Adalrich 3
Ciao a tutti/e! Grazie per essere
ancora qui, siete troppo gentili…
Ringrazio
naturalmente tutti/e coloro che sono passati da queste parti e hanno
anche solo buttato un occhio a tutta la vicenda, ma in particolare i
miei ringraziamenti vanno a Saelde_und_Ehre, GothicGaia,
morgengabe, Me91, innominetuo, Crilu_98, Jordan Hemingway, Syila,
LyaStark, miciaSissi, Dark_sky114, Sagas, fiore di girasole e
molang.
Capitolo
2
Il
cappuccio tirato come sempre fin sugli occhi, fratello Adalrich
rivolse un’occhiata torva ai cavalli dei due ospiti, che
attendevano sellati e con le bisacce piene. Fratello Hermann, che si
trovava al suo fianco, in tono bonario gli disse: “Non ti
crucciare, almeno faremo un giro nei dintorni.”
“Potevano
mandare altri due.”
“Che
fai, discuti gli ordini? L’hai sentito anche tu il priore: la
migliore spada di Starkenberg dietro agli ospiti.” Fece una breve
risata, come se trovasse la cosa assai divertente.
“Smetti
di ripetere quell'appellativo stupido,” ringhiò l'altro.
“Scusa,
chi è che tenendo la spada nella sinistra ha sconfitto e disarmato
fratello Friedrich e fratello Gerhard che attaccavano
contemporaneamente?”
“Non
significa nulla.”
“E
gli infedeli?”
“Non
combatto né più né meno degli altri.”
“Ah,
certo. Dev'essere per quello che c'è una taglia sulla tua testa.”
“Gli
infedeli vogliono uccidere tutti i cavalieri dell'Ordine, non
soltanto me.”
L'altro
rinunciò a replicare. Con un'alzata di spalle soggiunse: “Speriamo
che i nostri stimati ospiti si degnino di uscire, piuttosto. Tra un
po' sarà più caldo che in una fornace.”
“Certa
gente dovrebbe restarsene a casa propria,” brontolò l'altro per
tutta risposta.
“Oh,
dai. Li portiamo alle chiese, li stanchiamo ben bene e vedrai che si
faranno passare la voglia di visitare la zona.”
Fratello
Adalrich non rispose. Controllò il sottopancia del suo cavallo, un
imponente destriero da guerra dal manto grigio, quindi montò in
sella e si spostò verso la parte del cortile che si trovava ancora
in ombra. Vide uscire dalla foresteria i due pellegrini: nonostante
si trovassero a Starkenberg da alcuni giorni, il padre conservava
l'espressione di commossa meraviglia che gli era comparsa sul viso
non appena aveva messo piede nel castello. Il figlio, per contro, non
faceva assolutamente nulla per nascondere il fastidio che la
situazione doveva procurargli. Anzi, si poteva addirittura dire che
lo ostentasse. Lo sguardo del cavaliere si fece sprezzante: un
giovanotto sciocco, viziato e pigro, che sbuffava alle loro regole e
cercava di sottrarvisi non appena se ne presentava l'occasione. Non
c'era pasto in cui la lettura dei testi sacri non fosse disturbata
dal cicaleccio ostinato dei suoi bisbigli, non c'era notte in cui non
comparisse un giaciglio di fortuna nel giardinetto dietro la chiesa,
dove il ragazzo aveva la pretesa di prendere il fresco.
Non
facendo parte dell'Ordine, nessuno poteva frustarlo per quelle
violazioni della Regola, e tutti si limitavano a sperare che prima o
poi capisse. O che proseguisse per la sua strada, magari.
Mentre
era immerso in quelle meditazioni, i due presero a guardarsi intorno,
soprattutto il più giovane, con l'aria di aspettarsi valletti,
battitori, cani e falconieri.
Lasciò
che fosse fratello Hermann a raggiungerli e a spiegare loro come si
sarebbe svolta la giornata.
Fratello
Hermann aveva molta più pazienza di lui. Come il loro Gran Maestro,
che per combinazione si chiamava allo stesso modo. Era anche più
cortese, e sapeva parlare alla gente in un modo che lo rendeva
gradito praticamente a chiunque. Non poté fare a meno di sorridere
fra sé e sé: uno strano sodalizio, il loro. Il più amabile e il
più odioso; quello più avvenente e quello la cui vista suscitava
orrore; quello allegro, gentile e affabile e quello burbero, cupo e
scostante.
Si
passò una mano sugli occhi, che come sempre soffrivano della troppa
luce, e rimase a osservare il confratello che parlava con i due
ospiti.
Stette
a guardarlo mentre illustrava ai due l'escursione che avevano
intenzione di compiere. Lo vide indicare un punto generico oltre le
creste dei monti più vicini, e annuire con vigore, come per
convincere i due von Obenstein della piacevolezza e della facilità
della passeggiata.
Poco
dopo, percorrevano in fila il sentiero che dalla fortezza conduceva
alla strada principale. Una volta che furono alla base dello sperone
di roccia, fratello Hermann disse: “Ora proseguiremo sulla strada
fino a che non incontreremo la deviazione per le chiese. La zona è
tranquilla, ma vi chiedo di non allontanarvi. Sappiate che in ogni
caso non avete nulla da temere: nessuno supera fratello Adalrich nel
combattimento.”
A
quelle parole, i due civili si voltarono nella sua direzione. Egli si
fece scivolare all'indietro il cappuccio che gli teneva in ombra il
volto. Per quanto il sole lo facesse soffrire, una volta fuori dalle
rassicuranti mura di Starkenberg, era necessario che occhi e orecchie
fossero liberi da impedimenti.
Senza
dire nulla spronò il cavallo e li distanziò di qualche passo,
infastidito da quegli sguardi, che nonostante i giorni di forzata
convivenza erano ancora gravati della meraviglia mista a ribrezzo di
chi sta osservando un animale strano.
Proseguì
così, mantenendosi davanti a loro.
Era
un mattino terso, nel cielo azzurro non c'era una nube. Il sole
picchiava costringendolo a mantenere gli occhi rivolti verso il
basso. Nella luce forte anche i colori del paesaggio sembravano
scomparire, e la vegetazione che copriva i fianchi delle montagne
diventava di un verde talmente scuro da sembrare nero.
Alle
sue spalle fratello Hermann parlava delle chiese ai due ospiti. “Sono
costruzioni molto antiche,” lo sentì dire, “e alcune sono ancora
parzialmente o completamente sepolte. Il Gran Maestro dice che si
trovavano qui prima dell’arrivo degli infedeli, e che si sono
salvate dalla distruzione unicamente perché si trovano in una
posizione nascosta e difficile da raggiungere.”
“Sono
lontane?” sentì chiedere al più giovane.
“Un
paio d’ore. Presto però abbandoneremo la strada principale e
proseguiremo nella macchia.”
Il
ragazzo sbuffò, peraltro senza nemmeno preoccuparsi di nasconderlo.
Il più anziamo invece disse: “Sono curioso di vedere questi
luoghi. Potete descrivermeli maggiormente, cavaliere?”
“Ma
certo,” rispose subito Hermann. Adalrich immaginò il sorriso
affabile che doveva aver accompagnato quelle parole. “Sono camere
scavate direttamente nella roccia. All’interno ci sono delle
pitture con immagini della Vergine Maria, di Gesù e degli Apostoli.
Ho portato anche un lume, così potremo vederle meglio.”
“Si
può pregare al loro interno?”
“Nulla
lo vieta,” rispose Hermann. Poi, dopo una pausa: “In effetti è
un luogo molto suggestivo. Penso che lo troverete interessante.”
A
quel punto intervenne il più giovane: “A parte gli affreschi, c’è
rimasto qualcosa dentro?”
“Purtroppo
no. Prima del nostro arrivo, questi luoghi sono rimasti per secoli in
mano agli infedeli, che le hanno depredate di ogni contenuto. In
alcune hanno addirittura distrutto le immagini sacre sulle pareti.”
Il
ragazzo non replicò. Anche il padre sembrava aver ricevuto tutte le
informazioni che gli servivano, perché non interrogò oltre il
cavaliere, e il gruppetto proseguì in silenzio.
Il
sole ormai era alto sulla volta celeste e le ombre si facevano sempre
più brevi. L’aria immobile era satura degli aromi di timo e
tanaceto.
Adalrich
si aggiustò meglio l’elmo alla normanna, il cui nasale col caldo
cominciava a dargli fastidio. Strinse gli occhi cercando di ignorare
la sensazione di bruciore della pelle esposta al sole.
A
lui non piacevano quelle chiese. A differenza del confratello,
trovava quel luogo sinistro e gravato di un'oscura sensazione di
minaccia. Probabilmente qualcuno avrebbe parlato di superstizione, e
avrebbe bollato le sue sensazioni come ennesima riprova del suo
commercio con il Demonio, eppure non si sentiva mai tranquillo quando
entrava nella gola su cui si affacciavano le chiese. Le loro porte
gli ricordavano le orbite vuote dei teschi, e nonostante fossero, o
almeno teoricamente dovessero essere, altrettante case del Signore,
lo rendevano inquieto.
Raggiunsero
i monumenti dopo circa due ore di cavalcata su un percorso quasi
invisibile ad occhio nudo, che attraversava una macchia di lecci e
ginepri in cui si udiva solo il frinire degli insetti.
Poco
prima di giungere a destinazione, il sentiero si incanalò nel fondo
di una gola polverosa e costellata di ginestre, quindi si allargò in
un anfiteatro naturale che nonostante l'ora risultava quasi
completamente in ombra.
“Eccoci
arrivati,” disse fratello Hermann.
Sulle
pareti di roccia si trovavano delle porte e delle piccole finestre,
alcune rozzamente quadrangolari, altre con un accenno di arco a tutto
sesto.
Le
chiese erano disposte su più livelli. Alle più basse si accedeva
direttamente, per quelle più alte era necessario percorrere tortuose
file di gradini scolpiti direttamente nella roccia.
Senza
scendere da cavallo, Adalrich percorse tutta la circonferenza
dell'anfiteatro. Per terra non c'erano tracce di alcun genere, e non
c'erano nemmeno deiezioni di capra, sebbene quegli animali fossero
perlopiù ghiotti del tipo di piante che crescevano nella gola.
Tirò
le redini e rialzò il capo, quindi si guardò intorno lasciando
scorrere lo sguardo sulla sommità delle pareti di roccia. Nemmeno lì
c'era nulla di strano.
“Potete
smontare,” disse alla fine della sua ispezione.
Il
ragazzo scese dal suo baio, lasciò le redini penzoloni e si stirò
inarcandosi all'indietro, poi si inoltrò deciso nella vegetazione.
“Dove vai?” gli gridò dietro suo padre.
“Natura
premit!”
giunse la risposta. A dispetto di ogni raccomandazione, si udirono i
passi allontanarsi e diventare sempre più fiochi.
Adalrich
lanciò un'occhiata a Hermann, che annuì, smontò da cavallo e
disse: “Vado a vedere.” Scomparve a sua volta nella vegetazione.
Calò
di nuovo il silenzio. Ancora in sella, il cavaliere si limitò ad
appoggiare le mani all'arcione e ad allentare le redini. Si girò
verso il barone von Obenstein, che sentendosi osservato alzò gli
occhi su di lui e chiese: “C'è pericolo?”
“Non
è mai consigliabile abbassare la guardia,” rispose l’altro
laconico. “Io e il mio confratello siamo responsabili di voi,
quindi è nostro dovere proteggervi.”
Pochi
istanti dopo, si udì il ragazzo gridare: “Guardatemi, padre!” La
voce proveniva dall’alto.
Adalrich
si voltò e lo vide stagliarsi alla sommità della parete di roccia.
Salutava facendo ampi gesti con un braccio. “C’è un sentiero per
salire fin qui!” esclamò trionfante.
Il
cavaliere strinse le labbra senza dire nulla, era sicuro che quello
stupido bellimbusto si fosse dileguato in mezzo alle piante per il
solo gusto di farsi inseguire da qualcuno obbligato a vigilare sulla
sua incolumità.
“È
bellissimo quassù!” stava gridando frattanto il ragazzo, “Dovete
assolutamente venire a vedere, c’è una vista magnifica.” Il suo
noncurante vociare spinse Adalrich ad aggrottare le sopracciglia.
Ulrich
von Obenstein smontò a sua volta da cavallo e disse: “Vieni giù,
Konrad, non vorrei che ti facessi male. E poi i fratelli cavalieri
dicono che non è bene abbassare la guardia.”
“Non
siamo mica in guerra, padre. Ho dato sfogo alla natura e ora do sfogo
alla mia curiosità. Che c’è di male?”
Corse
su e giù lungo il crinale, pericolosamente vicino al bordo. Di
nuovo, fratello Adalrich aggrottò le sopracciglia con
disapprovazione. “Vado a prenderlo,” ringhiò infine, smontando
anche lui da cavallo.
“È
solo il suo modo di scherzare, cavaliere,” si sentì in dovere di
specificare il padre.
“Un
modo di scherzare piuttosto irresponsabile. Questo luogo è antico e
non sempre solido come appare.”
Non
aveva finito di parlare che si udirono un rombo cupo di pietre che
crollavano e un grido del ragazzo.
“Konrad!”
urlò il barone von Obenstein, quindi si lanciò di corsa nella
direzione in cui il figlio si era allontanato.
Subito
dopo comparve sul crinale anche Hermann, che disse: “Lega i cavalli
da qualche parte, poi porta su la lanterna e la corda.”
Quando
Adalrich raggiunse gli altri, scoprì che fortunatamente non c’era
bisogno della corda: correndo su e giù, il ragazzo aveva fatto
crollare la volta di una delle antiche chiese, ed era caduto dentro.
Il volo però era stato molto breve, e le pietre rotolando giù
avevano creato una sorta di rampa tramite la quale si poteva scendere
nella camera anche senza ausili.
Il
giovanotto era già in piedi, e a parte la polvere sui vestiti,
sembrava non avesse riportato gravi danni.
“Konrad,
sei ferito?” chiese comunque il padre, infilandosi tra i due
cavalieri per riuscire a vedere meglio. Si protese sulla cavità.
Dal
basso, il ragazzo lo rassicurò: “Sto bene, padre. La Vergine Maria
deve avermi protetto, non mi sono fatto nulla.”
Mentre
i due parlavano, Adalrich scese con cautela. Se la luce era scarsa
vedeva meglio degli altri, e nonostante la camera fosse quasi buia,
non aveva bisogno della lanterna. Osservò l’ambiente: protetti per
secoli dalle intemperie, gli affreschi delle pareti erano così
vividi che sembrava fossero stati appena dipinti. Dietro l’altare
vi erano un’immagine della Vergine, una del Cristo e una
dell’Arcangelo Michele, rappresentato nell’atto di trionfare sul
demonio. Le altre pareti erano coperte di scene bibliche.
Il
cavaliere fece qualche passo nella piccola chiesa, si guardò intorno
alla ricerca della porta e quando l’ebbe trovata aggrottò le
sopracciglia perplesso. “È murata,” constatò.
Da
fuori giunse la voce di Hermann: “Cosa, è murata?”
“La
porta. E anche le finestre. Ecco perché non si vedeva da fuori.”
“Fammi
vedere.” Scesero tutti nella chiesa. Il barone von Obenstein portò
la lanterna accesa, e la fece girare tutt’intorno.
“C’è
qualcosa là in fondo,” disse Konrad indicando un angolo
particolarmente buio.
“Dove?”
“Là.
Si direbbe una cassa.”
Tutti
si avvicinarono. In effetti si trattava di una cassa di legno, ancora
robusta nonostante i secoli di abbandono. Era coperta da uno strato
di polvere e chiusa da corde che una volta dovevano essere state
robuste, ma ormai risentivano dell’azione inesorabile del tempo.
Le
dimensioni erano quelle di una bara.
I
quattro si guardarono perplessi. “Una sepoltura?” azzardò
Hermann.
“Ora
vediamo,” rispose Adalrich, quindi sguainò la spada e recise quel
che restava dei canapi, poi insinuò la lama sotto il coperchio e lo
sollevò.
Non
appena il contenuto della cassa fu visibile, nessuno degli astanti
poté trattenere un’esclamazione di stupore: si trattava di un
corpo incorrotto. Aveva la pelle scura e lucida come cuoio conciato,
era di spaventosa magrezza, ma per il resto sembrava che si fosse
appena addormentato. Pareva strano non vedere il petto che si alzava
e si abbassava negli atti del respiro.
Era
vestito di abiti di lino che il tempo aveva ormai ridotto a garze
impalpabili, portava intorno al collo quel che rimaneva di una stola
ricamata e in cintura aveva una fascia di stoffa annodata come una
specie di cilicio. Le mani erano giunte sul petto e tenute insieme
con una catena dalla quale pendevano una croce e un ciondolo di
cristallo di rocca in cui era sigillato un cartiglio.
Adalrich
si chinò per osservare meglio la misteriosa salma: aveva un volto
scavato, ascetico, dall’espressione austera. Diversamente da ogni
cadavere mummificato che aveva visto sino a quel momento, aveva le
palpebre bombate e non incavate, il che significava che i globi
oculari avevano conservato il loro turgore. Anche le labbra, per
quanto sottili, non sembravano disseccate come normalmente accadeva.
Le
mani avevano le unghie lunghe e adunche, ma la cosa non lo stupì più
di tanto: era ben noto che unghie e capelli continuavano a crescere
per settimane dopo che il cadavere era stato sepolto.
Prese
fra le dita il ciondolo di cristallo di rocca: il cartiglio che
conteneva recava una scritta in greco. “Athanasios,” lesse ad
alta voce, con qualche difficoltà per le lettere ormai sbiadite.
Seguì
un lungo silenzio. La luce danzante della lanterna guizzava sul volto
immobile e scuro, conferendogli una parvenza di vita che al cavaliere
parve piuttosto sinistra.
Infine
fu Konrad a rompere il silenzio. “Io credo, padre, che questo sia
un miracolo,” proferì in tono solenne.
L’uomo
si riscosse dalla contemplazione e lo guardò stupito.
“Un
miracolo,” insisté l’altro caparbio. “È stata la Vergine
Maria a muovere i miei passi fino a questa chiesa: vuole che il corpo
incorrotto di Sant’Atanasio sia traslato nella chiesa di Dürnau.”
“Sant’Atanasio?”
“È
scritto nel cartiglio. Non può essere che lui, padre.”
Intervenne
a questo punto Adalrich: “Sant’Atanasio morì ad Alessandria, e
poco dopo la sepoltura il suo corpo scomparve.”
Konrad
lo guardò storto, poi indicò la cassa. “Ecco dov’era.
Probabilmente è stato portato via per sottrarlo allo scempio degli
infedeli ed è stato nascosto in questa chiesa, che successivamente è
stata murata per far sì che nessuno potesse trovarlo.”
“È
un miracolo,” confermò il barone, contagiato dall’entusiasmo del
figlio, poi si inginocchiò assieme a lui e giunse le mani in
preghiera.
Alle
spalle dei due pellegrini, Adalrich fece un cenno al confratello e
gli indicò l’apertura da cui erano entrati. Si inerpicarono sulle
pietre e uscirono sul crinale, dove frattanto il sole si era fatto
ancora più cocente. “Tu che ne dici?” chiese poi quando furono
all’esterno.
Hermann
alzò le spalle. “Non saprei. Forse dovremmo andare a chiamare il
priore, o magari il Gran Maestro, se può venire.”
“Tu
credi che si tratti veramente di Sant’Atanasio?”
“Non
lo so. Però quel corpo è molto strano. Non sembra nemmeno morto.”
“L’ho
notato anch’io. E mi chiedo perché si trovi lì.”
“Forse
è veramente una sacra reliquia.”
“Potremmo
far venire qui il nostro sacerdote, lui riuscirà a capirlo.” Detto
questo, il cavaliere si tirò nuovamente il cappuccio fin sugli
occhi.
“Ti
dà molto fastidio?” s’informò premurosamente l’altro.
“Oggi
il sole è davvero forte.”
Hermann
alzò gli occhi verso il cielo, che a causa della calura era ormai
quasi bianco, e disse: “Senti, io vado a Starkenberg ad avvisare,
tu rimani qui a fare la guardia ai nostri ospiti, così magari te ne
stai un po’ all’ombra dentro quella specie di chiesa.”
“Non
voglio che la mia condizione mi impedisca di fare il mio dovere.”
“Ah,
smettila. Tu sei molto più bravo di me con la spada, quindi la cosa
più logica è che tu rimanga qui con gli ospiti e io vada a chiamare
il sacerdote. Torno prima che posso.” Senza attendere risposta andò
ai cavalli.
Inginocchiato
davanti alla cassa, Konrad teneva le mani giunte e ogni tanto
guardava di sottecchi il genitore, che stava pregando in silenzio.
Non
sapeva se fosse stata davvero la Santa Vergine a suggerirgli di
mettersi a saltellare su una volta pericolante, né sapeva se quello
che stavano contemplando fosse davvero il corpo di un santo. Quello
che gli era ben chiaro era che in fin dei conti a nessuno interessava
veramente se le sante reliquie fossero davvero sante, l’importante
era che si potessero venerare.
Una
volta il suo maestro di retorica gli aveva raccontato che c’erano
più pezzi della Vera Croce nelle chiese d’Europa che pulci addosso
a un cane. Questo perché alla gente piaceva avere delle reliquie,
davano un’idea di concretezza, facevano capire anche ai più
ignoranti che
le storie della Bibbia, dei Vangeli e dei Santi non erano solo vane
chiacchiere.
Sollevò lo sguardo sulla salma,
che così scura e ossuta dava un’idea di misticismo ascetico. La
immaginò sull’altare maggiore della chiesa di Dürnau, in
un’adeguata teca di cristallo adornata di gemme. Tutti sarebbero
accorsi per ammirarla e per pregare. E per lasciare offerte,
naturalmente, una parte delle quali sarebbe spettata di diritto al
feudatario.
“Io
credo, padre, che questo sia un miracolo della Santa Vergine,”
ripeté mantenendo le mani giunte, “dobbiamo riportare questo santo
in terra cristiana.”
“Certo,
figlio. Quando torneremo dal nostro pellegrinaggio lo porteremo in
patria.”
Konrad
si girò accorato verso di lui. “No, padre, dobbiamo farlo adesso.
La Vergine me l’ha fatto trovare adesso.
Se avesse voluto farci andare al Santo Sepolcro, ce l’avrebbe fatto
trovare al ritorno.” Fece una pausa, che utilizzò per lanciare uno
sguardo affettuoso al corpo rinsecchito, quindi aggiunse: “La
Vergine ripone in noi la sua fiducia.”
Vide il padre annuire commosso.
Tornò a raccogliersi in
preghiera, pensando frattanto che il suo maestro di retorica sarebbe
stato fiero di lui.
Sentì sulla nuca il tipico
pizzicore di uno sguardo altrui. Si girò e vide che il cavaliere dai
capelli bianchi lo stava fissando.
Per un attimo ebbe l’impressione
che quelle iridi metalliche appartenessero alla coscienza. Il
pensiero comunque non durò che un istante: in fin dei conti, cosa
stava facendo di male? Sarebbero tornati a casa, avrebbero evitato
tutti i pericoli della Terra Santa e in più avrebbero riportato una
preziosissima reliquia, che avrebbe donato lustro e ricchezze a
Dürnau e ai von Obesntein.
E in più, con i soldi dei
pellegrinaggi avrebbe potuto finalmente coronare il suo sogno, ovvero
studiare a Bononia e a Parigi.
§
Fu solo a pomeriggio inoltrato
che una delegazione di sacerdoti e cavalieri arrivò da Starkenberg
per esaminare la santa reliquia.
Per primo fece il suo ingresso
nella chiesa padre Georg, che teoricamente era un mite agnello del
Signore dedito al sacerdozio, e in pratica aveva passato a fil di
spada più nemici di Dio di molti fratelli cavalieri. Si avvicinò al
sarcofago spolverandosi la veste talare, che si era sporcata nel
discendere la rampa di pietre smosse, quindi appoggiò la sinistra
sul pomo della spada che portava al fianco e si rivolse al ragazzo:
“Sei tu che l’hai trovato?”
Konrad si alzò rapido e dovette
piegare un po’ all’indietro la testa per guardare in volto
l’imponente religioso. “Sì, padre,” rispose subito. “Io dico
che è stato un...”
“Lo
vedremo subito, cos’è stato,” lo interruppe brusco il prete,
quindi lo spostò da una parte e chiese: “È questo?”
“Sì,
padre.”
Il religioso si inginocchiò.
Indifferente agli sguardi carichi di aspettativa dei due nobili e dei
cavalieri che nel frattempo erano entrati nella chiesa, si prese
tutto il tempo per esaminare il corpo. Osservò dapprima i monili e
gli abiti, decretando che per foggia e stato di conservazione non
potevano avere meno di cinquecento anni. Un mormorio di meraviglia
passò tra gli astanti.
In seguito, insinuò due dita
sotto le mani giunte del cadavere e le sollevò leggermente. Con
stupore di tutti, esse cedettero senza quasi opporre resistenza. “È
un miracolo,” mormorò qualcuno.
“Fate
silenzio,” replicò ruvido padre Georg. “Anzi, fate una cosa:
uscite tutti. Devo compiere le mie osservazioni in pace.”
“Ma
padre...” azzardò Konrad.
“Anche
tu. E lascia qui la lanterna, prima di andartene.”
All’ombra di un sicomoro, la
schiena appoggiata al tronco, Adalrich osservava l’affaccendarsi
della gente intorno alla chiesa rupestre. “Sembrano formiche
intorno al loro nido,” disse.
“Hanno
solo trovato qualcosa di diverso dal solito,” rispose Hermann.
“Il
Gran Maestro non è venuto?”
“Quando
sono arrivato era già partito per Acri. Una questione urgente, mi
hanno detto.”
Adalrich emise un sospiro.
“Peccato, ci avrei tenuto a conoscere il suo parere.”
“Tu
pensi che quello non sia veramente un santo?”
“Non
lo so. Teoricamente si dovrebbe provare beatitudine di fronte a una
santa reliquia, giusto? Sensazione di pace, di vicinanza col
Signore.”
“E
tu non l’hai provata?”
L’altro strinse i denti, i suoi
lineamenti squadrati si fecero ancora più duri. “Il contrario,
direi. Qualcosa di simile a un senso di aspettativa funesta, come
quando sta per succedere qualcosa di brutto.” Fece una pausa che
utilizzò per contemplare gli astanti, molti dei quali già raccolti
in preghiera, quindi continuò: “E non capisco se davvero la mia
sensazione sia giusta, oppure se sia la mia natura che rifugge il
Signore, e quando è al cospetto di una santa reliquia si contorce
come una specie di serpe nell’avvicinarsi al fuoco.”
Hermann lo fissò stupito. “Ma
che stai dicendo?”
“È…
per come sono fatto. Forse la mia reazione di fronte a quella santa
reliquia è la riprova della mia natura diabolica.”
L’altro lo afferrò per le
spalle, lo costrinse a guardarlo in faccia. “Tu porti la croce sul
petto, Adalrich,” gli disse. “Hai votato la tua vita a Dio, hai
sparso il tuo sangue per lui. Credi forse che il Signore ti avrebbe
accettato nelle sue schiere, se la tua natura fosse diabolica?”
L’altro si svincolò dalla
presa e volse lo sguardo altrove. Come avrebbe potuto il biondo,
solare, allegro e cortese Hermann capire? Lui era una persona
fiduciosa, onesta e soprattutto onorevole. Guardava al cuore del
prossimo, non alla sua apparenza esteriore, e nella sua limpidezza
non lo sfiorava nemmeno l’idea che altri potessero non farlo.
Non sapeva cosa volesse dire
avere un aspetto che spingeva la gente a farsi il segno della croce,
o ad arretrare come di fronte a un appestato.
“Adalrich,
mi ascolti?” La voce di Hermann lo distolse bruscamente dai suoi
pensieri.
“Sì,
sì...” fu la risposta.
“No,
tu non mi ascolti,” sentenziò l’altro. “Ho appena detto che
sta arrivando un carro, per trasportare la cassa a Starkenberg.”
In quel momento, padre Georg
apparve sul crinale. Di nuovo si spolverò la veste, quindi scosse la
testa e si incamminò per scendere.
“Non
sembra molto soddisfatto,” osservò Adalrich.
Hermann alzò le spalle e
rispose: “Non vuol dire niente. Padre Georg non sembra mai
soddisfatto. Dicono che anche all’assedio di Damietta, quando
l’Ordine fu decorato sul campo per il valore dimostrato in
battaglia, abbia trovato qualcosa per cui protestare.”
Con un gran frusciare di foglie,
si fece avanti con ampie falcate il religioso. “Non avete niente da
fare, voi due?” li apostrofò, vedendoli fermi sotto l’albero.
“Stiamo
aspettando voi, padre,” rispose compunto Hermann.
“Non
fare il furbo con me, cavaliere,” ringhiò l’altro, ma si vedeva
che stava ridendo sotto i baffi.
Si fece avanti Adalrich. “Allora,
padre?”
Il prete si pose i pugni sui
fianchi e si erse in tutta la sua rispettabile altezza, senza
peraltro arrivare a quella del suo interlocutore. “Allora che cosa,
cavaliere?”
“Quel
corpo. È una santa reliquia o no?”
Da una parte sperava che lo
fosse, ovviamente, ma dall’altra quasi si augurava che il sacerdote
dicesse di no. Come avrebbe potuto spiegare, altrimenti, la
sensazione orribile che l’aveva pervaso da quando aveva aperto la
cassa e ancora non voleva abbandonarlo?
“È
materia complessa,”
rispose padre Georg. “Ci sono elementi a favore, ma ci sono anche
cose che non quadrano per nulla. Dovrò fare altri studi, e
probabilmente dovrò chiedere il parere del vescovo. E ora avete
qualcosa da bere? Oggi è un caldo infernale.”
Hermann gli porse una borraccia.
§
Fratello
Adalrich si svegliò di soprassalto. Spalancò gli occhi con un
sussulto e per qualche istante si guardò intorno ansimando. A parte
il russare di qualche confratello, la camerata immersa nel silenzio.
Il piccolo lume che doveva rimanervi sempre acceso stava ormai
languendo prossimo a spegnersi, il che significava che entro breve
sarebbe arrivata l’alba.
Si
passò una mano fra i capelli sudati, quindi raccolse l’involto dei
suoi vestiti e silenziosamente imboccò la porta.
La
notte era fresca, le stelle erano così luminose che davano
l’impressione di poter essere raggiunte semplicemente alzando una
mano. Da qualche parte gorgheggiava un usignolo.
Il
cavaliere salì sugli spalti, poi si appoggiò al bastione e lasciò
vagare lo sguardo sulla pianura. Da quando il corpo era giunto a
Starkenberg, non c’era notte in cui non si destasse in preda
all’angoscia dopo aver fatto un sogno terribile.
Non
riusciva a ricordare il sogno, ma era certo che fosse sempre lo
stesso.
Un
rumore lo fece voltare di scatto: dei passi si stavano avvicinando.
“Hermann?” chiese, certo di aver riconosciuto l’andatura.
“Non
dormi, Adalrich?” gli giunse dal basso la voce del confratello.
“Vieni
su,” disse l’altro per tutta risposta. Hermann lo raggiunse, e
quando fu al suo fianco ripeté la domanda.
“Faccio
sogni strani,” sospirò Adalrich.
“Di
che genere?”
“Non
lo so. Brutti, comunque.”
“E
da quando in qua? Hai sempre dormito come un sasso, persino alla
viglia delle battaglie.”
L’altro
emise un sospiro. “Da quando il corpo è arrivato qui. Di giorno ho
un senso di oppressione che non mi abbandona mai, e di notte faccio
questi sogni.”
“Ma
cosa sogni, esattamente?”
“Te
l’ho detto, non lo so. Però mi sveglio agitato, e devo uscire
all’aria fresca.”
“Ne
hai parlato con padre Georg?”
“Lo
sai com’è fatto. Mi ha detto che l'ozio è il padre dei vizi, che
mi devo stancare di più durante il giorno, così poi quando è ora
dormirò sicuramente meglio.”
I
due rimasero in silenzio per un po’, ascoltando i rumori della
notte, quindi Hermann disse: “Domani arriverà il vescovo,
finalmente.” Lasciò passare qualche istante, poi soggiunse: “Sai,
neanche a me piace l’idea di avere una cassa con un cadavere qui al
castello, anche se è chiusa in una stanza di cui solo il priore ha
la chiave. Niente sacramenti, niente funerale. Mah...”
§
Un
servo si affacciò sul cortile dove i cavalieri si stavano allenando
con la spada e disse: “Fratello Adalrich, fratello Hermann, il
priore chiede di parlare con voi.”
Subito
i due rinfoderarono le armi e abbandonarono il luogo per andare a
togliersi l’usbergo e prepararsi.
Poco
dopo, si diressero verso lo studio di fratello Burkhard. Nel
corridoio che conduceva a esso incrociarono Padre Georg. Di solito il
sacerdote non aveva un carattere particolarmente amabile, ma in quel
momento appariva addirittura furioso. Quando si accorse dei due, si
immobilizzò e disse: “Quant’è vero Iddio, certa gente non
capisce nulla. Prove inoppugnabili, dice, certezza assoluta. La
certezza di essere una bestia senza cervello, dico io.”
I
due si scambiarono un’occhiata perplessa. Non erano nuovi alle
sfuriate del sanguigno sacerdote, ma di solito si capiva almeno
l’argomento della requisitoria.
Il
prete, comunque, imperterrito proseguì: “Viene da Acri in pompa
magna con tanto di pastorale, si ferma giusto il tempo per far
riposare i cavalli, dà un’occhiata a quello là e se ne va dicendo
che sicuramente siamo di fronte a una santissima reliquia, che va
portata in Germania senza indugio. Bah! Sapete cosa farei io, senza
indugio? Ah, bocca mia, taci.”
Se
ne andò a grandi passi, le mani allacciate dietro la schiena,
continuando a imprecare.
I
due cavalieri si voltarono per un attimo a seguirlo con lo sguardo,
quindi andarono allo studio del priore, bussarono ed entrarono.
Fratello Burkhard li accolse con affabilità, quindi disse: “Ho un
compito da affidarvi.”
I
due rimasero in silenzio.
“Il
vescovo ha decretato che la reliquia di Sant’Atanasio deve essere
traslata in Germania prima possibile,” spiegò. I due notarono che
neanche lui sembrava particolarmente convinto dalla faccenda. “È
necessaria una scorta, quindi partirete voi due, il sergente Dorn e
venti uomini.”
Adalrich
si limitò ad annuire con un secco cenno del capo. “Quando?”
chiese.
“Partirete
domani.”
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