Serie TV > Supergirl
Segui la storia  |       
Autore: Ghen    05/03/2018    12 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
~
Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
4. L'esperimento


Si era fermata a pochi passi dalla porta, origliando all'interno del laboratorio senza dare nell'occhio. Sentiva il personale ridere e parlare di quelli che sembravano aspetti privati della loro vita. Non aveva mai dato disposizioni su cosa potessero o meno parlare i dipendenti in orari di lavoro, ma era pur vero che aveva sempre amato il silenzio e l'ordine, non certo il chiacchiericcio da scuole pubbliche. Ascoltava con interesse, cercando di capire il fulcro del discorso, fin quando aveva udito altre voci allegre accompagnate da passi che si avvicinavano nella sua direzione, nel corridoio, così si era messa più composta con la schiena e aveva assunto una faccia impassibile, fingendo di controllare alcune cartelline che aveva tra le mani. Appena quei due uomini in camice la videro, assunsero anche loro improvviso decoroso silenzio e professionalità. L'avevano salutata con un cenno del capo quasi in sincronia e le erano passati davanti senza fiatare, fino a quando non avevano svoltato l'angolo. Sapeva di fare quell'effetto alle persone e ne era orgogliosa; si era costruita negli anni una reputazione che le era costata fatica e dedizione e, di certo, pensava, non avrebbe permesso che nessuno gliela intaccasse. Nemmeno lei.
Si era messa ad ascoltare di nuovo e così si era affacciata alla finestrella della porta, guardando all'interno del laboratorio. Ridevano e scherzavano come ragazzini in assenza dell'insegnante. Lei compresa. Oh, l'aveva vista di nuovo ridere con un collega. Sembravano molto amici. Lillian Luthor aveva guardato la scena dei due con attenzione e così aveva abbassato la testa e, dopo aver messo in ordine le cartelline che aveva con sé, era entrata dalla porta con uno slancio, battendo i tacchi sul pavimento. In tutto il laboratorio non c'era che un colpo di tosse.
Aveva dato una veloce occhiata ai microscopi, poi aveva girato intorno ai tavoli come se i suoi dipendenti fossero i suoi allievi a un'esame importante. Lillian aveva sorriso impercettibilmente, soddisfatta.
Lo stesso scenario si era ripetuto il giorno successivo. E quello dopo. E dopo ancora. Ascoltava ciò che poteva dai loro discorsi e poi entrava in laboratorio per un controllo che diveniva sempre meno rapido. Prima si tratteneva cinque minuti al massimo, poi erano diventati dieci, quindici, mezzora, tanto che poi un'ora non le bastava più per chiedere a tutti in quell'aula cosa avevano fatto in mattinata, se intendevano finire per la serata, se avevano trovato difficoltà, o per rimproverarli del disordine delle loro postazioni che era meno o più confuso secondo il suo umore. Naturalmente, tutti in quel laboratorio sapevano che se c'era una persona che più di tutti Lillian Luthor amava disturbare era Eliza Danvers.
All'inizio la donna temeva del severo giudizio del suo capo, ma con l'andare dei giorni aveva cominciato a tenerle testa e a ribattere con fermezza se era certa delle cose, restando professionale ma conservando il suo punto di vista. Qualcuno le aveva detto che era matta a provare a replicare a una Luthor, ma non si sarebbe più lasciata mettere i piedi in testa, nemmeno da lei.
Così ogni giorno Eliza Danvers la aspettava, mentre Lillian Luthor spiava lei e i suoi colleghi dietro la porta.

«Non sto dicendo che dobbiamo trattarla senza rispetto, quello ci vorrebbe anche se non fosse il nostro capo. Dico solo che in fondo è una persona come tutte le altre, con pregi e difetti», aveva riferito Eliza ai suoi colleghi in una tarda mattinata di novembre.
«Più difetti, credo», aveva suggerito il collega al suo fianco, con cui spesso si intratteneva a parlare.
Qualcuno aveva riso, ma non a voce troppo alta, con la paura che quella donna potesse spuntare da dietro alla porta da un momento all'altro.
«Sarebbe il caso che la gente qui lo capisse», aveva proseguito, facendosi sfuggire solo mezzo sorriso dalla battuta. «Si chiama Lillian Luthor, sì, ma non è un mostro».
Lillian aveva sentito di quel discorso solo le ultime parole ed era rimasta di sasso. Forse una volta sarebbe stata fiera del fatto che qualcuno la temesse tanto, ma in quel momento le aveva dato fastidio. Severa lo era di certo, pretendeva disciplina, pulizia, senso del dovere e massimo impegno, ma un mostro… Sua figlia Lena una volta, quando era adolescente, l'aveva apostrofata in quel modo e non le aveva rivolto la parola per giorni.
«Puoi passarmi il sale… per favore?».
«Lex, tesoro mio, potresti passare il sale a tua sorella?», le aveva lanciato solo una rapida e stizzita occhiata, «Temo che i mostri non abbiano una completa funzione del pollice opponibile».
Di certo non era pronta a farsi dare del mostro di nuovo.
Era entrata di corsa all'interno del laboratorio e tutti si erano raddrizzati e sistemati, tranne Eliza Danvers. «Da oggi seguirò ancora più assiduamente i lavori portati avanti da questa squadra. Lavorate, su, non badate a me, sarò dei vostri».
Oh, di certo la squadra in questione non era stata felice di averla fra i piedi più a lungo ancora. Le chiacchierate erano scomparse, le battute, i balletti in mezzo ai banconi banditi, e il silenzio non era mai stato così pesante. Solo che, col tempo, le situazioni trovano da sole il modo di tornare a una sorta di equilibrio e Lillian Luthor aveva scoperto che, in fondo, i chiacchiericci da liceo pubblico poteva sopportarli. Non che in laboratorio qualcuno si fosse azzardato ad alzare la voce in sua presenza, ma i bisbigli erano ormai un'abitudine; e pure qualche risata, quando lei non guardava.
«Devi assolutamente esserci».
Lillian aveva captato quelle parole sussurrate dall'altra parte del laboratorio e, fingendo di aver bisogno di stirarsi le gambe, si era alzata dalla sua sedia e avvicinata alle voci.
«È l'ultimo giorno prima delle vacanze natalizie, ci saranno tutti! Paghiamo una piccola quota e testa, diamo tutti a quelli del secondo piano, e loro comprano ciò che serve e sistemano: sono gli organizzatori».
Eliza Danvers si era presto messa all'interno della conversazione, guardando il collega scettico: «Una festicciola prima di tornare a casa dalla famiglia! Senza impegno».
Lui aveva annuito qualche attimo prima di trovarsi davanti Lillian Luthor e la sua espressione curiosa.
«Una festa? Ho sentito bene?».
«Sì, per salutarci tutti prima delle ferie», aveva sorriso Eliza, spostandosi. «E darci gli auguri».
«Dove e quando si terrà?».
«Al piano sotto, signora Luthor. L'ultimo giorno prima delle vacanze», aveva risposto il primo collega, seppur un po' emozionato di parlare con lei. «Siamo in regola anche quest'anno, signora Luthor: sua figlia Lena è stata ben felice di concederci il permesso».
«Naturalmente», aveva rimbeccato lei con una nota di sarcasmo. Sembrava averci riflettuto piuttosto poco, però, poiché aveva ripreso parola in fretta: «Beh, dopotutto… Crede che potrò partecipare anch'io?».
Lui era scoppiato a ridere e tutti al laboratorio lo avevano guardato così male che, istanti dopo, aveva stretto i denti e, se avesse potuto, si sarebbe polverizzato. «Ma certo, signora Luthor. È… la benvenuta». Non sapeva con quali forze fosse riuscito a non balbettare.
Lillian Luthor non poteva crederci: da sei anni i suoi dipendenti organizzavano una festa natalizia alla Luthor Corp e lei aveva dovuto scoprirlo origliando; prima Lex e poi Lena avevano sempre dato loro i permessi. Era certa che nemmeno Lionel sapesse qualcosa. Effettivamente non era mai stata una persona da feste che non includessero personaggi di spicco e reporter, ma quel momento era quello che aspettava per mostrare finalmente a tutti che, se voleva, poteva riuscire a essere socievole e non un mostro che pensava solo al lavoro. E poi c'era lei ed era decisa a fare un passo avanti.

Peccato che quella sera era arrivata in ritardo.
Aveva passato delle ore a scegliersi un vestito e una volta indossato si era sentita inadeguata, così aveva cominciato a bere. Sapeva che era importante che riuscisse nell'intento, ci sarebbero stati quasi tutti i suoi dipendenti, e l'era salita l'ansia. E lei, chiaramente, Eliza Danvers. L'ansia le aveva portato il mal di pancia. Il mal di pancia e il bere l'avevano portata a vomitare. Sapeva che non era da lei: tutto ciò era assurdo e inqualificabile. Si era seduta sul puff al centro della sua cabina armadio contemplando i suoi abiti uno a uno, tutti firmati e pregiati, che aveva comprato ognuno per un'occasione importante. Quella sarebbe stata un'occasione importante? Si era ripulita in fretta e ed era uscita di casa in vestaglia per andare a trovare Felipe, il suo stilista. Ma era tardi e una giornata prefestiva, quindi aveva accelerato verso casa di Felipe. Fortunatamente, come amava dire parlando di lui, Felipe era un uomo solo che viveva per i suoi abiti: ne portava sempre qualcuno con sé a casa per rifinirli, e le andava bene, perché Lillian Luthor non avrebbe avuto il tempo materiale per farsene fare uno su misura in serata.
Si era diretta alla Luthor Corp con il cuore in gola. Si vergognava di riconoscere sentimenti in lei che pensava fossero morti dopo la prima visione di Marley & Me.
Non si sentiva altro che la flebile voce di Michael Bublè attraverso i muri da quando era entrata in azienda. Non c'era nessuno all'esterno, nemmeno il portiere all'ingresso poiché era già in vacanza; le luci erano spente. Si era lasciata guidare dalla musica e aveva aperto il portone del magazzino, spalancando gli occhi. Di solito, il magazzino era talmente pieno da non far rendere conto a nessuno di quanto quello spazio fosse in realtà davvero grande, così era rimasta spiazzata di trovarsi davanti a una sala gigantesca addobbata di striscioni natalizi e stelle filanti, riempita di tavoloni con sopra stuzzichini e bibite di ogni tipo, lasciata libera al centro dove qualche coraggioso aveva stracciato la sua reputazione tentando un ballo sfrenato. Si era incamminata guardandosi intorno, ritrovando del vischio appeso al soffitto, di tanto in tanto, e delle carte di caramella a terra, dove qualcuno doveva essersi divertito a lanciare coriandoli fuori stagione.
Lei aveva indossato un lungo vestito scuro, elegante, corredato di scarpe a spillo e collier al collo, aveva pensato, solo poco prima, di essere finalmente perfetta per la festa, ma quando si rese conto che l'abito più gettonato in sala erano i maglioni natalizi con renne cominciò a sentirsi di nuovo a disagio.
Iniziava seriamente a domandarsi cosa ci facesse davvero laggiù, a una festa che non era per lei né pensata per una persona come lei, finché non aveva inquadrato Eliza Danvers davanti a un tavolo assaggiando bruschette. Anche lei indossava un pesante maglione rosso natalizio, solo che, a dispetto di tutte le altre persone presenti, non le aveva dato fastidio. Era un gran passo in avanti. Aveva cercato di raggiungerla in fretta e si era bloccata solo un momento quando aveva visto che, al suo fianco, c'era ancora lui. C'era sempre lui. Avrebbe potuto licenziare quell'uomo quando voleva ma si sarebbe dimostrata superiore.
Perché lei era superiore, lo sapeva che lo era sempre stata e lo avrebbe fatto vedere a tutti, non importava come fosse vestita o se il suo corpo le lanciava seri segnali di dover andare di nuovo in bagno, si sarebbe avvicinata a Eliza Danvers e le avrebbe chiaramente fatto capire che era lei ciò che voleva e che avrebbe avu-
«Signora Luthor!».
Chi era quel bamboccione che puzzava di alcol che le aveva tappato la visuale? Si era domandata, guardandolo da capo a piedi, che lo reggevano appena.
«Sono davvero, ma davvero felice che lei alla fine abbia deciso di partecipare alla festa, sa? Tutti hanno paura di lei ma-», l'uomo le si era appoggiato addosso e Lillian aveva assunto un'aria disgustata. «Immagino si sbaglino tutti perché lei, signora…», l'aveva indicata con l'altra mano, che reggeva un bicchiere di vino, «Perché lei, signora, è un essere umano».
«Temo abbia ragione».
«Un essere umano! Sì! Certo che ho ragione! E lo dimostra il fatto che sia possibile toccarla, signora Luthor».
«Ha ragione, signor…?».
«Lavoro per lei da quindici anni», aveva sbottato.
La donna se lo era scrollata di dosso palesemente nervosa. «E le consiglio caldamente di tornare a casa a farsi una bella dormita e a non rivolgermi più la parola se non interpellato se vuole continuare a lavorare per me per altri quindici anni».
Lui si era allontanato il tanto giusto per guardarla bene e prendersi un attimo, prima di esclamare: «Un brutto essere umano, signora Luthor», e così andarsene.
Lei aveva trattenuto il fiato e lo aveva guardato con disprezzo andare via, ripetendo a se stessa come un mantra: «Sei superiore, Lillian. Sei superiore a questi pezzi di-».
«Signora Luthor!».
«E-Ehi». Eliza Danvers l'aveva vista e Lillian Luthor aveva immediatamente ripreso possesso di sé, sorridendo radiosa e avvicinandosi al tavolo facendo gesto di saluto con una mano. «Non avevo notato che era qui».
«E così è venuta, eh? Sa, non la facevo una persona da feste di questo genere».
«Ah, no?», Lillian aveva riso appena, cogliendo l'occasione per assaggiare anche lei una bruschetta, prendendone una. «Beh, sì… Non avevo idea che i dipendenti facessero una festa qui ogni anno o naturalmente avrei partecipato molto prima! Mi piace l'idea di cogliere l'occasione per conoscere più da vicino il personale». Aveva guardato di traverso il dipendente che parlava spesso con Eliza Danvers quando lo aveva visto fare passo verso di loro, ma per fortuna si era fermato a parlare con un gruppo di uomini sudaticci e ubriachi che non aveva mai visto.
Eliza Danvers si era gettata dello champagne in un bicchiere e ne gettò uno anche per lei, chiedendole se le andava, porgendoglielo. Lillian aveva preso quel bicchiere con foga e ne aveva bevuto metà subito prima ancora di toccare con bocca la bruschetta.
«Per quanto mi riguarda, sono contenta che lei sia qui».
Aveva deglutito, sentendo improvvisamente molto caldo. Non sapendo cosa dire, aveva morso la bruschetta e, mentre Eliza Danvers si era girata, l'aveva ritirata dalla bocca ancora tutta intera e l'aveva poggiata accanto al piatto, per poi pulirsi le mani e le labbra su un fazzoletto dei tanti sul tavolo.
«Le è piaciuta la bruschetta?», le aveva chiesto, vedendo che non ne aveva già più.
«Deliziosa».
«Ne prenda un'altra», le aveva sorriso, per poi avvicinarsi e parlarle sottovoce, «Credo sia l'unica qui ad averle apprezzate; le ha portate Amanda della sicurezza del quarto piano, non sappiamo che olio abbia usato per condire ma, detto tra noi, sembra olio di motore».
Lillian era rimasta dapprima seria, per capire se stesse scherzando, e poi aveva incurvato i lati della bocca per sorridere e infine ridere. «… Sì, sono davvero orrende».
Allora anche Eliza aveva riso e, per un attimo, Lillian aveva pensato che quello era il momento giusto, il momento giusto per chiederle di uscire.
«Posso chiederle come passerà queste vacanze di Natale, signora Luthor?».
Misericordia, l'aveva anticipata! «Ma certo. Vede, credo proprio che passerò le vacanze a Metropolis. Abbiamo una casa, ora ci abita da solo mio figlio».
«Oh, la famiglia riunita», le aveva sorriso, mentre entrambe si allontanavano dalle buschette e si andavano a sedere vicino ad alcune bibite, portando lo champagne sottobraccio. «Sono certa che Lex non vedrà l'ora di riabbracciare lei e Lionel. Io starò a casa, verranno a trovarmi le mie figlie. Faremo l'albero insieme, è una tradizione».
«Oh, e il suo… ex marito, giusto?», l'aveva squadrata con attenzione, per captare il minimo cenno sospetto nei suoi occhi.
«No, no, verrà anche lui, non si perderebbe un Natale con le ragazze per niente al mondo! Ma si tratterrà solo pochi giorni, non ha molte ferie, deve tornare al suo lavoro».
«Dove lavora il suo ex marito?».
«Al D.A.O., a Metropolis».
«Capisco… Molto bene, molto bene. Dunque non ha più molti… rapporti con lui», l'aveva guardata con attenzione di nuovo, sorridendo. «Intendo che abita più lontano».
«Sì, lui… Jeremiah ed io non eravamo più una coppia da tempo, la separazione ha fatto bene a entrambi, credo», le aveva sorriso a sua volta. «Lui è sereno, io sono serena, le ragazze lo sono altrettanto. Loro erano un po'… diciamo sorprese quando abbiamo deciso di divorziare, ma alla fine hanno capito. Lo saprà anche lei come sono i ragazzi, avendone due», aveva riso, continuando a versare champagne ai loro bicchieri, «Loro sono più emotivi di noi adulti, hanno bisogno di tempo per metabolizzare».
«Sì, Lex… lo è tanto e anche Lena, sì… è una ragazza anche lei», aveva tentato un altro sorriso.
Aveva mandato giù un altro bicchiere di champagne e il suo stomaco aveva ricominciato a gorgogliare. Sebbene non sapesse palesemente fare conversazione, sarebbe rimasta lì a provarci con Eliza Danvers per ore e ore se non avesse di nuovo sentito, e stavolta più forte che mai, l'allarme che le richiedeva più attenzione di tutti: doveva vomitare.
Quella sera si era conclusa con un nulla di fatto: le aveva dato la buonanotte, il buon natale, ed era scappata più veloce di un fulmine verso i bagni del piano terra della Luthor Corp, dove si era rifugiata. Si era sentita persa, vulnerabile come mai prima, sconfitta davanti a sentimenti a cui non sapeva dare un nome. Lei si era sempre vantata di saper mettere i sentimenti e le emozioni in secondo piano rispetto alle cose più importanti come l'ambizione e il successo, cresciuta da una donna che per lei voleva solo il meglio, aveva sposato Lionel Luthor prendendo il suo cognome e la sua azienda per arrivare in alto, credeva fosse ciò per cui era destinata, e non poteva credere di sentirsi… sciogliere come burro al sole per una donna che non era nemmeno un po' simile a lei.
O forse era proprio quello il punto, pensava Lillian seduta sul water del bagno quella notte: era attratta da lei perché era così diversa, irraggiungibile per giunta; una donna che lei non era mai stata vicina a diventare mai in un solo momento della sua vita. E l'avrebbe avuta. Se il suo desiderio di lei si sarebbe estinto una volta raggiunto l'obiettivo, allora poteva dire che era stato un fugace sogno d'avventura; in caso contrario, avrebbe potuto darle il suo cuore.
Cominciava a sperare fosse la prima ipotesi.

Si erano avvicinate tanto da dopo le feste natalizie. Eliza Danvers aveva detto alla sua squadra in laboratorio quanto Lillian Luthor in realtà fosse solo una donna in cerca di un po' di contatto umano, di amicizia, poiché le era sembrata molto sola. Lillian le aveva invitato il pranzo un giorno, ma avendolo fatto davanti a tutto il laboratorio, pensarono fosse un invito rivolto a tutti, tutti che accettarono con piacere. Successe un'altra volta. E una volta dopo ancora. Seccata di avere tanta gente intorno e di dover pagare per tutti, cambiò approccio, prendendole del cibo solo per lei e portandoglielo direttamente sulla sua postazione, accompagnato da un'incantevole sorriso.
«Lillian… non doveva».
Finalmente Lillian Luthor era riuscita a farsi chiamare per nome: era un passo in più verso la meta del suo diabolico piano. «L'ho fatto con piacere, Eliza. Sono contenta che ti piaccia: trovo che gli ambulanti siano migliorati, ultimamente».
«Sì, è vero! Comincio a pensare facciano apposta solo cose che mi piacciono».
Lillian si era lasciata andare a una breve risata. «Pare quasi sia così».
Era ormai difficile che Lillian Luthor si spostasse dal laboratorio dove lavorava Eliza se non per lo stretto necessario e i colloqui e le assemblee. I suoi assistenti e perfino sua figlia Lena se dovevano cercarla sapevano dove andare, anche se non capivano perché si ostinasse a lavorare tanto solo in quel preciso punto dell'azienda.
Un pomeriggio erano andate insieme a bersi un caffè dalla macchinetta posta in un corridoio vicino al laboratorio e avevano ricominciato a parlare di loro, della loro famiglia, o meglio Eliza Danvers parlava e lei tentava di capire. Si era irrimediabilmente persa da qualche parte sulle sue labbra e aveva capito di essere al capolinea. Dopo aver provato a fare una foto a entrambe insieme con l'autoscatto e avendo appurato di avere le braccia troppo corte per uno scatto decente, Eliza aveva chiesto a un suo collega di passaggio di scattare la foto con il suo cellulare e le due si erano messe vicine, così vicine che Lillian aveva potuto sentire l'odore del suo respiro. Sapeva che probabilmente doveva aver avuto una faccia fin troppo anormale in quella foto, da imbambolata innamorata, e pensava già che appena vista l'avrebbe voluta cancellare prima che fosse di dominio pubblico, ma quando si vide lì riflessa ne restò talmente sbalordita dal mancarle quasi il fiato: non sembrava certamente la stessa Lillian Luthor che lei conosceva, perché quello sguardo era di una persona… felice. Le aveva fatto paura da matti ma allo stesso tempo aveva trovato la cosa estremamente affascinante. Eliza si era vantata che la foto fosse riuscita bene, così presa che non si era accorta dei sentimenti provati dall'altra.
«Eliza, pensa che sarebbe una buona idea se uscissimo insieme?».
Ecco, lo aveva detto finalmente. E non era stato nemmeno così difficile. Ma se non fosse stato per la forte sensazione di svenire, di certo le sarebbe venuto su meglio.

Eliza Danvers era diventata felice, felice, felice. Non lo avrebbe mai immaginato, mai nella vita, che sarebbe riuscita a essere così vicina al suo capo più austero di tutti, Lillian Luthor. Era cambiata tanto in quei mesi e si erano avvicinate altrettanto, così era davvero contenta che le avesse chiesto di uscire. Non voleva farlo lei, era pur sempre il suo capo e non voleva approfittare, ma in fondo avevano tanto in comune, tanto di cui parlare e da confrontarsi, al di là del rapporto professionale che le legava e della vita diversa che avevano intrapreso. Era elettrizzata di poter dire alle sue figlie quando si sarebbero sentite che lei, Eliza Danvers, era diventata amica di Lillian Luthor.
«Una cena?», le aveva risposto al telefono, organizzando quell'uscita. «No, no, certo che una cena andrebbe bene, ma pensavo… Sì, qualcosa di diverso», aveva annuito anche se lei non poteva vederla, «Per la prima uscita, esatto! Oh, un film… va benissimo, allora! Certo che va bene, ne sono felice. Ci vediamo questa sera».
Eliza pensava che sarebbe stato un peccato non poter parlare tra loro se fossero andate al cinema, ma una cena sarebbe stata un po' fuori luogo. Così si era preparata in fretta, indossando un jeans e una felpa, per poi uscire e prendere il treno che l'avrebbe portata a National City anche in quel giorno di vacanza da lavoro. Sul treno le aveva inviato la foto che si erano scattate in settimana, ora che aveva il suo numero di cellulare, e Lillian le aveva risposto inviandole una faccina e un a presto. Una faccina in saluto e Eliza aveva sorriso, stupendosi ancora di quanto la Lillian Luthor che stava imparando a conoscere fosse diversa da quella che si era sempre immaginata.
In stazione lei l'aspettava già. Era scesa dalla parte posteriore della sua automobile nera, mostrando i tacchi a spillo e il tailleur che indossava, mentre i suoi capelli erano perfettamente acconciati in uno cignon. Eliza era rimasta senza parole: Lillian non sapeva davvero cosa significasse vestire casual.
«Eliza», le aveva sorriso, avvicinandosi a lei e prendendola in un abbraccio. «Sarei venuta a prenderti».
«Non ce n'era alcun bisogno. Prendo il treno tutti i giorni, non è mai un problema. Complimenti, stai benissimo».
«A-Anche tu». Lillian Luthor l'aveva fissata per un po', contemplando il suo abbigliamento poco adatto a un primo appuntamento. Ma non sarebbe stato quello a fermarla: in fondo, Eliza sembrava essere bella qualunque cosa indossasse.
Erano in tempo per lo spettacolo delle 21:00. Avevano preso i biglietti e una ciotola di popcorn, raggiungendo presto la sala e i loro posti. Eliza si stupì che Lillian volesse vedere un film d'amore, credeva non le piacessero neppure, ma almeno la sala era quasi deserta e non sarebbero state disturbate durante la visione.
Era un film davvero emozionante, dopotutto. Eliza non era riuscita a finire i popcorn e si era asciugata gli occhi con la manica della felpa in diverse occasioni, mentre Lillian aveva avuto più occhi per la donna al suo fianco che per il film. Quest'ultima non ricordava bene neppure la trama, ma la fioca luce della pellicola era sufficiente per vedere il viso di Eliza e perdersi in lei. Non sapevano cosa avrebbero fatto dopo il film, lei aveva sempre in mente quella cena, ma forse l'avrebbe solo accompagnata a casa e lasciata a ripensare alla loro uscita in attesa della prossima, che sarebbe stata certamente una cena. O forse sarebbe voluta stare da lei per non farsi tutto quel tragitto verso casa, aveva pensato Lillian, se lei glielo avesse chiesto. Di certo, poteva chiederglielo.
Si era avvicinata al bordo del suo sedile, affacciandosi in quello accanto, sorridendo con malizia. «Eliza».
«Sì?».
«Dopo il film… invece di fare tutta quella strada verso casa…». Oh, si sentiva strana e non credeva fosse per i popcorn: sapeva non avrebbe dovuto bere tanto prima di uscire di casa. «E se… e se ti andasse di venire a dormire da me? Ti ospiterei io, per questa notte».
«Non vorrei disturbare».
«Ma no, quale disturbo…».
«Allora, forse potre-», Eliza Danvers era sbiancata, spalancando gli occhi, quando finalmente aveva realizzato che quel qualcosa che si era appoggiato sulla sua gamba destra e poi aveva iniziato a salire lentamente in mezzo alle sue gambe era una mano di Lillian Luthor.

Eppure i segnali c'erano stati tutti. I pranzi offerti, i suoi cibi preferiti, il fatto che passasse così tanto tempo con lei e con nessun altro dei suoi colleghi, la sua eleganza e, di certo, la cena che sperava di fare insieme a lei. Come aveva fatto a non capirlo? Era stata così cieca di fronte all'evidenza… Non a torto: Lillian Luthor era una donna sposata e, come se non bastasse, non aveva mai dato l'idea che le piacessero anche le donne.
Dopo quella loro prima uscita, in cui alla fine Eliza aveva dovuto insistere per tornare a casa sua e Lillian l'aveva fatta accompagnare da Ferdinand, il suo autista, le cose tra loro si erano un po' raffreddate. Eliza voleva prendersi del tempo per capire come affrontare la cosa e Lillian passava invece il suo tempo a capire cosa avesse fatto di sbagliato quella sera. Ma forse aveva bevuto troppo per ricordare, misericordia; ma aveva dovuto bere per forza per pensare di stare vicina a quella donna una serata intera da sole. Per sua fortuna, o sfortuna, era troppo impegnata a pensare al resto dell'azienda che aveva trascurato fuori da quel laboratorio per avere il tempo di pensare a cosa e come farsi perdonare. Suo marito Lionel Luthor era tornato da qualche giorno da Metropolis che aveva passato nella filiale della Luthor Corp che gestiva il figlio Lex e si era preso qualche giorno per stare a casa a riposare, così Lillian aveva dovuto prendere con più serietà il suo lavoro che, fino a qualche mese prima, era quasi letteralmente la sua vita.
Se Eliza Danvers ci pensava attentamente, e in fondo non faceva altro perfino accatastando calzini, non le erano mai dispiaciute le donne. Ricordava solo in quell'attimo quando al liceo si era presa una sbandata per una cheerleader che era tanto lontana da lei in popolarità, essendo stata capitano del club delle scienze e cocca delle insegnanti, quanto in tutto il resto. Aveva smesso di pensare a lei quando quest'ultima aveva firmato la raccolta firme per chiudere il club delle scienze, capendo che non ci sarebbe mai stato futuro tra loro. Si era addirittura dimenticata di lei col tempo, si era sempre innamorata degli uomini e considerava Jeremiah, anche se erano separati, ancora l'uomo della sua vita. E come si era sentita strana quando Alex, la sua primogenita, le aveva detto di essere gay. Sembrava una cosa così distante… Ma Lillian Luthor era la sua scoperta e non sapeva bene come interpretare ciò che provava in quel momento. Le stava scombussolando la vita.
E sarebbe stata scombussolata ancor di più uno dei pomeriggi successivi. La squadra doveva spostarsi per pranzo e uscirono tutti insieme dal laboratorio quando Eliza si era accorta di aver dimenticato il portafogli ed era tornata indietro. O meglio quella era la scusa che disse ai suoi colleghi, ma si era portata del cibo da casa ed era andata a prenderlo: non voleva incrociare Lillian Luthor dagli ambulanti al piano di sotto e magari farsi invitare. Non aveva ancora preso una decisione e l'altra donna non sembrava capire cosa ci fosse che non andava tra loro. Aveva tirato fuori dalla borsa delle posate avvolte in un fazzoletto seguite da un recipiente di plastica con dentro carne e insalata, cercando di sbrigarsi per uscire, fermandosi solo col sentire la porta aprirsi, sbuffando.
«Sto arrivando, Pete. Mi dichiaro colpevole, mi hai scoperta». Ma si era sorpresa di vedere Lillian e non il suo collega. «Ops…», aveva bisbigliato, guardando il cibo, «Mi dica, signora Luthor, è troppo tardi per nascondere il mio pranzo a fare finta di niente?».
«Immagino di sì», aveva sorriso e si era avvicinata contorcendosi le mani, palesemente nervosa. «Ma chiuderò un occhio. Lionel ed io stavamo pensando di riaprire la mensa, così da non costringere gli operai a spendere ogni giorno dagli ambulanti. Loro resteranno, ma saranno un opzione».
«Credo sia un'ottima cosa».
Lillian aveva annuito, guardandola con attenzione. Si era avvicinata, le aveva preso il pranzo dalle mani e lo aveva poggiato all'angolo di un tavolo per non urtare niente, mentre Eliza era rimasta ferma, in attesa, poiché sapeva che non poteva più scappare da lei, da quel pensiero, e da ciò che provava, qualunque cosa fosse. «Eliza, non abbiamo parlato più da quella notte…».
«No».
«Posso chiederti cosa-».
Eliza Danvers non seppe cose volesse chiederle, anche se di certo ne aveva avuto da allora qualche idea, ma si era accorta che più di tutto non sarebbe riuscita a fare conversazione, che non sapeva cosa dire, né che forse aveva davvero qualcosa da dire, così le aveva preso il viso tra le mani e l'aveva baciata, chiudendo quelle labbra e il loro discorso. E quello sarebbe stato il primo di una lunga serie di baci.


***



Avevano inizialmente deciso di mantenere clandestina la loro relazione, dopo la loro cena alla seconda uscita, perché non solo erano l'una il capo dell'altra, ma perché avevano ogni interesse a tenere i giornalisti lontano dalle loro vite. Lionel Luthor era stato il primo a saperlo, per sua moglie non era stato un problema dirgli che frequentava una donna e lui non le aveva neppure rivolto una domanda, nemmeno chiesto se la conoscesse, ma aveva semplicemente appreso la notizia. D'altronde non erano più una coppia da molto tempo, se non sotto i riflettori delle macchine fotografiche: non avevano mai mostrato il desiderio di divorziare perché a tutti faceva comodo saperli sempre uniti, ma il fatto che dormissero in due letti e in due camere separate da anni era esplicativo.
Si erano trasformate in due ragazzine che fingevano una vita normale fino a che nessuno le guardava, e allora diventavano amanti. Ciononostante si sa, tutto è destinato a mutare e se la voglia di vivere una vita pacifica insieme era la loro priorità, la clandestinità stava lentamente perdendo il suo fascino a dispetto di una relazione normale. Stavano per uscire allo scoperto, lo avevano deciso insieme, quando l'improvvisa morte di Lionel Luthor le aveva fermate. Era successo tutto così in fretta da lasciarle impreparate. Seppure tra loro non c'era amore e forse non c'era mai stato, Lillian era rimasta molto provata dall'avvenimento e aveva chiesto a Eliza del tempo per stare vicino ai suoi figli e alla Luthor Corp.
«Forse non sono mai stata la madre che meritavano, ma devo provare a stare loro vicino».
Eliza aveva ormai imparato a conoscere quella donna: non riusciva facilmente a trasmettere le sue emozioni, era come ghiaccio e pietra, e il dolore non sarebbe riuscito a cambiarla, ma doveva provare a farlo per i suoi due figli.
Era stato un periodo complicato e quando riuscivano a vedersi, sembrava che Lillian Luthor non volesse più lasciarla andare. La morte del marito di Lillian aveva cambiato le carte in tavola, ma alla fine era riuscito a unirle più di prima. Infine, come colta da un'idea folle e spinta dalla voglia di andare avanti, Lillian Luthor aveva fatto una valigia e si era trasferita momentaneamente a casa di Eliza Danvers, e non potendo sparire senza dir nulla, spiegò a Lena, la sua seconda figlia, la semplice verità:
«So che sarà strano per te sentirlo, Lena», le aveva preso una mano tra le sue, guardandola dritta negli occhi chiari, «Ma non voglio mentirti: mi sto frequentando con qualcuno, una donna, lavora alla Luthor Corp. Andrò a stare da lei per un po'».
Lei l'aveva guardata come se non la riconoscesse. «Tuo marito è appena morto e stai già frequentando qualcuno?».
«Non è come pensi, cara», aveva mantenuto il suo sorriso e la stretta calda delle loro mani. «La frequentavo da prima che tuo padre morisse».
«Lo stavi tradend-».
«Sono sicura che capirai».
«Stavi tradend-».
«Ci vedremo comunque alla Luthor Corp».
«Lillian!».
«Se hai bisogno sai che puoi farmi una telefonata».
Un po' meglio l'aveva presa Lex, che in verità già sapeva di loro poiché ne avevano parlato lui e suo padre prima che mancasse.
D'altra parte, superato il duro periodo dovuto al lutto, le cose tra Lillian ed Eliza non facevano che migliorare. Stare lontana da National City se non per lavoro aveva migliorato il carattere di Lillian, e avere qualcuno per casa aveva reso Eliza Danvers felice come non si sentiva da tempo.
Passarono mesi e Lillian convinse l'altra a parlare della loro relazione alle sue figlie, che quando le sentiva per telefono faceva di tutto per terminare la conversazione prima che potesse anche solo accennarglielo. Temeva le loro reazioni ma, più di tutto, temeva che le cose cambiassero proprio in quel momento che stavano andando tanto bene. E così, una sera, si armò di buona volontà e chiamò prima l'una e poi l'altra, con Lillian vicino.
«Sono una donna fortunata…», aveva sussurrato e loro, in due tempi diversi, erano rimaste in ascolto, «Perché io, Eliza Danvers, ho finalmente trovato l'amore della mia vita».
Ed entrambe, in tempi diversi, erano rimaste senza fiato. L'amore della sua vita? Sì che lei e Jeremiah avevano divorziato da tempo, ma credevano sarebbero rimasti loro due per sempre, come anime gemelle che avevano scelto due vite diverse e distanti.
«È papà?», era stata la prima reazione di Alex.
«È uno scherzo?», quella di Kara, «Perché se lo è, Eliza… non l'ho capito».

Aveva lasciato detto a entrambe che potevano venirle a trovare quando volevano alla Luthor Corp, ma sapeva che sarebbero state impegnate con l'università e il lavoro e contava su quello. Ogni volta che Lillian Luthor esprimeva il desiderio di conoscerle, Eliza le chiamava e insieme fissavano un appuntamento, ma sceglieva apposta date trabocchetto in modo che non si vedessero.
«Oh, non puoi… Stai tranquilla, tesoro, si farà un'altra volta»: era la sua risposta standard alle chiamate di disdetta che aspettava, fingendosi dispiaciuta.
Dopo appena due mesi da quando aveva detto di loro alle figlie, Eliza e Lillian erano state sorprese insieme alla Luthor Corp e la loro storia era venuta a galla. Decisero di comune accordo di cogliere la palla al balzo per fidanzarsi ufficialmente e nella stessa settimana diedero un party alla Luthor Corp dove Eliza aveva potuto conoscere di persona Lena e Lex Luthor, che aveva viaggiato da Metropolis per l'occasione. Eliza Danvers aveva inviato l'invito anche alle sue due figlie, ma sapeva che non si sarebbero presentate per via degli impegni e no, non era ancora pronta a far congiungere quell'aspetto della sua vita con l'altro, anche se era ormai conscia che le vacanze estive si avvicinavano rapidamente e non ci sarebbe più stato verso di rimandare. Aveva detto loro al telefono che ora che si erano fidanzate erano pronte per andare a vivere insieme, raccontando loro la serata e quanto fosse speciale davvero la sua persona speciale, spianando il terreno per quando si sarebbero incontrate.

Lillian era elettrizzata per l'arrivo delle vacanze e quindi di Alex e Kara, coinvolgendo Lena in quell'avventura. Anche Lex doveva partecipare alla loro prima volta come una famiglia allargata, ma sebbene la filiale della Luthor Corp di Metropolis sarebbe rimasta chiusa per il mese di giugno, aveva comunque del lavoro extra da sbrigare prima della riapertura che richiedeva il suo massimo impegno, così aveva dovuto declinare. Anche Eliza sentiva il tempo che si stringeva diventando ogni giorno più tesa.
Andando a far la spesa nel solito market, una sera, per poco non le veniva un infarto sentendo la risata di Kara. Non si era tranquillizzata del tutto neppure quando aveva visto che a farla era una bambina che poteva avere la metà dei suoi anni. E andando alla Luthor Corp insieme, sul treno, perché aveva convinto Lillian Luthor a provare l'esperienza invece di far andare Ferdinand a prenderle ogni giorno, le era parso di intravedere Alex a pochi sedili da loro: per fortuna quei capelli a caschetto rossi appartenevano a un ragazzo e non a lei. Era agitata, nervosa, sempre sull'attenti. Così tanto che Lillian la convinse a passare una sera fuori, per provare a rasserenarla. Presero una delle macchine della tenuta dei Luthor che decise di guidare Eliza ed erano partite, ma il traffico le aveva bloccate ancor prima di uscire dalla città. Si erano fermate davanti a un semaforo e, per un rapido attimo, le era parso ancora di vedere sua figlia Alex di fianco a loro, in una macchina della corsia vicino. E certo, pensava, perfino l'automobile che guidava somigliava a quella condivisa da sua figlia e la sua ragazza. No, no, era proprio identica. Si era presa il tempo per guardarla attentamente e appena l'autista si era girata e si erano scambiate un fugace sguardo, Eliza aveva provato a nascondersi in basso sul sedile e, ricordando che era lei quella alla guida, aveva tentato di nascondere Lillian.
Alex aveva fatto loro un saluto con la mano ed era scesa dall'auto per salutarle; in ogni caso erano imbottigliate nel traffico e non c'era posto dove poter scappare. Anche Lillian aveva aperto la portiera dal suo lato e aveva salutato Alex Danvers con un abbraccio, felice che finalmente la potesse conoscere.


Lillian chiuse la porta del bagno dietro di lei e camminò nella camera buia fino ad aprire le coperte e sistemarsi comodamente contro la schiena nuda di Eliza, che al tocco su di lei sorrise.
«Non credo di essere pronta a lasciarle andare», bisbigliò la prima.
«Devono tornare alle loro vite… e noi alla nostra. Le rivedremo ad agosto, erano questi i patti», rispose Eliza, voltandosi per guardarla negli occhi, che anche se già abituata al buio li vide appena, «O hai paura a stare da sola con me, forse?».
«Un po'», rise a fior di labbra.
«Non devo chiederti come sta procedendo il tuo esperimento?!».
«No, quello sta andando benissimo, lo sai», le baciò una spalla.
Chiusero gli occhi per cercare di dormire, quando un pensiero sconvolse la testa di Eliza Danvers, che li spalancò come colta da un fulmine a ciel sereno: «Accidenti! Devo ancora dirlo a Jeremiah».



























***

Questo credo sia il capitolo più scemo che ho scritto per questa storia al momento XD Era un capitolo “di dovere”, perché dovevo approfondire il rapporto tra Lillian ed Eliza, e mi è piaciuto rendere Lillian così umana (sapete cosa intendo)! Anche se scritto in terza persona, il capitolo è un po' di parte, quindi le cose scritte sono sì successe, ma potrebbero essere state omesse volutamente delle parti per ragioni di trama ;)
Spero vi sia piaciuto! Ci saranno altri capitoli “simili” in futuro, nel senso capitoli che si concentreranno su alcuni personaggi per raccontare uno spaccato della loro vita. Li chiamo stand alone proprio perché sono capitoli a sé, danno una piccola pausa agli eventi per concentrarsi su altro, ma fanno parte integrante della trama o comunque sono utili per capire meglio alcuni personaggi. Spero siano graditi :)

Sondaggio! Momento sondaggio!
I miei capitoli standard variano dalle 10 alle 13 pagine (poi possono capitare quelli un poco più corti, ma a trama avviata è difficile, a meno di stand alone; o poco più lunghi, ma in quel caso cerco sempre di chiudere in fretta). Quindi la mia domanda è questa: i capitoli vi vanno bene così lunghi, oppure li taglio e pubblico “numero e nome capitolo – prima parte” e, la volta dopo, “numero e nome capitolo – seconda parte”? Insomma: divido i capitoli lunghi oppure li lascio interi?
In quel caso pubblicherei comunque una volta alla settimana circa. Penso di sì.
Fatemi sapere nei commenti cosa preferite ;)

E ora ricordatevi dove eravamo rimasti con il capitolo 3 perché si riparte. Il quinto capitolo si intitola Supergirl ed è fissato a lunedì prossimo! Non mancate :3




   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supergirl / Vai alla pagina dell'autore: Ghen