Il
Reparto
Una goccia
d’acqua cade dal soffitto e atterra sul pavimento con un
tonfo più forte di quanto ci si aspetterebbe da una goccia
d’acqua, segno che probabilmente sono stato drogato.
La luce
è lieve, il materasso molto duro e la stanza ha
l’aspetto di un ospedale psichiatrico. Anzi, ha esattamente
l’aspetto di un ospedale psichiatrico. Mi metto a sedere a
fatica, mentre d’istinto una mano passa sulla mia nuca per
massaggiarmi la testa e scopro con orrore che mi sono stati tagliati i
capelli. Sono corti, circa tre centimetri, non di più.
Ho addosso una
maglietta azzurra e un paio di pantaloni grigi di tuta, non ci sono
altri indizi, nessun segno di violenza, nessun livido. Come sono stato
portato qui e perché?
Vedo
un’ombra dietro la porta, due piedi che bloccano il passaggio
della luce del neon. I piedi diventano velocemente quattro e sento
bisbigliare. Vorrei avere tutti i miei sensi al massimo livello, invece
sono lento, non riesco a nemmeno a capire dove sono né a
ricordare quanto sia accaduto.Vorrei alzarmi in piedi e prepararmi
all’imminente apertura della porta della stanza dove mi sono
svegliato ma in questo momento non sono nemmeno sicuro che le gambe
reggerebbero il mio peso.
Si apre la porta
e un uomo in giacca e cravatta e camice medico si affaccia nella
stanza, seguito da una donna bionda, in evidente stato di agitazione.
Ho la sensazione di averli già visti ma non riesco a
ricordare quando, i miei ricordi sono offuscati come nebbia nella
brughiera.
«
Allora signor Holmes, oggi sarà più collaborativo
o spaventerà di nuovo a morte le infermiere? »
l’uomo mi rivolge un’espressione di biasimo, prima
di fare un cenno nei confronti della donna che timidamente si avvicina
a lui.
« Chi
siete? » rispondo con un tono che vorrebbe essere duro ma la
mia voce esce come ovattata. Vorrei urlare, sono impotente, bloccato in
una situazione che non riesco a capire, in balia di persone mai viste e
senza alcun ricordo degli ultimi giorni.
«
Signor Holmes, ancora? Oh Santo Cielo. Heather, puoi prendermi una
sedia? Sarà una cosa lunga » l’uomo
prende con noncuranza gli occhiali dalla tasca del camice e inizia a
leggere la cartella che la donna chiamata Heahter gli passa
prima di sparire alla ricerca di una sedia.
« Ho
detto, chi siete? Chi è lei e perché mi trovo
qui? » ripeto, stancamente.
« Va
bene, ricominciamo. Io sono il dottor Sheehan e lei e qui
perché soffre di una grave forma di psicosi »
« Cosa?
»
« Lei
ciclicamente mi pone questa domanda, chi sono? Perché sono
qui? E come da sette anni a questa parte le rispondo sempre la stessa
cosa: lei è William Holmes e abbiamo il piacere di ospitarla
alla Clinica Psichiatrica di Northumberland dal 2010 »
Il mio silenzio
sbigottito a quell’assurdità è quasi un
urlo nella quiete del posto dove mi trovo.
« Non
è divertente »
«
Infatti non lo è. Quando suo fratello Mycroft l’ha
fatta ricoverare qui, sperava avremmo avuto più successo,
invece la sua psicosi non fa che peggiorare. Quindi eccoci qui, anche
oggi, a sperare in una sua presa di coscienza, com’era
avvenuto nel 2012, quando non era ancora sceso in profondità
nella sua fantasia »
« La
smetta » rispondo stizzito; se è uno scherzo di
Mycroft non è divertente, se è
qualcos’altro non so cosa possa essere ma devo trovare il
modo di uscire. Il dottore non sembra così forte, appena
riuscirò a stare di nuovo in piedi lo atterrerò
con facilità, il problema è non sapere cosa
c’è fuori dalla porta e non riesco a dedurlo.
« Se
sta pensando nuovamente di scappare, posso ricordarle che
l’ultima volta ha fatto seriamente del male ad alcune delle
infermiere? Di questo passo dovremo aumentarle la dose dei medicinali
»
Medicinali, ecco
cos’è quella sensazione di secchezza in bocca, non
droga ma qualcos’altro che sta rallentando le mie funzioni.
Il dottore emette
un sospiro frustrato « Signor Holmes, so a cosa sta pensando
ma lei non è un genio, è un uomo ordinario che si
è inventato un’incredibile realtà
alternativa perché non riusciva più a
vivere nella solitaria quotidianità »
Mi sfugge una
risata, forse sto soltanto sognando tutto e presto mi
sveglierò a casa. E’ più probabile che
abbia abusato di qualcosa e queste allucinazioni siano davvero
più vivide di quanto mi sia mai capitato prima. Devo solo
resistere fino alla fine dell’effetto drogante, mi
è già capitato prima di essere così
fatto da immaginarmi le persone, è probabile che
c’entrino con un caso o con qualcosa che ho notato e non
riesco a mettere a fuoco. Devo solo rallentare il battito accelerato di
un cuore sottoposto a troppe sollecitazioni.
« Vedo
che si è calmato, molto bene. Come le stavo dicendo
è qui dal 2010. Si ricorda perché? »
« Me lo
dica lei » rispondo annoiato, appoggiando la testa
all’indietro contro il muro, mi sembra di esplodere.
« Da un
giorno all’altro ha iniziato a raccontare di essere un
consulente investigativo, di aver inventato questa professione
»
«
E’ proprio così, l’ho inventata io
» commento frustrato dall’ottusità della
mia allucinazione.
«
Certo, così ha lasciato il suo lavoro alla
facoltà di chimica. Il suo capo, Gregory Lestrade, rimase
sconcertato dalla scenata che fece mentre buttava le sue cose in una
scatola »
«
Lestrade il mio capo? Questa allucinazione diventa ogni secondo
più comica »
«
Così ha compensato la sua necessità di essere
speciale. Ad una professione inventata adatta ad un genio ha
aggiunto un nome inesistente: Sherlock. Ma dopo un po’ ha
cominciato a sentire la mancanza di contatti umani, così ha
inventato John Watson »
Un lampo di
fastidio, c’è un limite alle assurdità che
qualcuno, anche una visione, può propinarmi.
Il dottore
sorride, sprezzante « John Watson, l’amico
perfetto, fedele, leale, onesto, ha sparato ad un tassista solo per
salvarle la vita »
« Come,
come fa a saperlo? » chiedo, con un filo di panico nella
voce. Non lo sa nessuno, nemmeno Mycroft.
« Lo so
perché è una storia che ci ha raccontato tante
volte »
Idiota, non
è una persona reale, è una visione, una mia
allucinazione e per forza sa tutto quello che so io.
«E’
evidente che una persona così paziente non può
esistere davvero » Continua, ostinato.
«
Dottore » e sottolineo la qualifica con una risatina
sprezzante « John non è sempre così
paziente »
«
Perché un John Watson dovrebbe sopportarla, onestamente? Lei
lo maltratta, lo usa per i suoi esperimenti, gli da costantemente
dell’idiota, dimostra scarsa stima ed è
anaffettivo nei suoi confronti. Perché mai una persona come
John dovrebbe volerle bene? O di più, lei vorrebbe che
l’amasse, non è vero? »
Resto in uno
stupido silenzio, sbatto più volte le palpebre ma non riesco
a formulare una risposta coerente, in effetti non ho mai capito
perché John abbia fatto questa scelta, ho sempre scherzato
su quanto fosse matto a seguirmi e in cuor mio mi sono sempre illuso
che fosse per quel qualcosa in più che soltanto io potevo
dargli, ma non ho mai avuto il coraggio di parlarne apertamente.
«
Insomma » continua il dottor Sheehan « Le pare che
l’adrenalina sia sufficiente per seguirla come un cagnolino,
senza mai protestare per i suoi metodi? »
« Come
le ho già detto, John… »
« Cosa?
Protestava? Di quando stiamo parlando, prima o dopo del suo ritorno
nella realtà? »
Mi siedo
più vicino al bordo, stranito, confuso, la testa galleggia
ma il dottore non cambia espressione.
« Si
ricorda il 2012? Aveva lasciato quel suo straordinario mondo fatto di
casi, amici, incredibili capacità deduttive e artistiche,
per tornare qui, nella realtà. Mycroft era molto contento,
per ben due anni ha vissuto di nuovo semplicemente come William Holmes
»
« Il
salto dal tetto? » chiedo, quasi meccanicamente.
«
Esatto signor Holmes, ha detto addio a quella falsa realtà,
“il suicidio di un falso genio” l’aveva
definita. Poi, però, la psicosi si è ripresentata
» afferma mesto mentre mi trovo a respirare a fatica, quasi
dolorosamente, come se avessi ricevuto una serie di colpi nel petto.
« La
smetta, è assurdo »
«
E’ assurdo? Tutti quei personaggi straordinari: la padrona di
casa sposata con il capo di un cartello della droga, la dominatrice del
sesso, il genio criminale che la sfida, che si suicida davanti ai suoi
occhi e lei che lascia il suo prezioso John guardarla morire. Le sembra
possibile? »
Alzo lo sguardo e
mi sembra tutto così assurdo raccontato in quel mondo. Di
solito leggevo il mondo filtrato dal blog di John, così
romantico e avventuroso e mai mi era passato per la testa che potesse
essere anche assurdo.
« Non
è più probabile che lei abbia inventato John,
l’amico ideale? Lei era solo, senza nessuno, incapace di
avere amici ed ecco che nel giro di qualche ora incontra un ex medico
militare che accetta immediatamente di diventare suo coinquilino. Chi
mai lo avrebbe fatto? »
« John
è speciale, lui… »
« Lui
cosa? Lo sa anche lei che non può esistere, infatti quando
è ripiombato nella sua psicosi John era diverso, vero?
Baffi, moglie, l’ha presa a pugni quando è
tornato, no? Lei avrebbe potuto bloccarlo con facilità,
nella fantasia conosce il karate, invece ha lasciato che la colpisse.
E’ un segno, è il modo che ha la sua testa per
farle capire che quella realtà è falsa. John,
l’amico fedele che la prende a pugni, che sposa
un’altra. Tutto è precipitato poi, no? Ha provato
di nuovo a tornare qui, solo per dieci giorni, lo ricorda? »
« Dieci
giorni? Il carcere dopo Magnussen » mi trovo a rispondere,
come se non fossi più in grado di tenere i miei pensieri per
me.
Il dottore
sorride, ma non riesco a capire che tipo di sorriso sia, la mia mente
è in tilt. Sento il bisogno di piangere e non so nemmeno il
perché.
«
Già, poi di nuovo un tuffo nella fantasia, sempre
più assurda. La morte della moglie di John, un serial killer
miliardario, il suo migliore amico che la prende a calci e pugni. Cosa
ha provato? Sa perché è qui cosciente?
Perché quella realtà non le piace più
»
Ad ogni parola ho
dei flash, Mary che cade a terra morta, io che per caso trovo un busto
di Margareth Thatcher, John che mi vuole lontano, John che mi butta a
terra, John che non si ferma finché non viene bloccato dagli
inservienti.
« Io
non… »
« Baker
Street è saltata per aria, ha riportato traumi? »
Butta lì il dottore ed io comincio nervosamente a
controllarmi, nella speranza di trovare qualche segno, qualcosa che
dimostri che non sono pazzo che è successo tutto davvero,
tutto, anche… « Eurus, lei… »
« Chi
è Eurus signor Holmes? Una nuova parte della fantasia?
»
Se potessi
vedermi da fuori, credo che starei fissando due occhi spenti e vuoti,
incapaci di distinguere la realtà dalla finzione. Le
lacrime, quelle che prima sentivo pizzicare ora scendono senza remore.
Vorrei gridare il
nome di John ma ho la sensazione che nessuno accorrerebbe; ha ragione
il dottor Sheehan, è molto più probabile quello
che sta dicendo.
« La
lascio un po’ riflettere, vuole? Quando vorrà
parlare basterà premere il pulsante vicino la porta,
d’accordo? »
Il pulsante
vicino alla porta, un tasto bianco e tondo che prima non avevo nemmeno
notato. Prendo alcune boccate d’aria mentre il dottore si
alza lasciandomi lì, sul letto, con una luce fioca a farmi
compagnia e la goccia che nuovamente cade dal soffitto a sbeffeggiarmi.
Sembra tutto così assurdo e così probabile, una
vita inventata, un amico inventato.
«
John… » mormoro, chiedendomi quante
possibilità ci fossero di trovare un amico come lui, non era
mai successo in trentaquattro anni di vita « Non era vero,
non era reale... »
Afferro la mia
testa con entrambe le mani, la sento scoppiare. I capelli
così corti mi infastidiscono e sono quasi preoccupato di non
riconoscere la mia immagine riflessa in un specchio, se solo ci fosse
una superficie riflettente nella stanza.
Mi metto disteso,
solo, spaventato, infreddolito.
**** * ****
Rumori, forti,
seguiti da una serie di spari. Mi sveglio di soprassalto completamente
sudato, cercando di focalizzare se sono ancora in quella stanza
psichiatrica o di nuovo a Baker Street.
Pareti bianche,
luce fioca, sono ancora nella clinica “di
Northumberland”. Stupido! Come ho fatto a non
notarlo? Quinto fucilieri di Northumberland, lo ripeteva
così orgoglioso il mio John. Ho un conato di vomito al
pensiero di avere una realtà che non esiste nella testa,
quando qualcuno tenta di buttare giù la porta della mia
stanza. Cerco di concentrarmi ma non riesco, è tutto
così buio. La porta si spalanca e non ho nemmeno il tempo di
mettere a fuoco la figura che vengo travolto da un abbraccio.
«
Sherlock, Sherlock. Stai bene? »
Mani gentili ma
forti iniziano a controllarmi, mentre io non assecondo alcun movimento,
non so di nuovo cosa stia succedendo, dove io sia.
«
Sherlock, guardami. Cosa ti hanno fatto? » E’ John,
credo sia John. La sua voce è strana, preoccupata,
leggermente incrinata. Perché dovrebbe esserlo? Secondo
Magnussen non sono nemmeno tra i suoi punti deboli.
«
Sherlock! »Ci guardiamo ed è come fissare il nulla
« Cristo, mi dispiace se ci abbiamo messo tanto tempo ma non
sapevamo dove ti avessero portato. Tuo fratello per fortuna ha
rintracciato questa proprietà appena fuori Londra, ma
immagino lo avrai già capito, vero? »
Sento entusiasmo
nella sua voce, mentre dolcemente mi accarezza la nuca.
Perché non dice niente dei capelli?
Un altro uomo
entra nella stanza, sento di nuovo la testa scoppiare, un dolore forte
alle tempie.
« Greg,
credo lo abbiano pesantemente drogato »
«
Sì, Mycroft ha detto che potevano aver usato qualcosa di
sperimentale. Meglio che giriamo con un fazzoletto su bocca e naso,
John. Sono stati arrestati tutti comunque »
«
Ottimo. Hai sentito, Sherlock? Come a Baskerville. E’ per
questo che sei strano. Più del solito » Credo stia
cercando di farmi ridere ma non posso ignorare il rimando a
Baskerville. Come può esistere una base governativa segreta
dove fanno esperimenti su conigli fluorescenti?
Sento i loro
sguardi trafiggermi, mentre John mi aiuta ad alzarmi. Ora so cosa devo
fare, tutto questo deve finire.
**** * ****
Ho chiesto di
essere portato a quella che dovrebbe essere casa mia, Baker Street,
rifiutando ogni ulteriore cura medica. Nessuno ha fatto storie, altro
segnale evidente di una realtà che non esiste, non
è possibile che tutti sorvolino sulla mia
necessità di essere portato in ospedale solo
perché mi comporto da ragazzino viziato.
John sale con me,
vorrei chiedergli dove sia Rosie ma è una domanda superflua,
presto questa realtà sarà solo un ricordo. Mi
incammino stanco verso la mia camera mentre John mi grida dalla cucina
che preparerà un tè, come se fosse la soluzione
ad ogni cosa.
Ripercorro il
corridoio al contrario, con un peso in più e mi preparo a
risolvere finalmente la questione, il mio problema finale.
«
Eccoti, vuoi latte o… Sherlock? »
c’è paura nei suoi occhi e quasi mi viene voglia
di desistere, di stare ancora un po’ con lui in questa
fantasia, dopotutto le cose sono un po’ migliorate tra noi
negli ultimi tempi.
«
Sherlock, perché mi stai puntando una pistola? »
« Mi
dispiace ma non posso andare avanti con questa follia »
«
Sherlock, abbassa la pistola. Sei stato drogato, ne risenti ancora. Non
so cosa ti abbiano indotto a pensare ma… »
« No,
John. Basta è colpa tua, sei tu che mi trascini ancora qui
»
« Non
so di cosa tu stia parlando ma hai ragione, è colpa mia
»
Le mie labbra
tremano e di nuovo sento gli occhi pizzicare. Anche la mia mano che
stringe la pistola trema appena. E’ tutto troppo forte,
troppe emozioni, troppo tutto.
«
Sherlock mi dispiace per tante, troppe cose. So che ho fatto tanti
sbagli ma adesso sono qui, per rimanere. Se pensi che la tua vita
sarebbe migliore senza di me posso capirlo. Per salvarmi sei stato
lontano due anni e ci ho messo molto ad accettare che non potevi fare
diversamente. Hai sparato ad un uomo a sangue freddo e hai rischiato
l’esilio per questo. Ti ho accusato di aver ucciso mia
moglie, ti ho picchiato… » si interrompe, un
attimo, prende fiato appena « Significhi tanto per me e
c’è Rosie che ha soltanto noi due »
La mia mano
continua a tremare ma non posso lasciare la pistola, non posso.
«
Sherlock, siamo noi due, ricordi? Noi due contro il resto del mondo
»
Quella frase,
quelle parole. E’ vero, è così, se sono
fuggito dalla realtà è perché faceva
schifo e non avevo nessuno e tornare lì non avrebbe senso.
Abbasso lentamente il braccio e John tira un sospiro di sollievo,
troppo prematuro perché rapido la porto alla mia testa.
«
Sherlock, smettila. Non so che droga abbiano usato ma ti ha dato delle
allucinazioni pesanti o non so cosa. Tu non vuoi morire, piuttosto
spara a me. Non posso pensare di vivere senza di te. Ti porto in
ospedale, d’accordo? Non… non ti sembra una
reazione esagerata per un taglio errato di capelli? »
Abbasso il braccio, stranito dalla domanda ironica in una situazione
del genere. Possibile che abbia imparato da me? E' un attimo prima che
John mi atterri lanciando lontano la pistola. Eccolo il soldato,
l’uomo che ho imparato ad amare negli anni senza alcuna
speranza.
« Mi
dici cosa è successo in quel posto? Cosa ti hanno indotto a
credere quei maniaci? » cerca di sembrare tranquillo ma la
forza con cui mi blocca i polsi con le mani e con cui stringe le gambe
attorno al mio busto fanno pensare a tutto fuorché ad una
persona rilassata.
« Che
era tutto finto, che non era vero »
« Cosa?
»
« Io
non sono un genio, voi non esistete… »
« Wow,
se sono riusciti a farti credere di non essere un genio voglio sapere
che droghe hanno usato » ride e la risata è
contagiosa. Ora che lo guardo bene, ogni sfumatura di grigio nei
capelli, ogni piccola ruga, trovo a chidermi come ho potuto pensare che
non esistesse? E’ John, è il mio conduttore di
luce, nemmeno nelle mie più incredibili fantasie avrei
potuto immaginare una personalità complessa come quella del
dottor Watson.
«
Perché non ricordo niente di come sono finito lì?
»
« Non
posso aiutarti più di tanto, mr “indago da
solo” Holmes. Mi hai scritto che avevi una pista per trovare
gli ultimi affiliati della rete di Moriarty e poi il nulla. Forse hanno
pensato che fosse divertente friggere il tuo prezioso cervello
» sorride e rilascia un po’ la presa; sa che sono
ancora debole ma sa anche che potrei reagire in qualunque momento.
Perché ti fidi così tanto di me, John?
«
Moriarty, ecco perchè sapevano tante cose della mia vita » ora tutto inizia
ad avere un senso, farmi credere di essere pazzo sarebbe stata una
vendetta che Moriarty avrebbe trovato divertente.
« Cosa
facciamo, Sherlock? Restiamo in questa posizione finché non
riacquisti il senno? »
Mi trovo
stupidamente ad arrossire e per un attimo vedo la sicurezza di John
vacillare; mi guarda a lungo prima di azzardare ad avvicinarsi con il
viso al mio « Sherlock, parlavo sul serio prima. Non posso
vivere senza di te » sussurra piano.
« Lo so
» rispondo con una parvenza di sicurezza, sento finalmente
che l’effetto della droga sta svanendo e siamo solo noi due,
distesi in cucina in una posizione che la signora Hudson definirebbe
compromettente.
«
Baciami » esclamo.
« Cosa?
» è il turno di John di tremare; come sono stato
stupido, nella mia fantasia John mi avrebbe amato dal primo giorno
senza freni, non staremmo ancora ballando attorno alla sua presunta
eterosessualità.
«
Baciami e sarò certo che questa è la
realtà; non posso essere in grado di immaginare come mi
baceresti »
«Sveglierò
il principe, così? » prende tempo ma ha
già spostato le mani dai miei polsi e si è
sollevato appena per non pesarmi più addosso. Io sorrido
incoraggiante, anche se non fosse la realtà non ne vorrei
una diversa.
Inclina appena il
volto verso destra e appoggia delicatamente le sue labbra sulle mie, ed
è come se improvvisamente il mondo esplodesse in un turbinio
di colori e suoni.
E’
tutto vero, ora ne sono certo.
**** * ****
Angolo autrice:
Chissà chi c'è ancora a leggere in questo rovente
agosto questa raccolta. Oggi avevo proprio voglia di portare a termine
questa storia, sempre dai toni "misteriosi", ed eccola qui, in tutto il
suo angst.
Grazie come sempre e alla prossima :)
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