Si
era fermata a pochi passi dalla porta, origliando all'interno del
laboratorio senza dare nell'occhio. Sentiva il personale ridere e
parlare di quelli che sembravano aspetti privati della loro vita. Non
aveva mai dato disposizioni su cosa potessero o meno parlare i
dipendenti in orari di lavoro, ma era pur vero che aveva sempre amato
il silenzio e l'ordine, non certo il chiacchiericcio da scuole
pubbliche. Ascoltava con interesse, cercando di capire il fulcro del
discorso, fin quando aveva udito altre voci allegre accompagnate da
passi che si avvicinavano nella sua direzione, nel corridoio,
così
si era messa più composta con la schiena e aveva assunto una
faccia
impassibile, fingendo di controllare alcune cartelline che aveva tra
le mani. Appena quei due uomini in camice la videro, assunsero anche
loro improvviso decoroso silenzio e professionalità.
L'avevano
salutata con un cenno del capo quasi in sincronia e le erano passati
davanti senza fiatare, fino a quando non avevano svoltato l'angolo.
Sapeva di fare quell'effetto alle persone e ne era orgogliosa; si era
costruita negli anni una reputazione che le era costata fatica e
dedizione e, di certo, pensava, non avrebbe permesso che nessuno
gliela intaccasse. Nemmeno lei.
Si
era messa ad ascoltare di nuovo e così si era affacciata
alla
finestrella della porta, guardando all'interno del laboratorio.
Ridevano e scherzavano come ragazzini in assenza dell'insegnante. Lei
compresa. Oh, l'aveva vista di nuovo ridere con un collega.
Sembravano molto amici. Lillian Luthor aveva guardato la scena dei
due con attenzione e così aveva abbassato la testa e, dopo
aver
messo in ordine le cartelline che aveva con sé, era entrata
dalla
porta con uno slancio, battendo i tacchi sul pavimento. In tutto il
laboratorio non c'era che un colpo di tosse.
Aveva
dato una veloce occhiata ai microscopi, poi aveva girato intorno ai
tavoli come se i suoi dipendenti fossero i suoi allievi a un'esame
importante. Lillian aveva sorriso impercettibilmente, soddisfatta.
Lo
stesso scenario si era ripetuto il giorno successivo. E quello dopo.
E dopo ancora. Ascoltava ciò che poteva dai loro discorsi e
poi
entrava in laboratorio per un controllo che diveniva sempre meno
rapido. Prima si tratteneva cinque minuti al massimo, poi erano
diventati dieci, quindici, mezzora, tanto che poi un'ora non le
bastava più per chiedere a tutti in quell'aula cosa avevano
fatto in
mattinata, se intendevano finire per la serata, se avevano trovato
difficoltà, o per rimproverarli del disordine delle loro
postazioni
che era meno o più confuso secondo il suo umore.
Naturalmente,
tutti in quel laboratorio sapevano che se c'era una persona che
più
di tutti Lillian Luthor amava disturbare era Eliza Danvers.
All'inizio
la donna temeva del severo giudizio del suo capo, ma con l'andare dei
giorni aveva cominciato a tenerle testa e a ribattere con fermezza se
era certa delle cose, restando professionale ma conservando il suo
punto di vista. Qualcuno le aveva detto che era matta a provare a
replicare a una Luthor, ma non si sarebbe più lasciata
mettere i
piedi in testa, nemmeno da lei.
Così
ogni giorno Eliza Danvers la aspettava, mentre Lillian Luthor spiava
lei e i suoi colleghi dietro la porta.
«Non
sto dicendo che dobbiamo trattarla senza rispetto, quello ci vorrebbe
anche se non fosse il nostro capo. Dico solo che in fondo è
una
persona come tutte le altre, con pregi e difetti», aveva
riferito
Eliza ai suoi colleghi in una tarda mattinata di novembre.
«Più
difetti, credo», aveva suggerito il collega al suo fianco,
con cui
spesso si intratteneva a parlare.
Qualcuno
aveva riso, ma non a voce troppo alta, con la paura che quella donna
potesse spuntare da dietro alla porta da un momento all'altro.
«Sarebbe
il caso che la gente qui lo capisse», aveva proseguito,
facendosi
sfuggire solo mezzo sorriso dalla battuta. «Si chiama Lillian
Luthor, sì, ma non è un mostro».
Lillian
aveva sentito di quel discorso solo le ultime parole ed era rimasta
di sasso. Forse una volta sarebbe stata fiera del fatto che qualcuno
la temesse tanto, ma in quel momento le aveva dato fastidio. Severa
lo era di certo, pretendeva disciplina, pulizia, senso del dovere e
massimo impegno, ma un mostro… Sua figlia Lena una volta,
quando
era adolescente, l'aveva apostrofata in quel modo e non le aveva
rivolto la parola per giorni.
«Puoi
passarmi il sale… per favore?».
«Lex,
tesoro mio, potresti passare il sale a tua sorella?», le
aveva
lanciato solo una rapida e stizzita occhiata, «Temo che i
mostri non
abbiano una completa funzione del pollice opponibile».
Di
certo non era pronta a farsi dare del mostro di nuovo.
Era
entrata di corsa all'interno del laboratorio e tutti si erano
raddrizzati e sistemati, tranne Eliza Danvers. «Da oggi
seguirò
ancora più assiduamente i lavori portati avanti da questa
squadra.
Lavorate, su, non badate a me, sarò dei vostri».
Oh,
di certo la squadra in questione non era stata felice di averla fra i
piedi più a lungo ancora. Le chiacchierate erano scomparse,
le
battute, i balletti in mezzo ai banconi banditi, e il silenzio non
era mai stato così pesante. Solo che, col tempo, le
situazioni
trovano da sole il modo di tornare a una sorta di equilibrio e
Lillian Luthor aveva scoperto che, in fondo, i chiacchiericci da
liceo pubblico poteva sopportarli. Non che in laboratorio qualcuno si
fosse azzardato ad alzare la voce in sua presenza, ma i bisbigli
erano ormai un'abitudine; e pure qualche risata, quando lei non
guardava.
«Devi
assolutamente esserci».
Lillian
aveva captato quelle parole sussurrate dall'altra parte del
laboratorio e, fingendo di aver bisogno di stirarsi le gambe, si era
alzata dalla sua sedia e avvicinata alle voci.
«È
l'ultimo giorno prima delle vacanze natalizie, ci saranno tutti!
Paghiamo una piccola quota e testa, diamo tutti a quelli del secondo
piano, e loro comprano ciò che serve e sistemano: sono gli
organizzatori».
Eliza
Danvers si era presto messa all'interno della conversazione,
guardando il collega scettico: «Una festicciola prima di
tornare a
casa dalla famiglia! Senza impegno».
Lui
aveva annuito qualche attimo prima di trovarsi davanti Lillian Luthor
e la sua espressione curiosa.
«Una
festa? Ho sentito bene?».
«Sì,
per salutarci tutti prima delle ferie», aveva sorriso Eliza,
spostandosi. «E darci gli auguri».
«Dove
e quando si terrà?».
«Al
piano sotto, signora Luthor. L'ultimo giorno prima delle
vacanze»,
aveva risposto il primo collega, seppur un po' emozionato di parlare
con lei. «Siamo in regola anche quest'anno, signora Luthor:
sua
figlia Lena è stata ben felice di concederci il
permesso».
«Naturalmente»,
aveva rimbeccato lei con una nota di sarcasmo. Sembrava averci
riflettuto piuttosto poco, però, poiché aveva
ripreso parola in
fretta: «Beh, dopotutto… Crede che
potrò partecipare anch'io?».
Lui
era scoppiato a ridere e tutti al laboratorio lo avevano guardato
così male che, istanti dopo, aveva stretto i denti e, se
avesse
potuto, si sarebbe polverizzato. «Ma certo, signora Luthor.
È… la
benvenuta». Non sapeva con quali forze fosse riuscito a non
balbettare.
Lillian
Luthor non poteva crederci: da sei anni i suoi dipendenti
organizzavano una festa natalizia alla Luthor Corp e lei aveva dovuto
scoprirlo origliando; prima Lex e poi Lena avevano sempre dato loro i
permessi. Era certa che nemmeno Lionel sapesse qualcosa.
Effettivamente non era mai stata una persona da feste che non
includessero personaggi di spicco e reporter, ma quel momento era
quello che aspettava per mostrare finalmente a tutti che, se voleva,
poteva riuscire a essere socievole e non un mostro che pensava solo
al lavoro. E poi c'era lei ed era decisa a fare un passo avanti.
Peccato
che quella sera era arrivata in ritardo.
Aveva
passato delle ore a scegliersi un vestito e una volta indossato si
era sentita inadeguata, così aveva cominciato a bere. Sapeva
che era
importante che riuscisse nell'intento, ci sarebbero stati quasi tutti
i suoi dipendenti, e l'era salita l'ansia. E lei, chiaramente, Eliza
Danvers. L'ansia le aveva portato il mal di pancia. Il mal di pancia
e il bere l'avevano portata a vomitare. Sapeva che non era da lei:
tutto ciò era assurdo e inqualificabile. Si era seduta sul
puff al
centro della sua cabina armadio contemplando i suoi abiti uno a uno,
tutti firmati e pregiati, che aveva comprato ognuno per un'occasione
importante. Quella sarebbe stata un'occasione importante? Si era
ripulita in fretta e ed era uscita di casa in vestaglia per andare a
trovare Felipe, il suo stilista. Ma era tardi e una giornata
prefestiva, quindi aveva accelerato verso casa di Felipe.
Fortunatamente, come amava dire parlando di lui, Felipe era un uomo
solo che viveva per i suoi abiti: ne portava sempre qualcuno con
sé
a casa per rifinirli, e le andava bene, perché Lillian
Luthor non
avrebbe avuto il tempo materiale per farsene fare uno su misura in
serata.
Si
era diretta alla Luthor Corp con il cuore in gola. Si vergognava di
riconoscere sentimenti in lei che pensava fossero morti dopo la prima
visione di Marley
& Me.
Non
si sentiva altro che la flebile voce di Michael Bublè
attraverso i
muri da quando era entrata in azienda. Non c'era nessuno all'esterno,
nemmeno il portiere all'ingresso poiché era già
in vacanza; le luci
erano spente. Si era lasciata guidare dalla musica e aveva aperto il
portone del magazzino, spalancando gli occhi. Di solito, il magazzino
era talmente pieno da non far rendere conto a nessuno di quanto
quello spazio fosse in realtà davvero grande,
così era rimasta
spiazzata di trovarsi davanti a una sala gigantesca addobbata di
striscioni natalizi e stelle filanti, riempita di tavoloni con sopra
stuzzichini e bibite di ogni tipo, lasciata libera al centro dove
qualche coraggioso aveva stracciato la sua reputazione tentando un
ballo sfrenato. Si era incamminata guardandosi intorno, ritrovando
del vischio appeso al soffitto, di tanto in tanto, e delle carte di
caramella a terra, dove qualcuno doveva essersi divertito a lanciare
coriandoli fuori stagione.
Lei
aveva indossato un lungo vestito scuro, elegante, corredato di scarpe
a spillo e collier al collo, aveva pensato, solo poco prima, di
essere finalmente perfetta per la festa, ma quando si rese conto che
l'abito più gettonato in sala erano i maglioni natalizi con
renne
cominciò a sentirsi di nuovo a disagio.
Iniziava
seriamente a domandarsi cosa ci facesse davvero laggiù, a
una festa
che non era per lei né pensata per una persona come lei,
finché non
aveva inquadrato Eliza Danvers davanti a un tavolo assaggiando
bruschette. Anche lei indossava un pesante maglione rosso natalizio,
solo che, a dispetto di tutte le altre persone presenti, non le aveva
dato fastidio. Era un gran passo in avanti. Aveva cercato di
raggiungerla in fretta e si era bloccata solo un momento quando aveva
visto che, al suo fianco, c'era ancora lui. C'era sempre lui. Avrebbe
potuto licenziare quell'uomo quando voleva ma si sarebbe dimostrata
superiore.
Perché
lei era superiore, lo sapeva che lo era sempre stata e lo avrebbe
fatto vedere a tutti, non importava come fosse vestita o se il suo
corpo le lanciava seri segnali di dover andare di nuovo in bagno, si
sarebbe avvicinata a Eliza Danvers e le avrebbe chiaramente fatto
capire che era lei ciò che voleva e che avrebbe avu-
«Signora
Luthor!».
Chi
era quel bamboccione che puzzava di alcol che le aveva tappato la
visuale? Si era domandata, guardandolo da capo a piedi, che lo
reggevano appena.
«Sono
davvero, ma davvero felice che lei alla fine abbia deciso di
partecipare alla festa, sa? Tutti hanno paura di lei ma-»,
l'uomo le
si era appoggiato addosso e Lillian aveva assunto un'aria disgustata.
«Immagino si sbaglino tutti perché lei,
signora…», l'aveva
indicata con l'altra mano, che reggeva un bicchiere di vino,
«Perché
lei, signora, è un essere umano».
«Temo
abbia ragione».
«Un
essere umano! Sì! Certo che ho ragione! E lo dimostra il
fatto che
sia possibile toccarla, signora Luthor».
«Ha
ragione, signor…?».
«Lavoro
per lei da quindici anni», aveva sbottato.
La
donna se lo era scrollata di dosso palesemente nervosa. «E le
consiglio caldamente di tornare a casa a farsi una bella dormita e a
non rivolgermi più la parola se non interpellato se vuole
continuare
a lavorare per me per altri quindici anni».
Lui
si era allontanato il tanto giusto per guardarla bene e prendersi un
attimo, prima di esclamare: «Un brutto essere umano, signora
Luthor», e così andarsene.
Lei
aveva trattenuto il fiato e lo aveva guardato con disprezzo andare
via, ripetendo a se stessa come un mantra: «Sei superiore,
Lillian.
Sei superiore a questi pezzi di-».
«Signora
Luthor!».
«E-Ehi».
Eliza Danvers l'aveva vista e Lillian Luthor aveva immediatamente
ripreso possesso di sé, sorridendo radiosa e avvicinandosi
al tavolo
facendo gesto di saluto con una mano. «Non avevo notato che
era
qui».
«E
così è venuta, eh? Sa, non la facevo una persona
da feste di questo
genere».
«Ah,
no?», Lillian aveva riso appena, cogliendo l'occasione per
assaggiare anche lei una bruschetta, prendendone una. «Beh,
sì…
Non avevo idea che i dipendenti facessero una festa qui ogni anno o
naturalmente avrei partecipato molto prima! Mi piace l'idea di
cogliere l'occasione per conoscere più da vicino il
personale».
Aveva guardato di traverso il dipendente che parlava spesso con Eliza
Danvers quando lo aveva visto fare passo verso di loro, ma per
fortuna si era fermato a parlare con un gruppo di uomini sudaticci e
ubriachi che non aveva mai visto.
Eliza
Danvers si era gettata dello champagne in un bicchiere e ne
gettò
uno anche per lei, chiedendole se le andava, porgendoglielo. Lillian
aveva preso quel bicchiere con foga e ne aveva bevuto metà
subito
prima ancora di toccare con bocca la bruschetta.
«Per
quanto mi riguarda, sono contenta che lei sia qui».
Aveva
deglutito, sentendo improvvisamente molto caldo. Non sapendo cosa
dire, aveva morso la bruschetta e, mentre Eliza Danvers si era
girata, l'aveva ritirata dalla bocca ancora tutta intera e l'aveva
poggiata accanto al piatto, per poi pulirsi le mani e le labbra su un
fazzoletto dei tanti sul tavolo.
«Le
è piaciuta la bruschetta?», le aveva chiesto,
vedendo che non ne
aveva già più.
«Deliziosa».
«Ne
prenda un'altra», le aveva sorriso, per poi avvicinarsi e
parlarle
sottovoce, «Credo sia l'unica qui ad averle apprezzate; le ha
portate Amanda della sicurezza del quarto piano, non sappiamo che
olio abbia usato per condire ma, detto tra noi, sembra olio di
motore».
Lillian
era rimasta dapprima seria, per capire se stesse scherzando, e poi
aveva incurvato i lati della bocca per sorridere e infine ridere.
«…
Sì, sono davvero orrende».
Allora
anche Eliza aveva riso e, per un attimo, Lillian aveva pensato che
quello era il momento giusto, il momento giusto per chiederle di
uscire.
«Posso
chiederle come passerà queste vacanze di Natale, signora
Luthor?».
Misericordia,
l'aveva anticipata! «Ma certo. Vede, credo proprio che
passerò le
vacanze a Metropolis. Abbiamo una casa, ora ci abita da solo mio
figlio».
«Oh,
la famiglia riunita», le aveva sorriso, mentre entrambe si
allontanavano dalle buschette e si andavano a sedere vicino ad alcune
bibite, portando lo champagne sottobraccio. «Sono certa che
Lex non
vedrà l'ora di riabbracciare lei e Lionel. Io
starò a casa,
verranno a trovarmi le mie figlie. Faremo l'albero insieme,
è una
tradizione».
«Oh,
e il suo… ex marito, giusto?», l'aveva squadrata
con attenzione,
per captare il minimo cenno sospetto nei suoi occhi.
«No,
no, verrà anche lui, non si perderebbe un Natale con le
ragazze per
niente al mondo! Ma si tratterrà solo pochi giorni, non ha
molte
ferie, deve tornare al suo lavoro».
«Dove
lavora il suo ex marito?».
«Al
D.A.O., a
Metropolis».
«Capisco…
Molto bene, molto bene. Dunque non ha più molti… rapporti
con lui», l'aveva guardata con attenzione di nuovo,
sorridendo.
«Intendo che abita più lontano».
«Sì,
lui… Jeremiah ed io non eravamo più una coppia da
tempo, la
separazione ha fatto bene a entrambi, credo», le aveva
sorriso a sua
volta. «Lui è sereno, io sono serena, le ragazze
lo sono
altrettanto. Loro erano un po'… diciamo sorprese
quando abbiamo deciso di divorziare, ma alla fine hanno capito. Lo
saprà anche lei come sono i ragazzi, avendone
due», aveva riso,
continuando a versare champagne ai loro bicchieri, «Loro sono
più
emotivi di noi adulti, hanno bisogno di tempo per
metabolizzare».
«Sì,
Lex… lo è tanto e anche Lena,
sì… è una ragazza anche
lei»,
aveva tentato un altro sorriso.
Aveva
mandato giù un altro bicchiere di champagne e il suo stomaco
aveva
ricominciato a gorgogliare. Sebbene non sapesse palesemente fare
conversazione, sarebbe rimasta lì a provarci con Eliza
Danvers per
ore e ore se non avesse di nuovo sentito, e stavolta più
forte che
mai, l'allarme che le richiedeva più attenzione di tutti:
doveva
vomitare.
Quella
sera si era conclusa con un nulla di fatto: le aveva dato la
buonanotte, il buon natale, ed era scappata più veloce di un
fulmine
verso i bagni del piano terra della Luthor Corp, dove si era
rifugiata. Si era sentita persa, vulnerabile come mai prima,
sconfitta davanti a sentimenti a cui non sapeva dare un nome. Lei si
era sempre vantata di saper mettere i sentimenti e le emozioni in
secondo piano rispetto alle cose più importanti come
l'ambizione e
il successo, cresciuta da una donna che per lei voleva solo il
meglio, aveva sposato Lionel Luthor prendendo il suo cognome e la sua
azienda per arrivare in alto, credeva fosse ciò per cui era
destinata, e non poteva credere di sentirsi… sciogliere come
burro
al sole per una donna che non era nemmeno un po' simile a lei.
O
forse era proprio quello il punto, pensava Lillian seduta sul water
del bagno quella notte: era attratta da lei perché era
così
diversa, irraggiungibile per giunta; una donna che lei non era mai
stata vicina a diventare mai in un solo momento della sua vita. E
l'avrebbe avuta. Se il suo desiderio di lei si sarebbe estinto una
volta raggiunto l'obiettivo, allora poteva dire che era stato un
fugace sogno d'avventura; in caso contrario, avrebbe potuto darle il
suo cuore.
Cominciava
a sperare fosse la prima ipotesi.
Si
erano avvicinate tanto da dopo le feste natalizie. Eliza Danvers
aveva detto alla sua squadra in laboratorio quanto Lillian Luthor in
realtà fosse solo una donna in cerca di un po' di contatto
umano, di
amicizia, poiché le era sembrata molto sola. Lillian le
aveva
invitato il pranzo un giorno, ma avendolo fatto davanti a tutto il
laboratorio, pensarono fosse un invito rivolto a tutti, tutti che
accettarono con piacere. Successe un'altra volta. E una volta dopo
ancora. Seccata di avere tanta gente intorno e di dover pagare per
tutti, cambiò approccio, prendendole del cibo solo per lei e
portandoglielo direttamente sulla sua postazione, accompagnato da
un'incantevole sorriso.
«Lillian…
non doveva».
Finalmente
Lillian Luthor era riuscita a farsi chiamare per nome: era un passo
in più verso la meta del suo diabolico piano.
«L'ho fatto con
piacere, Eliza. Sono contenta che ti piaccia: trovo che gli ambulanti
siano migliorati, ultimamente».
«Sì,
è vero! Comincio a pensare facciano apposta solo cose che mi
piacciono».
Lillian
si era lasciata andare a una breve risata. «Pare quasi sia
così».
Era
ormai difficile che Lillian Luthor si spostasse dal laboratorio dove
lavorava Eliza se non per lo stretto necessario e i colloqui e le
assemblee. I suoi assistenti e perfino sua figlia Lena se dovevano
cercarla sapevano dove andare, anche se non capivano perché
si
ostinasse a lavorare tanto solo in quel preciso punto dell'azienda.
Un
pomeriggio erano andate insieme a bersi un caffè dalla
macchinetta
posta in un corridoio vicino al laboratorio e avevano ricominciato a
parlare di loro, della loro famiglia, o meglio Eliza Danvers parlava
e lei tentava di capire. Si era irrimediabilmente persa da qualche
parte sulle sue labbra e aveva capito di essere al capolinea. Dopo
aver provato a fare una foto a entrambe insieme con l'autoscatto e
avendo appurato di avere le braccia troppo corte per uno scatto
decente, Eliza aveva chiesto a un suo collega di passaggio di
scattare la foto con il suo cellulare e le due si erano messe vicine,
così vicine che Lillian aveva potuto sentire l'odore del suo
respiro. Sapeva che probabilmente doveva aver avuto una faccia fin
troppo anormale in quella foto, da imbambolata innamorata, e pensava
già che appena vista l'avrebbe voluta cancellare prima che
fosse di
dominio pubblico, ma quando si vide lì riflessa ne
restò talmente
sbalordita dal mancarle quasi il fiato: non sembrava certamente la
stessa Lillian Luthor che lei conosceva, perché quello
sguardo era
di una persona… felice.
Le aveva fatto paura da matti ma allo stesso tempo aveva trovato la
cosa estremamente affascinante. Eliza si era vantata che la foto
fosse riuscita bene, così presa che non si era accorta dei
sentimenti provati dall'altra.
«Eliza,
pensa che sarebbe una buona idea se uscissimo insieme?».
Ecco,
lo aveva detto finalmente. E non era stato nemmeno così
difficile.
Ma se non fosse stato per la forte sensazione di svenire, di certo le
sarebbe venuto su meglio.
Eliza
Danvers era diventata felice, felice, felice. Non lo avrebbe mai
immaginato, mai nella vita, che sarebbe riuscita a essere
così
vicina al suo capo più austero di tutti, Lillian Luthor. Era
cambiata tanto in quei mesi e si erano avvicinate altrettanto,
così
era davvero contenta che le avesse chiesto di uscire. Non voleva
farlo lei, era pur sempre il suo capo e non voleva approfittare, ma
in fondo avevano tanto in comune, tanto di cui parlare e da
confrontarsi, al di là del rapporto professionale che le
legava e
della vita diversa che avevano intrapreso. Era elettrizzata di poter
dire alle sue figlie quando si sarebbero sentite che lei, Eliza
Danvers, era diventata amica di Lillian Luthor.
«Una
cena?», le aveva risposto al telefono, organizzando
quell'uscita.
«No, no, certo che una cena andrebbe bene, ma
pensavo… Sì,
qualcosa di diverso», aveva annuito anche se lei non poteva
vederla,
«Per la prima uscita, esatto! Oh, un film… va
benissimo, allora!
Certo che va bene, ne sono felice. Ci vediamo questa sera».
Eliza
pensava che sarebbe stato un peccato non poter parlare tra loro se
fossero andate al cinema, ma una cena sarebbe stata un po' fuori
luogo. Così si era preparata in fretta, indossando un jeans
e una
felpa, per poi uscire e prendere il treno che l'avrebbe portata a
National City anche in quel giorno di vacanza da lavoro. Sul treno le
aveva inviato la foto che si erano scattate in settimana, ora che
aveva il suo numero di cellulare, e Lillian le aveva risposto
inviandole una faccina e un a
presto.
Una faccina in saluto e Eliza aveva sorriso, stupendosi ancora di
quanto la Lillian Luthor che stava imparando a conoscere fosse
diversa da quella che si era sempre immaginata.
In
stazione lei l'aspettava già. Era scesa dalla parte
posteriore della
sua automobile nera, mostrando i tacchi a spillo e il tailleur che
indossava, mentre i suoi capelli erano perfettamente acconciati in
uno cignon. Eliza era rimasta senza parole: Lillian non sapeva
davvero cosa significasse vestire casual.
«Eliza»,
le aveva sorriso, avvicinandosi a lei e prendendola in un abbraccio.
«Sarei venuta a prenderti».
«Non
ce n'era alcun bisogno. Prendo il treno tutti i giorni, non
è mai un
problema. Complimenti, stai benissimo».
«A-Anche
tu». Lillian Luthor l'aveva fissata per un po', contemplando
il suo
abbigliamento poco adatto a un primo appuntamento. Ma non sarebbe
stato quello a fermarla: in fondo, Eliza sembrava essere bella
qualunque cosa indossasse.
Erano
in tempo per lo spettacolo delle 21:00. Avevano preso i biglietti e
una ciotola di popcorn, raggiungendo presto la sala e i loro posti.
Eliza si stupì che Lillian volesse vedere un film d'amore,
credeva
non le piacessero neppure, ma almeno la sala era quasi deserta e non
sarebbero state disturbate durante la visione.
Era
un film davvero emozionante, dopotutto. Eliza non era riuscita a
finire i popcorn e si era asciugata gli occhi con la manica della
felpa in diverse occasioni, mentre Lillian aveva avuto più
occhi per
la donna al suo fianco che per il film. Quest'ultima non ricordava
bene neppure la trama, ma la fioca luce della pellicola era
sufficiente per vedere il viso di Eliza e perdersi in lei. Non
sapevano cosa avrebbero fatto dopo il film, lei aveva sempre in mente
quella cena, ma forse l'avrebbe solo accompagnata a casa e lasciata a
ripensare alla loro uscita in attesa della prossima, che sarebbe
stata certamente una cena. O forse sarebbe voluta stare da lei per
non farsi tutto quel tragitto verso casa, aveva pensato Lillian, se
lei glielo avesse chiesto. Di certo, poteva chiederglielo.
Si
era avvicinata al bordo del suo sedile, affacciandosi in quello
accanto, sorridendo con malizia. «Eliza».
«Sì?».
«Dopo
il film… invece di fare tutta quella strada verso
casa…». Oh, si
sentiva strana e non credeva fosse per i popcorn: sapeva non avrebbe
dovuto bere tanto prima di uscire di casa. «E se…
e se ti andasse
di venire a dormire da me? Ti ospiterei io, per questa
notte».
«Non
vorrei disturbare».
«Ma
no, quale disturbo…».
«Allora,
forse potre-», Eliza Danvers era sbiancata, spalancando gli
occhi,
quando finalmente aveva realizzato che quel qualcosa che si era
appoggiato sulla sua gamba destra e poi aveva iniziato a salire
lentamente in mezzo alle sue gambe era una mano di Lillian Luthor.
Eppure
i segnali c'erano stati tutti. I pranzi offerti, i suoi cibi
preferiti, il fatto che passasse così tanto tempo con lei e
con
nessun altro dei suoi colleghi, la sua eleganza e, di certo, la cena
che sperava di fare insieme a lei. Come aveva fatto a non capirlo?
Era stata così cieca di fronte all'evidenza… Non
a torto: Lillian
Luthor era una donna sposata e, come se non bastasse, non aveva mai
dato l'idea che le piacessero anche le donne.
Dopo
quella loro prima uscita, in cui alla fine Eliza aveva dovuto
insistere per tornare a casa sua e Lillian l'aveva fatta accompagnare
da Ferdinand, il suo autista, le cose tra loro si erano un po'
raffreddate. Eliza voleva prendersi del tempo per capire come
affrontare la cosa e Lillian passava invece il suo tempo a capire
cosa avesse fatto di sbagliato quella sera. Ma forse aveva bevuto
troppo per ricordare, misericordia; ma aveva dovuto bere per forza
per pensare di stare vicina a quella donna una serata intera da sole.
Per sua fortuna, o sfortuna, era troppo impegnata a pensare al resto
dell'azienda che aveva trascurato fuori da quel laboratorio per avere
il tempo di pensare a cosa e come farsi perdonare. Suo marito Lionel
Luthor era tornato da qualche giorno da Metropolis che aveva passato
nella filiale della Luthor Corp che gestiva il figlio Lex e si era
preso qualche giorno per stare a casa a riposare, così
Lillian aveva
dovuto prendere con più serietà il suo lavoro
che, fino a qualche
mese prima, era quasi letteralmente la sua vita.
Se
Eliza Danvers ci pensava attentamente, e in fondo non faceva altro
perfino accatastando calzini, non le erano mai dispiaciute le donne.
Ricordava solo in quell'attimo quando al liceo si era presa una
sbandata per una cheerleader che era tanto lontana da lei in
popolarità, essendo stata capitano del club delle scienze e
cocca
delle insegnanti, quanto in tutto il resto. Aveva smesso di pensare a
lei quando quest'ultima aveva firmato la raccolta firme per chiudere
il club delle scienze, capendo che non ci sarebbe mai stato futuro
tra loro. Si era addirittura dimenticata di lei col tempo, si era
sempre innamorata degli uomini e considerava Jeremiah, anche se erano
separati, ancora l'uomo della sua vita. E come si era sentita strana
quando Alex, la sua primogenita, le aveva detto di essere gay.
Sembrava una cosa così distante… Ma Lillian
Luthor era la sua
scoperta e non sapeva bene come interpretare ciò che provava
in quel
momento. Le stava scombussolando la vita.
E
sarebbe stata scombussolata ancor di più uno dei pomeriggi
successivi. La squadra doveva spostarsi per pranzo e uscirono tutti
insieme dal laboratorio quando Eliza si era accorta di aver
dimenticato il portafogli ed era tornata indietro. O meglio quella
era la scusa che disse ai suoi colleghi, ma si era portata del cibo
da casa ed era andata a prenderlo: non voleva incrociare Lillian
Luthor dagli ambulanti al piano di sotto e magari farsi invitare. Non
aveva ancora preso una decisione e l'altra donna non sembrava capire
cosa ci fosse che non andava tra loro. Aveva tirato fuori dalla borsa
delle posate avvolte in un fazzoletto seguite da un recipiente di
plastica con dentro carne e insalata, cercando di sbrigarsi per
uscire, fermandosi solo col sentire la porta aprirsi, sbuffando.
«Sto
arrivando, Pete. Mi dichiaro colpevole, mi hai scoperta». Ma
si era
sorpresa di vedere Lillian e non il suo collega. «Ops…»,
aveva bisbigliato, guardando il cibo, «Mi dica, signora
Luthor, è
troppo tardi per nascondere il mio pranzo a fare finta di
niente?».
«Immagino
di sì», aveva sorriso e si era avvicinata
contorcendosi le mani,
palesemente nervosa. «Ma chiuderò un occhio.
Lionel ed io stavamo
pensando di riaprire la mensa, così da non costringere gli
operai a
spendere ogni giorno dagli ambulanti. Loro resteranno, ma saranno un
opzione».
«Credo
sia un'ottima cosa».
Lillian
aveva annuito, guardandola con attenzione. Si era avvicinata, le
aveva preso il pranzo dalle mani e lo aveva poggiato all'angolo di un
tavolo per non urtare niente, mentre Eliza era rimasta ferma, in
attesa, poiché sapeva che non poteva più scappare
da lei, da quel
pensiero, e da ciò che provava, qualunque cosa fosse.
«Eliza, non
abbiamo parlato più da quella notte…».
«No».
«Posso
chiederti cosa-».
Eliza
Danvers non seppe cose volesse chiederle, anche se di certo ne aveva
avuto da allora qualche idea, ma si era accorta che più di
tutto non
sarebbe riuscita a fare conversazione, che non sapeva cosa dire,
né
che forse aveva davvero qualcosa da dire, così le aveva
preso il
viso tra le mani e l'aveva baciata, chiudendo quelle labbra e il loro
discorso. E quello sarebbe stato il primo di una lunga serie di baci.
Avevano
inizialmente deciso di mantenere clandestina la loro relazione, dopo
la loro cena alla seconda uscita, perché non solo erano
l'una il
capo dell'altra, ma perché avevano ogni interesse a tenere i
giornalisti lontano dalle loro vite. Lionel Luthor era stato il primo
a saperlo, per sua moglie non era stato un problema dirgli che
frequentava una donna e lui non le aveva neppure rivolto una domanda,
nemmeno chiesto se la conoscesse, ma aveva semplicemente appreso la
notizia. D'altronde non erano più una coppia da molto tempo,
se non
sotto i riflettori delle macchine fotografiche: non avevano mai
mostrato il desiderio di divorziare perché a tutti faceva
comodo
saperli sempre uniti, ma il fatto che dormissero in due letti e in
due camere separate da anni era esplicativo.
Si
erano trasformate in due ragazzine che fingevano una vita normale
fino a che nessuno le guardava, e allora diventavano amanti.
Ciononostante si sa, tutto è destinato a mutare e se la
voglia di
vivere una vita pacifica insieme era la loro priorità, la
clandestinità stava lentamente perdendo il suo fascino a
dispetto di
una relazione normale. Stavano per uscire allo scoperto, lo avevano
deciso insieme, quando l'improvvisa morte di Lionel Luthor le aveva
fermate. Era successo tutto così in fretta da lasciarle
impreparate.
Seppure tra loro non c'era amore e forse non c'era mai stato, Lillian
era rimasta molto provata dall'avvenimento e aveva chiesto a Eliza
del tempo per stare vicino ai suoi figli e alla Luthor Corp.
«Forse
non sono mai stata la madre che meritavano, ma devo provare a stare
loro vicino».
Eliza
aveva ormai imparato a conoscere quella donna: non riusciva
facilmente a trasmettere le sue emozioni, era come ghiaccio e pietra,
e il dolore non sarebbe riuscito a cambiarla, ma doveva provare a
farlo per i suoi due figli.
Era
stato un periodo complicato e quando riuscivano a vedersi, sembrava
che Lillian Luthor non volesse più lasciarla andare. La
morte del
marito di Lillian aveva cambiato le carte in tavola, ma alla fine era
riuscito a unirle più di prima. Infine, come colta da
un'idea folle
e spinta dalla voglia di andare avanti, Lillian Luthor aveva fatto
una valigia e si era trasferita momentaneamente a casa di Eliza
Danvers, e non potendo sparire senza dir nulla, spiegò a
Lena, la
sua seconda figlia, la semplice verità:
«So
che sarà strano per te sentirlo, Lena», le aveva
preso una mano tra
le sue, guardandola dritta negli occhi chiari, «Ma non voglio
mentirti: mi sto frequentando con qualcuno, una donna, lavora alla
Luthor Corp. Andrò a stare da lei per un po'».
Lei
l'aveva guardata come se non la riconoscesse. «Tuo marito
è appena
morto e stai già frequentando qualcuno?».
«Non
è come pensi, cara», aveva mantenuto il suo
sorriso e la stretta
calda delle loro mani. «La frequentavo da prima che tuo padre
morisse».
«Lo
stavi tradend-».
«Sono
sicura che capirai».
«Stavi
tradend-».
«Ci
vedremo comunque alla Luthor Corp».
«Lillian!».
«Se
hai bisogno sai che puoi farmi una telefonata».
Un
po' meglio l'aveva presa Lex, che in verità già
sapeva di loro
poiché ne avevano parlato lui e suo padre prima che
mancasse.
D'altra
parte, superato il duro periodo dovuto al lutto, le cose tra Lillian
ed Eliza non facevano che migliorare. Stare lontana da National City
se non per lavoro aveva migliorato il carattere di Lillian, e avere
qualcuno per casa aveva reso Eliza Danvers felice come non si sentiva
da tempo.
Passarono
mesi e Lillian convinse l'altra a parlare della loro relazione alle
sue figlie, che quando le sentiva per telefono faceva di tutto per
terminare la conversazione prima che potesse anche solo
accennarglielo. Temeva le loro reazioni ma, più di tutto,
temeva che
le cose cambiassero proprio in quel momento che stavano andando tanto
bene. E così, una sera, si armò di buona
volontà e chiamò prima
l'una e poi l'altra, con Lillian vicino.
«Sono
una donna fortunata…», aveva sussurrato e loro, in
due tempi
diversi, erano rimaste in ascolto, «Perché io,
Eliza Danvers, ho
finalmente trovato l'amore della mia vita».
Ed
entrambe, in tempi diversi, erano rimaste senza fiato. L'amore della
sua vita? Sì che lei e Jeremiah avevano divorziato da tempo,
ma
credevano sarebbero rimasti loro
due per sempre,
come anime gemelle che avevano scelto due vite diverse e distanti.
«È
papà?», era stata la prima reazione di Alex.
«È
uno scherzo?», quella di Kara, «Perché
se lo è, Eliza… non l'ho
capito».
Aveva
lasciato detto a entrambe che potevano venirle a trovare quando
volevano alla Luthor Corp, ma sapeva che sarebbero state impegnate
con l'università e il lavoro e contava su quello. Ogni volta
che
Lillian Luthor esprimeva il desiderio di conoscerle, Eliza le
chiamava e insieme fissavano un appuntamento, ma sceglieva apposta
date trabocchetto in modo che non si vedessero.
«Oh,
non puoi… Stai tranquilla, tesoro, si farà
un'altra volta»: era
la sua risposta standard alle chiamate di disdetta che aspettava,
fingendosi dispiaciuta.
Dopo
appena due mesi da quando aveva detto di loro alle figlie, Eliza e
Lillian erano state sorprese insieme alla Luthor Corp e la loro
storia era venuta a galla. Decisero di comune accordo di cogliere la
palla al balzo per fidanzarsi ufficialmente e nella stessa settimana
diedero un party alla Luthor Corp dove Eliza aveva potuto conoscere
di persona Lena e Lex Luthor, che aveva viaggiato da Metropolis per
l'occasione. Eliza Danvers aveva inviato l'invito anche alle sue due
figlie, ma sapeva che non si sarebbero presentate per via degli
impegni e no, non era ancora pronta a far congiungere quell'aspetto
della sua vita con l'altro, anche se era ormai conscia che le vacanze
estive si avvicinavano rapidamente e non ci sarebbe più
stato verso
di rimandare. Aveva detto loro al telefono che ora che si erano
fidanzate erano pronte per andare a vivere insieme, raccontando loro
la serata e quanto fosse speciale davvero la sua persona speciale,
spianando il terreno per quando si sarebbero incontrate.
Lillian
era elettrizzata per l'arrivo delle vacanze e quindi di Alex e Kara,
coinvolgendo Lena in quell'avventura. Anche Lex doveva partecipare
alla loro prima volta come una famiglia allargata, ma sebbene la
filiale della Luthor Corp di Metropolis sarebbe rimasta chiusa per il
mese di giugno, aveva
comunque del lavoro extra da sbrigare prima della riapertura che
richiedeva il suo massimo impegno, così aveva dovuto
declinare.
Anche Eliza sentiva il tempo che si stringeva diventando ogni giorno
più tesa.
Andando
a far la spesa nel solito market, una sera, per poco non le veniva un
infarto sentendo la risata di Kara. Non si era tranquillizzata del
tutto neppure quando aveva visto che a farla era una bambina che
poteva avere la metà dei suoi anni. E andando alla Luthor
Corp
insieme, sul treno, perché aveva convinto Lillian Luthor a
provare
l'esperienza invece di far andare Ferdinand a prenderle ogni giorno,
le era parso di intravedere Alex a pochi sedili da loro: per fortuna
quei capelli a caschetto rossi appartenevano a un ragazzo e non a
lei. Era agitata, nervosa, sempre sull'attenti. Così tanto
che
Lillian la convinse a passare una sera fuori, per provare a
rasserenarla. Presero una delle macchine della tenuta dei Luthor che
decise di guidare Eliza ed erano partite, ma il traffico le aveva
bloccate ancor prima di uscire dalla città. Si erano fermate
davanti
a un semaforo e, per un rapido attimo, le era parso ancora di vedere
sua figlia Alex di fianco a loro, in una macchina della corsia
vicino. E certo, pensava, perfino l'automobile che guidava somigliava
a quella condivisa da sua figlia e la sua ragazza. No, no, era
proprio identica. Si era presa il tempo per guardarla attentamente e
appena l'autista si era girata e si erano scambiate un fugace
sguardo, Eliza aveva provato a nascondersi in basso sul sedile e,
ricordando che era lei quella alla guida, aveva tentato di nascondere
Lillian.
Alex
aveva fatto loro un saluto con la mano ed era scesa dall'auto per
salutarle; in ogni caso erano imbottigliate nel traffico e non c'era
posto dove poter scappare. Anche Lillian aveva aperto la portiera dal
suo lato e aveva salutato Alex Danvers con un abbraccio, felice che
finalmente la potesse conoscere.
Lillian
chiuse la porta del bagno dietro di lei e camminò nella
camera buia
fino ad aprire le coperte e sistemarsi comodamente contro la schiena
nuda di Eliza, che al tocco su di lei sorrise.
«Non
credo di essere pronta a lasciarle andare»,
bisbigliò la prima.
«Devono
tornare alle loro vite… e noi alla nostra. Le rivedremo ad
agosto,
erano questi i patti», rispose Eliza, voltandosi per
guardarla negli
occhi, che anche se già abituata al buio li vide appena,
«O hai
paura a stare da sola con me, forse?».
«Un
po'», rise a fior di labbra.
«Non
devo chiederti come sta procedendo il tuo esperimento?!».
«No,
quello sta andando benissimo, lo sai», le baciò
una spalla.
Chiusero
gli occhi per cercare di dormire, quando un pensiero sconvolse la
testa di Eliza Danvers, che li spalancò come colta da un
fulmine a
ciel sereno: «Accidenti! Devo ancora dirlo a
Jeremiah».
Questo
credo sia il capitolo più scemo
che ho scritto per questa storia al momento XD Era un capitolo
“di
dovere”, perché dovevo approfondire il rapporto
tra Lillian ed
Eliza, e mi è piaciuto rendere Lillian così umana
(sapete
cosa intendo)! Anche se scritto in terza persona, il capitolo
è un
po' di parte, quindi le cose scritte sono sì successe, ma
potrebbero
essere state omesse volutamente delle parti per ragioni di trama ;)
Spero
vi sia piaciuto! Ci saranno altri capitoli “simili”
in futuro,
nel senso capitoli che si concentreranno su alcuni personaggi per
raccontare uno spaccato della loro vita. Li chiamo stand
alone
proprio perché sono capitoli a sé, danno una
piccola pausa agli
eventi per concentrarsi su altro, ma fanno parte integrante della
trama o comunque sono utili per capire meglio alcuni personaggi.
Spero siano graditi :)
Sondaggio!
Momento sondaggio!
I
miei capitoli standard variano dalle 10 alle 13 pagine (poi possono
capitare quelli un poco più corti, ma a trama avviata
è difficile,
a meno di stand alone; o poco più lunghi, ma in quel caso
cerco
sempre di chiudere in fretta). Quindi la mia domanda è
questa: i
capitoli vi vanno bene così lunghi, oppure li taglio e
pubblico
“numero e nome capitolo – prima parte” e,
la volta dopo,
“numero e nome capitolo – seconda parte”?
Insomma: divido i
capitoli lunghi oppure li lascio interi?
In
quel caso pubblicherei comunque una volta alla settimana circa. Penso
di sì.
Fatemi
sapere nei commenti cosa preferite ;)
E
ora ricordatevi dove eravamo rimasti con il capitolo 3
perché si
riparte. Il quinto capitolo si intitola Supergirl
ed è fissato a lunedì prossimo! Non mancate :3
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