CAPITOLO
QUATTRO
Alice
uscì
dall'ufficio di sua madre come una furia, sbattendo la porta e
allontanandosi a grandi passi. Charlie guardò Rebekah, senza
sapere
cosa dire. Da un lato dava ragione ad Alice. Non doveva essere bello
passare da salvatrice del mondo a babysitter di una Necromante
petulante.
«Va'
anche tu,» disse la Monroe, sospirando pesantemente
«Proverò a
calmarla più tardi.»
Charlie
raccolse il suo zaino da terra e cominciò ad allontanarsi.
Ma si
fermò proprio davanti alla porta, girandosi nuovamente verso
l'altra. Si umettò le labbra e guardò in basso,
nervosa.
«Potrei
andare a vedere Linn?»
Dopo
qualche secondo di silenzio, Charlie rialzò lo sguardo. Il
viso
della donna si era addolcito, e le stava sorridendo «Ma
certo. In
realtà non ti ho permesso di andare prima solo
perché il Consiglio
me lo impediva. E Charlie,» disse, alzandosi dalla sedia
«Tu non
c'entri niente con quello che è successo l'altra sera. Di
questo ne
sono sicura.»
Anche
Charlie sorrise, un sorriso a metà che a stento le raggiunse
gli
occhi.
«Grazie,»
disse, e se ne andò.
L'infermeria
era esattamente dall'altra parte della villa in cui abitavano. Non
era una vera e propria infermeria, in realtà: la Direttrice
Monroe
aveva usato una stanza sufficientemente grande che potesse contenere
cinque letti e abbastanza kit da pronto soccorso o qualunque cosa
sarebbe potuta servire in caso di emergenza; risaliva a quando aveva
deciso di trasformare la magione di famiglia in una comunità
in cui
ospitare giovani Elementali – e Necromanti, nel caso di
Charlie –
che avevano perso i loro genitori o che comunque si trovavano in
difficoltà. Proprio come Alice, l'orfana di guerra che aveva
adottato e che si era poi rivelata essere lo strumento più
importante per la vittoria.
Charlie
entrò piano, cercando di non fare rumore. Seduto su una
poltrona in
un angolo c'era Meyer, un ragazzo che aveva vissuto lì e che
dopo
essersi diplomato aveva deciso di restare per dare una mano. Non fece
cenno di aver notato la presenza di Charlie. Stava sfogliando con
poco interesse una rivista umana. Charlie si chiese come facesse a
leggere: tutte le tapparelle erano abbassate e la stanza era in una
penombra troppo fitta perché si riuscisse a distinguere
qualcosa. Il
poco sole che filtrava era bloccato dalle tende e non bastava
comunque a illuminare la stanza. C'era solo una piccola luce accesa,
sul comodino dell'unico letto occupato.
E
lì, pallida e con gli occhi chiusi, c'era Linn.
A
Charlie venne quasi da piangere.
Sembrava
stesse dormendo, come se una piccola spinta o un attacco di solletico
avessero potuto svegliarla. Linn aveva sempre avuto il sonno
più
leggero che Charlie avesse mai visto, persino più leggero
del suo;
bastava una porta chiusa con un po' troppa forza alla fine del
corridoio perché lei si svegliasse in un grugnito. Charlie a
volte
la trovava a vagare per la loro camera alle quattro del mattino,
incapace di riaddormentarsi.
Questa
volta, però, non si sarebbe svegliata.
Linn
si sveglierà,
Charlie ricordò a se stessa, Solo
non subito. Ma prima o poi si sveglierà. Si
sedette sul bordo del letto, zaino abbandonato per terra, e
cominciò
ad accarezzare i capelli di Linn; erano umidi, come se fossero stati
appena lavati. Probabilmente qualcuno si era occupato di lei.
«È
stabile,» disse Meyer, alzando gli occhi dalla rivista.
Charlie si
girò verso di lui e si costrinse a ingoiare il nodo che le
si era
formato in gola «Anzi, è perfettamente in salute.
Ma non riusciamo
a svegliarla, è come se la sua mente fosse da qualche altra
parte.
Tra qualche giorno dovrebbe arrivare una specialista; vedremo se lei
riuscirà a fare qualcosa.»
Charlie
annuì, e si girò di nuovo verso Linn. È
come se la sua mente fosse da qualche altra parte.
Ma
sarebbero riusciti a riportarla di qua.
Dovevano.
Era
appena mezzogiorno e Charlie era già esausta. Dopo essere
andata a
rubare qualcosa dalla cucina, tornò in camera sua
strascicando i
piedi e trascinandosi tra i corridoi come uno zombie. Aveva davvero
bisogno di dormire.
Ma,
a quanto pareva, il suo letto era occupato da qualcun altro.
Aaron
stava dormendo placidamente sopra le coperte, un sorriso d'angelo a
nascondere il suo animo da diavoletto. Questa volta era in forma
umana: un bambino cicciottello con il pigiama di Batman e dei ricci
così belli da far invidia a quelli di Linn. Ma come mai non
era a
scuola? Probabilmente si sarà trasformato in gatto
per scappare
dalla finestra del bagno.
Charlie
sorrise, e gli diede un bacio sulla fronte senza svegliarlo. Poi si
spogliò e si infilò un paio di pantaloni comodi e
una delle felpe
di Linn. Aveva ancora addosso il suo odore. Charlie si strinse nella
felpa, guardò di nuovo Aaron e abbandonò a
malincuore l'idea di
fare un pisolino. Non sarebbe mai riuscita a dormire sul letto di
Linn. Recuperò invece dal cassetto un piccolo cristallo
verde
attaccato ad una catenina, e se lo allacciò al collo. Poi
uscì
dalla camera, chiudendo lievemente la porta.
Adesso
non le restava che trovare Alice.
Non
sapendo esattamente dove cercarla, provò per prima in camera
sua.
Non era molto distante da quella di Charlie: soltanto un rampa di
scale e un corridoio che era sempre stato, per lei, off-limits. Su
quel piano c'era anche la stanza della Direttrice Monroe; ma
avrebbero potuto disturbarla solo in casi di assoluta
emergenza.
Charlie
bussò alla porta di Alice, ottenendo qualche parola di
troppo in
risposta e un «Vattene via,
mamma!» gridato
ma attutito da quello che doveva essere indiscutibilmente un cuscino.
«Non
sono tua madre,»
disse Charlie.
«Gesù,
devi cominciare a lagnarti fin da subito?»
Per
essere la Prescelta si comportava proprio come qualsiasi altra
adolescente. A Charlie venne quasi da ridere.
«Posso
entrare?»
Silenzio.
«Oh,
avanti, Monroe, non facciamone una questione di-»
La
porta si spalancò e Charlie vide Alice con i capelli
arruffati e una
mano sulla maniglia. Dallo sguardo sembrava pronta a uccidere
qualcuno. Dietro di lei, un letto sfatto e una poltrona con una
valigia aperta ma ancora da disfare.
«Perché
non riesco più a sentire i tuoi pensieri?» chiese
Alice.
Charlie
sorrise soddisfatta, e tirò fuori da sotto la felpa il
cristallo che
si era messa al collo «Scudo mentale. Anzi, oserei dire Elementale.
Watson.»
Alice
alzò gli occhi al cielo.
«Che
vuoi, Black?»
«Posso
entrare?»
Alice
inarcò un sopracciglio, ma si fece da parte per farla
passare.
Charlie entrò, e ciò che vide la
lasciò sorpresa. La camera di
Alice non era grandissima, ma ogni singolo centimetro era stato
sfruttato al massimo. Le pareti erano di un blu chiaro a
metà tra il
cielo estivo e un mare limpidissimo. Un letto matrimoniale
troneggiava su tutto e una grande finestra col bovindo inondava di
luce la stanza. Invece di quadri, alle pareti c'erano appese armi;
arco e frecce, pistole, coltelli, daghe, e uno spazio libero per la
spada che Alice aveva portato a scuola e che adesso era appoggiata
sul letto. E poi c'erano libri. Libri ovunque: la libreria ne
straripava, e anche sulla scrivania e sul comodino accanto al letto
ce ne erano diverse pile. Trattavano di qualsiasi argomento: da
romanzi in lingue straniere a manuali di magia. Dominio
elementale
di base. Teoria del viaggio trans-spaziale e applicazioni pratiche.
Tecniche di combattimento elementale VII. Ma quelli
più numerosi
erano i libri sul fuoco. Dominio del fuoco avanzato. Fuoco e
luce.
Principi di correlazione tra fuoco e altri elementi primari.
«Il
tuo elemento è il fuoco, vero?» disse Charlie,
mentre sfiorava in
punta di dita la costa di Pirocinesi applicata.
«Che
occhio,» commentò Alice.
Un
altro libro catturò l'attenzione di Charlie. Evocazione
di base.
«Studi
anche Necromanzia?»
«Per
sconfiggere un nemico bisogna prima di tutto conoscerlo,»
disse
Alice. Si appoggiò alla porta con fare svogliato guardando
Charlie
dritto negli occhi «Ora, hai intenzione di
dirmi perché sei
qui o vuoi passare la giornata a sbirciare tra la mia roba?»
Charlie
si fermò, girandosi completamente verso di lei.
Infilò le mani
nella tasca della felpa, i piedi coperti solo dalle calze che
fremevano.
«Ho
una proposta da farti,» cominciò Charlie
«Tu non vuoi stare qui e
io vorrei avere un minimo di vita privata»
«Vai
avanti,» disse Alice, mettendosi dritta.
«La
mia proposta quindi è: tu mi aiuti a provare che sono
innocente così
te ne puoi tornare in Grecia a uccidere chimere evocate o qualunque
cosa tu stessi facendo prima di venire qui»
Alice
la guardò scettica, questa volta con entrambe le
sopracciglia
alzate. «Avrebbe senso se non ti credessi colpevole»
Charlie
sbuffò e cominciò a guardarsi in giro. La valigia
ancora piena di
vestiti, il letto fatto, l'assenza di un minimo elemento che rendesse
quella camera veramente vissuta. Sembrava più un magazzino
che la
stanza di un'adolescente.
«Si
vede che non vuoi stare qui, allora perché non cogli
l'occasione?»
Alice
alzò gli occhi al cielo e si buttò di schiena sul
letto, evitando
per un pelo la sua spada. Fissava il soffitto con gli occhi
esageratamente aperti. Charlie non aveva bisogno di leggerle la mente
per capire che era ancora arrabbiata.
«Perché
tu non c'entri niente, ti sei solo trovata in mezzo» Charlie
aggrottò la fronte. Alice piegò la testa verso di
lei, e spiegò:
«Tra due mesi è il mio compleanno»
Okay...
«E
allora?»
Alice
schioccò la lingua, stizzita «È
il mio diciannovesimo
compleanno»
Oh.
Quello
spiegava molte cose.
Avrebbe
potuto spiegare anche quanto successo alla festa, in realtà.
Charlie
si morse il labbro e si sedette su un angolo del letto, silenziosa.
Alice la guardò male, ma non disse niente.
Secondo
la Profezia, il diciannovesimo compleanno della «Prescelta
con l'inferno negli occhi»
avrebbe segnato l'inizio della battaglia finale tra Elementali e
Necromanti. Era una guerra che andava avanti da secoli. Andava avanti
da sempre. Certo, i Necromanti avevano subito una sconfitta cocente
quattro anni prima quando i Black erano stati annientati –
con
l'aiuto di Charlie – ma erano ancora molte le carte da
mettere sul
tavolo . Negli ultimi tempi le attività di Necromanzia si
erano
moltiplicate in tutto il mondo. Quanto accaduto qualche sera prima
non era stato altro che uno tra i tanti massacri. Era per questo che
Alice non tornava a casa da mesi: il Consiglio continuava a mandare
lei e la sua squadra nelle zone a più alta
attività necromantica
per tentare di arginare le perdite. In confronto ad altre parti del
mondo, la loro era una zona felice. Il Consiglio faceva in modo che
lo fosse.
«Anche
se tu non avessi combinato tutto questo casino, il Consiglio mi
avrebbe comunque rimandato a casa,» disse Alice, sguardo
perso nel
vuoto «Vogliono tenermi sotto controllo. Hanno paura che
venga
tentata e mi schieri dalla parte dei Necromanti.»
Charlie
annuì, sovrappensiero.
«Il
giorno in cui mi schierai dalla parte degli Elementali e del
Consiglio – il giorno in cui mi schierai dalla parte del Bene,
scelsi di tradire la mia famiglia,» disse
Charlie, guardando
dritto a sé «Scelsi di andare contro l'unica
realtà che fino ad
allora avessi conosciuto. Scelsi di sottopormi all'inflizione del
Marchio per non essere totalmente cacciata nel mondo degli umani,
nonostante sapessi perfettamente che cosa significasse.» Si
girò
verso Alice, una mano che corse automaticamente a toccare la stoffa
che premeva contro le sue scapole «Tu non hai idea di cosa
sia avere
questa... cosa
dentro di te.
È come perdere te stessa»
«Perché
mi stai dicendo tutto questo?»
chiese Alice, ma il suo viso, forse per la prima volta, era neutrale.
«Perché
voglio che tu capisca che non manderei mai tutto a puttane per una
cosa così stupida come un'Evocazione da quattro soldi che
avrebbe e
di fatto ha messo in pericolo i miei unici amici
– e
onestamente? Con questo Marchio non sarei mai riuscita a
farla,» fu
costretta ad ammettere Charlie «I miei poteri da Necromante
sono
totalmente sopiti.»
Alice
schioccò la lingua, stette stesa in silenzio, poi
sospirò
profondamente.
Lo
stomaco di Charlie brontolò rumorosamente.
Alice
sbuffò, quindi si alzò e indicò con un
cenno del capo la porta
chiusa.
«Forse
è meglio se andiamo a mangiare»
Non
aspettò risposta da Charlie; aprì la porta e se
ne andò via.
Charlie
chiuse gli occhi. Non è andata proprio come speravo.
Poi si alzò anche lei e scese in cucina per il pranzo.
Charlie
stava tentando di studiare fisica in soggiorno quando una Maya
scatenata scese al volo le scale, urlando divertita mentre un gatto
nero la rincorreva. Aaron. Charlie sorrise. Quei due erano dei
terremoti.
«Charlie!»
esclamò Maya col fiatone, appoggiandosi al tavolo per
riprendersi un
poco. Charlie appoggiò la penna e si girò verso
di lei. «Dov'è?»
«Dov'è
chi?» chiese Charlie, anche se aveva già una mezza
idea di chi
potesse star parlando.
«Aleister
ovviamente! Voglio l'autografo,» le confessò Maya
con aria sognante
«Quando è tornata l'anno scorso io ero in
campeggio. Le mie amiche
ne saranno così invidiose!»
Charlie,
però, non aveva visto Alice da quando avevano pranzato
assieme. La
Direttrice Monroe, trovandole sedute a tavola una di fronte
all'altra, le aveva guardate in maniera strana, ma non aveva detto
niente. Si era seduta accanto a loro e si era presa un piatto della
deliziosa pasta che aveva cucinato Mrs Crane. Dopo pranzo, Alice era
sparita chissà dove; Charlie aveva sentito il rombo della
sua moto
allontanarsi lungo la strada. Gran bella babysitter, eh.
«Credo
debba ancora tornare a casa,» le rispose Charlie. Aaron le
balzò in
grembo e cominciò a strusciare la testolina contro le sue
gambe.
Charlie gli fece i grattini dietro le orecchie, allungandogli un
biscotto.
«Uffa»
Maya si sedette accanto a Charlie, appoggiando penna e quaderno sul
tavolo. Si mise anche lei a sgranocchiare biscotti mentre Charlie si
arrendeva definitivamente e chiudeva i libri in uno sbuffo.
«È
andata da qualche parte nel Mercato delle Due per conto del
Consiglio,» disse Jacob, seduto all'altro capo del tavolo a
leggere
svogliatamente dei sonetti di Shakespeare per scuola
«Dovrebbe
tornare da un momento all'altro»
«Come
fai a saperlo?» chiese Maya tra un morso e l'altro. Jacob la
guardò
schioccando la lingua.
«L'ho
Visto, ovviamente.»
Charlie
alzò lo sguardo verso di lui, mordendosi il labbro. Gli
aveva sempre
invidiato l'Elemento che padroneggiava, l'Acqua: oltre alle mille
altre cose, era in grado di vedere riflessi degli eventi presenti,
passati e futuri in qualsiasi specchio d'acqua, anche una semplice
tazza piena. Era quel genere di potere che a Charlie avrebbe fatto
comodo, specialmente in una situazione come quella. Avrebbe potuto
provare la sua innocenza una volta per tutte. Peccato servissero anni
e anni perché potesse diventare un'abilità
affidabile; il più
delle volte tendeva a mostrare solo alcuni aspetti degli eventi, che
Charlie era certa non sarebbero riusciti ad aiutarla. Una notte di
forse tre anni prima aveva chiesto a Jacob se avesse mai Visto la
fine della guerra. Se fosse stato ancora vivo, sarebbe stato il
compleanno di suo fratello Adam. Lei lo aveva passato a letto con le
tende chiuse e gli occhi rossi di pianto per ciò che in
fondo non
aveva mai avuto. Anche Linn, dopo aver provato per un po' a
consolarla, ci aveva rinunciato.
«Non
sono del tutto sicuro che ci sarà una fine,» le
aveva risposto
Jacob con la fronte corrucciata, una volta che Charlie aveva trovato
la forza di scendere dal letto «Quando ci provo tutto
ciò che vedo
è il nero»
Il
rombo dell'Harley Davidson di Alice che correva sulla strada sterrata
la riportò alla realtà. Charlie scosse la testa e
strizzò gli
occhi. Maya schizzò giù dalla sedia,
recuperò la penna e il
quaderno e si avviò trotterellando verso il garage, Aaron in
coda.
Charlie li seguì con lo sguardo e un mezzo sorriso. Poi si
rigirò
verso Jacob.
«Non
mi parlare, Black» la bloccò con voce seccata lui
ancora prima che
potesse aprire bocca. Prese il suo libro in mano e si alzò
spostando
rumorosamente la sedia, e si allontanò dal soggiorno,
lasciando
Charlie da sola.
Charlie
non riusciva a dormire. Era la quarta notte che non chiudeva occhio,
ed erano già le due. Aveva davvero bisogno di farsi un
pisolino
lungo diciotto ore.
Stava
ascoltando la musica a tutto volume quando una cosa
sulla sua
spalla la fece trasalire. Aprì gli occhi di scatto e si
cavò le
cuffie con uno strattone, mano già sotto al cuscino per il
pugnale
che però non teneva più lì da quando
se n'era andata di casa.
Certe abitudini erano dure a morire.
Al
diavolo il Marchio tra le sue scapole. Avrebbe preferito un'ustione
di terzo grado alla morte. Stava già radunando le energie
che
riusciva a racimolare sulla punta delle dita, quando si accorse
effettivamente di cosa l'avesse disturbata.
Alice.
Solo
Alice.
«Gesù,
Black, avrò bussato almeno venti volte.» L'unica
luce che proveniva
dal corridoio sempre illuminato lasciava lunghe ombre su tutto il
corpo di Alice. Charlie non riusciva a vederla in faccia; ma sapeva
che aveva un sopracciglio alzato. Pareva essere il suo marchio di
fabbrica.
«Che
vuoi?» chiese Charlie, stizzita.
«Ho
considerato la tua proposta,» disse Alice, poi chiuse la
porta e
accese la luce. Si sedette sul letto di Linn; Charlie si
irrigidì
«Rilassati, santo cielo. Non è ancora
morta.» Si appoggiò al
muro, le gambe che penzolavano dal materasso e che Alice faceva
dondolare come una bambina «Allora. Se io ti aiuto, poi cosa
ottengo
in cambio?»
Charlie
aggrottò la fronte, e si mise a gambe incrociate sul letto.
«In che
senso?»
Alice
la guardò «Nel senso che se io faccio questa cosa
per me, tu devi
fare qualcosa per me.»
«Ti
ho già detto quale sarebbe la tua parte: te ne torneresti da
dovunque tu sia venuta.» Okay, forse le era venuta fuori un
po'
male.
«E
io ti ho già detto che non sono qui solo per te, il
Consiglio non mi
lascerà mai ripartire. Cosa mi dai quindi in
cambio?»
Charlie
ci pensò su. Non aveva molto da offrire, in
realtà. Tutto quello
che aveva era in quella stanza. Ciò che aveva lasciato a
casa sua
era ormai irrecuperabile. Ma forse c'era qualcosa...
«Potrei
darti una mano con Necromanzia.»
Alice
scoppiò a ridere, una risata sarcastica e cattiva.
«Figuriamoci.
Una Necromante Marchiata è completamente inutile.»
«Questo
non è vero.»
Alice
sbuffò; era palese che non le credesse. Charlie allora
chiuse gli
occhi.
Il
Marchio era la pena che tutti i Necromanti dovevano scontare per aver
salva la vita e poter vivere nel mondo Elementale, invece di essere
costretti a nascondersi in quello umano. In base alla forza del
Necromante sedava quasi del tutto i suoi poteri; gli unici a cui si
poteva aver accesso erano le briciole di potere Elementale che tutti
avevano in sé. Charlie, però, era sempre riuscita
a eludere, almeno
in parte, le regole: riusciva a raggiungere un filo del suo vero
potere per rinforzare i suoi incantesimi – o almeno non farli
sembrare totalmente ridicoli. Soltanto così era riuscita a
produrre
una Compulsione abbastanza potente da convincere il buttafuori della
festa a farla entrare. Se non ne fosse stata capace, probabilmente a
quest'ora sarebbero stati tutti morti.
Ma
non era questo ciò che voleva dire ad Alice. Anzi: se
l'avessero
scoperta le ripercussioni sarebbero state di certo terribili.
«Che
cosa vuoi fare?» disse Alice, sembrando all'erta.
«Niente.»
Charlie riaprì gli occhi, un sorriso soddisfatto sulle
labbra «Se i
Necromanti Marchiati sono così inutili, perché tu
ti sei
spaventata?»
Alice
assottigliò lo sguardo, gli occhi diventati due lame azzurre
che
scintillavano nella poca luce, e scosse la testa.
Poi
tese la mano a Charlie.
«Affare
fatto»
Charlie
gliela strinse, cercando di trattenere il sorriso.
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