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Autore: Ghen    26/03/2018    10 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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7. La reporter


Kara non si sarebbe certo fermata al primo no. O al secondo. E così via. Se si metteva in testa qualcosa, allora doveva fare quella cosa e non ci sarebbe stato verso di farle cambiare idea. Lo sapeva bene Alex Danvers che, quando era adolescente, non riusciva ad andare da nessuna parte senza la sua piccola nuova sorella che le facesse da scorta, preoccupata che frequentasse persone poco raccomandabili.
«So io con chi devo o non devo uscire, okay?».
«Fai preoccupare Eliza e Jeremiah…».
«Non ti impicciare».
«Ma-».
«Okay, facciamo così: ti giuro che sarò assolutamente attenta alle persone che frequenterò da oggi in poi. Così da non far preoccupare Eliza, né Jeremiah, né te», l'aveva indicata, spingendole l'indice contro il petto.
Kara l'aveva pedinata per sei mesi.
Non era di certo una persona che si faceva tranquillamente i fatti suoi, convinta di poter sempre essere d'aiuto per le persone che conosceva. Questo lo aveva capito bene anche Eliza Danvers che non era più riuscita ad avere appuntamenti seri con qualcuno dopo Jeremiah finché Kara non aveva lasciato casa per andare all'università.
«Ma che c-». Eliza era tornata a casa dopo il lavoro e aveva trovato alcuni mobili in diverse posizioni, tutto splendeva dal pulito, e il che non era molto usuale con le sue figlie in casa, con fiori disposti in piccoli e grandi vasi per tutto il soggiorno. Kara, allora quindicenne, era in mezzo alla stanza, in piedi, con le mani unite, con un indosso un vestito fiorito e i capelli raccolti in due basse code. Sorrideva, aspettandosi qualcosa. «Cos'è successo qui dentro? Cosa stai facendo?».
«Oh, pensavo venissi con Ryan e così…».
«Ryan? Come fai a sapere di Ryan?».
«Alex ti ha sentito fare il suo nome al telefono», aveva sorriso di nuovo, agitando le mani nel dare la sua spiegazione, «Ultimamente torni sempre tardi, hai comprato un nuovo profumo, sorridi più spesso e sei distratta… così… così non era difficile intuire che ti vedessi con qualcuno», si era grattata dietro nella nuca, «Senza contare che ti è arrivato un mazzo di fiori da National City e nel biglietto c'è scritto da Ryan. Ecco, sì, li ho messi lì», aveva indicato un vaso su un mobile. «Pensavo fosse la giornata giusta per portarlo a casa a conoscere la famiglia, volevo fare bella figura e… sì, ho anche già memorizzato dei discorsi che potrei fare con lui per non farti apparire come disperata. Sì, lo so che non ti sono sembrata molto felice quando tu e Jeremiah avete deciso di divorziare, ma poi ho pensato che anche tu in fondo sei un essere umano e hai bisogno di stare con qualcuno che ti faccia, diciamo, le coccole, alla tua età chissà quante altre possibilità avrai, quindi…», aveva stretto le labbra e dondolato sui talloni delle scarpe da ginnastica, pensando a cos'altro dirle, i suoi occhi azzurri andavano da una parte all'altra della camera, finché non si era illuminata, guardando di nuovo sua madre con decisione: «Quindi, sì, insomma, sono pronta se vuoi portarlo a casa».
Eliza era incerta se ringraziarla o gridarle addosso. «Non c'è bisogno di tutto questo».
Il suo sorriso si era spento di colpo. «Ho-Ho passato delle ore a sistemare tutto, cavolo, almeno un po' di riconoscenza».
«Kara… non ho intenzione di farvelo conoscere».
«Ah».
Era convinta di poter aiutare tutti, non solo le persone che conosceva. E questo lo aveva scoperto presto la vecchia signora Terry che abitava vicino al market in cui spesso la famiglia Danvers si recava a comprare il giornaliero. Da quando la famiglia aveva adottato la piccola Kara, lei si era messa in testa di aiutare la signora, minuta e gracile, ad attraversare la strada. Il che andava bene, Eliza era felice che Kara si stesse ambientando in quella zona e che si comportasse tanto bene anche con le persone anziane.
Così le correva incontro appena la vedeva, la prendeva a braccetto e l'aiutava a camminare sulle strisce.
«L'aiuto io, signora Terry».
«Che gentile che sei; va bene». L'anziana le aveva sorriso e si era lasciata prendere il braccio sinistro, che Kara aveva afferrato con foga.
«Oggi non ho molto tempo, Jeremiah mi porta a National City al ristorante, dove fanno la panna cotta più buona del mondo». Aveva cominciato a correre con la signora legata a lei che non riusciva a stare al suo passo. Era appena uscita dal market e aveva ancora il portafogli poco fuori dalla sua borsetta, così che le era scivolato sulla strada. «Non si preoccupi, signora Terry: ci penso io». L'aveva accompagnata davanti al marciapiede ed era corsa indietro, ma stava per passare un'automobile e a nulla erano serviti gli strilli della signora che le dicevano di tornare al sicuro. La macchina era passata a poco dalla sua schiena e, quando la bambina si era girata, era corsa subito a restituire il portafogli alla signora, noncurante del pericolo scampato e dell'infarto scongiurato della vecchina.
Sapevano che la signora Terry era andata a vivere con i figli a National City la settimana successiva. Forse fu una coincidenza, ma non ebbero modo di approfondire.
Aiutare tutti, non solo le persone. Come quando tornò a casa da scuola con un cagnolino che si era smarrito e che non poteva lasciare per strada.
«Non potevo abbandonarlo anch'io, scusa».
Eliza Danvers glielo aveva fatto tenere per due settimane, mentre attaccavano volantini per strada con la foto del cane che così aveva potuto ritrovare i suoi padroni. Kara era triste di doverlo lasciare, ma in fondo felice che avesse ritrovato la sua famiglia, almeno lui, sapendo che era la cosa giusta da fare. Dopo il cane però era cominciata a sembrare un'abitudine, portando a casa ogni specie di creatura vivente: rane, scoiattoli, uccellini, vermi, mantidi religiose, perfino un serpentello che sì, era innocuo, ma Alex se lo era ritrovato sul letto una sera e non aveva più chiuso occhio per giorni, proibendo a Kara di portare animali nella loro camera in comune. Divertente, poi, pensare che con la crescita la stessa Kara aveva contratto la fobia per i rettili.
«Eliza, si dev'essere perso… Posso tenerlo? Lo porto fuori io e farò i volantini».
Eliza era rimasta pietrificata davanti alla porta, guardando l'animale che, dietro la bambina, le masticava la gamba di un pantalone. «Tesoro, è un cavallo. Non lontano c'è una casa con del terreno, dev'essere di lì».
«Ah. Allora lo riporto a casa sua. Grazie».
Kara Danvers era caparbia, metteva cuore e passione in tutto ciò che faceva, e questo lo avrebbe presto scoperto anche Lena Luthor. Si erano sentite per telefono e Lena l'aveva invitata alla Luthor Corp se davvero ci teneva a lavorare con loro: lei e il suo assistente. Aveva rifiutato quando le disse che le avrebbe inviato Ferdinand a prenderla, così aveva preso un autobus e poi si era fatta una bella passeggiata, con il sole che splendeva, fino ai piedi della Luthor Corp. Quel posto sembrava enorme. Era strano pensare che sua madre lavorasse per così tanto tempo in quell'azienda, da prima che l'adottasse, ma non essere mai andata a trovarla. Aprì le porte e la guardia all'interno la adocchiò subito, seguendola con lo sguardo intanto che si avvicinava alle sbarre elettriche incastrandosi la gonna, tornando indietro, incastrandosi di nuovo, spingere con forza e così passarci. Lui trattenne un sorriso, mentre lei lo raggiungeva alla sua postazione.
«Salve, sono Kara Danvers, ho un appuntamento con Lena Luthor».
«Sì, signorina Danvers. La signorina Luthor la sta aspettando nel suo ufficio». Le diede indicazioni e lasciò proseguire verso l'ascensore.
Si controllò sullo specchio dell'ascensore, passandosi le mani sulla testa per appiattire i capelli raccolti in un alto chignon, sistemandosi gli occhiali sul naso e lisciandosi verso il basso la camicetta a maniche corte infilata nella gonna larga che le arrivava alle ginocchia. Dopo tirò un po' più su sulla spalla la borsa a tracolla. Sperava di non avere un look troppo sbarazzino per la Luthor Corp anche se, sapeva, non doveva avere timore di incontrare chissà quali scienziati ora che era luglio, ma c'era sempre l'assistente di Lena. E Lena. L'aveva vista in pigiama, non avrebbe mosso ciglio, probabilmente, ma ora erano in un ambiente di lavoro e non voleva fare brutta impressione su di lei.
Quando l'ascensore si aprì si incamminò velocemente, sorpassando la scrivania vuota non distante dalla porta chiusa, e così bussò. Non aspettò molto prima che la voce di Lena le desse il permesso di entrare.
Un profumo dolce la accolse appena aperta la porta, e così diede un veloce sguardo all'ufficio, dalla scrivania dove Lena e un ragazzo erano chini a scandagliare dei fogli sparsi, alla portafinestra alle loro spalle, con il sole che filtrava prepotente dalle tapparelle a metà, al divano dall'altra parte della stanza, a un armadietto, ai fiori dentro un alto vaso da terra, in un angolo. Entrambi alzarono lo sguardo e si bloccarono, mentre la ragazza chiudeva la porta dietro di lei.
«Vi siete già portati avanti con il lavoro?», scherzò, battendo le mani e sorridendo, avvicinandosi.
Lena si lasciò andare a un sospiro fugace, cercando di guardare altrove, e il ragazzo vicino a lei si irrigidì, cominciando a ridere, in ritardo, per la battuta di Kara. «Non abbiamo fatto molto», rispose freddamente Lena, senza guardarla, puntando di nuovo lo sguardo ai fogli sparsi per la scrivania.
Kara la squadrò, capendo che doveva essere davvero molto concentrata per quasi non guardarla.
«Lui è Winslow Schott Jr, il mio assistente».
Lui allungò il braccio per stringerle la mano, sorridendo con emozione. «Molto piacere; ho sentito molto parlare di te, Kara Danvers». Lena gli rivolse mezza occhiata e Kara rise, guardando entrambi.
«Possiamo rimetterci al lavoro, per favore? Questi documenti non si leggeranno da soli».
La voce di Lena era fredda e distante, scontrosa. Adesso che Kara si era abituata a tutt'altro comportamento verso di lei, faticava a riconoscerla. Winslow si fece subito serio e riprese a leggere, ma Kara fissava Lena, corrugando lo sguardo, cercando di capirla. Quel caso alla Luthor Corp di Metropolis doveva preoccuparla davvero tanto, pensò, così cominciò a mettersi anche lei al lavoro: prese alcuni fogli, una sedia, e iniziò a leggere.

Oh, era davvero la cosa più faticosa e noiosa con cui avesse mai avuto a che fare. Se chiudeva gli occhi, Kara era capace di distinguere perfettamente i numeri che le si piazzavano davanti e la salutavano, abbracciandosi tra loro, formando lunghe file di abbracci numerici. La voce dell'assistente di Lena troncò il silenzio, dicendo di aver trovato qualcosa di incongruente, ma era solo un falso allarme. Erano tutti e tre sulla scrivania, poi sul divano, poi Kara e Winslow a terra e Lena in piedi, poi loro due in piedi e Lena di nuovo sul divano. Passarono alcune ore, distinguibili tanto dall'orologio appeso alla parete quanto dai raggi del sole che passavano attraverso la finestra, scendendo e cambiando zona illuminata. Kara si era messa a leggere sul pavimento facendosi scaldare dai raggi. Lena le rivolse un'occhiata e sorrise, vedendola concentrata grattarsi la fronte, facendo una smorfia con gli occhi e la bocca. La pancia di Kara brontolò così forte che sembrò un tuono a ciel sereno, facendo ridere Winslow.
«Va bene». Lena si alzò dalla sedia accanto alla scrivania con decisione ed entrambi la fissarono. «È ora di pranzo e credo che tutti e tre ci meritiamo un po' di riposo».
Kara si alzò dal pavimento così in fretta che parve di essersi seduta sui chiodi, ritrovando il sorriso. «Perfetto! Sto morendo di fame, ma non volevo dirlo… Dove andiamo a mangiare?».
Lena distolse lo sguardo, rispondendole mentre sistemava la sua pila di fogli, poggiandoli con cura. «Qui vicino fanno dei piatti veloci e ottimi».
«Aggiudicato», sorrise, guardando poi verso il ragazzo. «Vieni con noi…», lo guardò a sottecchi, cercando di ricordarsi il suo nome, «… Winslow?!».
Lena stava per dirle che solitamente lui ama mangiare per conto proprio, quando il ragazzo rispose affermativamente accompagnando una goffa risata: «Sì, sì, certo! Puoi chiamarmi Winn», si avvicinò, «Gli amici mi chiamano così, è più facile… Anche se ultimamente, emh, non è che io sia proprio circondato da amici, diciamo», rise ancora, «Sono più un tipo solitario, un po'… particolare».
Kara rise a sua volta. Lena guardò il sorriso di lei e poi quello di lui, scuotendo la testa: il suo impacciato assistente stava cercando di fare colpo su Kara, come non immaginarlo. A lui era bastato poco per capire quanto fosse speciale. Oh, speciale. Aveva pensato proprio quella parola. Sarebbe stato meglio lasciarli fare; che lei avesse ridato un'occasione a quel Mike o al suo assistente, che aveva scoperto oggi dopo mesi di conoscenza di volersi far chiamare Winn, andava bene.
Da quando aveva capito, ma soprattutto accettato, che Kara Danvers le piacesse in aspetto romantico, non faceva che pensare a quanto fosse sbagliato. Non solo lei era chiaramente eterosessuale, non aveva accennato mai neppure una volta a una possibile ragazza, ma le loro madri stavano insieme, il che era piuttosto strano. Non poteva seriamente perdersi nell'immaginarsi di voler baciare qualcuna che avrebbe dovuto considerare sua sorella. Però lo immaginava. Oh, lo immaginava eccome guardando le sue labbra che sorridevano, che parlavano, che parlavano verso di lei.
«Mh, scusami, cosa?».
«Dicevo che possiamo andare: prima mangiamo, prima ritorniamo ad occuparci del nostro caso», esclamò Kara. Lei e Winn uscirono per primi dall'ufficio, parlando tra loro.
Il nostro caso, pensò Lena. Lo aveva subito adottato come il suo caso.
Ordinarono della pasta al formaggio e, mentre aspettavano, Kara e Winn si lasciarono andare a una discussione che si allacciava con la successiva senza tregua, scoprendo di avere un sacco di cose in comune come la passione per alcuni fumetti, che Kara leggeva molto di più quando era bambina, come l'aver frequentato la stessa scuola elementare, come aver avuto entrambi a che fare con il bullo Benny Santos. E continuarono anche durante il pasto, riuscendo a masticare e parlare insieme. Lena si stupiva riuscissero a trovare modo di respirare.
«Ah, sì, ma questo lo sapevo!», disse lui con un enorme sorriso stampato in faccia, «Ho fatto ricerche anche su te, per conto della signorina Luthor».
«Già», lei si voltò a guardarla, «La famosa ricerca».
Lena cominciava a pensare che non glielo avrebbe mai perdonato.
Di tanto in tanto, Kara la guardava e le chiedeva qualcosa cercando di farla entrare in argomento, ma lei non sapeva cosa dire e lasciava che le cose riprendessero il loro corso, e così i due si perdevano di nuovo nei loro discorsi.
Winslow sorrideva e si eccitava in continuazione, tanto che si chiedeva se era sempre stato lui il suo assistente, stentava a riconoscerlo, e Kara parlava con la bocca piena, ridendo tappandosi la bocca con un fazzoletto. Lena sparì in bagno dopo aver finito il suo piatto senza che loro se ne accorgessero. Diede colpetti decisi contro la macchinetta del sapone, con fare nervoso. Era stata lei la prima a essere dura con Kara, a cercare di ignorarla, quindi non capiva proprio perché se la prendesse tanto a cuore, continuando a pestare.
«Cosa ti ha fatto di male quel sapone?».
Si voltò, vedendo Kara entrare e raggiungendola al lavandino, prendendo del sapone anche lei, mettendo le mani sotto il getto d'acqua. Lena le guardò abbassando lo sguardo dal suo, vedendo che erano diventate gialle.
«Cosa ti è successo? Hai fatto a pugni con i maccheroni?».
«No», strinse le labbra, trattenendo il rossore sulle gote. «Diciamo che Winn ha riso un po' troppo e, sì… un piccolo incidente», rise, «Non finirà mai di scusarsi».
Lena stava per ridere a sua volta ma si costrinse a restare seria e distaccata, soprattutto al sentirla chiamare lui Winn. «Va bene. Datti una lavata, così torniamo al lavoro».
Kara la tenne d'occhio intanto che usciva a passo spedito dal bagno, senza guardarla.
Il lavoro diventò più silenzioso che al mattino. Tranne che Winn ogni tanto le sorrideva e le diceva qualcosa a voce talmente bassa da sembrare di fare solo boccacce, ma per fortuna il suo era un udito molto sviluppato. Kara controllò di nuovo i nomi, e le cifre, e i nomi, e le altre cifre, e poi Lena Luthor, seduta davanti alla sua scrivania, lontano da loro che stavano comodi sul divano. Era china sui fogli, con la testa mantenuta da una mano poggiata con il gomito sul tavolo. Era così tesa, nervosa, arrabbiata, sembrava. La trattava con freddezza da quando era arrivata alla Luthor Corp e cominciava a pensare che non fosse a causa di quei documenti e sul caso di Lex, ma proprio per lei. Eppure non riusciva a capire cosa le avesse fatto di male. Forse non voleva davvero che si mettesse in mezzo con quell'affare, o forse che facesse amicizia con Winn, pensò, guardando con la coda dell'occhio il ragazzo concentrato sui suoi fogli. Lo vide scorgere Lena e così, al suo minimo movimento, nascondendosi con la faccia contro i fogli. Dopo un poco, anche Lena alzò lo sguardo e con serietà guardò Winn, rimettendosi al lavoro.
Kara corrugò le sopracciglia, messa a disagio da quella situazione. Il suo rapporto con Lena stava migliorando e, all'improvviso, la sentiva di nuovo una perfetta estranea. Una perfetta estranea arrabbiata con lei senza ragione. Quella situazione non le piaceva per niente.
«Kara, non stai leggendo».
«Oh, sì».
Le mancava pure di essere sgridata da lei. Sbuffò, ma piano, per non essere sentita.

Fecero un'altra breve pausa. Winn ne approfittò per sgranchirsi le gambe e andare in bagno, così Kara si accostò da Lena, che al contrario non sembrava ben disposta a riposare, continuando a leggere, poggiata di peso contro la spalliera della sedia.
«Lena…?».
«Dimmi».
«Posso chiederti se… per caso… ho fatto qualcosa di male? Qualcosa che può averti dato fastidio?».
Lena abbassò lentamente i fogli, poggiandoli sulla scrivania, fissando lei. «No. Perché me lo chiedi?». Arrossì e allora abbassò di nuovo lo sguardo, ritornando a quei numeri. Non riusciva a guardarla fare quel suo sguardo corrucciato senza trovarla incredibilmente adorabile. Accidenti, sapeva di dover trovare una soluzione presto, non che potesse ignorarla da quel momento in avanti, sapendo che l'avrebbe ritrovata al suo fianco a tutte le attività familiari. E dopotutto, se così non fosse stato, probabilmente si sarebbe fatta avanti sul serio. Ci avrebbe provato di sicuro. Oh, rendersi conto di questo non faceva che peggiorare la situazione.
«Perché- Lo hai appena fatto!», brontolò. «Stai cercando di punirmi per qualcosa, per caso? P-Perché non credo di aver fatto qualcosa di sbagliato ma, se fosse, me lo dici in modo da da poter risolvere».
Non ci credeva che le mancassero i suoi tentativi di flirtare con lei. Le alzò il viso, scrutandola con i suoi soliti occhi di ghiaccio. «Non c'è nulla che non vada, Kara. È solo che… vorrei davvero aiutare Lex ad uscire da questo pasticcio e sento che siamo in alto mare. Lui dovrà rilasciare una dichiarazione a giorni e non abbiamo niente in mano… Non vogliamo che a mettersi in mezzo sia nostra madre, dovremo farcela con le nostre forze», la fissò, «E presto».
Kara restò a bocca aperta, pensando di punto in bianco di essere stata egoista nel pensare che il comportamento diverso di Lena fosse per qualcosa che aveva fatto lei. Che figuraccia. Arrossì, chiudendo le labbra con forza e annuendo. «Ha-Hai ragione! Dobbiamo mettercela tutta per-», si bloccò, guardando con più attenzione il foglio sotto una mano di Lena. Gliela tolse e indicò un punto su un foglio, su un nome. «Questo l'ho già letto», biascicò. Scattò per andare sul divano, prendendo la sua pila di fogli iniziò a sfogliare. Uno dopo l'altro poggiò quelli dove compariva quello stesso nome sulla scrivania, mentre Winn rientrava in ufficio.
«La pausa è finita?», chiese.
«Winn, prendi il tuo fascio di fogli e portalo qui, presto».
Il ragazzo fece come ordinato e ben presto si ritrovarono a una decina, quindicina, ventina di fogli dove compariva lo stesso nome più volte. Il solo nome che compariva così tante volte in diversi versamenti.
«Hai trovato una falla, Kara», sorrise Lena, «Questi dati sono stati contraffatti». Erano tutti così concentrati sui numeri da non aver dato abbastanza peso ai nomi al loro fianco.
«Sei grande, Supergirl», esultò Winn, abbassando la voce fino a tacere quando si ricordò che, accanto a loro, c'era il suo capo.
«Un nome falso?», domandò Kara.
«Molto probabile», rispose lei, concentrata. «Qualcuno ha usato questo nome per appropriarsi del denaro degli investitori. Scopriremo chi è», le sorrise, alzando lo sguardo.
Dopo un po', Kara decise di tornare al campus, temendo che, facendo ancora più tardi, il guardiano la chiudesse fuori. Lena la ringraziò e sembrò sorriderle ancora, pur mantenendo tra loro una certa distanza che Kara non capì. Riprese la sua giacca e uscì, salutando Winn, dopo essersi scambiati i numeri di cellulare.
«Quella ragazza…», sorrise lui con fare sognante, scuotendo la testa. «Mi ha sconvolto! Non pensavo che dal vivo quella Kara Danvers fosse così carina. E poi è intelligente, ha talento… e come sorride».
Lena non disse una parola, separando in due pile diverse i fogli contenenti i dati con il nome usato dal truffatore e gli altri. Sentì il suo assistente avvicinarsi.
«Lo so che noi non abbiamo quel tipo di rapporto, signorina Luthor, ma se potesse, che so, mettere una buona parola per me con sua sorella… le sarei riconoscente».
«Non esserlo», disse glaciale, «Ha già un quasi ragazzo. E non è mia sorella».
Winn strinse le labbra, pensandoci. «Quasi ragazzo?», si lasciò poi scappare una piccola risata, «Anch'io avevo una quasi ragazza, una volta: si chiamava Margot Blanc, era di origini francesi e frequentava con me le scuole medie. Pranzavamo insieme ogni giorno, e poi studiavamo e ci tenevamo per mano, che ricordi…», sospirò con un sorriso. «M-Ma lei in realtà sapeva appena della mia esistenza e tutto era accaduto solo nella mia immaginazione. Ma che ricordi…».
«Il suo si chiama Mike e sono già stati insieme…», bisbigliò, riflettendoci, «Mike Gand. Ecco chi è, mi sembrava di riconoscerlo: il figlio del senatore Gand».
«Il figlio di un senatore? Ah! Bene…», il suo entusiasmo scemò, «Posso sempre puntare sulla simpatia».

«Fammi capire, Kara: sei triste perché Lena Luthor non flirta più con te?», le domandò Alex al cellulare, mentre lei guardava fuori dal finestrino con aria affranta, sul pullman pieno di persone.
Arrossì, mordendosi un labbro. «No. È-È solo che- Non lo so… ma cominciavamo ad andare davvero d'accordo, ci stavamo avvicinando, e ora sembra tornata…».
«La nemica del primo capitolo?».
«Primo capitolo?».
«Primo capitolo, quando vi siete conosciute, Kara, è un modo di dire».
Kara sbuffò. «Sì. Quasi. Ha sorriso. Ma non mi guardava. Forse peggio, perché almeno al primo capitolo mi degnava di attenzione», scrollò le spalle, «Pensavo fosse turbata per questa storia della Luthor Corp a Metropolis, e così mi ha detto, ma non mi convince adesso che ci penso…».
«Magari è solo un po' per le sue, vedrai che- Signora! Signora!», gridò all'improvviso e Kara dovette allontanare il cellulare dall'orecchia. «Lei lì non può entrare, signora, è riservato al personale! C'è un cartello, signora! Scusa, Kara, devo andare a tirare via una donna che sta litigando con la tenda che divide l'area pubblica da quella privataNon vedo l'ora di finire gli studi così potrò dire addio questo postaccio», bisbigliò, Kara la sentiva affannare, «Comunque non preoccuparti per Lena, magari è davvero solo presa da questa storia di Lex, dalle del tempo. Lo so che vuoi andare d'accordo con lei- Signora? Cosa fa? Esca! Io stacco, ci sentiamo più tardi».
Kara riattaccò e nascose il cellulare nella borsa, guardando il cielo che si scuriva e poi la giacca nera che, la sera prima, aveva prestato a Lena per ripararsi dal freddo. Beh, pensò, se per una qualche ragione a lei sconosciuta avessero fatto un passo indietro nel loro rapporto, avrebbe fatto di tutto per riguadagnare terreno in fretta e sentirla di nuovo vicino.

La mattina dopo si svegliò presto ma, invece del solito, non aveva in mente di allenarsi. Megan la vide correre da una parte all'altra della loro camera mentre si preparava per uscire e, infine, lasciarle un biglietto sul cuscino del proprio letto.
Erano da poco passate le otto e mezzo quando Kara Danvers spalancò le porte della Luthor Corp con un colpo di gomito, portando tra le mani quattro tazze da viaggio fumanti. La guardia all'ingresso aveva appena iniziato il suo turno e ancora sbadigliava, tuttavia, quando la vide cercò di trattenersi. Si incastrò ancora la gonna nelle sbarre elettriche ma, muovendosi come un serpente, riuscì a tirarsi via con poche difficoltà. «Quei cosi», la sentì bisbigliare, muovendosi verso di lui, per poi guardarlo facendo un largo sorriso. «Buongiorno… John». J. Barrows: indicava il suo cartellino.
Lui scosse la testa.
«Jacob?».
«No».
«James?».
«Neanche», si appassionò lui, mettendosi a braccia a conserte appoggiato al bancone.
Lei sorrise, indicandolo. «Allora il suo nome è… Joseph!».
«Oh, non ci siamo».
«Jack, Julian, Joey, Jonathan!», lo indicò ancora con entusiasmo, continuando, «Joshua, Jeff, Jesse-».
Lui la fermò, indicandola a sua volta.
«Jesse?». Lui scosse la testa e lei rise, «Va bene, va bene, è Jeff», ma al suo sguardo incerto lei aggrottò le sopracciglia, ritentando, «Jeffrey! È Jeffrey?».
Lui rise con entusiasmiamo, battendo le mani in un applauso, e lei rise con lui, passandogli una delle tazze sul bancone.
«Ecco, questa è per lei, Jeffrey». Lui sgranò gli occhi dalla sorpresa, prendendo la tazza. «Spero le piaccia: caffè nero, per affrontare una lunga giornata».
«Dice sul serio?».
«Sì, l'ho presa per lei. Le auguro buona giornata». Se ne andò e lui le ricambiò la buona giornata gridando prima che potesse prendere l'ascensore.
Era di buon umore e sorrise radiosa, affacciandosi allo specchio della cabina. Indossava anche quell'oggi una camicetta infilata sotto la gonna corta, stavolta scura, e i capelli tirati indietro con delle forcelline. Si sistemò con cura l'abbigliamento e poi gli occhiali, facendo un rumore gutturale con la bocca. Quando la porta dell'ascensore si aprì, si sentì pronta per affrontare quella giornata.
«Kara?», esclamò Winn seduto sulla sua scrivania fuori dell'ufficio di Lena, meravigliato di vederla a quell'ora del mattino. Si alzò per accoglierla.
«Ehi! Come va stamattina?», chiese, poggiandogli una delle tazze sulla scrivania, sorridendogli. «Ah, no, aspetta», cambiò tazza, poggiandogliene un'altra. «Quella è di Lena, mi stavo confondendo».
«Per me?», la prese.
«Caffè macchiato, spero sia di tuo gradimento», rise, «Avevi detto che non stravedevi per i gusti troppo amari».
Lui rise, scrollando le spalle. «Te-Te lo sei ricordata?».
«Memoria d'acciaio», rise, spostandosi verso la porta dell'ufficio di Lena. Winn cambiò espressione e cercò di fermarla, ma lei aveva già aperto la porta, portando avanti le due tazze da viaggio rimaste. Si bloccò quando vide che Lena non era sola e un ragazzo alto ed elegante era davanti alla sua scrivania, in piedi così come lo era lei, visibilmente interrotto dal suo ingresso. «Oh, scusate, che sbadata, si è aperta la porta? Pff», rise e tentò di infilare una tazza sotto il braccio destro per richiudere ma, presa dalla fretta, non riusciva ad incastrarlo e quindi ad andarsene. Odiava la sua goffaggine quando si trovava in una situazione imbarazzante.
Lena abbassò la testa e quel ragazzo sorrise, pur mantenendo un tono distaccato, sistemandosi meglio la cravatta. «Lasci pure aperto, signorina…?».
«Danvers. Kara Danvers».
«Oh, signorina Danvers. Sono onorato», si avvicinò e le strinse la mano sinistra che era riuscita a liberare, che poi le baciò, sotto il suo sguardo confuso, arrossendo. «Maxwell Lord, molto piacere. Stavo appunto dicendo alla signorina Luthor che si era fatto tardi». Salutò Kara, poi Lena, ed uscì dall'ufficio, chiudendo dopo di lui.
Kara guardò Lena, che era tesa come una corda di violino, trattenendo il respiro. Si accertò che la porta fosse ben chiusa e la raggiunse, poggiando le tazze sulla scrivania. «Maxwell Lord delle Lord Technologies?», domandò, voltandosi ancora verso la porta, come se da un attimo all'altro potesse vederlo rientrare. «Cosa faceva lui qui?».
Lena sospirò e si sedette a peso sulla sedia davanti alla scrivania, portandosi una mano sulla fronte. «Non ha trovato mia madre e così è venuto qui».
«Non avrà sentito il cellulare…».
«No, conoscendola gli avrà chiuso la telefonata di proposito».
«Che cosa voleva?».
«Offrire aiuto», sorrise, ma nel suo sguardo non c'era altro che astio. «Ha saputo della situazione a Metropolis e si è fatto avanti. Domani andrà laggiù a parlare con mio fratello e voleva che lo appoggiassi».
Kara la guardò attentamente. «E tu… hai detto che lo appoggerai?».
«Gli ho risposto che ci avrei pensato, ma è ovvio che preferirei risolvere la questione prima che lui si metta in mezzo. Da anni punta gli occhi sulla Luthor Corp. Sono certa che non aspettasse altro che un'occasione simile per mostrarsi tanto generoso», alzò le sopracciglia e, distraendosi, mise a fuoco le due tazze sul tavolo. «Quelle?».
«Oh, sì», si ricordò improvvisamente, destandosi. «Questa è tua», le passò la tazza, per poi prendere l'unica non fumante, sedendo davanti a lei. «Questa è mia».
Lena sorrise, aprendola e odorando il profumo del caffè ancora caldo. «Anche tu caffè?».
«Frullato», rise, alzando la tazza.
«Fammi indovinare: vaniglia?», le sorrise e Kara arrossì, annuendo, dando un primo sorso.
Per un attimo le era parso che Lena sembrasse tornare quella di prima: la battuta, il sorriso malizioso, come l'aveva guardata. E tutto questo nonostante la visita poco gradita di Maxwell Lord: era la prima volta che lo vedeva e non le era piaciuto affatto.
Kara era rimasta con Winn alla sua scrivania per un po', chiacchierando, mentre Lena chiamava Lex per dirgli di Lord, chiusa nel suo ufficio. La sentivano parlare a voce estremamente alta, a volte, capendo di essere davanti a una questione piuttosto delicata.
«Se Lord fa un favore ai Luthor, poi i Luthor dovranno fargli un favore, non so se mi spiego», disse Winn, giocando a campo minato nel suo pc.
«Non lì, non lì, prova quella a fianc- No!».
«Accidenti», sbuffò lui, perdendo la partita.
«Impari a non darmi ascolto». Guardò verso la porta, cercando di sentire più che poteva di quella telefonata. Infine, la sentì salutarlo. Doveva aver richiuso.
La porta del suo ufficio si aprì di lì a poco e Lena si appoggiò allo stipite della porta, con un'aria decisamente stanca. «Lex ha detto che mi invierà entro mattinata altri documenti. Sta stilando una lista dei possibili truffatori interni all'azienda, grazie al nome e ai dati che gli abbiamo fornito. Fino ad allora…», alzò gli occhi al soffitto, «aspettiamo».
A malincuore, Winn si allontanò dalla Luthor Corp per urgenze familiari, dopotutto quelle per lui erano ore extra e Lena gli lasciò il permesso di uscire, così per ingannare l'attesa uscirono anche loro, decidendo di passeggiare intorno al palazzo, rientrando appena arrivava l'email con i nuovi file.
«Lex è molto stressato, ultimamente», confidò Lena, al suo fianco. «Nostra madre non fa che chiamarlo e insiste perché lui venga qui per conoscere voi, il resto della famiglia, ma lui non riesce perché non si può permettere di lasciare la Luthor Corp, in questo momento. Lei lascia il comando a noi ma, allo stesso tempo, vorrebbe avere sempre l'ultima parola e lui non ne può più. Non giudicarlo per quello che sta succedendo, ti prego».
«Non l'ho mai fatto», le sorrise, ma l'altra teneva lo sguardo basso.
Il centro di National City, solitamente molto affollato, era invece più tranquillo ora che era luglio inoltrato ed erano poche le attività ancora aperte. Con le scuole chiuse, erano molti i ragazzini in giro in bici o in skateboard. Passavano i taxi, quelli non mancavano mai, ma anche il traffico era più contenuto. Il sole picchiava forte, portando con sé anche una leggera brezza.
Kara e Lena passarono davanti a un mendicante e la prima si bloccò di colpo, aprendo la borsa e recuperando qualche soldo, portandoglielo. Lui la ringraziò e lei gli regalò un sorriso, mentre Lena osservava la scena, rapita.
«Dolce come la vaniglia», sussurrò scuotendo la testa, arrossendo. Aprì il portafogli e quando Kara si riavvicinò a lei le passò una banconota da dare al mendicante al posto suo. Kara eseguì senza chiedere e si prese di nuovo i suoi ringraziamenti. Lo salutò e ripresero a camminare, mentre Lena teneva d'occhio il cellulare per verificare se fosse arrivata quella email.
«Senti, Kara», disse, senza guardarla negli occhi, «Non ti ho mai chiesto una cosa». Riabbassò il cellulare verso la borsa in spalla, rendendosi conto che aveva la sua attenzione. «Quando…», sospirò, mordendosi un labbro, «Quando eravamo al party, nella tua università, e quel ragazzo mi ha accusato di essere una ladra, di esserlo la mia famiglia… tu non ci hai creduto, anche solo per un attimo?», si voltò a guardarla, incontrando gli occhi azzurri di Kara seri e attenti. «Insomma, questo aspetto di noi lo conosci appena e in passato hanno circolato molte brutte voci sulla nostra famiglia».
«No», scosse la testa, «Non sei così. Lo so che ci conosciamo da poco, ma non avrei mai potuto crederci. Sembri scontrosa, e diciamo che a volte potresti mettercela tutta per confermarlo, forse ci vuole un pochino per farti aprire e forse a qualcuno questo può ingannare, ma sei una persona buonissima, Lena», le sorrise, «So che non faresti mai nulla del genere».
Lena si lasciò andare a una breve risata, portandole una mano sul viso e sistemandole dietro un orecchio un capello biondo rimasto intrappolato nel suo sorriso, in quelle labbra rosa pesca che erano lì solo per lei. Il pollice le accarezzò la guancia e, non poté farne a meno, si avvicinò e le portò via un bacio.
«E poi adesso la tua è anche la mia famiglia, immagino».
Lena si destò, aprendo bene gli occhi. Kara portava ancora quel capello incastrato nelle sue labbra, che si tolse da sola, riprendendo a camminare. Oh, no. Lena la seguì subito, ricordando con qualche brivido le parole del suo assistente: Kara Danvers era appena diventata la sua Margot Blanc.
Distratta da ciò che era appena successo, un ragazzo passò di corsa al suo fianco e non si rese subito conto che lui le fece scivolare la borsetta per stringerla contro sé e portarla via. Gridò appena che Kara era già corsa a inseguire il ladruncolo. Divise la distanza che li separava a breve e, in un attimo, gli era addosso, afferrandolo per un braccio. Lui cercò di strattonarsi e lei, velocemente, lo capovolse a mezz'aria gettandolo contro il marciapiede.
«Fanculo!!», gridò il ladro ringhiando di dolore, contorcendosi a terra. «Mi hai rotto il braccio».
«Oh beh, non mi lamenterei, sono certa che poteva andarti peggio», esclamò, riprendendo la borsa.
Lena li raggiunse. Eseguendo quella mossa, a Kara si erano staccate le forcine dai capelli e le erano scivolati gli occhiali dalla faccia, così se li rimise sul naso nel restituirle la refurtiva. Lena era senza parole, tanto che quando quel ragazzo scappò non ci badò più di tanto e alle lamentele di Kara rispose di lasciarlo andare.
«Magari farò una segnalazione a Maggie», disse, non contenta di come si erano svolte le cose.
«Adesso capisco perché pensavi di entrare nelle forze dell'ordine».
«O quello, o farò la giustiziera in tutina», rise lei.
Ripresero a camminare, intanto che Lena controllava che nella sua borsa non mancasse nulla. «Dove hai imparato…? Dubito che per giocare a lacrosse uno dei requisiti sia essere un'esperta di arti marziali».
«No, infatti! E non sono un'esperta… È solo che lo faccio da quando ero molto piccola: credo di aver imparato a disarmare qualcuno prima ancora di scrivere», le disse con una punta di arroganza nella voce, «È opera dei miei veri genitori. Poi mi sono tenuta in allenamento con Alex, quando ha imparato lei. Beh, sì, è lei l'esperta».
Lena deglutì. Stava per dirle qualcosa, ma cambiò idea all'ultimo, riprendendo il cellulare in mano. «Non finisci mai di sorprendermi», si fermò, pensando bene a come chiamarla, «Kara». Guardò il telefono. «L'email è finalmente arrivata, Lex ce l'ha fatta. Andiamo?».


***


Lex Luthor aveva stilato una lunga lista di nomi in base alle informazioni che erano riusciti a fornirgli: comparivano solo persone che potevano avere i mezzi per una truffa di tale portata, contraffacendo dichiarazioni ufficiali che, a uno sguardo attento, tra mille e più cose da seguire, sarebbero passate inosservate. Lena e Kara si misero subito al lavoro e quando Winn tornò in ufficio, con l'aria sconfitta di un cane bastonato, riprese a lavorare anche lui. Questa volta era diverso, non si trattava di trovare qualcosa di strano tra nomi e cifre, ma di leggere nomi di dipendenti, le loro brevi biografie, curriculum, dati generali e rifletterci sopra. Andarono per ordine alfabetico, leggendone a voce alta uno a testa ed esaminandolo insieme.
Pranzarono tutti e tre come il giorno prima, nello stesso locale sotto alla Luthor Corp, ma si portarono con loro il lavoro, continuando a leggerne uno a testa ed esaminandolo, accertandosi di tanto in tanto che non li stesse ascoltando nessuno. Fortunatamente per loro c'erano pochi clienti. Poi tornarono in ufficio, proseguendo senza sosta, passandoci le ore.
Winn ne lesse uno che scartarono subito, passando al successivo, letto da Lena. Kara inviò un messaggio a Mike per dirgli che avrebbe fatto tardi e se le faceva il favore di avvertire il guardiano notturno per lei, così si sarebbe potuta trattenere un po' di più. Cenarono in ufficio, insieme, facendosi portare dei piatti veloci, continuando a lavorarci. Quella giornata sembrava non finire mai.
«Sapete a cosa pensavo?». Winn attirò la loro attenzione. «Che sembra un lavoro fatto troppo bene per una persona qualunque di queste», strinse uno dei fogli, sollevandolo, «Non ci arriveremo mai». Si grattò la nuca esausto e Lena lo congedò, dicendogli che avevano fatto tutto il possibile e che avrebbero ripreso l'indomani. Accettò di buon grado solo poiché era talmente stanco che gli occhi gli si chiudevano da soli, così le salutò con uno sbadiglio, tornando a casa.
Kara guardò Lena, che ricontrollava un foglio dopo l'altro senza tregua. «Tu non hai intenzione di riprendere l'indomani, vero?».
La vide scuotere la testa, presa dai documenti. «Maxwell Lord andrà da Lex, domani. Se possibile, continuerò a leggere di queste persone fino a che non crollerò a terra. Tu torna pure al campus, Kara».
«Non lo farò. Ho deciso che ti aiuterò e vale ancora adesso, possiamo farlo insieme», riprese uno dei fogli, leggendo velocemente. «Ecco, senti questo-», si bloccò soprappensiero, facendo scivolare di nuovo quel foglio, «Ha ragione Winn», sussurrò poi, prendendo l'attenzione di Lena.
«Cosa?».
«Ha ragione Winn, Lena, è come dice lui: è un lavoro fatto troppo bene per essere stato ideato da uno qualunque di loro. Dev'essere stato per forza qualcuno ai piani alti, vicino a Lex, o non si spiega! Magari qualcuno che ha ben più da guadagnare che i soldi degli investitori».
Si guardarono. «Qualcuno come Maxwell Lord», sussurrò Lena.
«Come abbiamo fatto a non pensarci prima?!».
Lena chiamò immediatamente suo fratello, con Kara che, sul divano, si rilassava, guardando il soffitto. La chiamata durò sui quindici minuti appena. Lena spiegava con calma la conclusione a cui erano arrivate lei e Kara, e Lex la tratteneva giusto qualche momento, senza pause troppo lunghe. Kara non sentiva la sua voce, doveva parlare molto piano, pensando che non solo non lo aveva mai visto, ma nemmeno sentito.
Quando la ragazza augurò la buonanotte a Lex, Kara si rimise composta, guardandola. Lena sospirò, guardandola a sua volta. «È fatta», le disse, poggiando il cellulare sulla scrivania. Si avvicinò ma non troppo, restando ad almeno due metri da lei, appoggiandosi a un mobile e mettendo le braccia a conserte. «Domani svolgerà una veloce indagine interna. Ora può procedere, sapendo dove deve cercare la spia di Lord». Il suo sguardo era rivolto alla finestra, non a Kara.
«E Lord?».
«Se riescono a trovare delle prove che lo colleghino al fatto o se il complice confessa potremmo protrarlo in tribunale, altrimenti…».
«Resterà impunito».
Lena annuì, finalmente girandosi a guardarla, mordendosi un labbro. «Grazie, Kara. Davvero. Sei letteralmente il mio eroe, e per ben due volte in una sola giornata».
Lei sorrise, diventando rossa. «Ora devo andare». Si mosse per raccogliere la sua roba e Lena restò immobile, per poi portarsi un dito contro la bocca, pensando, trattenendosi, e infine lasciandosi andare:
«Sai, ho capito perché vuoi entrare in un corpo di polizia», le disse di colpo, fermandola, «Sembri nata per essere un eroe, ma ci sono tanti modi per esserlo. Uno di questi è il giornalismo».
Kara si voltò, stringendo le labbra, ascoltando.
«Tu sei tagliata per fare la reporter: hai intuito, passione, sai cogliere le sfumature, sei una persona molto attenta. E si vede che è quello che vuoi davvero, Kara. Vuoi restare vicino a Mike, un futuro con lui al tuo fianco, lo capisco, ma tu prova a scegliere per te, non precluderti questa possibilità. Se volete restare uniti, potete comunque farlo anche lavorando in due ambienti diversi».
Lei annuì, avvicinandosi. «Ci penserò».
«Fallo, veramente». L'abbracciò per prima e Kara ricambiò, sorridendo con gioia e forse un poco di imbarazzo.
Appena si lasciarono andare, si guardarono a vicenda con intensità, cogliendo le sfumature degli occhi l'una dell'altra, e poi le labbra, senza poterne fare a meno. Lena l'avvicinò a sé e la baciò senza lasciarle respiro.
«Buonanotte, Lena».
Si allontanò da lei e quest'ultima sospirò, risvegliandosi dal frutto della sua mente. «Buonanotte, Kara».
Maledetta Margot Blanc.































***

Ah, rieccoci qui!
Povera Lena, ha baciato Kara per ben due volte, ma solo nella sua immaginazione! Temo sia proprio arrivata a un punto piuttosto critico. Ha cercato di allontanare Kara da lei ma non ci è riuscita e Kara, da parte sua, aveva tutta l'intenzione di “riconquistarla”. Non si sfugge alla sua determinazione (lo ha imparato anche la signora Terry).
E poi c'è Winn, che si è preso una cotta per lei, e Maxwell Lord ha fatto il suo ingresso in scena. Come vi sembrano?

Una nota importante: io non ho idea di come si possa risolvere una questione come quella affrontata alla Luthor Corp. Ho cercato di immaginarmi la situazione, ma è presa molto alla buona. Non voletemene se non so essere più “efficiente”. Se non altro, riconosco che anche nella stessa serie a volte le cose sono trattate molto alla buona XD

Spero vi sia piaciuto lo stesso ^_^ Voi avete mai avuto una vostra (o vostro) Margot Blanc?

Il prossimo capitolo si intitola Problemi di affezione e, come anticipato la scorsa settimana, arriverà lunedì 9 aprile!

(Così vi auguro anche se in anticipo, se festeggiate, buone uova di cioccolato a tutti!)

   
 
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