Veterani a raccolta

di Ellery
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6. La morte e il bambino


* Cowt8 - Week 4
* Fazione: Langley - Prompt: morte

* Parole: 1028
* Personaggi coinvolti: Levi, Kenny



Levi sedette nuovamente ai piedi del letto, rannicchiando le gambe al petto. Si sforzò di non guardare oltre le proprie spalle, dove la figura giaceva ancora avvolta dal lenzuolo consumato.

Quanto era passato? Non avrebbe saputo dirlo. Aveva perso il conto delle ore, ormai; il dormiveglia costante non aveva aiutato, anzi… lo aveva spinto sempre di più ad ignorare il trascorrere del tempo. Sua madre se n’era andata da almeno un paio di giorni. L’aveva vista spegnersi lentamente, come una candela posta sotto ad un bicchiere. Kuchel aveva consumato tutto l’ossigeno, finché la morte non l’aveva portata via.

Era malata da parecchio, ma il suo corpo si era sempre rifiutato di cedere. Aveva stretto i denti, la donna… ignorato sofferenze ed ingoiato umiliazioni, pur di andare avanti; l’aveva fatto soltanto per lui. Meritava davvero un sacrificio simile? Non lo sapeva. Non si era mai posto quella domanda, non prima di toccare la mano che penzolava inerte dal bordo del letto.

Quando era rientrato in camera, una delle sere addietro, l’aveva trovata stesa sul letto, con gli occhi sbarrati e fissi sul soffitto. Un braccio era scivolato fuori dalle coperte. Le labbra, bagnate di sangue, erano dischiuse nell’ombra dell’ultimo respiro.

Era sceso in fretta Levi, senza nemmeno chiudere la porta. Aveva abbandonato la zona camere del bordello correndo rapidamente verso il piano sottostante. Era sbucato nella sala principale, dove alcune prostitute si stavano esibendo in una pittoresca danza senza veli. Aveva provato a chiamarle, a gridare aiuto, ma nessuno l’aveva ascoltato. Anzi, alcuni avventori l’avevano pure guardato storto: chi era quel mocciosetto e cosa ci faceva in un posto simile? Ah, beh… era il figlio di Olympia, una delle tante puttane. Perché era lì? La madre non aveva voluto abortire, malgrado i consigli di tutti. Era l’unico bambino della casa? Si, ovviamente. Le altre ragazze non erano così stupide da farsi ingravidare dal primo che passava.

Non aveva badato a quei discorsi, zizzagando tra i tavoli e continuando a chiedere aiuto. Ricordava soltanto una grossa mano che lo afferrava per una spalla e lo sbatteva fuori dalla porta. Si era ritrovato in strada, ma non si era perso d’animo. Aveva corso a perdifiato, cercando qualcuno disposto ad ascoltarlo. Gli abitanti dei bassifondi, però, lo avevano fissato come fosse uno scarafaggio impazzito. Nessuno gli aveva dato retta, men che meno conforto. Lo avevano guardato correre scalzo sui ciottoli affilati, senza curarsi dei taglietti che si aprivano sui piedi minuscoli. Non uno gli aveva offerto la giacca o un mantello con cui ripararsi: lo avevano lasciato congelare nel freddo dell’inverno, coperto solo di una lunga e logora camicia.

Quanto era durata quella ricerca disperata? Non ne aveva idea. Si era ritrovato, ad un tratto, tra le braccia di un anziano signore. Si era stretto alle sue spalle, affondando il viso tra la camicia e la morbida barba bianca. Aveva versato tutte le lacrime che possedeva, singhiozzando e tremando. Le parole, rotte dal pianto, erano infine sgorgate. L’uomo lo aveva preso per mano, conducendolo oltre una stretta curva a gomito. Avevano raggiunto insieme la casa di una guaritrice – una cialtrona, probabilmente, ma l’unica tanto sconsiderata da esercitare nei bassifondi. L’avevano convinta a visitare Olympia, dopo svariate insistenze ed una buona dose di scintillanti monete.
Erano ritornati al bordello. La speranza, tuttavia, si era immediatamente infranta quando la cerusica aveva emesso quell’orribile verdetto: sua madre era morta. Di che cosa? Non ne aveva idea. Forse una forma respiratoria molto grave, oppure qualcosa di venereo.
Impossibile a dirsi.

Si era accucciato ai piedi del materasso ed era rimasto lì. Non si era mosso, aspettando in silenzio. La morte sarebbe passata anche per lui, senza dubbio. Sarebbe bastato attendere: la fame, gli stenti, quella tosse catarrosa che gli graffiava il petto… lo avrebbero portato via, strappandolo al mondo e adagiandolo nuovamente tra le braccia di Kuchel.
 

***
 

La morte venne. Giunse in una forma inattesa.

Si aspettava di incrociare un viso ossuto, mani scheletriche ed un corpo asciutto avvolto da un nero mantello. Si ritrovò, invece, ad osservare un giovane uomo. Quanti anni poteva avere? Una trentina o poco più. Indossava un lungo soprabito color nocciola ed un completo piuttosto sobrio. Vi erano delle macchie scarlatte lungo l’orlo dei pantaloni e sulla punta degli scarponi consumati.

L’estraneo non lo aveva nemmeno guardato: si era fermato accanto al letto, osservando il volto di Kuchel. Non aveva più nulla di umano ormai, quel corpo: la pelle si era raggrinzita lungo gli zigomi, scavando le guance e ritraendo le labbra. I denti bianchi spuntavano dalla bocca ancora dischiusa, mentre i capelli radi incorniciavano il volto pallido. Da sotto il lenzuolo, si intravedevano le spalle ossute e il petto consumato dalla malattia, dove il seno flaccido si notava a malapena.

«Mi sembri abbastanza dimagrita, Kuchel…»

Possedeva una voce profonda, ma spregiudicata. Il tono sarcastico non si addiceva all’espressione severa del viso, dove a tratti passavano lampi di malcelata malinconia.

«è morta.» Levi sollevò il capo, fissando l’uomo. Aveva gli occhi grigi, proprio come quelli di sua madre ed i suoi.

«E tu? Devi essere quello vivo…»

Non rispose. Il suo silenzio parve indispettire l’estraneo:
«Dannazione! Datemi tregua.» lo sentì sbuffare. Uno sguardo seccato gli piovve addosso: «Come ti chiami?»

«Levi.»

«Levi e …?»

«Levi e basta.»

Scorse l’altro appoggiare le spalle al muro e chinare il capo. Gradualmente, il giovane si lasciò scivolare sino a terra, stendendo le lunghe gambe davanti a sé:
«è così, allora. In questo momento, i nomi non hanno poi molta importanza, vero?»

Il bambino scosse il capo, aggiungendo un:
«No, ma… vorrei comunque conoscere il tuo.»

«Sono Kenny. Kenny e basta.» una pausa, mentre la voce si riduceva ad un sussurro «Io e Kuchel eravamo conoscenti. Piacere di conoscerti.»

Levi si alzò, sgambettando piano verso l’uomo ancora seduto a terra. Tese la mano destra, che rimase sospesa nel vuoto:
«Piacere mio.» mormorò soltanto, mentre delle dita affusolate arrivavano a coprire le sue.

La mano di Kenny era magra e gelida; anche troppo, perché fosse di un semplice essere umano. Provò a divincolarsi, ma la presa si fece più solida e decisa. Levi chiuse gli occhi.
Chissà, forse la morte era davvero passata per conoscerlo.




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