Capitolo
ventotto – Passo dopo passo si arriva sulla vetta
La
mattina seguente, alzarsi dal letto fu una vera e propria impresa.
Hermione non era mai stata così risoluta a rimanere
rintanata sotto
le coperte, completamente isolata dal mondo. Aveva fatto qualche
incubo di cui non ricordava neppure la natura; ma poi, alle prime
luci dell'alba, si era ritrovata tra distese di prati e vallate
stracolme di erba e fiori. Esattamente il luogo verso cui sarebbe
scappata volentieri.
Poi
aveva persino sognato la Tenda – quella in cui aveva
alloggiato
alla ricerca degli Horcrux –, cosa che al risveglio l'aveva
informata del grado di sopportazione, ormai pari a zero, che nutriva
nei confronti della propria vita.
Purtroppo,
dopo un quarto d'ora, quando si fu resa conto di essere
impossibilitata a restare sepolta sotto un piumone per
l'eternità,
si decise a mettersi in piedi. Sgattaiolò nel bagno cercando
di
causare meno rumore possibile; aveva sentito un leggero russare
provenire dalla camera di Fred. Si lavò e vestì
in fretta, uscendo
senza neppure fermarsi a fare colazione. In ogni caso, aveva lo
stomaco chiuso. Una parte di sè era furiosa con il suo
migliore
amico – che tra l'altro non aveva nulla di vitale da dirle,
tranne
che aveva di nuovo litigato con Ginny – per averla
interrotta. Del
resto, Harry aveva sempre avuto un talento per interrompere i suoi
momenti intimi con Fred Weasley.*
Un'altra
parte di Hermione era invece grata per quell'interruzione. Le
sembrava che tutto, la sera prima, si stesse svolgendo in maniera
affrettata e confusionaria – e la responsabilità
non era certo
imputabile a Fred, dal momento che lei stessa aveva dato il via alle
danze. Non aveva saputo resistere al calore della sua bocca, al
piacere di immergere le mani nei suoi capelli rossi...
No
Hermione, pensò, così
decisamente non va.
In
realtà non lo pensò solamente, lo disse ad alta
voce mentre
camminava. A dire il vero, a voce così alta che un ragazzino
si girò
a guardarla come fosse tutta matta. In effetti, riflettè, un
pochino
doveva sembrarlo. Quando entrò nel negozio, perfino
Ollivander la
squadrò, sospettoso.
Evidentemente
doveva sembrare un po' stralunata, poiché quello che l'uomo
le stava
riservando era lo stesso sguardo che lei per una vita aveva lanciato
a Luna Lovegood, la creatura più stralunata
mai apparsa sulla
Terra.
Lei,
ad ogni buon conto, ignorò la cosa, limitandosi ad un
candido
'Buongiorno'.
Il
signor Ollivander non replicò col solito cenno del capo, e
per
qualche minuto il silenzio sembrò regnare all'interno del
negozio.
Hermione era convinta che le avrebbe chiesto conto della sua scrausa performance
del giorno precedente: aveva tutto il diritto di
farlo. Non era stata professionale, nè aveva agito
correttamente;
neppure era riuscita a mantenere la calma: un completo disastro.
Misurò
la stanza a lenti passi prima di dirigersi al bancone, dove
Ollivander era già chino ad esaminare una bacchetta nuova di
zecca.
"Questa..."
soffiò affranta Hermione, "è una vera
bacchetta".
Fu
a quel punto che il signor Ollivander parve prendere nota della sua
presenza all'interno del negozio. Quandò sollevò
il volto,
l'espressione di quest'ultimo pareva dire 'Toh, ci sei anche
tu!'
Sembrava
davvero che non avesse notato altro se non la bacchetta di nocciolo
che stringeva tra le mani. Hermione la contemplò, per un
attimo
dimenticando se stessa.
"Spero
che il padrone di quella bacchetta sia un tipo che sa il fatto suo"
disse senza riflettere. "Voglio dire, le bacchette di nocciolo
hanno bisogno di... fermezza emotiva" affermò.
"Come
mai sostieni ciò?"
"Io
non lo sostengo; è stato lei stesso ad insegnarmi quel che
so sulle
bacchette, e le dico" e mise le mani sui fianchi, acquisendo
sicurezza, "che le serve una strega – o mago –
determinato;
se sarà altrimenti, le conseguenze potrebbero non essere
delle
migliori, visto che il nocciolo tende ad essere imprevedibile,
se si sente poco sicuro nelle mani del padrone". Ollivander
aggrottò impercettibilmente la fronte e posò sul
tavolo la
bacchetta di nocciolo.
"Come
la fai tragica!" la rimbeccò. "Ti sei alzata col piede
sbagliato? A sentir te il nocciolo è un legno da evitare;
non ti
piace?" domandò.
"Non
particolarmente".
"Sbagli,
perché ha innumerevoli pregi: è duttile e potente
in mano ai
talentuosi, fedele fino alla morte del padrone – persino
oltre –,
se questi è stato un buon compagno".
"Lo
so, deperisce e si svuota di ogni potere, e allora?" fece
Hermione, stanca di quella gara di nozionismo.
"E
allora ha un'altra grande qualità..."
insistè
Ollivander, riprendendo il nocciolo tra le mani. Il tono dolce,
seppur insistente, mise in sospetto l' apprendista, abituata a
sentirlo in poche occasioni.
"Sarebbe?"
domandò. Da una parte sembrava volesse rimproverare
Hermione,
dall'altra la sua espressione non era di dileggio; era come se
volesse rassicurarla. Ollivander era un così curioso misto
di
sarcasmo, lunatismo e rara premura, che neppure l'esperienza di una
vita – Hermione ne era certa – le sarebbe bastata a
capirlo fino
in fondo. Finalmente si decise, sempre in tono leggero e quasi
casuale, a rivelarle l'arcano.
"E'
assai malleabile, mia cara e affranta apprendista". Il fatto che
stesse lavorando il nocciolo non era, come lei aveva sospettato, un
caso. L'intento del vecchio Garrick era ben preciso: le stava
suggerendo di ripartire da lì, da un legno più
morbido e
maneggevole, che non fosse difficilissimo perfino da
intagliare – come invece era quello di rosa,
scelto da
Hermione il giorno prima. Lei sospirò e gettò la
spugna. A che
scopo tacere ancora? Doveva parlare a quell'uomo dei suoi dubbi e
domandargli, a cuore aperto, se in lei ci fosse qualcosa di buono
–
qualcosa da buttare. In caso contrario l'avrebbe capito e sarebbe
andata via; un po' come quando un ramo, colto per errore, non era
adatto a diventare una bacchetta magica, e lei era costretta a
gettarlo via.
"L'ho
delusa molto?" domandò quindi.
"Prego?"
ribattè l'uomo. Avrebbe volentieri fatto a meno di parlarne,
poiché
dal canto suo non ne sentiva alcuna esigenza, ma sapeva che prima
Hermione avesse accettato il proprio fallimento, prima si sarebbe
rimessa al lavoro.
"Ho
usato il legno sbagliato, la procedura scorretta, e per poco non
facevo esplodere la bottega..." mugugnò, a capo chino. Lo
sentì
ridacchiare e posare la bacchetta con cui stava ancora armeggiando.
"Elencati
così sembrano una serie di crimini irreparabili"
commentò il
mago. Hermione sollevò la testa per incontrare i suoi occhi
argentei. "Ti assicuro, ragazza, che non lo sono".
"Va
bene, non saranno delitti; ma sono errori gravi per una che ha la
pretesa di fabbricar bacchette" replicò. "Non sono
all'altezza signore, non lo sono mai stata".
"Certo
che non lo sei stata: era la tua prima bacchetta! Bisogna lavorare
sodo per ottenere quello che si vuole. Non credevo di dovertelo
insegnare".
Quell'uomo
aveva la capacità di farla sentire ignorante come una
scolaretta.
Lei,
che sapeva tutto di ogni cosa.
Un
pensiero si era insinuato fisso tra le pieghe della sua mente, e ora
Hermione non riusciva a scacciarlo. Era un dubbio che stravolgeva la
sua visione dell'intero Mondo Magico come lei lo aveva sempre
percepito, perfino. Pensò che tanto valeva smettere di
tormentarsi
ed esporre chiaramente la sua teoria a Ollivander; magari avrebbe
colto nel segno; magari il bacchettaio ci aveva già pensato
e, per
delicatezza, era sempre stato restio a parlarle apertamente di una
così catastrofica possibilità. Tossì
un paio di volte, finchè il
vecchio mago si accorse che voleva dire qualcosa di importante.
Continuò a rigirarsi la bacchetta tra le mani, ma si mise in
ascolto.
"Alcuni
maghi" mormorò, "sostengono
che l'arte delle bacchette sia praticabile solo da chi ha sempre
respirato magia". Calcò con forza sul
verbo 'respirare'
perchè era quello che meglio rendeva il concetto. Era certa
che
Ollivander avrebbe capito cosa voleva dire.
Ollivander
la scrutò un attimo: appariva divertito e scandalizzato allo
stesso
tempo da ciò che Hermione aveva detto.
"E
con ciò? A mia zia Rosamund piaceva sostenere
di essere un
gran soprano, eppure chiunque la sentisse cantare era pronto a
tapparsi le orecchie".
Hermione
sorrise, lieta di sentirlo scherzare su un argomento che lei per
prima riteneva assurdo trattare ma che, prima di addormentarsi, le
aveva dato da pensare.
Per
l'uomo il discorso sembrava chiuso, dato che aveva smesso di
guardarla, ma per Hermione era appena iniziato. Doveva togliersi quel
sassolino dalla scarpa, o non avrebbe potuto svolgere serenamente il
lavoro per cui, per inciso, aveva rinunciato a tutta la sua carriera.
"Dico
sul serio, signore".
"Oh,
ma anche io: era semplicemente terribile ascoltarla"
continuò.
"Ricordo la cena della Vigilia di Natale millenovecen..."
"Signore!"
lo interruppe Hermione.
Levò
lo sguardo sulla ragazza, ma si rese conto che una battuta non
sarebbe bastata a liquidare la faccenda. Sospirò e
borbottò fra sè,
per poi alzarsi e mettersi di fronte a Hermione, di modo che potesse
scorgere ogni espressione del suo viso. Lanciò un
incantesimo alla
porta chiudendola dall'interno; fece comparire un cartello con su
scritto 'Torno subito', per poi correggerlo con la
parola
'torniamo' – sfumatura che Hermione
apprezzò molto più di
quanto l'uomo potesse immaginare.
"Tanto
vale fare le cose per bene..." bofonchiò Evocando due comode
poltrone e mettendosi a sedere su una di queste.
"Le
ho mai detto che sarebbe molto più sensato arredare questo
posto?"
domandò Hermione, nell'ennesimo disperato tentativo di
rendere
presentabile la bottega. La ragazza si sedette sull'altra poltrona,
lilla e tanto soffice da poterci sprofondare. Grazie a Ollivander, la
tensione che la divorava si stava allentando.
"Almeno
un milione di volte, e la mia risposta è sempre la stessa:
NO!
Questo posto non si tocca!" disse, autoritario. "Non finché
sarò io il proprietario".
Hermione
non si azzardò a replicare, limitandosi ad alzare gli occhi
al
cielo: quell'uomo era decisamente troppo ancorato al passato,
benchè
lei non ne sapesse granché. Si rese conto in quel momento
che
possedeva davvero pochi dettagli riguardo alla vita del suo datore di
lavoro, e che probabilmente non ne avrebbe mai conosciuti altri, data
la riservatezza del soggetto in questione.
Ollivander
tacque un poco e si sistemò meglio sulla poltrona, mentre
Hermione,
nel tentativo di mettersi comoda, sprofondò sempre
più nella
propria.
"Mia
cara ragazza" esordì, "mi sembra molto strano che tu, col
tuo intelletto più che funzionante, venga a riferirmi una
diceria
così infondata". Dunque Garrick aveva compreso a cosa si
stesse
riferendo. Hermione riprese a respirare regolarmente, accorgendosi di
aver trattenuto il fiato nell'attesa che il mago iniziasse a parlare.
"Lei
che ne pensa del fatto che i Nati Babbani abbiano scarse
possibilità
di riuscire nell'arte delle bacchette?"
"Penso
che sia un'idiozia" disse seccamente. "Hermione, tu non hai
cercato la magia: sei stata scelta! Proprio come una bacchetta
sceglie il suo mago".
Era
più forte di lui, pensò Hermione, non poteva
proprio realizzare un
paragone senza che questo coinvolgesse in qualche modo il mondo delle
bacchette. Un po' come suo padre, tifoso dell'Arsenal, e sempre
pronto a innestare paragoni calcistici.
"Questo
non c'entra" mormorò affranta.
"C'entra
eccome; sei Nata Babbana, ma la magia che c'è in te
è talmente
forte da superare le barriere, richiamando dei geni magici che,
sicuramente, erano presenti in famiglia, ma certamente non in tuoi
parenti prossimi..."
Se
quello era un modo per blandirla, per farla sentire meglio, Hermione
doveva ammettere che stava dando i suoi frutti. Tuttavia, per la
strega l'argomento era spinoso e le domande, rinchiuse in un cassetto
della mente da tanto tempo, erano troppe per poter essere ignorate.
Anche
Ollivander doveva saperlo; immaginava da sempre che prima o poi
sarebbe saltato fuori il mito vecchio come il cucco per cui un
Purosangue avrebbe un maggior potenziale magico e, percependo la
magia meglio di un Nato Babbano, avrebbe più
possibità di riuscire
in un'arte – delicata e permeata da magia spontanea
– come quella
del fabbricare bacchette.
"Tutte
ipotesi, e tutte infondate" ribadì l'uomo, guardandola con
gli
occhi cerulei, di un argento scolorito dagli anni. "Le tue
origini non possono avere nulla a che fare con questo"
ribadì,
indicando l'ammasso di suppellettili, polvere, scaffali di legno
stracolmi di bacchette e cassetti traboccanti di crini di unicorno e
piume di fenice – ovvero, la propria bottega. "Non
più di
quanto ce l'abbiano le mie". Forse, per le orecchie di Hermione,
quest'ultima aggiunta fu troppo.
"Come
può dire una simile eresia?" lo
riprese.
"Questo posto è della famiglia Ollivander, la
sua
famiglia,
da generazioni! Suo
padre costruiva bacchette e suo nonno
prima di lui e così via, probabilmente
fino alla millesima generazione a ritroso".
Il
mago parve sul punto di ribattere a quella che pareva un'accusa, ma
non ne ebbe modo, perché Hermione seguitò
a parlare, spostando lo sguardo sul vecchio campanello, solitamente
pronto a squillare all'ingresso di qualcuno, ma ora muto.
"L'insegna
d'oro, per quanto scrostata e malandata, parla
chiaro: bacchette
di qualità superiore dal 382 a.C."
citò
a
memoria.
"Da allora ad oggi intercorre un lasso di tempo in cui la sua
famiglia deve aver accumulato un sapere che io non sarò mai
in grado
di mettere in pratica, e poi..." Ollivander, a questo punto,
aveva già previsto la piega che la conversazione avrebbe
preso, e
decise di troncarla sul nascere.
"Basta!"
tuonò, interrompendola.
"E' vero" iniziò
con più calma,
"che la famiglia Ollivander fabbrica bacchette da molto tempo, e
che le conoscenze accumulate in millenni di ricerche sono molte
–
anche se mi pregio di essere io
il componente della famiglia che ha apportato maggiori progressi
al nostro metodo..." Hermione trattenne una risatina
nel vederlo così tronfio per i suoi, seppure
innegabili,
meriti.
"Questo,
però, non ha niente a che vedere col mio sangue puro,
signorina
Granger" affermò serio. Lo disse fissandola, senza neppure
sbattere le palpebre, perché sapesse che non stava mentendo.
Le sue
parole erano sincere; Hermione lo sentiva.
"Non
so quante persone nel mio ambiente credano ancora a queste vecchie
chiacchiere per comari
purosangue, anche
se spero siano poche. Mi
aspettavo che
la mia apprendista
non vi prestasse
la minima attenzione" la
rimbrottò.
"Non essere riuscita a fabbricare una bacchetta al primo colpo
non fa di te una pessima bacchettaia. Avrai molte occasioni per
riprovare, e per fallire ancora – oggi stesso, per esempio.
Questo
però non deve distrarti per un momento dall'obiettivo
finale: la
bacchetta
perfetta.
Se avrò percezione che i tuoi fallimenti, anzichè
spronarti, ti
scoraggiano, allora si che dovrai temere il licenziamento!"
La
stava apertamente minacciando, tanto per non metterle pressione.
Hermione tentò di farfugliare qualcosa in merito alle
proprie
insicurezze, al fatto che sentiva di avere qualcosa in meno da far
valere in quel campo, ma fu inutile.
Non
l'avrebbe commiserata, nossignore! Quant'era
vero che il suo nome era Garrick Ollivander, lui non avrebbe
commiserato nè
giustificato
la sua apprendista neanche
per
un solo secondo!
"Quello
che voglio dire" ripartì, "è che non è
il grado di magia
presente nel tuo sangue che determina la tua bravura nell'intagliare
e realizzare bacchette. È vero che non chiunque
può farlo"
ammise, poiché a lui piaceva considerarsi un eletto,
"ma
è altresì vero che io, Garrick, figlio di Gervaise
e nipote di Gerbold Ollivander, credo fermamente che tu non sia
chiunque,
Hermione, e che in te brilli la fiamma che è necessaria a
tutte le
missioni: la passione".
Non
avrebbe mai pensato, assumendola, di doverla anche aiutare,
incoraggiare, supportare. Si aspettava solo di prendere con sè
una ragazza desiderosa di affidarsi al sapere di un anziano mentore.
Si aspettava di doverla istruire,
non di doverla educare.
E
invece gli era toccato anche quello.
"Sei
nata per fare questo mestiere; di
rado
faccio pronostici sulle persone – preferisco attenermi al mio
campo
e pronosticare sulle bacchette -, ma, quando li azzardo,
difficilmente sbaglio. So che puoi farcela, come so di essere stato
troppo
e
allo stesso tempo troppo
poco duro".
"S-signore?"
Il volto di Hermione era diventato un gigantesco punto interrogativo.
Stava giusto per commuoversi e lui, ovviamente, virava direzione al
discorso.
"Voglio
dire che ti ho messo fretta senza però darti sufficienti
indicazioni
su quel che ti apprestavi ad affrontare".
"Lo
dice come se mi avesse mandato ad affrontare un drago senza
bacchetta" commentò. Ora le sembrava eccessivo dire che non
aveva gli strumenti cognitivi per realizzare una bacchetta. Lui le
aveva fornito tutte le istruzioni, era stata lei ad aver fallito. La
conoscenza che aveva accumulato non le era bastata, ma questo non
faceva di Ollivander un cattivo insegnante.
"Darti
delle nozioni o delle dimostrazioni non basta, devi sapere di
potercela fare, e per questo ho intenzione di andare con calma, passo
dopo passo"
iniziò a spiegare. "Inizieremo con l'esterno, concentrandoci
sul come intagliare il legno grezzo affinché diventi uno
strumento;
il secondo passo sarà assicurarci di aver selezionato con la
massima
cura
i materiali da usare per il nucleo, e da ultimo ti insegnerò
con
dovizia di dettagli a fondere i primi due passi nel terzo, che
è poi
il risultato, il
fine ultimo dei tuoi sforzi: la bacchetta.
Tutto chiaro?"
Ci
aveva pensato tutta la notte, fin dal giorno prima, quando l'aveva
vista abbattuta per il fallimento. La colpa, come aveva appena
ammesso, non era solo di Hermione, ma anche sua. Aveva date
per scontate troppe cose che invece, per quanto Hermione fosse
sveglia
e preparata, non potevano essere lasciate al caso. Doveva essere
più
presente come maestro – e come appoggio – e lo
sarebbe stato.
Non
aveva nessun altro a cui lasciare quel posto e, se non voleva che i
maghi e le streghe inglesi,
alla sua morte, cominciassero ad uccidersi
accidentalmente con le bacchette terribili
di Jimmy Kiddle, doveva impegnarsi affinché Hermione
divenisse la
degna erede dell'impresa Ollivander.
L'alternativa
era importare bacchette che non fossero state create in Gran
Bretagna, ma Garrick Ollivander avrebbe venduto l'anima al diavolo
piuttosto che permettere un simile affrontp alla sua memoria.
No,
il suo negozio l'avrebbe portato avanti qualcuno a cui teneva,
qualcuno di cui si fidava, qualcuno che avrebbe istuito lui
personalmente – e solo una persona rispondeva a una
descrizione del
genere.
"Tutto
chiaro, signore" replicò la ragazza, raccogliendo i ricci
ribelli in un comodo quanto disordinato chignon.
Notò un
sorriso sulle labbra della strega, ora combattiva: la sua
apprendista, Hermione Granger, era tornata.
Avevano
appena concluso la conversazione quando udirono dei
colpi sordi
dall'esterno: qualcuno stava bussando alla porta. Le vetrine erano
oscurate dall'interno – una fissazione di Ollivander: quando
il
negozio era in pausa per un qualunque motivo, non gradiva che
dall'esterno si potesse spiare
l'interno vuoto del negozio. Hermione non aveva mai capito questa
mania, ma gliela concedeva, prendendo in considerazione lo smodato
attaccamento che lui
nutriva per quel posto. Prese
posizione dietro al bancone nel momento esatto in cui Ollivander
tolse l'incanto oscurante; fu così che vide Fred Weasley
all'esterno
del negozio. Fu una frazione di secondo: mentre la bacchetta di
carpino tra le mani del vecchio si muoveva per sbloccare la porta,
Hermione si accucciò sotto il bancone.
"Salve,
signore" esordì Fred, leggermente a disagio.
"Salve,
signor Weasley" replicò Ollivander, cortese. Hermione
pensò di
aver fatto un'azione molto stupida ad infilarsi sotto il bancone;
Fred avrebbe chiesto dov'era e Ollivander avrebbe risposto che era
stata lì fino ad un momento prima, causandole
involontariamente una
colossale figuraccia.
"Bel
tempo, eh?" osservò Fred, in tono casuale.
"E'
nuvolo, signor Weasley" gli fece notare Ollivander, impietoso.
Volse la testa per gettare una rapida occhiata dietro di sè.
Aveva
percepito qualcosa di strano; Fred Weasley era entrato salutando solo
lui, ed ora si spiegava il perché: Hermione, un attimo prima
ben
visibile al bancone, era scomparsa con la velocità di un
lampo.
"Già,
il tempo è orribile" ammise Fred. "Io stavo cercando..."
"La
signorina Granger, suppongo".
Hermione
si fece piccola piccola, come spesso capita in situazioni del genere
(non che tutti si nascondano sotto al bancone di un bacchettaio,
ovviamente!), nella speranza che la situazione volgesse al meglio.
Stava già elaborando nella propria mente tre o quattro scuse
da
propinare sul perché si trovasse
lì sotto – scuse che,
ovviamente, erano totalmente inutili da rifilare a
Fred-re-dei-trucchetti-Weasley.
"Esatto..."
La strega percepì una nota di imbarazzo nella conferma da
parte di
Fred, e la voce di lui, inaspettatamente, le scaldò il
cuore. Non
sapeva bene perché voleva evitare di incontrarlo; la
situazione era
sempre più strana, e dopo quello che era successo la sera
prima non
avrebbe proprio saputo cosa dire. Temeva di non proferire parola o,
peggio, di parlare a vanvera. Inoltre non voleva che una
conversazione andata male influenzasse il suo pomeriggio di lavoro,
dopo tutto ciò che Ollivander le aveva raccomandato. Per il
momento,
era certa di voler evitare Fred Weasley.
"Siamo
coinquilini sa... la cerco per dirle una cosa importante riguardo
all'affitto... dobbiamo ancora pagarlo..." mentì con un filo
di
voce. Hermione aveva il sospetto che l'anziano mago mettesse il
più
giovane in soggezione. Ad ogni modo, aveva mentito: Hermione pagava
sì il fitto a Fred che, però, non aveva nessuno a
cui pagare una
pigione a sua volta, dal momento che l'appartamento, direttamente
collegato ai Tiri Vispi, era di proprietà dei gemelli.
L'avevano
comprato insieme al negozio per comodità, nella certezza che
fare
'casa e bottega' fosse la cosa migliore per i primi tempi. Solo che
George si era accasato, e per Fred quella casa stava acquisendo
più
valore sentimentale di quanto non fosse lecito.
Vi
fu un breve silenzio; Hermione aspettava di essere smascherata da un
momento all'altro, ma non avvenne.
"La
signorina Granger purtroppo non è qui" dichiarò
Ollivander,
con totale convinzione. Se Hermione non fosse stata lì
dentro, il
tono sicuro del vecchio avrebbe persuaso anche lei."L'ho mandata
a fare alcune commissioni per mio conto; è la mia
apprendista,
dopotutto".
"Cosa?
Oh, ma certo" blaterò l'altro, un po' deluso. "Ma lei
non..." Stava per attaccare con un'altra domanda, ma Ollivander
lo battè sul campo cominciando a cianciare di bacchette
– che poi
era ciò che sapeva fare meglio.
"La
mia bacchetta di carpino" disse rigirandosela tra le dita, "non
è in gran forma, vero?" Fred le gettò un'occhiata
disinteressata, per pura cortesia.
"Mi
sembra sia a posto" buttò lì, senza sapere come
replicare. Era
totalmente ignaro di cosa potesse rendere una bacchetta 'non in gran
forma', e di come riconoscere i sintomi.
"E
il suo peccio? Lo tratta con cura spero..." domandò Garrick
con
tono autoritario. Hermione sapeva cosa stava facendo: voleva stancare
Fred e cacciarlo dal negozio il più in fretta possibile.
"Lui
è, ehm, in ottima salute" replicò stranito. Di
sicuro non era
la conversazione che si era preparato a sostenere quando era entrato
nella bottega, ma dovette capire che, per il momento, era opportuno
ritirarsi in buon ordine.
"D'accordo"
tossicchiò. "Credo che ripasserò. Buona giornata
signore".
Un
secondo dopo, Hermione udì di nuovo il campanello tintinnare
e il
rumore della porta sbattuta, e decise di essere abbastanza al sicuro
da potersi rialzare.
La
prima cosa che vide, una volta fuoriuscita dalla sua tana, fu il
volto livido e perplesso di Ollivander. Ancor più che
seccato – e
lo era profondamente -, appariva meravigliato. Hermione glielo fece
notare immediatamente.
"Sono
meravigliato da me stesso" ammise. "Di solito non mento, e
non mi piace coprire le persone che si nascondono per motivi che non
conosco" – e qui Hermione tentò di parlare
– "e che
non voglio conoscere" aggiunse l'uomo.
"Signore,
mi spiace, è stata una mossa davvero stupida, ma
è stato più forte
di me. E poi, una volta accucciata, non potevo far altro che sperare
che lei mi coprisse. Come ha fatto a capire?"
"Che
non volevi parlargli?!" domandò retoricamente. "Stavamo
parlando e quando mi sono girato non ti ho vista; sapevo che non
potevi non esserci, e così ho dedotto che semplicemente non
volessi
farti trovare. È palese che non te la senta di parlare al
signor
Weasley".
"Non
conosco le tue ragioni, come ho detto e, soprattutto, non voglio
conoscerle; spero solo che le tue faccende personali non
interferiscano mai con il nostro lavoro, e con questo considero
chiuso l'incidente".
Hermione
non riusciva a credere a tanta fortuna. Era uscita incolume da quella
che si prospettava come una ramanzina coi fiocchi e poi era stata
coperta dal suo capo, che l'aveva tenuta nascosta senza neppure
chiederle conto di nulla.
Ollivander
dette a Hermione una serie di compiti da svolgere mentre lui
preparava un 'piano di battaglia' – così l'aveva
chiamato – e
decideva da dove iniziare a massacrarla con il suo nuovo 'programma
intensivo'. Hermione sperava solo non fosse qualcosa di
eccessivamente sfinente – volitiva e carica sì, ma
non al punto da
volersi autodistruggere. Lei, nel frattempo, ripensava alla visita di
Fred.
Era
andato lì per parlarle della sera prima? Certo
che sì! Cosa
voleva dirle?
Che era stato un errore, un azzardo, o che non ne poteva più
dei
suoi bruschi cambiamenti e doveva decidersi –
queste
erano le parole che
aveva usato l'ultima volta.
Senza
dubbio
valide argomentazioni;
ed Hermione
non aveva delle controargomentazioni tanto
buone, purtroppo. Ad ogni modo, per il momento era riuscita ad
evitare un sano confronto, da persona adulta e matura qual'
era.
Non
ebbe molto tempo per rifletterci, comunque. Ollivander pareva essere
stato preso da una bizzarra frenesia; si aggirava per il negozio come
un calabrone in volo e borbottava tra sè e sè
senza che Hermione
riuscisse a capire una sola sillaba.
"Dunque!"
Il flusso dei pensieri della ragazza si bloccò di colpo
– insieme
al suo respiro. L'uomo le era sbucato di colpo dietro le spalle,
mentre era sovrapensiero.
"Mi
ha fatto prendere un colpo!"squittì.
"Mi
rincresce" replicò formale, ma niente affatto dispiaciuto.
"Ho
deciso che inizieremo con l'intaglio" annunciò.
"L'ha
già detto, signore" sbuffò Hermione.
"Oh,
giusto" replicò distrattamente.
"E'
certo di sentirsi bene?" domandò. "Senza
offesa, mi
ricorda vagamente
il professor Allock dopo il suo auto-incantesimo di memoria"
commentò. Ricordava ancora quando, al San Mungo, aveva visto
gli
effetti di quel capolavoro che era stato l'Oblivion di Allock su se
stesso.*
"Mi
sento piuttosto bene, grazie"
scattò lui. Poi tirò fuori l'orologio da taschino
in oro massiccio
che portava nel panciotto. Sembrava
pensare che fossero fuori tempo massimo per qualcosa. E infatti
disse:
"Siamo
in ritardo sulla tabella di marcia". Hermione lo guardò
aggrottando la fronte.
"Quale
tabella di marcia, signore?"
"Quella
che ho appena ideato e di cui non ho intenzione di metterti a parte".
"Non
avevo dubbi..." La vena di sarcastica rassegnazione nel tono
della ragazza era talmente evidente che persino Luna Lovegood sarebbe
riuscita a coglierla. E Luna non coglieva mai
il sarcasmo.
A
proposito di Luna, Hermione non si era comportata bene negli ultimi
tempi.
L'amica le aveva scritto il giorno prima e lei non aveva ancora
aperto la lettera. Era indubbio che fosse, ultimamente, molto
impegnata. Ma anche Luna avrebbe potuto rivendicarlo: era una stimata
naturalista del Mondo Magico e stava per sposarsi con Rolf, nipote
del magizoologo Newt Scamander, che svolgeva la stessa professione di
suo nonno.
Insomma,
Luna aveva sicuramente molti impegni, eppure aveva trovato il tempo
di inviarle
un gufo...
e Hermione non si era neppure curata di aprire la busta e scoprirne
il contenuto.
Stava
giusto riflettendo sul suo pessimo comportamento in fatto di
relazioni
interpersonali, quando
udì nuovamente il trillo del campanello. Pregò
ché non fosse di
nuovo Fred, perché stavolta non avrebbe fatto in tempo a
nascondersi. Rimase perciò dritta e salda sui piedi, dietro
il
bancone, in attesa che entrasse qualcuno.
Riconobbe
subito l'andatura dinoccolata e l'aria svagata dell'amica. I
capelli biondo sporco, lunghi
fino alla cintola, e gli
orecchini a forma di cavalluccio marino rendevano unica
quella ragazza pallida ed eterea. Luna Lovegood in carne ed ossa era
nel negozio di Ollivander. Aveva un atteggiamento spensierato e una
brutta cicatrice alla mano – segno, pensò
Hermione, che aveva
aiutato Xenophilius, il padre, ad estrarre i baccelli dalle sue
piante di Pugnacio. Hermione continuava a ritenerla
un'attività ad
alto rischio, ma nessuno in quella famiglia sembrava curarsene.
Sperava solo che il futuro sposo fosse leggermente più assennato
di Luna, o la loro nuova casa sarebbe esplosa ancor prima che
potessero porre all'esterno un tappeto di benvenuto.
"Buongiorno
signor Ollivander" esordì cortese, "e buongiorno
Hermione". Il primo le fece un gran sorriso, coprendo con la
propria voce il tentativo di Hermione di salutarla a sua volta.
"Luna,
che piacere averti qui!" esclamò gioviale. "Non hai
problemi con la tua bacchetta vero? Perché non ci metto
niente a
sistemarla in quattro e quattr'otto..." si offrì. Con Luna,
magicamente, egli era tutto zucchero e premure. La ragazza gli fece
un sorriso e declinò l'offerta; la sua bacchetta non aveva
niente
che non andasse, e lei era lì per porgere i più
sentiti omaggi ma
anche per parlare con Hermione.
"Con
me?"
"Con
te, proprio". Il tono di Luna era più che serio. "Mio
padre mi ha detto di dirti che quel suo amico editore gli ha detto
che il proprietario di una libreria gli ha detto che sarebbe disposto
ad un incontro pubblico" spiegò d'un fiato. "Non
è
magnifico?"
"Ne
sarei certa" replicò Hermione confusa. "Se solo avessi
compreso una sola delle parole che hai appena pronunciato".
Luna
parve lievemente seccata che Hermione non capisse al volo
l'opportunità che – evidentemente – la
entusiasmava tanto.
"L'editore
che ha comprato la tua traduzione dice che le prime copie hanno
venduto; dunque vuole lanciarla per bene sul mercato facendo una
presentazione come si deve, in libreria!" Ora la cosa era
decisamente più chiara per Hermione. Il libro non solo
andava bene,
ma l'editore aveva deciso di investirci pubblicizzandolo
maggiormente. Un vecchio libro di fiabe magiche, tradotte dalle
Antiche Rune da una dei salvatori del Mondo Magico, con il commento
del compianto e stimato professor Silente: era intuibile il
perché
entusiasmasse così tanto il pubblico. Per la casa editrice,
poi, era
tutta visibilità.
"Ottimo,
ma io che c'entro?" domandò perplessa.
"Sei
la persona che ha tradotto e adattato le Rune Antiche, oltre che una
personalità di spicco, quindi non puoi mancare!" disse
perentoria. Non aveva l'aria di qualcuno che si può
facilmente
mettere a tacere, ma
allo stesso tempo sfoggiava un tono quasi casuale. Come se ogni
parola da lei pronunciata fosse esattamente lì dove doveva
essere.
Hermione odiava questa caratteristica di Luna; le dava sempre la
sensazione di essere, in un certo senso, manipolata. Insomma, ogni
volta che la sentiva parlare, anche a lei certe cose iniziavano ad
apparire ovvie, come se non si potesse fare altrimenti. Luna era
convincente e frustrante al tempo stesso. Hermione decise che avrebbe
rinunciato in partenza a qualsiasi forma di protesta. Gli occhi
chiari e gioviali dell'amica sconsigliavano caldamente questa
opzione.
"D'accordo,
verrò. A condizione che non tocchi a me presentare il libro;
dirò
al massimo qualche parola sulle note di traduzione".
Come
no, Hermione!, pensò. Di certo ti farai
prendere la mano e
parlerai di Silente e degli appunti.
Leggere
le note, che Silente aveva lasciato per le cinque fiabe presenti
all'interno del volume, l'aveva toccata. Dopo la prima volta,
naturalmente, ne aveva replicata la lettura in più
occasioni.
"Oh,
papà ne sarà entusiasta: vado subito a dargli la
notizia!"
esclamò Luna.
Baciò il signor Ollivander sulla guancia e lo
invitò a presenziare
all'occasione. Lui si schernì dicendo di essere troppo
anziano per
eventi pubblici, ma infine acconsentì. Non
era ancora decisa una data, ma sarebbe stato presto – in
settimana,
probabilmente – ,
e lei stessa avrebbe inviato un gufo a Hermione.
Ollivander,
con sempre maggiore sorpresa di Hermione, non era minimamente capace
di rifiutare alcunché a Luna Lovegood. Dovevano aver passato
dei
momenti terribili nei sotterranei di Villa Malfoy, per esserne usciti
così uniti.
Del
resto, anche lei aveva potuto 'ammirare' il potere lugubre e negativo
di quel posto durante la Seconda Guerra Magica.
Luna
salutò allegramente e uscì dal negozio, pronta a
fare una bella
passeggiata a Diagon Alley.
"Non
mi avevi detto del libro" bofonchiò Ollivander.
"Sono
certa di averlo fatto" replicò Hermione, convinta.
"Non
so, e non credo neppure mi avresti invitato".
"L'avrei
fatto certamente, invece" ribattè piccata. "Piuttosto, non
so se lei, da
me,
avrebbe accettato l'invito..." Con questo, aveva lanciato una
frecciatina.
Non
che fosse gelosa del rapporto tra Ollivander e Luna, ma quel
vecchietto
era il suo
vecchietto – mentore, maestro,
amico
– e nessuno, neppure Luna, aveva il permesso di essere da
lui tenuta
in maggior considerazione rispetto a Hermione.
"Oh
coraggio, sei sempre tu la mia apprendista preferita" sogghignò.
"Sono
l'unica!" sbuffò lei, facendolo ridere di
gusto.
Si
mise poi a smistare i legni utili, dividendoli da rami che aveva
raccolto lei stessa ma che, comunque, le sembravano inutilizzabili al
fine di costruire una buona bacchetta. Non importava la forma
–
aveva visto moltissime bacchette intagliate in forme appositamente
rozze, create per seguire la corrente di magia che c'era nel legno
stesso -, bensì l'energia che si percepiva direttamente dal
legno
(oltre alla robustezza, verificata da uno scrupoloso controllo). In
quelli che al momento tutti avrebbero visto come 'tocchi di legno',
Hermione vedeva qualcosa che avrebbe imparato a controllare e
scolpire e intagliare finché tra l'esterno e il nucleo della
bacchetta non ci fosse stato totale accordo. Tutto questo, si disse,
sarebbe venuto da sè, con impegno e dedizione. Passo
dopo passo.
Chiuse
la porta lasciandosi quel mondo polveroso e magnifico alle spalle,
decisa a non pensare a nulla che potesse turbarla. Doveva restare
concentrata per tutto il tempo, l'aveva stabilito con se stessa. Non
si sarebbe lasciata sviare da niente e da nessuno finché non
avesse
raggiunto l'obiettivo: la bacchetta perfetta.
In
giornata aveva evitato di ritentare, per rispetto all'accordo con il
bacchettaio, ovvero
di
procedere
passo dopo passo.
Era certa che, come le aveva assicurato anche Ollivander, avrebbe
combinato un altro disastro. Tra le prime qualità che
Garrick le
aveva richiesto, quando l'aveva assunta, c'era anche e soprattutto la
pazienza,
indispensabile per una ragazza che vuole cimentarsi con l'Arte delle
Bacchette. Ne
avrebbe avuta
e, un giorno o l'altro, avrebbe ottenuto i frutti di
quella semina.
Anche le sue
mani, come quelle di Ollivander, avrebbero creato un oggetto ad alto
potenziale magico, disvelandolo da un banale ciocco di legno. Anche
le sue, di mani, avrebbero agilmente intagliato ed intarsiato con
minuzia maniacale ottenendo una bacchetta – possibilmente
funzionante.
Prima
che uscisse dal negozio, Ollivander l'aveva guardata negli occhi e le
aveva detto che non importava quanto tempo ci avrebbe messo ad
imparare, sarebbe
stato tempo
ben speso.
La
guardò uscire e si avvicinò alla vetrina per
seguirla con lo
sguardo. Si stava allontanando a piccoli passi, e Garrick non
potè
fare a meno di gioire per averla trovata. Perché
in lei aveva visto lo scintillio della fiamma che ardeva nei suoi
occhi, il desiderio profondo di arrivare a conoscere l'arte
delle bacchette
bene quanto
lui.
E,
benché
non l'avrebbe ammesso per mille galeoni, era certo
che, con un po' d'aiuto, Hermione Granger ce l'avrebbe fatta. Sarebbe
stata sua pari, un giorno; e l'avrebbe anche superato – come
ogni
bravo allievo fa col proprio
maestro, e come Garrick stesso aveva fatto, molto
tempo addietro,
con il
padre. Per
ora, era
necessario solo istruire e incoraggiare, il tempo e
l'abilità
avrebbero fatto il resto.
Hermione
aveva
pensato di fare un'
improvvisata
a Grimmauld
Place, perché le mancavano
Harry e Ginny
e
perché non
aveva il coraggio
di andare a casa e affrontare la situazione con Fred.
Giorni
prima, se
ben ricordava,
Ginny le aveva proposto una cena insieme durante la settimana.
Autoinvitarsi
le sarebbe
parso scortese con chiunque, ma non con i Potter – che
tra l'altro avevano già fatto pace.
Ci
sarebbero rimasti assai male se avessero saputo che Hermione si
faceva di questi scrupoli, perciò
aveva tutte le intenzioni di invitarsi a cenare da loro.
A
Fred, ammesso e non concesso che fosse in casa, avrebbe detto che
aveva precedentemente preso impegno con sua sorella e Harry.
Tuffò
la mano destra nella borsa nella speranza di trovare il cellulare al
primo colpo e, quando l'ebbe in pugno, si affrettò a
chiamare
Harry. Non era spento nè occupato, il che era già
un segno
positivo. Almeno era certa che non avrebbero dovuto comunicare via
gufo. Improvvisamente udì la voce di Harry dall'altra parte.
"Harry!"esclamò,
"Mi chiedevo se tu e Ginny aveste impegni stasera, o se posso
passare per un saluto..." buttò lì. Sperava
proprio di
vederli.
"Ma
certo che puoi; ci sono altri amici qui con noi, ma non credo
sarà
un problema, ti aspetto tra cinque minuti, hai il mio permesso di
materializzarti direttamente in casa – non lo
troverò
irriverente".*
Hermione
rise sentendolo riattaccare e si dispose a Smaterializzarsi.
Ombrello appeso al braccio,
cappello e cappotto addosso, stivaletti comodi ai
piedi e, nella sua magica borsa a perline, qualche campione di
bacchetta che aveva portato via dal negozio per analizzarla meglio.
Si diede un'ultima occhiata intorno e poi, volteggiando su se stessa,
scomparve con un sonoro 'pop'.
L'entrata
in scena da Harry fu un po' rumorosa. Hermione veva avuto il permesso
di Materializzarsi in casa, anzichè fuori, ma
sbagliò di poco la
mira e, invece dell'ingresso, atterrò al centro della camera
da
pranzo, accerchiata dagli altri ospiti della serata, quelli che Harry
aveva definito 'altri pochi amici'.
Non
sono, pensò Hermione, poi tanto pochi.
Prima
di raggiungere Ginny, accucciata davanti al camino, dovette salutare
Neville e la sua ragazza, Hannah Abbott. Rolf e Luna, eccentrica come
sempre, le tributarono mille onori. Notò una nutrita schiera
di ex
Grifondoro ora cacciatrici delle Holyhead Harpies insieme a Ginevra,
tra cui Angelina, Alicia Spinnett e Katie Bell. Salutò tutte
sbirciando verso Ginny dall'altra parte della stanza, ancora
accucciata, evidentemente intenta a parlare con qualcuno via camino.
Avvertì un certo terrore pervaderle le viscere quando vide
George
Weasley entrare in sala da pranzo, forse di ritorno dalla toilette.
Sentiva di voler raggiungere al più presto Ginny, ma fu
intercettata
da George che le circondò le spalle con un braccio, per
segnalarle
che non sarebbe fuggita tanto presto. Il timore che volesse
torchiarla ben bene si fece largo nelle pieghe della sua mente, e la
strega cominciò a frugarvi in cerca di un modo per liberarsi
di
George.
"Harry
non mi aveva detto che era un party" buttò lì.
"Sarei
senz'altro ripassata". George mise su un mezzo sorriso.
"Ma
come! È anche per te: l'ha organizzato Luna..." Hermione non
era certa di essere tanto acuta da poter comprendere i nessi logici
alla base delle azioni di Luna – a dire il vero, non ne era
mai
stata capace.
Ad
ogni modo, la sua più grande preoccupazione al momento era
raggiungere Ginny che ancora discuteva animatamente con i tizzoni
ardenti nel caminetto.
"Con
chi parla Ginny?" chiese, presagendo qualcosa di orribile.
"Tenta
di convincere qualcuno a venire al party..." Lo
disse
facendole il verso.
Una
parte di lei, l'inconscio, era certa di conoscere l'identità
dell'interlocutore, benché sperasse di sbagliarsi. La sola
persona
la cui mancanza fosse, a colpo d'occhio, evidente. O forse era lei a
notarla.
"Ginny
sembra metterci molto impegno".
"Oh
sì, è pur sempre nostro fratello"
replicò.
"Bill?"
chiese. George scosse la testa.
"Ron?"
George agitò l'indice destro, negando nuovamente.
"Ritenta"
le disse con un sorriso sornione.
"Fred..."
Era una constatazione, più che una domanda; tanto che George
si
limitò a un cenno affermativo, senza neppure prendersi la
briga di
dire due parole in proposito a quella tragedia. Sì,
perché
rivederlo lì, ora, in mezzo a tante persone amiche, proprio
quando
si era data tanta pena per evitarlo, le sembrava una tragedia
irrisolvibile, opera del destino. Era una bambina, ecco cosa. Si
sentiva una bambina, pronta per giocare a nascondino sotto il bancone
della bottega ma non per parlare con una delle persone a lei
più
care. Sei patetica, Hermione Granger.
George
continuava a fissarla senza proferire verbo; non per la prima volta
Hermione si chiese quanti e quali particolari della storia
conoscesse, perché sul fatto che Fred lo avesse informato
non vi
erano ormai dubbi.
Ad
un certo punto, presa nei suoi pensieri, notò uno sbuffo di
fumo e
di ceneri provenire dal camino, dal quale uscì un uomo alto
con i
capelli rossi e il viso fin troppo familiare. Era proprio l'idea di
famiglia che le evocava a metterla tanto a disagio
– oltre a
tutto il resto, certo.
Le
sue peggiori paure erano appena divenute realtà, uscite in
carne ed
ossa dal camino di Harry Potter. Evidentemente Ginny aveva utilizzato
le giuste argomentazioni per convincere un giovane annoiato a recarsi
in Grimmaud Place. Quello che Hermione non avrebbe mai saputo
è che
lei stessa era stata l'esca per intrappolare Fred.
Ginny,
dopo averle provate tutte, si era accidentalmente lasciata sfuggire
il nome di Hermione; Fred, in un attimo, era saltato fuori dal camino
– senza curarsi di stare avvalorando, con un simile
comportamento,
l'ipotesi che la sorellina aveva formulato sui sentimenti che quello
zuccone nutriva per la Granger.
Hermione
non sapeva che fare; quella mattina a nasconderla ci aveva pensato
Ollivander, ma adesso si sentiva in 'campo aperto'; aveva davvero
poche possibilità di affrontare l'incontro. Una di queste
possibilità le andò a sbattere addosso con
nonchalance, benché
solitamente sfoggiasse movenze molto più aggraziate.
"Luna!"
esclamò Hermione, sentendosi trascinare per un braccio poco
più in
là. Era sorpresa di vederla così entusiasta.
Sembrava che per lei
il Natale fosse già lì.
"Hanno
fissato la data della presentazione al Ghirigoro!" annunciò,
battendo piano le mani. Hermione non avrebbe mai smesso di ammirare
Luna per quel suo continuo moto di sorpresa, come se la vita la
cogliesse sempre impreparata. Per anni l'aveva considerata una
debolezza, mentre ora era certa fosse quella la forza di Luna
Lovegood.
"Sabato
alle 17:oo; benché mi scombussoli l'orario della scelta dei
bicchieri". Hermione comprese che doveva riferirsi al servizio
di bicchieri per il matrimonio con Rolf; non avevano ancora fissato
una data, ma sembrava stessero facendo le cose per bene.
Probabilmente si sarebbero sposati in estate.
"D'accordo"
rispose. "Tu ci sarai?".
"Naturalmete!
Io svolgo le pubbliche relazioni per conto della casa editrice;
papà
ci sarà in quanto promotore e ideatore del progetto e tu,
ovviamente, in qualità di talentuosa traduttrice delle
fiabe"
flautò, spiegandolo come se stesse mettendo in prosa una
cantilena –
questo era il motivo per cui ogni volta che parlava con Luna Hermione
aveva sempre la sensazione di aver perso un pezzo del discorso.
Hermione stava già per dirle che non aveva intenzione di
stare
troppo sotto i riflettori, ma Luna, come se le avesse letto nel
pensiero, la interruppe.
"Non
dovrai fare altro che rispondere alle mie domande, sono pagata per
questo. Io intervisto, tu rispondi e spieghi il metodo di traduzione
e il perché è vitale aver ritrovato gli appunti
di Silente,
eccetera eccetera..." E continuò a blaterare per un po',
mentre
Hermione tentava di ricordare dove aveva messo gli appunti di Silente
che Xenophilius le aveva inviato qualche tempo prima. Li aveva letti
da cima a fondo ed era rimasta affascinata dalla cura e dalla minuzia
che Albus Silente aveva messo nell'analisi di quelle che, ai
più,
sarebbero apparse solo come fiabe.
"Ovviamente"
riprese Luna, distogliendola dai propri pensieri, "ci sarà
la
stampa Hermione..." Il tono non era dei più rosei; si vedeva
chiaramente che non lo riteneva un argometo felice da trattare con
lei.
"Ma"
proseguì, "dubito che ti serva una mano; puoi cavartela
benissimo con quelle belve assetate di sangue" disse
ridacchiando.
Poi
le scoccò un bacio sulla guancia e si allontanò
con aria sognante
per raggiungere Rolf in fondo all'enorme salone. Il secondo salone
del piano terra di casa Potter, quasi sempre inutilizzato. Di solito
la casa era fin troppo tranquilla; e le zone più trafficate
erano il
piccolo salotto al piano terra, la cucina, la zona notte di sopra e i
bagni.
"Sei
spaesata?" chiese una voce familiare. Hermione si girò e
sorrise incontrando l'occhialuto sguardo verde di Harry Potter.
"No,
sto bene. È stata una giornata stancante".
"Mi
spiace" sospirò Harry, guardandosi intorno. "E' stata
un'idea di Luna; anzi, un improvviso lampo di genio, come l'ha
definito Rolf..." Harry aveva l'aria perplessa. "Ha detto
che per fare promozione all'evento di sabato si poteva cominciare
dagli amici più intimi a spargere la
voce".
Hermione
sorrise all'espressione distrutta del mago. Probabilmente tornava da
una giornata sfiancante al Ministero e, sicuramente, la vita da Auror
non era una passeggiata. Ne capiva lo stress, dopo aver condotto per
anni la vita da Indicibile, ed era sempre più sicura di non
avere
rimpianti.
"Stanco?"
Era una domanda di cortesia, ma dalla risposta scontata. Infatti
Harry si limitò a fare un cenno affermativo muovendo la
testa su e
giù, per risparmiare fiato.
"Il
Ministero della Magia regala soddisfazioni in proporzione a quante
energie toglie" disse invece, sicuro che l'amica potesse capire.
"Me
lo ricordo bene" replicò Hermione.
"Mi
hai lasciato solo" constatò Harry tristemente.
"Per
te è diverso; sei nato per essere Auror: tempo qualche anno
e sarai
capo del Dipartimento, non ci sono dubbi". Harry liquidò la
faccenda con uno sbuffo.*
"Il
famoso Harry Potter porterebbe visibilità alla sezione...
certo!"
"No,
il famoso Harry Potter sa bene di essere un ragazzo competente e
preparato più di tutti gli altri suoi colleghi messi
insieme"
precisò l'amica. "Hai la reputazione e io non lo nego, ma tu
non puoi negare di avere talento".
Harry
non disse nulla, ma la ringraziò con un sorriso. Nel
frattempo, alle
loro spalle, nascosto da un gruppetto di gente intenta a parlottare
con un quadro appeso alla parete, c'era Fred Weasley. Non voleva
certo origliare, stava solo aspettando il momento in cui Hermione si
sarebbe liberata e – a quel punto – non gli sarebbe
sfuggita
ancora. Aveva capito che stava deliberatamente cercando di evitarlo.
"Sai"
disse ancora Harry, "ogni volta che noi tre – io te e Ron,
voglio dire – eravamo in difficoltà, ho sempre
pensato 'Hermione
avrà qualcosa, troverà un modo per uscire da
questa situazione'.
Avevo cieca fiducia in te, perché se c'è qualcuno
che ha talento,
sei tu. Quindi goditela un po': c'è mezza Diagon Alley
– la parte
giovane, ovviamente; non avremmo potuto invitare Madama McClan o
Ollivander" disse ridendo. Indicò qualche persona, e
Hermione
scorse anche gli assistenti dei Tiri Vispi Weasley, Verity e Jack,
accompagnati dalla sua gelataia preferita... Sally Fortebraccio.
Sperò solo che Fred e lei non fossero venuti insieme come
coppia, ma
a quanto sapeva, avevano rotto. L'avrebbe imbarazzata non podo, dopo
l'intenso bacio della sera prima. Smise di rimuginare e riprese a
guardarsi intorno.
Era
davvero un mucchio di persone, ma forse Luna aveva ragione: bastava
cominciare per far sì che al Ghirigoro fosse assicurata
almeno
qualche presenza. Aveva fatto le cose per bene; c'erano persino dei
volantini sui quali aveva vergato luogo e data della presentazione, e
ne aveva consegnato uno a ciascun ospite.
"Non
mi avevi detto nulla" udì una voce alle proprie spalle. In
un
attimo Harry fu chiamato da Katie Bell e sparì, lasciando
Hermione
sola con Fred Weasley.
"Ehy"
salutò Fred.
"Ehy"
lo imitò Hermione.
La
tensione tra i due era tanto palpabile e concreta che si sarebbe
potuta tagliare con un' acetta. Come sempre, del resto.
Dove
erano finiti i loro momenti rilassati? Belli e basta, senza che il
relax venisse automaticamente rovinato dal resto, dalla situazione,
da loro stessi.
"Bell'idea
no?" ruppe il ghiaccio Hermione, alludendo alla festa
improvvisata da Luna. Fred sembrava distratto da qualcosa; piuttosto
che interessato sulle sue parole lo vedeva concentrato a fissare gli
occhi su di lei – e questo non era assolutamente tollerabile.
Quegli occhi e le loro iridi di un castano che sfumava nel marrone
chiaro in più punti; quegli occhi e le loro pupille che si
dilatavano ogni volta che Fred posava lo sguardo su Hermione. Si
riscosse e tentò di imbastire una conversazione. Si
schiarì la
gola, sperando che lui parlasse per primo, come infatti accadde.
"Allora,
come va la faccenda delle bacchette?"chiese distrattamente.
"Sto
continuando a lavorare per bene sull'esterno delle bacchette, non ho
tempo nemmeno di allacciarmi le scarpe; però sono a buon
punto, mi
sono persino rimessa a studiare daccapo sui tomi che avevo un po'
accantonato".
"Tu
pensa! Chi l'avrebbe mai detto!" replicò con palese ironia.
Hermione sorrise: non si sarebbe mai scrollata di dosso la fama di
secchiona. Pazienza; avrebbe dovuto stare più attenta nel
procurarsela ad Hogwarts. Ormai era decisamente tardi per
recriminare. Sperava solo che sabato le servisse almeno a non fare la
figura dell'idiota, anche se ci contava poco.
La
tensione tra lei e Fred sembrava diminuita, forse perché
erano
circondati da così tante persone – e in effetti
Hermione era
sollevata che fosse così. Quando erano soli non erano capaci
di fare
altro che confondersi le idee a vicenda e cambiare le carte in
tavola. La serata fu piacevole, Hermione fu contesa da più
persone
che volevano sapere qualcosa in più sul suo lavoro, su cosa
avrebbe
detto alla stampa – e sottesa ad alcuni commenti Hermione
aveva
anche letto una domanda. Una questione a cui non aveva ancora
pensato. Se ne andò nel mezzo della festa, prima che Fred
potesse
seguirla; sentiva che rientrare a casa insieme avrebbe risollevato la
polvere che faticosamente avevano appena spostato sotto il tappeto.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con questa
situazione, ma non era nè l'ora nè la giornata
adatta.
Smaterializzò se stessa e la sua borsa strapiena
direttamente in
camera propria, decisa a buttarsi subito a letto.
Aveva
appena infilato il pigiama con i gufetti quando ne vide apparire uno
in carne ed ossa, che picchiettava il becco adunco contro il vetro
della finestra. Sapeva esattamente chi fosse il proprietario di
quello splendido animale.
L'uccello
si appollaiò sulla spalla di Hermione, mentre quest'ultima
apriva la
missiva che le aveva consegnato.
"Cominciavo
a preoccuparmi, Malfoy" sussurrò alla lettera, come se Draco
potesse sentire le sue parole. Si sentì molto stupida, ed
era la
seconda volta che le accadeva in poche ore.
Sparisco
per qualche giorno e tu, invece di attendermi trepidante e disperata,
ti
metti a frequentare eventi mondani. Così non va Granger!
Ti
tengo d'occhio!
D.M.
Anzichè
adirarsi perché l'aveva spiata, Hermione si fece una risata.
Di
norma si sarebbe indispettita, ma era certa che a Draco fosse
semplicemente stato riferito e che avesse voluto volgere
l'informazione a suo vantaggio, per prendersi gioco di lei.
Oh,
ma me la pagherà, pensò sfilandosi le
pantofole. C'erano almeno
un migliaio di spiegazioni che Draco doveva darle, a partire dai
motivi di quella misteriosa sparizione. Guardò il 'postino'
prendere
il volo nel cielo notturno e si mise a letto con uno dei tomi
sull'intaglio delle bacchette.
Quando
Fred rincasò, passando davanti alla porta di lei,
semiaperta, si
rese conto che si era addormentata con il libro addosso. Sorrise,
intenerito.
Entrò
silenziosamente nella stanza e le tolse il tomo dalla faccia,
posandolo sul comodino. Le rimboccò le coperte e
andò via in punta
di piedi, proprio com'era entrato – escluso il tenero sorriso
che
gli era rimasto stampato sulla bocca.
NOTE
AL CAPITOLO
1)
Harry non è nuovo in questo. Ha già interrotto
Fred e Hermione in
un momento che sarebbe potuto diventare... intimo, solo
perché
doveva confidarsi con Hermione e chiedere ospitalità dopo un
litigio
con Ginny.
2)
Nel quinto libro della Saga Harry e gli altri, tra cui Hermione,
visitano il signor Weasley al S.Mungo e incontrano anche Allock,
vedendo così quali devastanti effetti ha procurato su di lui
l'incantesimo di Obliviazione che nel secondo libro egli ha
praticato, per errore, su se stesso.
3)
Come ho già detto, Materializzarsi in casa di qualcuno
è visto, nel
mondo magico, come segno di maleducazione e mancanza di buone
maniere.
4)
Effettivamente, stando alle dichiarazioni della Row, se non erro
Harry diventa Capo Auror nel 2005.
ANGOLO
AUTRICE
Questa
storia – e voi che la seguite – mi siete mancate
moltissimo.
Spero ci sia ancora qualcuno a recensire (perché ho notato
con
piacere che la lista delle persone che seguono è aumentata).
Ringrazio chi mi ha spronato a continuare. E niente, spero che il
capitolo vi sia piaciuto. Si fa quel che si può! Questa
matassa
sentimentale ha un inizio e una fine, ma è tosta da
sbrogliare. Ma
voglio rassicurare chi me l'ha chiesto: non ho intenzione di mollare.
La storia avrà la sua fine ;) anche perché
è nella mia testa dal
momento in cui ho scritto il prologo. A presto e graziee!
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