Kara
non si sarebbe certo fermata al primo no.
O al secondo. E
così via.
Se si metteva in testa qualcosa, allora doveva fare quella cosa e non
ci sarebbe stato verso di farle cambiare idea. Lo sapeva bene Alex
Danvers che, quando era adolescente, non riusciva ad andare da
nessuna parte senza la sua piccola nuova sorella che le facesse da
scorta, preoccupata che frequentasse persone poco raccomandabili.
«So
io con chi devo o non devo uscire, okay?».
«Fai
preoccupare Eliza e Jeremiah…».
«Non
ti impicciare».
«Ma-».
«Okay,
facciamo così: ti giuro che sarò assolutamente
attenta alle persone
che frequenterò da oggi in poi. Così da non far
preoccupare Eliza,
né Jeremiah, né te», l'aveva indicata,
spingendole l'indice contro
il petto.
Kara
l'aveva pedinata per sei mesi.
Non
era di certo una persona che si faceva tranquillamente i fatti suoi,
convinta di poter sempre essere d'aiuto per le persone che conosceva.
Questo lo aveva capito bene anche Eliza Danvers che non era
più
riuscita ad avere appuntamenti seri con qualcuno dopo Jeremiah
finché
Kara non aveva lasciato casa per andare all'università.
«Ma
che c-». Eliza era tornata a casa dopo il lavoro e aveva
trovato
alcuni mobili in diverse posizioni, tutto splendeva dal pulito, e il
che non era molto usuale con le sue figlie in casa, con fiori
disposti in piccoli e grandi vasi per tutto il soggiorno. Kara,
allora quindicenne, era in mezzo alla stanza, in piedi, con le mani
unite, con un indosso un vestito fiorito e i capelli raccolti in due
basse code. Sorrideva, aspettandosi qualcosa.
«Cos'è successo qui
dentro? Cosa stai facendo?».
«Oh,
pensavo venissi con Ryan e così…».
«Ryan?
Come fai a sapere di Ryan?».
«Alex
ti ha sentito fare il suo nome al telefono», aveva sorriso di
nuovo,
agitando le mani nel dare la sua spiegazione, «Ultimamente
torni
sempre tardi, hai comprato un nuovo profumo, sorridi più
spesso e
sei distratta… così… così
non era difficile intuire che ti
vedessi con qualcuno», si era grattata dietro nella nuca,
«Senza
contare che ti è arrivato un mazzo di fiori da National City
e nel
biglietto c'è scritto da
Ryan.
Ecco, sì, li ho messi lì», aveva
indicato un vaso su un mobile.
«Pensavo fosse la giornata giusta per portarlo a casa a
conoscere la
famiglia, volevo fare bella figura e… sì, ho
anche già
memorizzato dei discorsi che potrei fare con lui per non farti
apparire come disperata. Sì, lo so che non ti sono sembrata
molto
felice quando tu e Jeremiah avete deciso di divorziare, ma poi ho
pensato che anche tu in fondo sei un essere umano e hai bisogno di
stare con qualcuno che ti faccia, diciamo, le coccole, alla tua
età
chissà quante altre possibilità avrai,
quindi…», aveva stretto
le labbra e dondolato sui talloni delle scarpe da ginnastica,
pensando a cos'altro dirle, i suoi occhi azzurri andavano da una
parte all'altra della camera, finché non si era illuminata,
guardando di nuovo sua madre con decisione: «Quindi,
sì, insomma,
sono pronta se vuoi portarlo a casa».
Eliza
era incerta se ringraziarla o gridarle addosso. «Non
c'è bisogno di
tutto questo».
Il
suo sorriso si era spento di colpo. «Ho-Ho passato delle ore
a
sistemare tutto, cavolo, almeno un po' di riconoscenza».
«Kara…
non ho intenzione di farvelo conoscere».
«Ah».
Era
convinta di poter aiutare tutti, non solo le persone che conosceva. E
questo lo aveva scoperto presto la vecchia signora Terry che abitava
vicino al market in cui spesso la famiglia Danvers si recava a
comprare il giornaliero. Da quando la famiglia aveva adottato la
piccola Kara, lei si era messa in testa di aiutare la signora, minuta
e gracile, ad attraversare la strada. Il che andava bene, Eliza era
felice che Kara si stesse ambientando in quella zona e che si
comportasse tanto bene anche con le persone anziane.
Così
le correva incontro appena la vedeva, la prendeva a braccetto e
l'aiutava a camminare sulle strisce.
«L'aiuto
io, signora Terry».
«Che
gentile che sei; va bene». L'anziana le aveva sorriso e si
era
lasciata prendere il braccio sinistro, che Kara aveva afferrato con
foga.
«Oggi
non ho molto tempo, Jeremiah mi porta a National City al ristorante,
dove fanno la panna cotta più buona del mondo».
Aveva cominciato a
correre con la signora legata a lei che non riusciva a stare al suo
passo. Era appena uscita dal market e aveva ancora il portafogli poco
fuori dalla sua borsetta, così che le era scivolato sulla
strada.
«Non si preoccupi, signora Terry: ci penso io».
L'aveva
accompagnata davanti al marciapiede ed era corsa indietro, ma stava
per passare un'automobile e a nulla erano serviti gli strilli della
signora che le dicevano di tornare al sicuro. La macchina era passata
a poco dalla sua schiena e, quando la bambina si era girata, era
corsa subito a restituire il portafogli alla signora, noncurante del
pericolo scampato e dell'infarto scongiurato della vecchina.
Sapevano
che la signora Terry era andata a vivere con i figli a National City
la settimana successiva. Forse fu una coincidenza, ma non ebbero modo
di approfondire.
Aiutare
tutti, non solo le persone. Come quando tornò a casa da
scuola con
un cagnolino che si era smarrito e che non poteva lasciare per
strada.
«Non
potevo abbandonarlo anch'io, scusa».
Eliza
Danvers glielo aveva fatto tenere per due settimane, mentre
attaccavano volantini per strada con la foto del cane che
così aveva
potuto ritrovare i suoi padroni. Kara era triste di doverlo lasciare,
ma in fondo felice che avesse ritrovato la sua famiglia, almeno lui,
sapendo che era la cosa giusta da fare. Dopo il cane però
era
cominciata a sembrare un'abitudine, portando a casa ogni specie di
creatura vivente: rane, scoiattoli, uccellini, vermi, mantidi
religiose, perfino un serpentello che sì, era innocuo, ma
Alex se lo
era ritrovato sul letto una sera e non aveva più chiuso
occhio per
giorni, proibendo a Kara di portare animali nella loro camera in
comune. Divertente, poi, pensare che con la crescita la stessa Kara
aveva contratto la fobia per i rettili.
«Eliza,
si dev'essere perso… Posso tenerlo? Lo porto fuori io e
farò i
volantini».
Eliza
era rimasta pietrificata davanti alla porta, guardando l'animale che,
dietro la bambina, le masticava la gamba di un pantalone.
«Tesoro, è
un cavallo. Non lontano c'è una casa con del terreno,
dev'essere di
lì».
«Ah.
Allora lo riporto a casa sua. Grazie».
Kara
Danvers era caparbia, metteva cuore e passione in tutto ciò
che
faceva, e questo lo avrebbe presto scoperto anche Lena Luthor. Si
erano sentite per telefono e Lena l'aveva invitata alla Luthor Corp
se davvero ci teneva a lavorare con loro: lei e il suo assistente.
Aveva rifiutato quando le disse che le avrebbe inviato Ferdinand a
prenderla, così aveva preso un autobus e poi si era fatta
una bella
passeggiata, con il sole che splendeva, fino ai piedi della Luthor
Corp. Quel posto sembrava enorme. Era strano pensare che sua madre
lavorasse per così tanto tempo in quell'azienda, da prima
che
l'adottasse, ma non essere mai andata a trovarla. Aprì le
porte e la
guardia all'interno la adocchiò subito, seguendola con lo
sguardo
intanto che si avvicinava alle sbarre elettriche incastrandosi la
gonna, tornando indietro, incastrandosi di nuovo, spingere con forza
e così passarci. Lui trattenne un sorriso, mentre lei lo
raggiungeva
alla sua postazione.
«Salve,
sono Kara Danvers, ho un appuntamento con Lena Luthor».
«Sì,
signorina Danvers. La signorina Luthor la sta aspettando nel suo
ufficio». Le diede indicazioni e lasciò proseguire
verso
l'ascensore.
Si
controllò sullo specchio dell'ascensore, passandosi le mani
sulla
testa per appiattire i capelli raccolti in un alto chignon,
sistemandosi gli occhiali sul naso e lisciandosi verso il basso la
camicetta a maniche corte infilata nella gonna larga che le arrivava
alle ginocchia. Dopo tirò un po' più su sulla
spalla la borsa a
tracolla. Sperava di non avere un look troppo sbarazzino per la
Luthor Corp anche se, sapeva, non doveva avere timore di incontrare
chissà quali scienziati ora che era luglio, ma c'era sempre
l'assistente di Lena. E Lena. L'aveva vista in pigiama, non avrebbe
mosso ciglio, probabilmente, ma ora erano in un ambiente di lavoro e
non voleva fare brutta impressione su di lei.
Quando
l'ascensore si aprì si incamminò velocemente,
sorpassando la
scrivania vuota non distante dalla porta chiusa, e così
bussò. Non
aspettò molto prima che la voce di Lena le desse il permesso
di
entrare.
Un
profumo dolce la accolse appena aperta la porta, e così
diede un
veloce sguardo all'ufficio, dalla scrivania dove Lena e un ragazzo
erano chini a scandagliare dei fogli sparsi, alla portafinestra alle
loro spalle, con il sole che filtrava prepotente dalle tapparelle a
metà, al divano dall'altra parte della stanza, a un
armadietto, ai
fiori dentro un alto vaso da terra, in un angolo. Entrambi alzarono
lo sguardo e si bloccarono, mentre la ragazza chiudeva la porta
dietro di lei.
«Vi
siete già portati avanti con il lavoro?»,
scherzò, battendo le
mani e sorridendo, avvicinandosi.
Lena
si lasciò andare a un sospiro fugace, cercando di guardare
altrove,
e il ragazzo vicino a lei si irrigidì, cominciando a ridere,
in
ritardo, per la battuta di Kara. «Non abbiamo fatto
molto», rispose
freddamente Lena, senza guardarla, puntando di nuovo lo sguardo ai
fogli sparsi per la scrivania.
Kara
la squadrò, capendo che doveva essere davvero molto
concentrata per
quasi non guardarla.
«Lui
è Winslow Schott Jr, il mio assistente».
Lui
allungò il braccio per stringerle la mano, sorridendo con
emozione.
«Molto piacere; ho sentito molto parlare di te, Kara
Danvers». Lena
gli rivolse mezza occhiata e Kara rise, guardando entrambi.
«Possiamo
rimetterci al lavoro, per favore? Questi documenti non si leggeranno
da soli».
La
voce di Lena era fredda e distante, scontrosa. Adesso che Kara si era
abituata a tutt'altro comportamento verso di lei, faticava a
riconoscerla. Winslow si fece subito serio e riprese a leggere, ma
Kara fissava Lena, corrugando lo sguardo, cercando di capirla. Quel
caso alla Luthor Corp di Metropolis doveva preoccuparla davvero
tanto, pensò, così cominciò a mettersi
anche lei al lavoro: prese
alcuni fogli, una sedia, e iniziò a leggere.
Oh,
era davvero la cosa più faticosa e noiosa con cui avesse mai
avuto a
che fare. Se chiudeva gli occhi, Kara era capace di distinguere
perfettamente i numeri che le si piazzavano davanti e la salutavano,
abbracciandosi tra loro, formando lunghe file di abbracci numerici.
La voce dell'assistente di Lena troncò il silenzio, dicendo
di aver
trovato qualcosa di incongruente, ma era solo un falso allarme. Erano
tutti e tre sulla scrivania, poi sul divano, poi Kara e Winslow a
terra e Lena in piedi, poi loro due in piedi e Lena di nuovo sul
divano. Passarono alcune ore, distinguibili tanto dall'orologio
appeso alla parete quanto dai raggi del sole che passavano attraverso
la finestra, scendendo e cambiando zona illuminata. Kara si era messa
a leggere sul pavimento facendosi scaldare dai raggi. Lena le rivolse
un'occhiata e sorrise, vedendola concentrata grattarsi la fronte,
facendo una smorfia con gli occhi e la bocca. La pancia di Kara
brontolò così forte che sembrò un
tuono a ciel sereno, facendo
ridere Winslow.
«Va
bene». Lena si alzò dalla sedia accanto alla
scrivania con
decisione ed entrambi la fissarono. «È ora di
pranzo e credo che
tutti e tre ci meritiamo un po' di riposo».
Kara
si alzò dal pavimento così in fretta che parve di
essersi seduta
sui chiodi, ritrovando il sorriso. «Perfetto! Sto morendo di
fame,
ma non volevo dirlo… Dove andiamo a mangiare?».
Lena
distolse lo sguardo, rispondendole mentre sistemava la sua pila di
fogli, poggiandoli con cura. «Qui vicino fanno dei piatti
veloci e
ottimi».
«Aggiudicato»,
sorrise, guardando poi verso il ragazzo. «Vieni con
noi…», lo
guardò a sottecchi, cercando di ricordarsi il
suo nome,
«… Winslow?!».
Lena
stava per dirle che solitamente lui ama mangiare per conto proprio,
quando il ragazzo rispose affermativamente accompagnando una goffa
risata: «Sì, sì, certo! Puoi chiamarmi
Winn», si avvicinò, «Gli
amici mi chiamano così, è più
facile… Anche se ultimamente, emh,
non è che io sia proprio circondato da amici,
diciamo», rise
ancora, «Sono più un tipo solitario, un
po'… particolare».
Kara
rise a sua volta. Lena guardò il sorriso di lei e poi quello
di lui,
scuotendo la testa: il suo impacciato assistente stava cercando di
fare colpo su Kara, come non immaginarlo. A lui era bastato poco per
capire quanto fosse speciale. Oh, speciale.
Aveva pensato proprio quella parola. Sarebbe stato meglio lasciarli
fare; che lei avesse ridato un'occasione a quel Mike o al suo
assistente, che aveva scoperto oggi dopo mesi di conoscenza di
volersi far chiamare Winn, andava bene.
Da
quando aveva capito, ma soprattutto accettato, che Kara Danvers le
piacesse in aspetto romantico, non faceva che pensare a quanto fosse
sbagliato. Non solo lei era chiaramente eterosessuale, non aveva
accennato mai neppure una volta a una possibile ragazza, ma le loro
madri stavano insieme, il che era piuttosto strano. Non poteva
seriamente perdersi nell'immaginarsi di voler baciare qualcuna che
avrebbe dovuto considerare sua sorella. Però lo immaginava.
Oh, lo
immaginava eccome guardando le sue labbra che sorridevano, che
parlavano, che parlavano verso di lei.
«Mh,
scusami, cosa?».
«Dicevo
che possiamo andare: prima mangiamo, prima ritorniamo ad occuparci
del nostro caso», esclamò Kara. Lei e Winn
uscirono per primi
dall'ufficio, parlando tra loro.
Il
nostro caso,
pensò Lena. Lo aveva subito
adottato
come il suo caso.
Ordinarono
della pasta al formaggio e, mentre aspettavano, Kara e Winn si
lasciarono andare a una discussione che si allacciava con la
successiva senza tregua, scoprendo di avere un sacco di cose in
comune come la passione per alcuni fumetti, che Kara leggeva molto di
più quando era bambina, come l'aver frequentato la stessa
scuola
elementare, come aver avuto entrambi a che fare con il bullo Benny
Santos. E continuarono anche durante il pasto, riuscendo a masticare
e parlare insieme. Lena si stupiva riuscissero a trovare modo di
respirare.
«Ah,
sì, ma questo lo sapevo!», disse lui con un enorme
sorriso stampato
in faccia, «Ho fatto ricerche anche su te, per conto della
signorina
Luthor».
«Già»,
lei si voltò a guardarla, «La famosa
ricerca».
Lena
cominciava a pensare che non glielo avrebbe mai perdonato.
Di
tanto in tanto, Kara la guardava e le chiedeva qualcosa cercando di
farla entrare in argomento, ma lei non sapeva cosa dire e lasciava
che le cose riprendessero il loro corso, e così i due si
perdevano
di nuovo nei loro discorsi.
Winslow
sorrideva e si eccitava in continuazione, tanto che si chiedeva se
era sempre stato lui il suo assistente, stentava a riconoscerlo, e
Kara parlava con la bocca piena, ridendo tappandosi la bocca con un
fazzoletto. Lena sparì in bagno dopo aver finito il suo
piatto senza
che loro se ne accorgessero. Diede colpetti decisi contro la
macchinetta del sapone, con fare nervoso. Era stata lei la prima a
essere dura con Kara, a cercare di ignorarla, quindi non capiva
proprio perché se la prendesse tanto a cuore, continuando a
pestare.
«Cosa
ti ha fatto di male quel sapone?».
Si
voltò, vedendo Kara entrare e raggiungendola al lavandino,
prendendo
del sapone anche lei, mettendo le mani sotto il getto d'acqua. Lena
le guardò abbassando lo sguardo dal suo, vedendo che erano
diventate
gialle.
«Cosa
ti è successo? Hai fatto a pugni con i
maccheroni?».
«No»,
strinse le labbra, trattenendo il rossore sulle gote.
«Diciamo che
Winn ha riso un po' troppo e, sì… un piccolo
incidente», rise,
«Non finirà mai di scusarsi».
Lena
stava per ridere a sua volta ma si costrinse a restare seria e
distaccata, soprattutto al sentirla chiamare lui Winn.
«Va
bene. Datti una lavata, così torniamo al lavoro».
Kara
la tenne d'occhio intanto che usciva a passo spedito dal bagno, senza
guardarla.
Il
lavoro diventò più silenzioso che al mattino.
Tranne che Winn ogni
tanto le sorrideva e le diceva qualcosa a voce talmente bassa da
sembrare di fare solo boccacce, ma per fortuna il suo era un udito
molto sviluppato. Kara controllò di nuovo i nomi, e le
cifre, e i
nomi, e le altre cifre, e poi Lena Luthor, seduta davanti alla sua
scrivania, lontano da loro che stavano comodi sul divano. Era china
sui fogli, con la testa mantenuta da una mano poggiata con il gomito
sul tavolo. Era così tesa, nervosa, arrabbiata, sembrava. La
trattava con freddezza da quando era arrivata alla Luthor Corp e
cominciava a pensare che non fosse a causa di quei documenti e sul
caso di Lex, ma proprio per lei. Eppure non riusciva a capire cosa le
avesse fatto di male. Forse non voleva davvero che si mettesse in
mezzo con quell'affare, o forse che facesse amicizia con Winn,
pensò,
guardando con la coda dell'occhio il ragazzo concentrato sui suoi
fogli. Lo vide scorgere Lena e così, al suo minimo
movimento,
nascondendosi con la faccia contro i fogli. Dopo un poco, anche Lena
alzò lo sguardo e con serietà guardò
Winn, rimettendosi al lavoro.
Kara
corrugò le sopracciglia, messa a disagio da quella
situazione. Il
suo rapporto con Lena stava migliorando e, all'improvviso, la sentiva
di nuovo una perfetta estranea. Una perfetta estranea arrabbiata con
lei senza ragione. Quella situazione non le piaceva per niente.
«Kara,
non stai leggendo».
«Oh,
sì».
Le
mancava pure di essere sgridata da lei. Sbuffò, ma piano,
per non
essere sentita.
Fecero
un'altra breve pausa. Winn ne approfittò per sgranchirsi le
gambe e
andare in bagno, così Kara si accostò da Lena,
che al contrario non
sembrava ben disposta a riposare, continuando a leggere, poggiata di
peso contro la spalliera della sedia.
«Lena…?».
«Dimmi».
«Posso
chiederti se… per caso… ho fatto qualcosa di
male? Qualcosa che
può averti dato fastidio?».
Lena
abbassò lentamente i fogli, poggiandoli sulla scrivania,
fissando
lei. «No. Perché me lo chiedi?».
Arrossì e allora abbassò di
nuovo lo sguardo, ritornando a quei numeri. Non riusciva a guardarla
fare quel suo sguardo corrucciato senza trovarla incredibilmente
adorabile. Accidenti, sapeva di dover trovare una soluzione presto,
non che potesse ignorarla da quel momento in avanti, sapendo che
l'avrebbe ritrovata al suo fianco a tutte le attività
familiari. E
dopotutto, se così non fosse stato, probabilmente si sarebbe
fatta
avanti sul serio. Ci avrebbe provato di sicuro. Oh, rendersi conto di
questo non faceva che peggiorare la situazione.
«Perché-
Lo hai appena fatto!», brontolò. «Stai
cercando di punirmi per
qualcosa, per caso? P-Perché non credo di aver fatto
qualcosa di
sbagliato ma, se fosse, me lo dici in modo da da poter
risolvere».
Non
ci credeva che le mancassero i suoi tentativi di flirtare con lei. Le
alzò il viso, scrutandola con i suoi soliti occhi di
ghiaccio. «Non
c'è nulla che non vada, Kara. È solo
che… vorrei davvero aiutare
Lex ad uscire da questo pasticcio e sento che siamo in alto mare. Lui
dovrà rilasciare una dichiarazione a giorni e non abbiamo
niente in
mano… Non vogliamo che a mettersi in mezzo sia nostra madre,
dovremo farcela con le nostre forze», la fissò,
«E presto».
Kara
restò a bocca aperta, pensando di punto in bianco di essere
stata
egoista nel pensare che il comportamento diverso di Lena fosse per
qualcosa che aveva fatto lei. Che figuraccia. Arrossì,
chiudendo le
labbra con forza e annuendo. «Ha-Hai ragione! Dobbiamo
mettercela
tutta per-», si bloccò, guardando con
più attenzione il foglio
sotto una mano di Lena. Gliela tolse e indicò un punto su un
foglio,
su un nome. «Questo l'ho già letto»,
biascicò. Scattò per andare
sul divano, prendendo la sua pila di fogli iniziò a
sfogliare. Uno
dopo l'altro poggiò quelli dove compariva quello stesso nome
sulla
scrivania, mentre Winn rientrava in ufficio.
«La
pausa è finita?», chiese.
«Winn,
prendi il tuo fascio di fogli e portalo qui, presto».
Il
ragazzo fece come ordinato e ben presto si ritrovarono a una decina,
quindicina, ventina di fogli dove compariva lo stesso nome
più
volte. Il solo nome che compariva così tante volte in
diversi
versamenti.
«Hai
trovato una falla, Kara», sorrise Lena, «Questi
dati sono stati
contraffatti». Erano tutti così concentrati sui
numeri da non aver
dato abbastanza peso ai nomi al loro fianco.
«Sei
grande, Supergirl», esultò Winn, abbassando la
voce fino a tacere
quando si ricordò che, accanto a loro, c'era il suo capo.
«Un
nome falso?», domandò Kara.
«Molto
probabile», rispose lei, concentrata. «Qualcuno ha
usato questo
nome per appropriarsi del denaro degli investitori. Scopriremo chi
è», le sorrise, alzando lo sguardo.
Dopo
un po', Kara decise di tornare al campus, temendo che, facendo ancora
più tardi, il guardiano la chiudesse fuori. Lena la
ringraziò e
sembrò sorriderle ancora, pur mantenendo tra loro una certa
distanza
che Kara non capì. Riprese la sua giacca e uscì,
salutando Winn,
dopo essersi scambiati i numeri di cellulare.
«Quella
ragazza…», sorrise lui con fare sognante,
scuotendo la testa. «Mi
ha sconvolto! Non pensavo che dal vivo quella Kara Danvers fosse
così
carina. E poi è intelligente, ha talento… e come
sorride».
Lena
non disse una parola, separando in due pile diverse i fogli
contenenti i dati con il nome usato dal truffatore e gli altri.
Sentì
il suo assistente avvicinarsi.
«Lo
so che noi non abbiamo quel tipo di rapporto, signorina Luthor, ma se
potesse, che so, mettere una buona parola per me con sua
sorella…
le sarei riconoscente».
«Non
esserlo», disse glaciale, «Ha già un
quasi ragazzo. E non è mia
sorella».
Winn
strinse le labbra, pensandoci. «Quasi
ragazzo?», si lasciò poi scappare una piccola
risata, «Anch'io
avevo una quasi ragazza, una volta: si chiamava Margot Blanc, era di
origini francesi e frequentava con me le scuole medie. Pranzavamo
insieme ogni giorno, e poi studiavamo e ci tenevamo per mano, che
ricordi…», sospirò con un sorriso.
«M-Ma lei in realtà sapeva
appena della mia esistenza e tutto era accaduto solo nella mia
immaginazione. Ma che ricordi…».
«Il
suo si chiama Mike e sono già stati
insieme…», bisbigliò,
riflettendoci, «Mike Gand. Ecco chi è, mi sembrava
di riconoscerlo:
il figlio del senatore Gand».
«Il
figlio di un senatore? Ah! Bene…», il suo
entusiasmo scemò,
«Posso sempre puntare sulla simpatia».
«Fammi
capire, Kara: sei triste perché Lena Luthor non flirta
più con
te?»,
le domandò Alex al cellulare, mentre lei guardava fuori dal
finestrino con aria affranta, sul pullman pieno di persone.
Arrossì,
mordendosi un labbro. «No. È-È solo
che- Non lo so… ma
cominciavamo ad andare davvero d'accordo, ci stavamo avvicinando, e
ora sembra tornata…».
«La
nemica del primo capitolo?».
«Primo
capitolo?».
«Primo
capitolo, quando vi siete conosciute, Kara, è un modo di
dire».
Kara
sbuffò. «Sì. Quasi. Ha sorriso. Ma non
mi guardava. Forse peggio,
perché almeno al primo capitolo mi degnava di
attenzione», scrollò
le spalle, «Pensavo fosse turbata per questa storia della
Luthor
Corp a Metropolis, e così mi ha detto, ma non mi convince
adesso che
ci penso…».
«Magari
è solo un po' per le sue, vedrai che- Signora!
Signora!»,
gridò all'improvviso e Kara dovette allontanare il cellulare
dall'orecchia. «Lei
lì non può entrare, signora, è
riservato al personale! C'è un
cartello, signora! Scusa, Kara, devo andare a tirare via una donna
che sta litigando con la tenda che divide l'area pubblica da quella
privata…
Non
vedo l'ora di finire gli studi così potrò dire
addio questo
postaccio»,
bisbigliò, Kara la sentiva affannare, «Comunque
non preoccuparti per Lena, magari è davvero solo presa da
questa
storia di Lex, dalle del tempo. Lo so che vuoi andare d'accordo con
lei- Signora?
Cosa fa? Esca! Io
stacco, ci sentiamo più tardi».
Kara
riattaccò e nascose il cellulare nella borsa, guardando il
cielo che
si scuriva e poi la giacca nera che, la sera prima, aveva prestato a
Lena per ripararsi dal freddo. Beh, pensò, se per una
qualche
ragione a lei sconosciuta avessero fatto un passo indietro nel loro
rapporto, avrebbe fatto di tutto per riguadagnare terreno in fretta e
sentirla di nuovo vicino.
La
mattina dopo si svegliò presto ma, invece del solito, non
aveva in
mente di allenarsi. Megan la vide correre da una parte all'altra
della loro camera mentre si preparava per uscire e, infine, lasciarle
un biglietto sul cuscino del proprio letto.
Erano
da poco passate le otto e mezzo quando Kara Danvers spalancò
le
porte della Luthor Corp con un colpo di gomito, portando tra le mani
quattro tazze da viaggio fumanti. La guardia all'ingresso aveva
appena iniziato il suo turno e ancora sbadigliava, tuttavia, quando
la vide cercò di trattenersi. Si incastrò ancora
la gonna nelle
sbarre elettriche ma, muovendosi come un serpente, riuscì a
tirarsi
via con poche difficoltà. «Quei
cosi»,
la sentì bisbigliare, muovendosi verso di lui, per poi
guardarlo
facendo un largo sorriso. «Buongiorno… John».
J.
Barrows:
indicava il suo cartellino.
Lui
scosse la testa.
«Jacob?».
«No».
«James?».
«Neanche»,
si appassionò lui, mettendosi a braccia a conserte
appoggiato al
bancone.
Lei
sorrise, indicandolo. «Allora il suo nome
è… Joseph!».
«Oh,
non ci siamo».
«Jack,
Julian, Joey, Jonathan!», lo indicò ancora con
entusiasmo,
continuando, «Joshua, Jeff, Jesse-».
Lui
la fermò, indicandola a sua volta.
«Jesse?».
Lui scosse la testa e lei rise, «Va bene, va bene,
è Jeff», ma al
suo sguardo incerto lei aggrottò le sopracciglia,
ritentando,
«Jeffrey! È Jeffrey?».
Lui
rise con entusiasmiamo, battendo le mani in un applauso, e lei rise
con lui, passandogli una delle tazze sul bancone.
«Ecco,
questa è per lei, Jeffrey». Lui sgranò
gli occhi dalla sorpresa,
prendendo la tazza. «Spero le piaccia: caffè nero,
per affrontare
una lunga giornata».
«Dice
sul serio?».
«Sì,
l'ho presa per lei. Le auguro buona giornata». Se ne
andò e lui le
ricambiò la buona
giornata
gridando prima che potesse prendere l'ascensore.
Era
di buon umore e sorrise radiosa, affacciandosi allo specchio della
cabina. Indossava anche quell'oggi una camicetta infilata sotto la
gonna corta, stavolta scura, e i capelli tirati indietro con delle
forcelline. Si sistemò con cura l'abbigliamento e poi gli
occhiali,
facendo un rumore gutturale con la bocca. Quando la porta
dell'ascensore si aprì, si sentì pronta per
affrontare quella
giornata.
«Kara?»,
esclamò Winn seduto sulla sua scrivania fuori dell'ufficio
di Lena,
meravigliato di vederla a quell'ora del mattino. Si alzò per
accoglierla.
«Ehi!
Come va stamattina?», chiese, poggiandogli una delle tazze
sulla
scrivania, sorridendogli. «Ah, no, aspetta»,
cambiò tazza,
poggiandogliene un'altra. «Quella è di Lena, mi
stavo confondendo».
«Per
me?», la prese.
«Caffè
macchiato, spero sia di tuo gradimento», rise,
«Avevi detto che non
stravedevi per i gusti troppo amari».
Lui
rise, scrollando le spalle. «Te-Te lo sei
ricordata?».
«Memoria
d'acciaio», rise, spostandosi verso la porta dell'ufficio di
Lena.
Winn cambiò espressione e cercò di fermarla, ma
lei aveva già
aperto la porta, portando avanti le due tazze da viaggio rimaste. Si
bloccò quando vide che Lena non era sola e un ragazzo alto
ed
elegante era davanti alla sua scrivania, in piedi così come
lo era
lei, visibilmente interrotto dal suo ingresso. «Oh, scusate,
che
sbadata, si è aperta la porta? Pff»,
rise e tentò di infilare una tazza sotto il braccio destro
per
richiudere ma, presa dalla fretta, non riusciva ad incastrarlo e
quindi ad andarsene. Odiava la sua goffaggine quando si trovava in
una situazione imbarazzante.
Lena
abbassò la testa e quel ragazzo sorrise, pur mantenendo un
tono
distaccato, sistemandosi meglio la cravatta. «Lasci pure
aperto,
signorina…?».
«Danvers.
Kara Danvers».
«Oh,
signorina Danvers. Sono onorato», si avvicinò e le
strinse la mano
sinistra che era riuscita a liberare, che poi le baciò,
sotto il suo
sguardo confuso, arrossendo. «Maxwell Lord, molto piacere.
Stavo
appunto dicendo alla signorina Luthor che si era fatto
tardi».
Salutò Kara, poi Lena, ed uscì dall'ufficio,
chiudendo dopo di lui.
Kara
guardò Lena, che era tesa come una corda di violino,
trattenendo il
respiro. Si accertò che la porta fosse ben chiusa e la
raggiunse,
poggiando le tazze sulla scrivania. «Maxwell Lord delle Lord
Technologies?», domandò, voltandosi ancora verso
la porta, come se
da un attimo all'altro potesse vederlo rientrare. «Cosa
faceva lui
qui?».
Lena
sospirò e si sedette a peso sulla sedia davanti alla
scrivania,
portandosi una mano sulla fronte. «Non ha trovato mia madre e
così
è venuto qui».
«Non
avrà sentito il cellulare…».
«No,
conoscendola gli avrà chiuso la telefonata di
proposito».
«Che
cosa voleva?».
«Offrire
aiuto», sorrise, ma nel suo sguardo non c'era altro che
astio. «Ha
saputo della situazione a Metropolis e si è fatto avanti.
Domani
andrà laggiù a parlare con mio fratello e voleva
che lo
appoggiassi».
Kara
la guardò attentamente. «E tu… hai
detto che lo appoggerai?».
«Gli
ho risposto che ci avrei pensato, ma è ovvio che preferirei
risolvere la questione prima che lui si metta in mezzo. Da anni punta
gli occhi sulla Luthor Corp. Sono certa che non aspettasse altro che
un'occasione simile per mostrarsi tanto generoso»,
alzò le
sopracciglia e, distraendosi, mise a fuoco le due tazze sul tavolo.
«Quelle?».
«Oh,
sì», si ricordò improvvisamente,
destandosi. «Questa è tua», le
passò la tazza, per poi prendere l'unica non fumante,
sedendo
davanti a lei. «Questa è mia».
Lena
sorrise, aprendola e odorando il profumo del caffè ancora
caldo.
«Anche tu caffè?».
«Frullato»,
rise, alzando la tazza.
«Fammi
indovinare: vaniglia?», le sorrise e Kara arrossì,
annuendo, dando
un primo sorso.
Per
un attimo le era parso che Lena sembrasse tornare quella di prima: la
battuta, il sorriso malizioso, come l'aveva guardata. E tutto questo
nonostante la visita poco gradita di Maxwell Lord: era la prima volta
che lo vedeva e non le era piaciuto affatto.
Kara
era rimasta con Winn alla sua scrivania per un po', chiacchierando,
mentre Lena chiamava Lex per dirgli di Lord, chiusa nel suo ufficio.
La sentivano parlare a voce estremamente alta, a volte, capendo di
essere davanti a una questione piuttosto delicata.
«Se
Lord fa un favore ai Luthor, poi i Luthor dovranno fargli un favore,
non so se mi spiego», disse Winn, giocando a campo minato nel
suo
pc.
«Non
lì, non lì, prova quella a fianc- No!».
«Accidenti»,
sbuffò lui, perdendo la partita.
«Impari
a non darmi ascolto». Guardò verso la porta,
cercando di sentire
più che poteva di quella telefonata. Infine, la
sentì salutarlo.
Doveva aver richiuso.
La
porta del suo ufficio si aprì di lì a poco e Lena
si appoggiò allo
stipite della porta, con un'aria decisamente stanca. «Lex ha
detto
che mi invierà entro mattinata altri documenti. Sta stilando
una
lista dei possibili truffatori interni all'azienda, grazie al nome e
ai dati che gli abbiamo fornito. Fino ad allora…»,
alzò gli occhi
al soffitto, «aspettiamo».
A
malincuore, Winn si allontanò dalla Luthor Corp per urgenze
familiari, dopotutto quelle per lui erano ore extra e Lena gli
lasciò
il permesso di uscire, così per ingannare l'attesa uscirono
anche
loro, decidendo di passeggiare intorno al palazzo, rientrando appena
arrivava l'email con i nuovi file.
«Lex
è molto stressato, ultimamente»,
confidò Lena, al suo fianco.
«Nostra madre non fa che chiamarlo e insiste
perché lui venga qui
per conoscere voi, il resto della famiglia, ma lui non riesce
perché
non si può permettere di lasciare la Luthor Corp, in questo
momento.
Lei lascia il comando a noi ma, allo stesso tempo, vorrebbe avere
sempre l'ultima parola e lui non ne può più. Non
giudicarlo per
quello che sta succedendo, ti prego».
«Non
l'ho mai fatto», le sorrise, ma l'altra teneva lo sguardo
basso.
Il
centro di National City, solitamente molto affollato, era invece
più
tranquillo ora che era luglio inoltrato ed erano poche le
attività
ancora aperte. Con le scuole chiuse, erano molti i ragazzini in giro
in bici o in skateboard. Passavano i taxi, quelli non mancavano mai,
ma anche il traffico era più contenuto. Il sole picchiava
forte,
portando con sé anche una leggera brezza.
Kara
e Lena passarono davanti a un mendicante e la prima si
bloccò di
colpo, aprendo la borsa e recuperando qualche soldo, portandoglielo.
Lui la ringraziò e lei gli regalò un sorriso,
mentre Lena osservava
la scena, rapita.
«Dolce
come la vaniglia»,
sussurrò scuotendo la testa, arrossendo. Aprì il
portafogli e
quando Kara si riavvicinò a lei le passò una
banconota da dare al
mendicante al posto suo. Kara eseguì senza chiedere e si
prese di
nuovo i suoi ringraziamenti. Lo salutò e ripresero a
camminare,
mentre Lena teneva d'occhio il cellulare per verificare se fosse
arrivata quella email.
«Senti,
Kara», disse, senza guardarla negli occhi, «Non ti
ho mai chiesto
una cosa». Riabbassò il cellulare verso la borsa
in spalla,
rendendosi conto che aveva la sua attenzione.
«Quando…», sospirò,
mordendosi un labbro, «Quando eravamo al party, nella tua
università, e quel ragazzo mi ha accusato di essere una
ladra, di
esserlo la mia famiglia… tu non ci hai creduto, anche solo
per un
attimo?», si voltò a guardarla, incontrando gli
occhi azzurri di
Kara seri e attenti. «Insomma, questo aspetto di noi lo
conosci
appena e in passato hanno circolato molte brutte voci sulla nostra
famiglia».
«No»,
scosse la testa, «Non
sei così. Lo so che ci conosciamo da poco, ma non avrei mai
potuto
crederci. Sembri scontrosa, e
diciamo che a volte potresti mettercela tutta per confermarlo,
forse ci vuole un pochino per farti aprire e forse a qualcuno questo
può ingannare, ma sei una persona buonissima,
Lena», le sorrise,
«So
che non faresti mai nulla del genere».
Lena
si lasciò andare a una breve risata, portandole una mano sul
viso e
sistemandole dietro un orecchio un capello biondo rimasto
intrappolato nel suo sorriso, in quelle labbra rosa pesca che erano
lì solo per lei. Il pollice le accarezzò la
guancia e, non poté
farne a meno, si avvicinò e le portò via un
bacio.
«E
poi adesso la tua è anche la mia famiglia,
immagino».
Lena
si destò, aprendo bene gli occhi. Kara portava ancora quel
capello
incastrato nelle sue labbra, che si tolse da sola, riprendendo a
camminare. Oh, no. Lena la seguì subito, ricordando con
qualche
brivido le parole del suo assistente: Kara Danvers era appena
diventata la sua Margot Blanc.
Distratta
da ciò che era appena successo, un ragazzo passò
di corsa al suo
fianco e non si rese subito conto che lui le fece scivolare la
borsetta per stringerla contro sé e portarla via.
Gridò appena che
Kara era già corsa a inseguire il ladruncolo. Divise la
distanza che
li separava a breve e, in un attimo, gli era addosso, afferrandolo
per un braccio. Lui cercò di strattonarsi e lei,
velocemente, lo
capovolse a mezz'aria gettandolo contro il marciapiede.
«Fanculo!!»,
gridò il ladro ringhiando di dolore, contorcendosi a terra.
«Mi hai
rotto il braccio».
«Oh
beh, non mi lamenterei, sono certa che poteva andarti
peggio»,
esclamò, riprendendo la borsa.
Lena
li raggiunse. Eseguendo quella mossa, a Kara si erano staccate le
forcine dai capelli e le erano scivolati gli occhiali dalla faccia,
così se li rimise sul naso nel restituirle la refurtiva.
Lena era
senza parole, tanto che quando quel ragazzo scappò non ci
badò più
di tanto e alle lamentele di Kara rispose di lasciarlo andare.
«Magari
farò una segnalazione a Maggie», disse, non
contenta di come si
erano svolte le cose.
«Adesso
capisco perché pensavi di entrare nelle forze
dell'ordine».
«O
quello, o farò la giustiziera in
tutina», rise lei.
Ripresero
a camminare, intanto che Lena controllava che nella sua borsa non
mancasse nulla. «Dove hai imparato…? Dubito che
per giocare a
lacrosse uno dei requisiti sia essere un'esperta di arti
marziali».
«No,
infatti! E non sono un'esperta… È solo che lo
faccio da quando ero
molto piccola: credo di aver imparato a disarmare qualcuno prima
ancora di scrivere», le disse con una punta di arroganza
nella voce,
«È opera dei miei veri genitori. Poi mi sono
tenuta in allenamento
con Alex, quando ha imparato lei. Beh, sì, è lei
l'esperta».
Lena
deglutì. Stava per dirle qualcosa, ma cambiò idea
all'ultimo,
riprendendo il cellulare in mano. «Non finisci mai di
sorprendermi»,
si fermò, pensando bene a come chiamarla,
«Kara». Guardò il
telefono. «L'email è finalmente arrivata, Lex ce
l'ha fatta.
Andiamo?».
Lex
Luthor aveva stilato una lunga lista di nomi in base alle
informazioni che erano riusciti a fornirgli: comparivano solo persone
che potevano avere i mezzi per una truffa di tale portata,
contraffacendo dichiarazioni ufficiali che, a uno sguardo attento,
tra mille e più cose da seguire, sarebbero passate
inosservate. Lena
e Kara si misero subito al lavoro e quando Winn tornò in
ufficio,
con l'aria sconfitta di un cane bastonato, riprese a lavorare anche
lui. Questa volta era diverso, non si trattava di trovare qualcosa di
strano tra nomi e cifre, ma di leggere nomi di dipendenti, le loro
brevi biografie, curriculum, dati generali e rifletterci sopra.
Andarono per ordine alfabetico, leggendone a voce alta uno a testa ed
esaminandolo insieme.
Pranzarono
tutti e tre come il giorno prima, nello stesso locale sotto alla
Luthor Corp, ma si portarono con loro il lavoro, continuando a
leggerne uno a testa ed esaminandolo, accertandosi di tanto in tanto
che non li stesse ascoltando nessuno. Fortunatamente per loro c'erano
pochi clienti. Poi tornarono in ufficio, proseguendo senza sosta,
passandoci le ore.
Winn
ne lesse uno che scartarono subito, passando al successivo, letto da
Lena. Kara inviò un messaggio a Mike per dirgli che avrebbe
fatto
tardi e se le faceva il favore di avvertire il guardiano notturno per
lei, così si sarebbe potuta trattenere un po' di
più. Cenarono in
ufficio, insieme, facendosi portare dei piatti veloci, continuando a
lavorarci. Quella giornata sembrava non finire mai.
«Sapete
a cosa pensavo?». Winn attirò la loro attenzione.
«Che sembra un
lavoro fatto troppo bene per una persona qualunque di
queste»,
strinse uno dei fogli, sollevandolo, «Non ci arriveremo
mai». Si
grattò la nuca esausto e Lena lo congedò,
dicendogli che avevano
fatto tutto il possibile e che avrebbero ripreso l'indomani.
Accettò
di buon grado solo poiché era talmente stanco che gli occhi
gli si
chiudevano da soli, così le salutò con uno
sbadiglio, tornando a
casa.
Kara
guardò Lena, che ricontrollava un foglio dopo l'altro senza
tregua.
«Tu non hai intenzione di riprendere l'indomani,
vero?».
La
vide scuotere la testa, presa dai documenti. «Maxwell Lord
andrà da
Lex, domani. Se possibile, continuerò a leggere di queste
persone
fino a che non crollerò a terra. Tu torna pure al campus,
Kara».
«Non
lo farò. Ho deciso che ti aiuterò e vale ancora
adesso, possiamo
farlo insieme», riprese uno dei fogli, leggendo velocemente.
«Ecco,
senti questo-», si bloccò soprappensiero, facendo
scivolare di
nuovo quel foglio, «Ha ragione Winn»,
sussurrò poi, prendendo
l'attenzione di Lena.
«Cosa?».
«Ha
ragione Winn, Lena, è come dice lui: è un lavoro
fatto troppo bene
per essere stato ideato da uno qualunque di loro. Dev'essere stato
per forza qualcuno ai piani alti, vicino a Lex, o non si spiega!
Magari qualcuno che ha ben più da guadagnare che i soldi
degli
investitori».
Si
guardarono. «Qualcuno come Maxwell Lord»,
sussurrò Lena.
«Come
abbiamo fatto a non pensarci prima?!».
Lena
chiamò immediatamente suo fratello, con Kara che, sul
divano, si
rilassava, guardando il soffitto. La chiamata durò sui
quindici
minuti appena. Lena spiegava con calma la conclusione a cui erano
arrivate lei e Kara, e Lex la tratteneva giusto qualche momento,
senza pause troppo lunghe. Kara non sentiva la sua voce, doveva
parlare molto piano, pensando che non solo non lo aveva mai visto, ma
nemmeno sentito.
Quando
la ragazza augurò la buonanotte a Lex, Kara si rimise
composta,
guardandola. Lena sospirò, guardandola a sua volta.
«È fatta», le
disse, poggiando il cellulare sulla scrivania. Si avvicinò
ma non
troppo, restando ad almeno due metri da lei, appoggiandosi a un
mobile e mettendo le braccia a conserte. «Domani
svolgerà una
veloce indagine interna. Ora può procedere, sapendo dove
deve
cercare la spia di Lord». Il suo sguardo era rivolto alla
finestra,
non a Kara.
«E
Lord?».
«Se
riescono a trovare delle prove che lo colleghino al fatto o se il
complice confessa potremmo protrarlo in tribunale,
altrimenti…».
«Resterà
impunito».
Lena
annuì, finalmente girandosi a guardarla, mordendosi un
labbro.
«Grazie, Kara. Davvero. Sei letteralmente il mio eroe, e per
ben due
volte in una sola giornata».
Lei
sorrise, diventando rossa. «Ora devo andare». Si
mosse per
raccogliere la sua roba e Lena restò immobile, per poi
portarsi un
dito contro la bocca, pensando, trattenendosi, e infine lasciandosi
andare:
«Sai,
ho capito perché vuoi entrare in un corpo di
polizia», le disse di
colpo, fermandola, «Sembri nata per essere un eroe, ma ci
sono tanti
modi per esserlo. Uno di questi è il giornalismo».
Kara
si voltò, stringendo le labbra, ascoltando.
«Tu
sei tagliata per fare la reporter: hai intuito, passione, sai
cogliere le sfumature, sei una persona molto attenta. E si vede che
è
quello che vuoi davvero, Kara. Vuoi restare vicino a Mike, un futuro
con lui al tuo fianco, lo capisco, ma tu prova a scegliere per te,
non precluderti questa possibilità. Se volete restare uniti,
potete
comunque farlo anche lavorando in due ambienti diversi».
Lei
annuì, avvicinandosi. «Ci
penserò».
«Fallo,
veramente». L'abbracciò per prima e Kara
ricambiò, sorridendo con
gioia e forse un poco di imbarazzo.
Appena
si lasciarono andare, si guardarono a vicenda con intensità,
cogliendo le sfumature degli occhi l'una dell'altra, e poi le labbra,
senza poterne fare a meno. Lena l'avvicinò a sé e
la baciò senza
lasciarle respiro.
«Buonanotte,
Lena».
Si
allontanò da lei e quest'ultima sospirò,
risvegliandosi dal frutto
della sua mente. «Buonanotte, Kara».
Maledetta
Margot Blanc.
Ah,
rieccoci qui!
Povera
Lena, ha baciato Kara per ben due volte, ma solo nella sua
immaginazione! Temo sia proprio arrivata a un punto piuttosto
critico. Ha cercato di allontanare Kara da lei ma non ci è
riuscita
e Kara, da parte sua, aveva tutta l'intenzione di
“riconquistarla”.
Non si sfugge alla sua determinazione (lo ha imparato anche la
signora Terry).
E
poi c'è Winn, che si è preso una cotta per lei, e
Maxwell Lord ha
fatto il suo ingresso in scena. Come vi sembrano?
Una
nota importante: io non ho idea di come si possa risolvere una
questione come quella affrontata alla Luthor Corp. Ho cercato di
immaginarmi la situazione, ma è presa molto alla buona. Non
voletemene se non so essere più
“efficiente”. Se non altro,
riconosco che anche nella stessa serie a volte le cose sono trattate
molto alla buona XD
Spero
vi sia piaciuto lo stesso ^_^ Voi avete mai avuto una vostra (o
vostro) Margot Blanc?
Il
prossimo capitolo si intitola Problemi di affezione
e, come
anticipato la scorsa settimana, arriverà lunedì 9
aprile!
(Così
vi auguro anche se in anticipo, se festeggiate, buone uova di
cioccolato a tutti!)
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