei bifolchi, e che magari le passasse per la testa di seguirli! Non le avrebbe mai permesso di andarsene, nemmeno per sogno.

«Tanto ai reietti come noi non è permesso nemmeno di annusarla quell'aria. Dimenticalo.»

«Non è vero!» disse Mari, ora improvvisamente emozionata. Si sollevò in piedi e sbatté il cucchiaio sul tavolo, continuando a dire sempre più focosamente: «Non è vero! Hanno portato lassù la banda di Levi! Sono venuti a prenderli, Erwin Smith è venuto a prenderli! Li ha portato fuori, ti rendi conto? Dove non ci sono mura né soffitti, a vedere il cielo e le nuvole! La Luna! A respirare la vera aria! Erwin Smith porta fuori quelli come noi! Non è vero che...» non terminò la frase che un pesante schiaffo da parte del fratello la fece tacere.

Il silenzio calò tra i due con una pesantezza tale da costringere Mari a tornare seduta. E tremolante, si portò una mano ad accarezzare la guancia colpita che ora bruciava da morire.

«Pensi ancora a quel Levi? Pensavo di essere stato chiaro!» Gridò severo, Harvey. «Lasciali perdere, sono sacchi di merda e per questo che il tuo eroe Erwin Smith è venuto a prenderli! Per lanciarli direttamente tra le fauci dei Giganti, perché nessuno piangerebbe la perdita di reietti come noi! Vuoi fare anche tu quella fine? Morire nel peggiore dei modi, sacrificata da chi non gliene frega un cazzo di te, da chi ti vede solo come carne da macello? Ci usano per ingrassarli, ecco la verità! Togliti dalla testa qualsiasi sciocchezza fiabesca, quell'Erwin Smith è la peggiore delle fecce ed è venuto qui a raccogliere qualcuno di altrettanto peggiore da sacrificare per i suoi luridi scopi! Mi stai ascoltando, cazzo?» gridò ancora, provando ancora più ira nel vedere il viso spento della sorella, come se non fosse lì. Con un colpo di mano colpì il suo piatto e lo lanciò a terra, frantumandolo. Mari sussultò al rumore e volse gli occhi, ora terrorizzati, ad Harvey.

«Non voglio più sentirti pronunciare quel nome, né tanto meno quello di Levi! E' chiaro?» e Mari continuò a guardarlo terrorizzata, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «E' chiaro?» urlò ancora più forte, ormai accecato dall'ira.

«Sì! Sì! Ho capito!» si affrettò a rispondere Mari e questo, miracolosamente, sembrò calmarlo in parte.

«Spero possa sentire distintamente le proprie ossa sbriciolarsi, quel Levi, prima di morire in bocca a quegli schifosi.»


Amore, amore, amore, amore, amore, amore

Cercami trovami fammi sentire il tuo odore

Rendimi libera dall’idea che io stessa ho di te

Salvami, salvami da me

Fa che la mia solitudine si dissolva nel vento con le lacrime


Portami via con te


(Missiva d’amore - Arisa)
   
 
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