I
Tum…
Lo sento. Un suono dolce e
caldo.
Tum…
Un suono che mi fa sentire
viva…libera.
Tum…
È dolore. Rammarico
Tum…
Una catena che si spezza.
Tum…
Ora sono libera, anche se…ho un
rimpianto. Non averti detto la verità.
Ningen.
Questa parola ancora rimbomba nella mia mente. Perché?
Per quale motivo?
Ho tante domande mi roteano in mente ma nessuna risposta.
Come: chi sei sconosciuto della piazza?
Perché quella parola ha fatto vibrare il mio corpo? Perché?
“No! Ora basta! Se continuo così, divento pazza!”.
Mi dico mentre lascio che, l’acqua della doccia scivoli sul mio corpo.
L’acqua dolcemente fa andar via quella parola dalla mia mente.
“Devo lavorare.”. Sussurro.
Già, lavorare. Sono in ritardo di due settimane con le foto da inviare
alla redazione e ancora non ho terminato nulla. Cavoli!
“Katia sei davvero in un mare di guai”.
Mi dico ridendo sarcastica, mentre mi avvolgo in un soffice telo da
bagno che profuma di sapone di marsiglia.
Esco dal bagno e mi dirigo in salone dove, una borsa nera è poggiata
accanto al divano. So bene cosa c’è e ne sono consapevole che,
nell’ultimo periodo non l’ho toccata come oggi.
Sospiro e mi avvicino a essa, afferro la cinghia e la alzo. Alzo un
sopracciglio mentre corruccio le labbra.
“Sono davvero nei guai”.
Mi ripeto mentre la osservo, quando il telefono squilla facendomi
girare. So chi è, infatti, alzo gli occhi al cielo.
“James”. Sospiro avvilita.
Lo lascio squillare fino a far partire la segreteria telefonica.
[Katia, sono io James…].
“Ma va? Non lo sapevo”. Penso
sarcastica.
[…allora le foto sono pronte? Sai il 25 agosto si avvicina e il
direttore non sarà più clemente con te! Perciò sbrigati!].
Chiuse la chiamata. Già la scadenza è vicina ed io non ho combinato
nulla…solo poche foto scattate mesi fa. Sospiro, mentre ripoggio a
terra la borsa.
“Beh, domani rimedierò…lo giuro”.
Sospiro, mentre vado in stanza da letto. Ho davvero bisogno di dormire.
Mi vesto e m’infilo sotto le lenzuola, quando la mente mi fa ricordare
lui.
Afferro il cuscino e lo metto sulla testa, mentre mi urlo di non
pensare a lui.
“Che cavolo!”.
Beh, la notte passa veloce, anche se non ho dormito per nulla. Mi sento
uno straccio, ma devo lavorare.
Afferro la borsa e mi dirigo di nuovo al paesino, quando mi dico.
“Chissà forse ho la fortuna di
rivederlo…”.
Già, vorrei vedere il viso di quell’uomo che, ha destato in me un
brivido…di un antico ricordo.
La giornata scorre tranquilla, ma di lui niente.
Sospiro, mentre scatto l’ultima foto di un anziano uomo che lento
intreccia dei rami di salice per ricreare un paniere. Mi trovo ad
ammirarlo.
Scatto e riscatto. Il rumore metallico della mia compagna mi fa
piombare in un mondo magico.
Di libertà.
Già con lei mi sento libera…
Sorrido compiaciuta, mentre entro in macchina e ritorno a casa.
“Stavolta James sarà felice…ho
scattato un sacco di foto”.
Sorrido, mentre apro la porta di casa. Entro e poggio la borsa sul
divano, mentre vado in bagno.
“Ora serve una doccia, un buon pasto e poi…si torna a lavorare”.
Mi lavo veloce e mangio un pasto frugale, fatto di un panino e un buon
bicchiere di vino bianco. Adoro il vino bianco così fresco e dolce,
quello rosso…beh, mi ricorda il sangue e questo non mi piace molto.
Afferro la mia borsa, faccio scivolare la zip e tolgo fuori la mia
compagna. Mi volto e mi dirigo verso il mio computer.
“Ora si lavora”. Mi dico.
Poggio la macchina sulla scrivania. Accendo il pc, mi siedo e attendo
bevendo un altro sorso di vino.
“Avrei voluto vederti”.
Mi trovo a pensare mentre il monitor s’illumina. Sospiro scuotendo il
capo.
“Devo lavorare”. Sibilo.
Attacco il cavetto al computer e comincio la mia cernita di foto da
inviare. Mi sento soddisfatta, quando il mio sguardo cade sull’icona
d’internet.
Mi fermo a guardarla qualche istante, quando.
“Sono curiosa di sapere il termine di ningen. Beh, una piccola
pausa me la posso concedere o no?”.
Mi dico, mentre cerco su Google il termine. Sono curiosa come non mai.
Perché?
Varie voci fuoriescono, legate per di più ad antiche credenze…quando…
“Il termine
ningen era utilizzato, in modo dispregiativo, da entità sovrannaturali
come gli youkai per definire la razza inferiore a loro, cioè, quella
umana.”.
“Youkai”.
Sussurrai, mentre continuavo a leggere, quando mi trovai a dire.
“Quell’uomo…no, non può essere!”.
Urlo, mentre mi alzo dalla sedia.
“Non può essere!”.
Mi trovo a ridere.
“Katia sei davvero una stupida…esseri così non esistono! Quel tipo ti
prendeva in giro…anche se…quella parola…”.
Chiudo gli occhi e cerco di scacciare quella dannata parola dalla mia
testa. È tutto così assurdo. Troppo assurdo.
Sospiro e riapro gli occhi.
“Devo lavorare”.
Mi risiedo, chiudo la finestra e ricomincio a lavorare, anche se quella
sensazione riamane.
E se fosse vero? Se quell’uomo fosse uno spirito nella cultura
nipponica?
Quante domande che aspettano una giusta risposta. Una risposta per il
mio animo…
Continua…
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