Questa è una gara di resistenza,
mi sa. Ringrazio sentitamente per il commento che mi hanno lasciato
Saelde_und_Ehre, Crilu_98, innominetuo, fiore di girasole,
morgengabe, Syila e miciaSissi.
Capitolo 5
Fratello Adalrich rinfoderò la
spada. Stava albeggiando, e una luce lattiginosa stava pian piano
rivelando la portata della devastazione notturna. Il cimitero era
stato profanato, perlomeno nella sua parte più recente; le tombe
erano aperte, e il loro contenuto era stato fatto a brani e divorato.
La bottega del macellaio aveva la porta spalancata, i corpi che vi
erano stati deposti erano spariti. Nel mezzo della piazza giaceva
ancora l’armigero che era stato ucciso durante la notte, nella luce
ancora incerta si intravedevano altri corpi più lontano.
Adalrich si guardò intorno alla
ricerca del confratello. Lo vide sopraggiungere da un vicolo, il
manto bianco spruzzato di sangue. “Hermann!” lo chiamò.
L’altro lo raggiunse.
“Sei
ferito?” gli chiese quando si fu avvicinato.
“No,
e tu?”
“A
posto.”
Rimasero a guardare in silenzio
la devastazione che li circondava, poi Adalrich chiese: “Tu l’hai
visto il cane giallo?”
Hermann annuì. “Più grande di
un lupo, con una bocca che sembrava quella di un leone. L’ho
inseguito per un po’ questa notte, ma mi è sfuggito. Emetteva
delle urla che facevano ghiacciare il sangue, non ho mai sentito
niente del genere.”
“Neppure
io.”
Con un sospiro, Adalrich si passò
una mano fra i capelli. “Cosa credi che sia?” chiese.
“Non
lo so, ma non è una cosa… di questo mondo.”
“È
quello che ho pensato anch’io.” Poi, dopo una pausa: “È il mio
sogno… qualcosa uccide tutti e io non sono in grado di fermarlo.”
“Lo
fermeremo. Dio è con noi.”
“Tu
credi?”
Hermann gli rivolse un sorriso.
“Se non credessi non sarei un cavaliere dell’Ordine, non ti
pare?”
Adalrich stava per ribattere
quando si udì lo scatto del chiavistello della chiesa, che nel
silenzio di morte che aleggiava ovunque risuonò come un rombo di
tuono.
Dapprima uscì la gente, che si
riversò sul sagrato come un’onda di piena, piangendo e gemendo.
Tutti sciamarono verso le rispettive abitazioni, e qua e là presero
a salire lamenti, laddove i paesani si imbattevano in qualche parente
ucciso o abitazione devastata.
Dopo un po’ comparve sulla
soglia anche il prete, reggendosi alla croce come se si fosse
trattato del bastone di uno storpio. Aveva le occhiaie e i capelli
scarmigliati. “Il Demonio è fra noi,” proferì lapidario non
appena scorse i cavalieri.
I
due lo raggiunsero. Prima che potessero aprire bocca, il religioso
proseguì: “sebbene non fossero particolarmente gravi, sia mastro
Kurt che Bertha sono morti questa notte fra atroci sofferenze, a
nulla sono valse le cure. Le loro ferite non erano naturali,
capite cosa intendo?”
I cavalieri annuirono in
silenzio.
Facendo scorrere lo sguardo sulle
loro tuniche chiazzate di sangue, padre Caspar chiese: “E fuori
cos’è accaduto?”
Adalrich lo aggiornò brevemente.
Mentre stava parlando,
sopraggiunse il barone, seguito dal capitano delle guardie e dal
capo-guardiacaccia. Tutti e tre avevano l’aria di non aver chiuso
occhio per tutta la notte.
Il cavaliere informò anche il
nobile di quello che era successo durante la notte.
Mentre anche i soldati
dell'Ordine si radunavano sul sagrato, fu padre Caspar a concludere
il racconto con quello che era successo in chiesa. Infine in tono
cupo ripeté: “Il Demonio è fra noi, riconosco le sue opere
immonde.”
Von Obenstein diede un’occhiata
tutt’intorno, quindi disse ai cavalieri: “Fratelli, vi dispiace
seguirmi?”
Si incamminarono. Fecero il giro
della piazza, il barone volle che gli fossero mostrati i punti dove
si erano svolti gli scontri. Infine disse: “Voi siete combattenti
esperti. Cosa ne pensate di tutto ciò?”
Prese
la parola Adalrich: “L’unica cosa che possiamo dire con certezza,
barone, è che non si tratta di un comune animale feroce. I morti non
trovano riposo, assalgono i vivi e profanano le tombe, ferite di poco
conto causano il decesso fra atroci dolori, e si aggira qui intorno
una bestia che non è mai stata vista prima.” Tralasciò di
aggiungere quello che gli aveva detto la vecchia vestita di nero, ma
in effetti la sua profezia stava cominciando ad avere un senso: Lui
arriverà.
“Quindi
ha ragione padre Caspar quando dice che il Demonio è fra noi?”
“Nulla
di quello che abbiamo visto si spiega secondo le leggi della natura.”
Alla frase seguì un lungo
silenzio, rotto solo dai pianti e dai lamenti che si levavano fiochi
qua e là.
Mentre erano fermi a parlare,
padre Caspar li raggiunse.
“Giusto
voi, padre,” lo accolse il barone, “con i fratelli cavalieri
stavamo per l’appunto valutando cosa sia opportuno fare.”
“Per
prima cosa sarà bene dare alle fiamme i corpi delle vittime di quel
demone,” disse il sacerdote, “solo il fuoco può purificarli
dalla presenza di Satana. Celebrerò anche una messa per la salvezza
delle loro anime.”
“E
per i vivi, padre?”
“Cercheremo
la protezione del Signore, ci rifugeremo in chiesa al calare del
sole.”
“Noi
resteremo qui fuori insieme ai soldati, barone,” intervenne
Adalrich. “Se quell’essere tornerà qui in cerca di preda, lo
uccideremo.”
Il prete annuì, poi dopo un po’
soggiunse: “Inoltre manderò una lettera al vescovo di Fulda,
peccato che sia già ripartito per la sua città. Ma lo richiamerò
indietro, lui o un suo plenipotenziario.”
Il barone aggrottò le
sopracciglia. “Perché, padre?”
L’altro gli rivolse uno sguardo metà tra
la degnazione e la sfida. “Perché laddove l’opera del
Maligno si manifesta, è d’uopo che siano sacerdoti esperti in
questo genere di cose ad occuparsene.”
“State
parlando di inquisitori, padre?”
“Se
il Maligno è arrivato, significa che qualcuno l’ha portato.” Si
interruppe, fece girare lo sguardo dapprima sul sagrato, poi sui suoi
interlocutori. Infine fissò Adalrich dritto negli occhi, quindi
concluse: “E chi lo ha portato è ancora qui tra noi.”
§
Le ombre del tramonto si
allungavano sulla piazza di Dürnau. Come la sera prima, una fila di
persone stava entrando in chiesa. Per ordine del barone, questa volta
nessuno aveva il permesso di rimanere presso il proprio focolare.
I due cavalieri erano già sul
sagrato e camminavano lentamente su e giù. I soldati erano già
stati inviati a gruppi di due o tre nei vari punti del paese. A un
certo punto, Adalrich alzò gli occhi verso il cielo e disse: “Il
sole sta per tramontare.”
Hermann annuì. “Entro breve
potremo contare solo sulle torce. Che ne dici di fare un giro tra le
case, finché c’è un po’ di luce?”
“Quell'essere
arriva col buio.”
“A
parte che non lo sappiamo per certo, e poi non sarebbe male avere
un’idea di come è fatto questo posto prima di doverci girare in
mezzo tentoni. Io non vedo al buio come te.”
“Va
bene.”
Cominciarono ad aggirarsi tra le
abitazioni deserte. Nel frattempo si stava facendo buio, e stava
calando un silenzio spettrale. Nemmeno i rapaci notturni facevano
udire i loro richiami.
Le case sembravano disabitate da
anni. Hermann fece un salto indietro quando un gatto balzò fuori da
una finestra e scomparve gnaulando dietro un angolo.
Quanto tornarono davanti alla
chiesa, notarono con stupore che la porta era ancora aperta. Sulla
soglia c’era padre Caspar che si guardava ansiosamente intorno.
“Qualcosa
non va, padre?” si informò Adalrich.
“Mancano
tre persone. Avete visto se qualcuno è rimasto nella propria casa?”
I due scossero la testa, il prete
si guardò intorno di nuovo, come aspettandosi di veder spuntare i
tre assenti da qualche vicolo.
“Volete
che andiamo a controllare, padre?”
“Mi
fareste una grazia.”
I cavalieri presero una lanterna,
visto che nel frattempo si era fatto buio, quindi si addentrarono di
nuovo tra i vicoli sterrati di Dürnau. A un certo punto udirono
provenire da una casa un rotolare di suppellettili e si voltarono
rapidi in quella direzione, solo per vedere un’anta di finestra che
oscillava lentamente. “C’è qualcuno?” chiese Hermann.
Non giunse risposta, ma più
oltre si udì un altro rumore. Adalrich fece cenno al confratello di
fare silenzio, quindi si mosse in quella direzione. Arrivarono
davanti a una porta aperta, legato alla maniglia c'era un pezzo di
corda che stava ancora oscillando.
I due si scambiarono un’occhiata.
Manovrare una spada negli spazi angusti di una casa, peraltro al
buio, rischiava di rivelarsi più pericoloso che entrare disarmati.
Adalrich rinfoderò l’arma ed
estrasse il pugnale che portava in cintura. Hermann lo fissò e
scosse la testa come per fargli capire che sarebbe stato troppo
pericoloso, ma l’altro gli fece cenno di stare tranquillo ed entrò
silenziosamente nella piccola abitazione
Rimase immobile per qualche
istante attendendo che gli occhi si abituassero al buio, poi fece
girare uno sguardo tutt’intorno. Il pavimento era ingombro di
suppellettili, qualche piatto di terracotta era in frantumi. Uno dei
pagliericci era stato squarciato e il suo contenuto era sparso in
giro. Percepì un odore strano, come di sangue fresco e terra smossa.
Era una di quelle cose, sentiva
su di sé il suo sguardo. Se si concentrava, riusciva addirittura a
cogliere la brama famelica con cui lo stava guardando.
Avanzò di un altro passo, udì
un rumore gorgogliante, e il raschiare di qualcosa che si spostava
sul pavimento.
Poi la creatura attaccò. Fu più
veloce del previsto, tanto che Adalrich dovette ripararsi la gola con
l’avambraccio sinistro. L’usbergo evitò che i denti lo
ferissero, ma la stretta delle mascelle lo fece comunque genere di
dolore.
Prima che il mostro abbandonasse
la presa, il cavaliere gli piantò il pugnale nel fianco fino
all’elsa. L’essere ululò e si fece indietro rovesciando altri
oggetti, poi balzò di nuovo in avanti, avvinghiandosi a lui con
forza sovrumana. I due rotolarono al suolo, e Adalrich si trovò con
la schiena a terra, e l’essere che cercava di azzannarlo nell’unica
parte scoperta, ovvero il volto. Lo afferrò per i capelli cercando
di tirargli la testa all’indietro, nel frattempo era riuscito a
liberare l’altro braccio e di nuovo gli piantò il pugnale nel
corpo. La creatura emise un secondo ululato, si divincolò
furiosamente, cercò di nuovo di azzannarlo. Alla fine Adalrich
riuscì a buttarla lontano da sé, quindi si rialzò rapido, estrasse
la spada e non appena essa si avvicinò di nuovo la decapitò con un
tondo rovescio, che data l'esiguità dell'ambiente finì la sua corsa
abbattendo una mensola con tutto quello che c'era sopra.
“Hermann,”
ansimò.
Non gli giunse risposta.
Tornò fuori. “Hermann?”
Il suo confratello non c’era
più. “Hermann!” chiamò a voce più alta. Si guardò intorno
ansiosamente, lo chiamò di nuovo.
Alla fine ricevette una flebile
risposta ai suoi richiami. Corse nella direzione da cui essa
proveniva e vide il suo confratello che stava combattendo con il cane
maculato. La lotta doveva protrarsi da un po’, perché Hermann era
ormai esausto. Lo sentiva ansare e coglieva che i suoi movimenti
stavano perdendo vigore. La cosa che lo stupì era che i colpi di
spada andavano tutti a segno, ma l’essere sembrava non risentirne
affatto.
Si avvicinò di corsa, sguainò
la spada e colpì la creatura con un fendente che nelle sue
previsioni avrebbe dovuto quasi tagliarla in due, ma che in pratica
la costrinse solo a farsi indietro con un ringhio di disappunto.
Adalrich vide la ferita che le
aveva procurato chiudersi a vista d’occhio.
La incalzò una seconda e una
terza volta con colpi pieni, che lasciarono altrettanti profondi
tagli.
L’essere rotolò indietro e di
nuovo si fece sotto, emettendo un ringhio che faceva ghiacciare il
sangue nelle vene.
Adalrich l’attese a pie’
fermo, e nel momento in cui esso balzò contro di lui, si abbassò e
gli piantò la spada nel ventre. Il misterioso animale si torse
nell’aria, ricadde all’indietro e per qualche istante rimase a
terra immobile, poi, sotto i suoi occhi attoniti mutò aspetto
trasformandosi in una figura umana alta e magra, e in quella forma
scomparve nella notte.
Il cavaliere rinfoderò la spada,
quindi si avvicinò al compagno. “Come stai?” gli chiese per
prima cosa.
“A
posto.”
“Ti
ha ferito?”
“No.”
Adalrich emise un sospiro di
sollievo. “Dio sia lodato.”
“E
tu sei ferito?” chiese Hermann.
“No,
nemmeno io.” Si voltò nella direzione in cui la misteriosa belva
era fuggita, e per un po’ rimase a scrutare nel buio. Infine tornò
a voltarsi verso l’altro e disse: “Tre colpi che avrebbero
abbattuto un toro, portati a pieno, ed è stato come se lo
accarezzassi con una piuma. Le ferite scomparivano un attimo dopo
essere state inferte.”
“Me
ne sono accorto.”
“E
poi ha cambiato forma”
“Sì,
l’ho visto.”
I due rimasero in silenzio per
qualche istante, poi Adalrich disse: “Lui arriverà, ma la tua
croce non potrà fermarlo.”
“Cosa?”
“È
quello che mi ha detto la vecchia vestita di nero.”
Hermann alzò le spalle. “Visto
che conosceva la faccenda così bene, quella vecchia poteva anche
dirti cosa ci vuole per fermarlo.”
Cercarono ancora le tre persone
che mancavano all’appello, ma ormai era notte inoltrata, e di esse
non vi era traccia da nessuna parte.
Continuarono a pattugliare il
villaggio, che sotto la luna aveva preso un aspetto spettrale. Per
quanto il cielo fosse limpido, a livello del suolo aleggiava una
nebbia che i raggi argentati rendevano fosforescente. Nulla turbava
in silenzio.
Poi d’un tratto echeggiò di
nuovo l’ululato spaventoso della creatura, e a quel grido
agghiacciante risposero altri richiami, in vari punti del perimetro
di Dürnau.
“Stanno
tornando,”
disse semplicemente Adalrich, stringendo la presa sull’elsa della
spada.
Le belve in effetti arrivarono. A
due e a quattro zampe, perché non soltanto gli abitanti umani di
Dürnau erano stati trasformati in creature folli e assetate di
sangue, ma anche gli animali. I due videro passare al galoppo un
maiale dal grugno spalancato e grondante bava, che emetteva strida
nonostante la gola squarciata. La bestia diresse la sua folle corsa
contro uno dei soldati, spiccò un balzo che un maiale normale non
avrebbe mai potuto compiere e azzannò l'uomo, rovesciandolo poi a
terra con il proprio peso. Altri soldati accorsero e uccisero la
creatura, ma il commilitone era già stato fatto letteralmente a
brani.
Poi si fece udire un altro
ululato, questa volta vicinissimo ai due cavalieri. Era un grido
spettrale, raggelante, carico di ferocia.
Sbucò da un vicolo quello che
restava di una delle donne uccise: la sua bocca innaturalmente ampia
era una voragine nera, gli occhi rossi e spalancati sembravano quelli
di un demone. Le mani erano diventate grinfie adunche.
L'essere si accucciò per un
istante guatando i due, quindi balzò verso Hermann con uno strido,
le fauci che schioccavano bramose nell'aria.
Prima che potesse arrivare a
ghermirlo, Adalrich la afferrò per i capelli e la strappò
all'indietro. La creatura si torse, gli si avvinghiò, gli piantò i
denti in una spalla, e di nuovo l'usbergo impedì che essa potesse
ferirlo, anche se la stretta del morso fu tale che il cavaliere sentì
le ossa scricchiolare.
A questo punto intervenne
Hermann, che sfoderò il pugnale e glielo piantò nella schiena,
quindi recuperò l'arma, afferrò a sua volta la creatura per i
capelli e riuscì a decapitarla.
“Questi
affari fanno rimpiangere gli infedeli,” ansò, una volta che
l'essere ebbe finito di agitarsi. Poi sollevò lo sguardo sul
compagno e pose la solita domanda: “Sei ferito?”
Massaggiandosi la spalla,
Adalrich rispose: “Sto bene.” Poi, dopo una pausa: “E tu?”
“Bene
anch'io.”
In lontananza si sentiva una
cacofonia di richiami e urla, evidentemente una pattuglia di soldati
aveva stanato uno di quei mostri. Fecero per muoversi, ma lo strido
di agonia della creatura fece loro capire che la lotta era già
finita.
Calò di nuovo il silenzio.
Continuarono a girare per le vie del paese.
Solo quando il cielo cominciò a
schiarirsi i due cavalieri si concessero un po’ di riposo.
Rinfoderarono le spade, si tolsero gli elmi e si fecero scivolare
all’indietro i cappucci di maglia, quindi raccolsero la lanterna
ormai spenta si diressero verso la chiesa camminando fianco a fianco.
Strada facendo, incontrarono il
loro sergente, con il quale scambiarono qualche commento sulla notte
appena trascorsa.
“Uomini
e animali come impazziti,” disse alla fine il graduato, “una cosa
del genere non si era mai vista.”
“Abbiamo
avuto molte perdite?” chiese Adalrich.
“Quattro
uomini. Ma abbiamo ucciso tutti quelli che abbiamo visto.”
“Molto
bene, sergente Dorn. Ora portate i soldati a riposare. Ai caduti
penserà il prete.”
“Agli
ordini, cavaliere.”
I due continuarono. La gente
stava cominciando a uscire dalla chiesa, e di nuovo si ripeteva la
scena del giorno prima: si udivano i lamenti di chi si imbatteva nei
resti straziati dei propri cari, o trovava casa e armenti devastati.
Passarono accanto al corpo di uno
dei mostri. Era stato pietosamente coperto con un telo, ma ne usciva
una mano trasformatasi in artiglio.
“Tu
cosa pensi che siano?” chiese Hermann.
Adalrich non poté fare a meno di
rivolgergli uno sguardo carico di sospetto. “Perché lo chiedi a
me?” ringhiò.
L'altro alzò le spalle. “Ero
solo curioso. Perché all'improvviso gli abitanti di un pacifico
villaggio diventano mostri? Cosa sta succedendo?”
“E
io cosa posso saperne, secondo te?” fu la brusca risposta del
confratello.
Hermann si voltò verso di lui.
“Ma... cos'hai?”
Come al solito, la limpidezza
priva di malizia del compagno ebbe il potere di mandare Adalrich in
confusione. “Scusami,” disse soltanto. Gli girò le spalle.
L'altro gli pose una mano sul
braccio. “Che c'è?”
“Niente
di importante.”
Senza abbandonare la presa,
Hermann gli disse: “Ormai ti conosco troppo bene: tu ti sei fatto
l'idea che io ti volessi velatamente accusare di avere legami con la
stregoneria.”
Adalrich scosse la testa. “No,
questo mai.”
“Eppure...”
“È
che sono troppo teso, scusami. So che non volevi dirmi nulla del
genere, ma siccome tutti gli altri invece lo fanno, mi è venuto
istintivo difendermi.” Si allontanò di qualche passo, e per un po'
rimase in silenzio, dando l'impressione di essere assorto nei suoi
pensieri. Infine disse: “Innanzitutto bisognerebbe sapere se questa
cosa è cominciata quando siamo arrivati noi o se era successa anche
prima.”
“Secondo
te
è una pestilenza?”
“Non
lo so. Non ho mai visto niente del genere. Sembra che sia il morso di
quegli esseri a trasmettere il contagio.”
Hermann
annuì. Fissò lo sguardo sul cimitero devastato, poi disse:
“D’accordo, ma… chi ha contagiato il primo di essi?”
§
Giunti
al castello, i due si diressero con passo pesante verso la camera che
il barone aveva assegnato loro. Dal tramonto all’alba avevano
pattugliato il villaggio, affrontando anche vari combattimenti, ed
erano molto stanchi.
Adalrich,
in particolare, era anche dolorante. Per quanto non gli avessero
bucato nemmeno il gambeson, i due morsi che aveva ricevuto erano
stati come due tagliole che gli si erano strette addosso. Il dolore
era andato aumentando con il passare delle ore, e ormai il braccio
gli faceva così male che quasi non riusciva a muoverlo.
Entrò
nella stanza e con fatica si slacciò la cintura della spada, poi
lasciò cadere l’arma sul letto. Fece per togliersi l’usbergo, un
movimento che in condizioni normali avrebbe compiuto senza nemmeno
pensarci, ma provò una tale fitta di dolore che vide dei puntini
luminosi danzargli davanti agli occhi. Gli sfuggì un gemito.
Subito
Hermann si voltò verso di lui. “Che c’è?” gli chiese
preoccupato. Lo scrutò attento, percorrendolo ansioso con lo
sguardo, le sopracciglia appena aggrottate e gli occhi velati di
apprensione. Era chiaro che temeva una ferita da parte di quelle
creature malefiche.
L’altro
gli rivolse un debole sorriso. “Non preoccuparti, la pelle è
intatta. Però quegli affari mordono forte.”
“Dove
sei stato morso?”
“Al
braccio e alla spalla.”
Hermann
lo toccò dove stava indicando, poi premette leggermente. “Fa male
qui?” volle sapere.
Adalrich
accennò di sì con la testa.
“Purché
non sia rotto...” mormorò l’altro continuando a palpargli il
braccio.
“No,
non credo che lo sia. Però aiutami a togliere l’usbergo, per
favore.”
“D’accordo,
dammi le braccia.”
La
cotta di maglia si sfilò e si afflosciò a terra
“E
ora il gambeson, forza.”
Man
mano, gli indumenti si ammucchiavano al suolo. Ogni volta che Hermann
gli toglieva di dosso qualcosa, Adalrich doveva mordersi il labbro
per non lamentarsi. “Mi chiedo come farò a reggere la spada quando
arriverà la notte,” ansimò.
“Ci
penseremo quando sarà il momento. Ti ricordi quella battaglia…
come si chiamava? Quando hai combattuto per tutta la notte con una
freccia nel fianco.”
“Alla
fine mi ero quasi abituato. Mi ha fatto molto più male quando me
l’hanno tolta.”
“Lo
credo bene, è stato il sergente Dorn a strappartela via, ricordi?”
“Anche
se campassi mille anni, è ben difficile
che riesca a dimenticarmelo.”
I
due si scambiarono un fugace sorriso come d’intesa, poi Hermann
disse: “Adesso togliti la camicia, voglio vedere come sei conciato
lì sotto.”
L’indumento
raggiunse gli altri.
Sulla
pelle candida di Adalrich c’erano due enormi lividi, uno quasi nero
sull’avambraccio, e uno largo almeno un palmo sulla spalla, che si
estendeva sia sul petto che sulla scapola. Hermann lo sfiorò con le
dita, suscitando nel confratello un fremito di dolore. “Fa male?”
L’altro
accennò di sì a denti stretti.
“Ti
metto un po’ di unguento, d’accordo? È quello dei frati,
dovrebbe rimetterti a posto.”
Adalrich
si sedette sul letto. Non gli piaceva per nulla farsi assistere in
quel modo, nemmeno da Hermann. Non gli piaceva nemmeno che la gente
lo vedesse spogliato, e più per il suo colore cadaverico che per
l'imbarazzo della nudità. Emise un sospiro di disappunto.
“Faccio
subito,” gli assicurò l’altro.
Di
nuovo, il primo si soffermò a pensare a quanto fosse limpido,
gentile e generoso il suo confratello, e a quanto invece lui stesso
fosse torvo, rabbioso e sempre portato ad attribuire agli altri i
sentimenti più spregevoli.
Quando
era lui l’unico a essere spregevole.
Per
anni si era detto che il suo aspetto era una croce che Dio gli aveva
dato per renderlo più vicino a Cristo, tanto che alle volte quasi si
era insuperbito di essere così, ma probabilmente era piuttosto un
marchio, come quello di Caino, in modo che tutti potessero
riconoscerlo e stargli lontano.
“Adalrich?”
La voce di Hermann lo fece quasi sussultare.
“Eh?”
“Al
solito. Quando sei perso nei tuoi pensieri non dai ascolto a nessuno.
Ti stavo spiegando quali sono le piante che rendono questo medicinale
così efficace.” Gli mostrò una scatoletta di legno dalla quale
proveniva un penetrante odore di erbe officinali.
“Scusami.”
“Fa
niente, tanto ormai so come sei fatto. Ora però sta fermo e lasciami
lavorare.” Si sedette accanto a lui sul letto. “È un po’
freddo,” lo avvisò, quindi prese una generosa quantità di
unguento e gliela depose sulla contusione che aveva sulla spalla.
Adalrich
si costrinse a rimanere immobile. Dopo un po' si voltò verso il
compagno, che in quel momento era talmente vicino che poteva sentire
il suo respiro caldo sulla pelle. Gli fermò la mano che stava
spalmando il medicamento e a voce bassa gli disse: “Hermann, se una
di quelle cose mi mordesse, tu...”
L'altro
fece per ritrarsi, ma il primo strinse leggermente la presa. “Tu...
mi uccideresti?” Si voltò a fissarlo negli occhi.
Hermann
distolse lo sguardo. “Ma cosa stai dicendo?”
“Se
venissi morso, diventerei come quei mostri. Non voglio che succeda.”
“Adalrich,
io...”
Il
compagno lo zittì con un gesto, poi aggiunse: “Tu dirai che potrei
porre fine da solo alla mia vita, che non è giusto che io ti
obblighi a macchiarti di un peccato al posto mio, ma non so se una
volta morso sarei ancora in grado di ragionare. Ho bisogno di essere
sicuro che non farò del male a nessuno, ecco perché lo sto
chiedendo a te.” Poi, dopo una pausa: “Dio capirà.”
Hermann
rimase in silenzio.
“Se
venissi morso non sarei più io,” insisté Adalrich, “mi
trasformerei in una bestia senza discernimento. Dimmi che lo farai.”
L'altro
emise un lungo sospiro. La sua espressione si era indurita, le
sopracciglia erano aggrottate, e gettavano un'ombra cupa sugli occhi
altrimenti limpidi. Riprese a spalmare l'unguento. I movimenti,
dapprima lievi e quasi esitanti, si fecero via via più nervosi,
tanto che alla fine Adalrich genette di nuovo.
Hermann
ritrasse la mano come se l'avesse posta sul ferro rovente. “Scusami.”
“Non
fa nulla.”
“Vorrei
poterti dire che lo farò,” sospirò l'altro alzandosi e mettendosi
a guardare fuori dalla finestra, “E so che sarebbe giusto farlo,
sarebbe un atto di pietà, se tu fossi colpito da quel morbo.” Fece
una pausa. “Forse sarebbe l'atto d'amore più grande.” Di nuovo
tacque. Adalrich, ancora seduto sul letto, vide i muscoli tendersi
sulle sue mascelle. “La verità è che non so se ce la farei.”
disse infine.
“Siamo
cavalieri, la nostra vita è al servizio di Dio. I nostri sentimenti
non contano.”
“Ma
siamo anche uomini, Adalrich, e tu mi stai chiedendo se ucciderei la
persona che amo di più al mondo. Non so se la mia mano e il mio
cuore riuscirebbero a fare ciò che la ragione, pur nel giusto,
ordinerebbe loro.”
L'altro
si alzò e lo raggiunse. Si mise al suo fianco, così vicino che le
loro spalle si sfioravano, e rimasero per un po' in silenzio a
guardare fuori. Alla fine, a voce bassa disse: “È lo stesso anche
per me, Hermann. Credi che mi sarebbe facile ucciderti, se per caso
una di quelle cose ti mordesse? Eppure lo farei.”
Tacquero
così a lungo che sembrava si fossero trasformati in due statue.
Fuori il sole brillava, si udivano lo stormire gentile delle fronde e
il cinguettio degli uccelli.
Alla
fine, Hermann diede un colpetto con la spalla al compagno e disse:
“Ma non indugiamo adesso su pensieri così foschi. Siamo cavalieri,
sono anni che viviamo con la spada in mano: se sarà necessario
faremo la cosa giusta, ne sono sicuro. E adesso va' a sederti, che
devo finire di spalmarti l'unguento.”
Adalrich
obbedì, grato all'amico per la sua capacità di alleggerire ogni
atmosfera cupa, più che per quel graveolente linimento che insisteva
con tanta pervicacia ad applicargli.
§
Padre
Caspar fece cenno ai contadini di buttare le fascine sulla pira che
stava facendo allestire. Se le cose fossero andate avanti di quel
passo, presto non sarebbe più rimasta legna per l'inverno. E
probabilmente non sarebbe rimasto più nessuno ad accendere dei
focolari.
Ogni
mattina era necessario bruciare sul rogo le spoglie di chi era
rimasto vittima del morbo. I cavalieri e i loro soldati pattugliavano
il villaggio tutte le notti, ma chissà come, quelle creature
malefiche e votate al Demonio trovavano ogni volta il modo di
spargere il loro infame contagio tra gli abitanti di Dürnau.
Forse
qualcuno, invece di combattere la presenza del Demonio, la stava
favorendo, chissà. Si rallegrò del fatto che presto sarebbe
arrivato un inquisitore inviato proprio dal vescovo di Fulda, una
persona notoriamente molto attenta alle contaminazioni da parte di
Satana.
Avvicinò
la torcia alla catasta, che impregnata di pece com'era prese subito
ad ardere crepitando. Avvolti nei sudari, i corpi delle vittime
cominciarono a consumarsi.
Quando
il calore divenne insopportabile, il prete si allontanò di qualche
passo, pur continuando a tenere d'occhio il rogo.
Mentre
era impegnato in quel gravoso compito, udì rumore di zoccoli. Si
voltò e vide che erano in arrivo il barone e suo figlio. Li salutò
con un inchino del busto.
Entrambi
avevano l'espressione preoccupata, ma il prete poteva supporre che i
motivi fossero del tutto diversi: il primo era giustamente in
apprensione per la sorte dei paesani. Come feudatario spettava a lui
proteggerli, in cambio del lavoro e delle tasse che essi gli
dovevano, ma pur con tutta la buona volontà non ci stava riuscendo,
e quelle fiamme che ora si levavano così rabbiose rappresentavano
principalmente una crepitante accusa nei suoi confronti.
Il
giovane Konrad, invece, era sicuramente inquieto per tutt'altro
motivo: dato il morbo che imperversava su Dürnau, egli vedeva
sfumare la possibilità di darsi alla bella vita a Norimberga, tra
letture di poesia e femmine compiacenti.
Il prete faticò a nascondere il
proprio disprezzo: una creatura fatua e sciocca, che davvero non
riusciva a immaginare come futuro feudatario di Dürnau.
La voce di Ulrich von Obenstein
lo distolse dai suoi pensieri: “Ebbene, padre, cosa pensate di
tutto questo?”
Il sacerdote sospirò: “Il
Signore ci mette alla prova. Ma del resto, l'uomo nasce per soffrire,
come la favilla per volare in alto[1].” Si interruppe, fece cenno a
uno dei contadini che lo assistevano di spingere vicino al rogo le
braci che ne erano rotolate via, poi compunto proseguì: “Sarà
quel che Dio vuole.”
Il
barone non replicò.
Il
prete gli rivolse un'occhiata, aprì la bocca come per dire qualcosa,
poi ci ripensò. Aveva in tasca la risposta del vescovo di Fulda: era
in arrivo padre Gerold, noto
per essere il più grande nemico delle opere del Demonio. Ci avrebbe
pensato lui, a sistemare le cose.
[1] Giobbe 5:7 – 17
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