Greyfriars Kirkyard
Il vecchio accidioso Borgin
si era chiuso nel negozio e borbottava imprecazioni a raffica,
facendosi scrocchiare nervosamente le nocche dalle lunghe unghie
sporche.
Il putiferio di poco più di
un’ora prima sembrava essersi calmato, ma il negoziante non aveva
intenzione di mettere il naso fuori dal negozio per quel pomeriggio,
non dopo il profondo ruggito che aveva squarciato l’aria. Al momento il
baccano che aveva raggiunto anche il suo discosto vicolo di Nocturn
Alley era cessato, per lasciare il posto ad un dissonante silenzio.
Si mise a lucidare,
svogliato, il teschio in vetrina, rimuginando tetro su quanto gli
rimaneva da vivere. Il teschio sembrò guardarlo beffardo, e la mascella
giallastra e scheggiata si spalancò in uno sbadiglio eterno.
D’un tratto un secco crack
risuonò nell’aria polverosa e scura.
La mascella si richiuse sul
dito di Burgin, che tentò invano di sbattere lontano il teschio e
cominciò a mandare in frantumi la vetrina.
Al piano di sopra, Narcissa
corrugò le sopracciglia a quel fracasso, ma portò un dito alle labbra
facendo segno a Gonril di tacere. Piano, con molta cautela e come un
gatto che ha messo gli occhi sul topo, si accinse a scendere le scale,
scivolando con gran parte del suo peso sul corrimano di osso. Al
pianerottolo si fermò, e le si presentò davanti agli occhi quella scena
grottesca.
“Ma-le-det-to! Staccati!”
Il vetro di una credenza andò in frantumi, ma il teschio non accennò a
mollare la presa.
Narcissa puntò la bacchetta
verso la propria gola e sussurrò: “Sonorus”
“Esci da questo negozio,
Burgin, o entrerò con te nella tomba!”
Burgin cacciò un gridolino
stridulo e si afflosciò sulle ginocchia.
“Ho detto fuori Burgin!”
Il negoziante si aggrappò
alla maniglia come se fosse la sua ultima possibilità di redenzione.
La campanella squillò nel
vicolo, e Burgin andò a sbattere contro un mago coperto di cenci che se
la stava dando a gambe dalle Guardie Magiche, che si prese il teschio
in testa
Dall’interno, Narcissa
sigillò la porta. Gonril planò dal corrimano direttamente sul bancone
di Burgin. “Bella trovata Signora. Peccato che se ne sia andato così in
fretta.” Pigolò l’elfa, calpestando con interesse le carte sul bancone.
“Anche Gonril deve andare
ora. Ad Hogwarts. Gonril deve trovare Dobby.” Stava per far schioccare
le dita, quando Narcissa si voltò verso di lei.
“Grazie Gonril.”
L’elfa non le rispose, ma
piegò un orecchio nella sua direzione, prima di svanire con uno
schiocco.
Narcissa non perse altro
tempo, oscurò le finestre, rapida, prima che alle Guardie Magiche
venisse in mente di controllare da dove fosse uscito il mentecatto che
stavano portando nelle celle del Ministero. Dopodiché risalì le scale,
si avvicinò all’armadio svanitore che l’aveva tanto tormentata tempo
prima, e si sedette contro la parete umida e scricchiolante. Trasse un
gran respiro, rinchiuso da settimane nel suo petto. Ora non le restava
altro che aspettare.
***
Il timoniere di Enea,
Palinuro, conobbe a sue spese quale bestia strisciante potesse essere
il Sonno, e ben presto se ne accorse anche Marie. Per ben due volte,
all’imbrunire, si risvegliò di soprassalto con l’orribile sensazione di
scivolare nel vuoto, nel mare d’aria sempre più scura sotto di loro, e
se non fosse stato per la sua abitudine a rimettersi in sella sulla
scopa dopo le mosse più azzardate per afferrare la pluffa o schivare un
bolide, sarebbero piombati entrambi nel fiume Ericht.
Draco, con sua preoccupazione, non dava cenno di rinvenire, e fu solo
quando sorvolavano le luci della capitale scozzese che intravide la
chioma chiara di fronte a lei muoversi con intenzione.
“Shhh. Siamo quasi
arrivati, riposati.” Marie sperò che quelle poche parole bastassero a
calmarlo. Se avesse realizzato che si trovavano a quelli che sembravano
almeno cento metri d’altezza, in sella ad una creatura sconosciuta,
avrebbe rischiato di disarcionarli entrambi.
Il cavallo cominciò a
perdere quota. Poteva distinguere sempre più chiaramente le arterie
illuminate e fluorescenti delle strade principali, e perfino intuire il
reticolo labirintico delle viuzze più antiche. Alla loro sinistra
sembrava esserci una stazione, a giudicare dalle insegne luminose, e
Marie pensò con nostalgia a King’s Cross. Con suo sgomento, quella che
sembrava una torre aculeata si stagliava sempre più vicina a loro con
la sua punta aguzza, e la strappò con forza dalla sua rêverie. Cercò di mantenere la
calma, non poteva agitare Malfoy.
La creatura l’avrebbe
vista, l’avrebbe evitata, cercò di convincersi. I pinnacoli si
distinguevano sempre più chiaramente, e Marie trattenne il respiro e si
aggrappò con tutta la forza che aveva ai fianchi della bestia, le
nocche bianche attorno al lembo del mantello. Non successe nulla. Lo
Scott Monument era alle loro spalle, e loro ancora in sella.
Maledetto ronzino, pensò
Marie, gli piace il rischio. Aveva intenzione di dirigersi verso il
castello, arroccato con la sua figura massiccia sulla collina proprio
di fronte a loro, e stava per sussurrarlo all’orecchio della creatura
quando questa virò bruscamente a sinistra.
“No, maledizione! Al
castello, va al castello!”
I Babbani li avrebbero
scoperti, dov’altro potevano atterrare? L’animale scendeva sempre più,
e Marie si sorprese che nessuno si accorgesse di loro, giù in strada.
All’improvviso si tuffarono in picchiata, e la terra una ventina di
metri sotto di loro si fiondò loro incontro. Avvertì Draco irrigidirsi
davanti a lei. Nonostante l’allarmante velocità con cui toccarono il
suolo, gli zoccoli non fecero alcun rumore e non dovettero attutire
nessun colpo.
Indolenzita e con i muscoli
rigidi per il lungo volo, si affrettò comunque a scendere, con molta
meno grazia della creatura, ed aiutò Draco a seguirla.
“Cosa diavolo succede?”
Riuscì a biascicare il giovane. Gli doleva ogni singolo arto, tranne la
spalla destra, che non avvertiva, ed ogni respiro gli causava una fitta
alle costole.
“Te lo spiego appena
riusciamo a capire dove ci troviamo.” Sussurrò Marie.
Un’ondata di vertigini lo
assalì, ed avvertì il battito affannoso del suo cuore rimbombargli
nelle orecchie. Si aggrappò alla prima cosa che trovò, per poi rendersi
conto con orrore di essersi puntellato su una lapide. Marie si sentì
svenire.
No, non un altro cimitero,
ti prego, implorò silenziosamente l’animale, ma questi cominciò a
brucare leggiadro l’erba. Detestava i cimiteri, le ricordavano tutti il
luogo della morte di Cedric.
Questo, tuttavia, notò
subito che era privo dell’aria macabra e mortifera che permeava quello
di Little Angleton. Sembrava più un luogo di pace, libero
dall’atmosfera di pericolo incombente che aveva oppresso il cimitero di
Godric’s Hollow. Doveva essere regolarmente frequentato dai vivi, a
giudicare dalla presenza rassicurante della chiesa dietro di loro.
Di riflesso, si affrettò a
gettare incantesimi repello-babbani e di protezione attorno al luogo in
cui si trovavano, proprio al cominciare della leggera discesa erbosa
punteggiata da tombe più o meno solitarie, lungo la quale riusciva
appena a scorgere un viottolo.
Draco, nel frattempo, si
era appoggiato alla tomba, dalla forma spigolosa, e osservava
meravigliato la creatura brucare tranquilla. Marie si sorprese di non
vederlo spaventato. Sembrava a proprio agio nelle vicinanze della
creatura, e questa addirittura cercava la sua vicinanza, si rese conto
con stupore Marie.
Si avvicinò sempre più a lui, brucando qua e là, fino ad annusare i
suoi vestiti, e cominciò a puntellarlo sempre più insistentemente con
il muso. Marie non osava avvicinarsi, avvertiva che la creatura,
sebbene avesse confidenza con lei, preferiva Draco. Lui, nel frattempo,
tentava di capire, non senza timore incipiente, cosa volesse da lui la
creatura eterea.
“oh, va bene, me lo tolgo”
Bofonchiò debole. “Calma, fa piano!”
Con fatica, si tolse il
giaccone. La maglietta di Harry lasciava scoperto gran parte del
braccio sinistro, che si era ormai abituato ad ignorare. La creatura
cominciò, con suo disappunto, a leccare il suo avambraccio, e dovette
mordersi il labbro per non gridare.
La lingua ruvida sembrava scorticargli la pelle gonfia ed infiammata, e
si appiattì contro la lapide, tentando di resistere all’impulso di
sottrarsi alle sue cure. Premette il viso contro la pietra fredda e
muschiosa, pregando che il supplizio finisse presto. Lo stava
scorticando, ne era certo, non poteva farcela a resistere.
Eppure lei non voleva fargli del male, lo sentiva. Non riuscì a
trattenere un gemito, possibile che non finisse più? La stoffa della
maglietta si strappò, e credette di essere premuto contro una fresa.
Questa cominciò a mordergli anche le costole, ed urlò dal terrore, era
finita, l’avrebbe ammazzato. Pregò che Marie lo sottraesse a quella
tortura. Poi, così com’era cominciato, il dolore svanì. Aprì gli occhi,
ed incrociò quelli della creatura. Grandi, bui e tormentati voragini
luccicanti lo osservavano, curiose.
A Draco parve di vedere ombre scure agitarsi in quegli specchi, e gli
sembrò di guardare dentro di sé, nell’abisso, e l’abisso guardava
dentro di lui. Allungò una mano a carezzare il muso ossuto ma serico
della creatura, e questa non si sottrasse, bensì, a tradimento, gli
appioppò una leccata ruvida come carta vetrata.
Marie intanto camminava in tondo attorno ai due, come un gatto nervoso,
e trasse un sospiro di sollievo nel vedere Draco accarezzare la
creatura. Questa si piegò sulle ginocchia sottili e si sdraiò accanto a
lui, le ali reticolate ripiegate sulla schiena. A questo punto Marie si
avvicinò, con passo felpato, e si accoccolò appoggiandosi al dorso
della creatura, caldo e fresco, sul lato opposto a quello contro cui si
era disteso Draco.
Il suolo era umidissimo, ed
entrambi gettarono degli incantesimi isolanti attorno a loro, Draco con
un po’ di fatica, poiché dovette estrarre la bacchetta dal giaccone con
le membra doloranti.
Mentre si muoveva, tuttavia, si accorse che i movimenti gli riuscivano
leggermente più facili.
Soprattutto, la fitta al petto era svanita. Con riluttanza, si azzardò
a gettare un’occhiata al braccio. Quello che vide lo lasciò incredulo.
Quella che sembrava rugiada
argentea aveva ricoperto il nero tumefatto della maledizione, ancora
visibile sotto la pellicola translucida. Il serpente si dibatteva
furioso, con spasimi sempre più violenti, e Draco lo sentì muoversi
nella sua carne, con quel dolore da volta stomaco che gli era divenuto
famigliare.
Ciò nonostante, osservando meglio notò che quello che sembrava argento
vivo stava dissolvendo l’inchiostro velenoso del Marchio, millimetro
per millimetro, e per quanto il serpente affondasse le zanne nella
propria coda e si dibattesse, la linfa non indietreggiava.
Si puntellò sui gomiti e si girò per mostrare meravigliato la scoperta
a Marie, ma vide che si era addormentata, cullata dal movimento
regolare del dorso della creatura contro cui si era adagiata.
Doveva essere esausta per il viaggio da Inverness a Edinburgh, e
sebbene fremesse dall’impazienza di sapere che fine avesse fatto
Bellatrix, il pensiero di svegliarla non lo sfiorò.
L’espressione insolitamente serena esaltava la dolcezza del suo viso,
ed avere l’occasione di vederla così indifesa, senza schermi, risvegliò
in lui un sentimento di tenerezza che non l’aveva carezzato da tempo.
Lui, al contrario, era
riposato, sebbene debole, e decise di montare la guardia. Lasciò vagare
lo sguardo nel vasto cielo sopra di loro, e di tanto in tanto spostava
lo sguardo dalle stelle al suo viso, soffermandosi ogni volta su un
dettaglio diverso.
Le labbra morbide e rotondeggianti erano percorse dal taglio rigonfio
che lui stesso le aveva causato, ed il senso di colpa lo attanagliò.
Azkaban e la sua disperazione avevano tirato fuori il peggio di lui.
D’un tratto quel dettaglio,
il cielo stellato sopra di lui e la figura che gli riposava accanto lo
riportarono indietro nel tempo, in quella sera in cui si era rifugiato
sulla torre di Astronomia, sconvolto e roso dal dubbio, e tormentato da
quello che aveva visto nel sotterraneo.
Si domandava ancora ora
cosa fosse successo realmente. La figura di Marie riposava tranquilla
accanto a lui ora, qualsiasi cosa fosse successa, e questo lo
rassicurò, ma decise che se mai se ne fosse presentata l’occasione,
avrebbe dovuto porle quella domanda.
C’era anche un’altra
questione che dovevano affrontare, ed era meglio che lo facessero
presto, rimuginò ansioso Draco, di nuovo rivolto verso le stelle. Il
Pathos Cogitatio era, inequivocabilmente, sfuggito al loro controllo ed
interveniva quando meno se lo aspettavano.
Certo, ad Azkaban era stato utile, ma il fatto che i sogni dell’altro
non fossero più interamente suoi, così come l’evidenza che potevano
anche scambiarsi ricordi lontani dal presente, era inquietante.
Dovevano assolutamente affrontare la questione, per quanto Draco non
gioisse all’idea di comunicarle che aveva condiviso il suo sogno, a
Villa Conchiglia.
La rabbia per gli insulti
precedenti e il desiderio di vendicarsi erano evaporati da tempo.
All’insaputa di Draco, il
Pathos Cogitatio era attivo anche in quel preciso istante, e i suoi
pensieri interferirono con i sogni di Marie, indirizzandoli verso
quella sera.
(Avvertimento:
tematiche delicate)
Marie alzò il braccio,
cercando di scacciare all’ultimo momento il nodo allo stomaco che la
assaliva ogni giovedì, e fece per bussare alla porta dell’ufficio
sotterraneo.
Questa si aprì di scatto
prima che potesse anche solo sfiorarla.
“Sei in ritardo di nuovo
Potter!” L’aggredì il sibilo di Piton, che cercò di incenerirla con lo
sguardo.
“Proprio come quella
carogna del tuo padrino. Si diceva che non sarebbe arrivato in orario
nemmeno al suo funerale, ed infatti.” Continuò l’odioso, ed untuoso,
aggiunse Marie, professore, ingoiando gli epiteti che avrebbe voluto
lanciargli contro.
“Compenserò arrivando in
anticipo al suo, professore.” Rispose lei fra i denti.
“Vedremo se sarai ancora
così insolente quando avremo cominciato.”
Replicò Piton, minaccioso.
“Ti ricordo, Potter, che ti
sto concedendo un privilegio. Come al solito, voi due siete troppo
inebriati dalla vostra fama per accorgervene.”
Marie, catturata suo
malgrado dalla curiosità per quello che l’aspettava, non ribatté.
Piton se ne accorse e la
serpe che albergava in lui gongolò, pregustando la preda che si stava
offrendo più o meno spontaneamente a lui.
“Ovviamente la prodigiosa
incapacità del tuo gemello potrebbe compromettere irrimediabilmente le
capacità che stai acquisendo, ma se riuscirai a superare questa prova,
sarai capace di esercitare un’Occlumanzia pressoché inespugnabile.”
Fece una pausa, e un
sorriso sottile e beffardo si allargò sul suo volto giallognolo.
“Eccetto, è plausibile, per
il Signore Oscuro…”
Bene, allora è una bella
perdita di tempo, pensò la voce più ragionevole di Marie.
Prendi, alza i tacchi e vattene finché sei in tempo!
Le raccomandò la stessa voce, che veniva direttamente dalla sua pancia.
Non hai visto il ghigno compiaciuto
spalmato sulla sua brutta faccia? Non promette nulla di buono!
Ma la parte più irrazionale
ed ambiziosa di lei era stata rapita da tempo da quella promessa di
gloria, e la Grifondoro non aveva il gemello a farla ragionare, questa
volta.
Piton si arrotolò le
maniche con quel gesto ostentato che detestava, e continuò a spiegare,
la voce sempre più bassa e suadente, incantatrice.
“Ora attaccherò le tue
difese sul serio, esattamente come farebbe un autentico nemico.”
Lo sguardo era rivolto alla
sua bacchetta, che si rigirava tra le mani con ostentata indifferenza.
Tese la mano, e Marie vi
depose la sua bacchetta. Le viscere le si attorcigliarono.
“Il mio, ed il suo
obiettivo, sarà penetrare nei meandri più gelosamente custoditi dei
tuoi pensieri, per farli miei e contorcerli a mio piacimento.”
Cominciò a misurare la
stanza a grandi passi.
“È necessario che le tue
barriere, ancora fragili, vengano infrante nel punto in cui sono più
sensibili, altrimenti non sarai mai in grado di fortificarle e
rimarranno inutili, ridicole resistenze.”
Smise di giocherellare
oziosamente con la bacchetta, per impugnarla saldamente. Marie cominciò
a sudare freddo e si pentì amaramente di aver stretto quello che
sembrava in tutto e per tutto un patto con il diavolo.
Se almeno ci fosse stato
Harry con lei, le avrebbe dato la forza di andarsene.
Invece c’erano solamente
lei, disarmata, e Piton, in quel viscido sotterraneo lontano dalla luce
e dal calore della vita.
Cercò di prepararsi come le
riusciva spontaneo solitamente, ma il panico si stava insinuando
strisciante. Quali erano i ricordi che non avrebbe mai rivelato a
nessuno? Non se lo dovette domandare due volte. Lo sapeva benissimo:
erano quelli che aveva tenuto nascosti ad Harry.
L’idea che Piton potesse
venirne a conoscenza non l’aveva mai sfiorata. Durante le lezioni
precedenti Piton aveva lasciato che lei sviluppasse un senso di
confidenza tale da farle credere che i suoi segreti fossero al sicuro.
Ma ora, era giunto il
momento di far crollare il muro di cartone, pensò il professore, per
posare le fondamenta di uno più solido. Almeno, quello era il pretesto.
Marie fece per appoggiarsi
ad uno scaffale, aggrappandosi agli ultimi istanti di intimità che le
rimanevano.
“Spostati dagli scaffali.”
Fu la secca reazione.
Fece appena in tempo ad
eseguire l’ordine, che la realtà svanì come fumo davanti ai suoi occhi.
Sulle prime, non c’era
nulla di diverso dalle altre occasioni.
I ricordi la assalirono da
ogni dove, ma riuscì a tenere a bada la corrente che voleva sbatterla
qua e là come un cencio.
Lei ed
Harry stavano giocando a Spara-Schiocco contro Sirius e Remus, l’uno
sghignazzava raggiante, sventolando loro sotto il naso la vincita in
api frizzole, mentre l’altro li guardava con un velo di nostalgia e
tristezza negli occhi. Con grande divertimento del padrino lei si
infuriava come anni prima avrebbe fatto Lily Evans: “Vergognati Sirius,
hai barato! Lo so che hai barato! Non si vince così!”
Fred le
stringeva calorosamente la mano sull’espresso, per poi farle fare un
balzo di spavento quando la sua mano divenne all’improvviso verde e
gelatinosa.
“Oh
scusami, mi sono dimenticato di togliere il guanto strettafrolla del
mio amico Lee” “Piacere di conoscerti!” Proruppe il gemello, tendendole
la mano con espressione furbesca. “Ah no, questa volta non ci casco.”
“Impara
in fretta eh Freddie?” Disse George, non senza ironia.
L’ufficio di Piton le tornò
improvvisamente di fronte agli occhi, ma non le lasciò il tempo di
riprendere fiato.
Lei ed
Harry correvano a perdifiato per il quartiere di Little Whinging, con
la banda di Dudley alle calcagna. Harry rovesciò un bidone della
spazzatura pronto per la raccolta e non appena girarono l’angolo si
appiattirono nello stretto passaggio fra lo steccato di due villette,
dove Dudley sarebbe di sicuro rimasto incastrato. “Per un pelo”
Sussurrò Harry al suo orecchio.
L’acqua
gelida del Lago Nero si infranse sopra le loro teste, e Cedric le
nuotava accanto, guidandola verso la riva. Il panico l’assalì, Harry
era ancora sotto, lo sentiva. Si aggrappò al collo di Cedric, che
sputacchiò ma la sostenne, sorridente in principio, e poi preoccupato
al suo pallore incipiente.
Nell’aula
sotterranea densa di fumi densi e scuri, la voce tagliente di Malfoy si
fece strada fra il sibilo ed il sobbollire dei calderoni.
“Ehi
Potter, scommetto che ti manca l’abbraccio di Diggory. Perché non hai
spiattellato anche quello alla Skeeter? Avreste ancora più lettori. O
forse ti penti di essere andata troppo in là? Certo bambolo Diggory si
è preso quello che voleva prima di essere morto.” Il fragore di un
calderone che esplodeva coprì tutto il resto, ma Piton aveva trovato la
chiave che stava cercando.
Cedric
correva davanti a lei, la sciarpa gialla e nera ben visibile fra i
fiocchi di neve.
“Aspetta
Ced! Ma dove stai andando!” Lo chiamò Marie con il fiato corto e la
voce ilare. Annaspò, affondando sempre più nella neve, finché un
abbraccio che aveva imparato a conoscere, eppure le sembrava sempre
nuovo le cinse i fianchi e l’inebriò con una risata profonda e
leggermente roca. Lui le coprì gli occhi con le mani, per poi
sussurrarle all’orecchio: “Guarda verso l’alto.”
“Ma
Ced,” Rise lei, appoggiando la testa al suo petto, “Non vedo nulla.” Ma
fece come le aveva chiesto e rivolse il viso verso il cielo da cui
cadevano, morbidi e algidi, grossi fiocchi di neve. Cedric, un largo
sorriso carico di aspettative sulle labbra, scostò le mani per puntare
la bacchetta verso il cielo, puntandola verso un fiocco che cadeva
ondeggiando languido e sereno dal cielo, proprio sopra di loro.
Mentre
cadeva, questo cominciò a mutare forma, ramificandosi ed espandendosi
nell’aria, sempre più diverso dai fiocchi che si adagiavano sulle
ciglia di Marie, il naso all’insù.
Dal
centro si spandeva pulsante una calda tinta dorata, portatrice di vita.
I bracci del fiocco, divenuti ben visibili, si unirono a formare due
piccole ali, e la morbidezza della neve divenne candore del piumaggio.
La palla di piume fece due buffe capriole a mezz’aria, mentre dal
centro pulsante d’oro fuso spuntava timidamente una testolina, che si
capovolse in un’altra capriola, divenne una coda e poi l’uccellino
cominciò a cinguettare estasiato attorno alle loro teste, fino a
posarsi nella mano aperta di Marie, guidata da quella di Cedric.
Il cardellino le becchettò amichevolmente il dito, per poi cercare di
insinuarsi sotto il suo mantello.
“Ehi
piccolino, dove vuoi andare, hai freddo?” Cinguettò Marie in risposta
al suo canto, trasportata dalla meraviglia.
“Prova
per te lo stesso amore e desiderio di colui che l’ha creato.”
Mentre
diceva queste parole Cedric le percorse con delicatezza il contorno del
viso e tornò a stringerla a sé, più vicina di quanto avesse mai osato
prima. Il cardellino arruffò le piume soddisfatto, girando la testolina
quel tanto che poteva da sotto il mantello da cui spuntava appena
fuori, proprio sotto il collo di Marie, che cominciò a ridere e
contorcersi giocosamente fra le braccia di Cedric. “Mi fa il solletico,
il malandrino!”
Lui si
chinò a baciarle il collo, con il tocco leggero e fresco delle sue
labbra, per poi cercare quelle di lei. Le piume dell’uccellino
sfiorarono la pelle di Cedric, ed a quel contatto il nuovo nato
fremette come la padrona del suo cuoricino che batteva da così poco
eppure tanto in fretta. Cullato fra il calore dei due corpi a cui era
indissolubilmente legato, si accoccolò tranquillo e lasciò che ci
pensasse Cedric a solleticare i sensi della sua amata, sempre più
accogliente ai suoi baci prima delicati e poi intraprendenti.
Ogni volta i due diventavano più desiderosi della pelle fragrante che
li infuocava, e gli istanti che li appagavano erano gli stessi che
esasperavano il loro desiderio. I due giovani sentivano un istinto
atavico sussurrare concitato che il tempo era alle loro calcagna, che
ogni istante doveva essere consumato come la cera dalla fiamma, se non
volevano bruciar d’amore invano.
Marie non poteva più
controllare la direzione o il flusso dei suoi pensieri, era in balia
della presa ferrea fra cui si dibatteva impotente, come un cucciolo
preso per la collottola dalla madre.
Sperò solo che Piton non
riuscisse a sostenere le emozioni, le sue emozioni, che permeavano ogni
istante, ma evidentemente il viscido era senza scrupoli e non credeva
di essersi spinto abbastanza lontano.
Davanti
alla porta del bagno dei prefetti, Cedric, con i capelli bronzei
bagnati fradici dalla neve e tremante dal freddo, si guardò intorno,
sull’attenti, per poi sussurrare lesto la parola d’ordine, “Asticello”,
e la piccola porta girò sui cardini ben oliati. Marie aveva la testa
poggiata contro la sua spalla e le braccia attorcigliate attorno al suo
collo; sapeva bene di non dover mettere piede per terra vicino alla
porta, altrimenti non li avrebbe lasciati entrare. Con lei tra le
braccia come una sposa romana, Cedric varcò la soglia raggiante, ed
appena lasciò che Marie posasse i piedi a terra, agitò la bacchetta
verso alcuni degli innumerevoli rubinetti ed immediatamente una
fragranza di pino e resina si diffuse nell’aria, assieme a grosse bolle
dorate. Il cardellino svolazzò come una freccia al di fuori del suo
nascondiglio, rincorrendo le bolle in volo al fruscio dei loro vestiti
che cadevano a terra.
Marie stava lottando con
tutte le sue forze per cristallizzare la scena in quel singolo istante,
rallentare il ricordo, farlo insabbiare ed impedire a Piton di invadere
un angolo che era solamente suo, e tale avrebbe dovuto rimanere. Ma non
ci riuscì. Per quanto cercasse di concentrare tutta la sua forza di
volontà verso la bolla dorata, questa riflesse la chioma di Cedric, e
quella presa tirannica ed asfissiante che le toglieva lucidità ne
approfittò per forzare e balzare in avanti.
Il
respiro di Cedric era veloce ed affannoso contro il suo orecchio, e
Marie si era abbandonata completamente fra di lui, con l’acqua che
accarezzava i loro fianchi – No!
Marie avvertì il sapore
ferroso del sangue e la fredda, granulosa botta del pavimento di pietra
con qualche secondo di ritardo. Senza alcun sostegno, era crollata a
terra dallo sforzo, stordita. Mani gelide e invadenti la strattonarono
in piedi per poi abbandonarla appena possibile, ed andò a schiantarsi
rovinosamente contro uno scaffale, i cui numerosi barattoli dai
contenuti dissezionati ondeggiarono pericolosamente. Finì per sedersi
per terra, nell’angolo vicino alla porta, vagamente consapevole della
figura di Piton che la guardava con disgusto dall’alto in basso.
Un’ondata d’odio puro e
scottante le ribollì nelle vene, ed il velo appiccicaticcio e sporco
dell’umiliazione la calò addosso come un volturo, mentre cercava di
riprendere le forze.
Piton decise di non
infierire. Aveva ottenuto quello che voleva.
La Potter avrebbe abbassato
la cresta e si meritava un’umiliazione del genere, pensò la parte più
perfida del professore, quella che si innalzava sopra la ragionevolezza
ogni qualvolta gli occhi beffardi di quello strafottente di James
Potter lo guardavano dal viso così somigliante a quello di Lily. Era
una tortura. Almeno ora che evitava il suo sguardo, avrebbe potuto
ingannarsi che quel ricordo fosse suo, che la figura rannicchiata fosse
Lily, che lei fosse lì con lui, e non morta e sepolta nel cimitero di
Godric’s Hollow. Tuttavia, vedere Lily in quella posa sofferente gli
pungolò il cuore con una stilettata che non provava da anni.
Eppure, era lui la causa della sua sofferenza, lo sapeva bene.
Fu una fortuna per Piton
che lei non osasse guardarlo negli occhi; altrimenti avrebbe intravisto
la pietà e la tristezza che si celavano sotto lo strato di disgusto e
lascivia.
Non aveva calcolato che
stesse seviziando la sua vittima con un’arma a doppio taglio. Per un
istante, fu felice che la Potter fosse riuscita a fermarlo,
impedendogli di raggiungere il suo obiettivo più meschino e che aveva
celato perfino a sé stesso, parte di un segreto che non avrebbe mai
interamente rivelato a nessuno. Aveva quasi messo le mani su ciò che
desiderava da anni e non aveva mai potuto avere.
Non in prima persona, ma forse in un altro modo, si era illuso, avrebbe
potuto raggiungerla. Eppure, quella che considerava solo un veicolo del
suo desiderio represso, invece di saziarlo l’aveva respinto.
La vista di Marie
rannicchiata spalle al muro scatenò, per un singolo istante, il ricordo
di Lily riversa senza vita sul pavimento straziato della stanza, e per
quello stesso istante Severus Piton ebbe ribrezzo di sé stesso. Lily
era morta per salvare la sua bambina, ed ora lui se ne stava
approfittando calpestando il suo cadavere.
Avrebbe dovuto porre
rimedio a quell’errore, o si meritava di essere dannato.
Se quella ragazza era
riuscita, con il suo talento di Occlumante, ad impedire al lato più
sudicio e perverso di sé di esplicarsi fino in fondo, era in debito con
lei.
“Lezione conclusa, Potter.
Non te ne occorreranno altre. Hai superato la prova. Vattene in
infermeria a curare quella tua testa dura, se non ne sei capace tu.”
E che cavolo dico a Madama
Chips, pensò Marie, furiosa per come la stava liquidando e tremante
dall’umiliazione, la rabbia e il dolore che la scuotevano ad ondate
febbricitanti.
Senza replicare, tuttavia,
si diresse verso la porta, a cui Piton aveva tolto l’incantesimo che la
sigillava. L’unica cosa che disiderava era mettere più distanza
possibile fra sé e Piton.
Proprio mentre stava per
afferrare la maniglia, delle nocche bussarono dall’altro lato, e la
aprirono prima che il professore potesse rispondere.
Malfoy si trovò faccia a
faccia con Marie, stravolta, con i capelli arruffati, le vesti
spiegazzate ed un livido ed un brutto taglio sul viso.
Spalancò la bocca, immobile
come un gargoyle, ed il suo sguardo scorse da Marie a Piton, e si
soffermò di nuovo sul suo stato, proprio mentre il capo casa sbraitava,
“Non ti hanno insegnato a
bussare, Malfoy?”
Draco, senza parole, riuscì
appena a balbettare,
“È un’emergenza. Qualcuno
ha …. ha stregato il muro attraverso cui dovremmo passare per accedere
alla sala comune, ed ora insulta chiunque ci parli.”
“Sciocchezze Malfoy, è
impossibile che uno studente possa incantare una delle entrate alle
quattro case! Sarà uno scherzo di bassa lega, una barriera ingiuriosa o
qualche altra trovata dei Grifondoro!” Detto questo, si precipitò fuori
dall’ufficio, diretto più in giù verso il cuore dei sotterranei.
Marie cercò di evitare lo
sguardo indagatore di Malfoy e riprese la sua bacchetta, abbandonata
sulla scrivania. Era pronta ad aspettarsi un insulto, una battuta
canzonatoria o il solito ghigno beffardo da parte di Malfoy, e al
momento non avrebbe avuto la forza di ribattere.
Per una volta, era rassegnata a subire.
Tuttavia, non intravide nulla di tutto ciò sul viso di Malfoy. La sua
aria afflitta e sottomessa spaventò Draco ancor di più, che sbiancò e
continuò a fissarla. Incapace di sopportare oltre quello sguardo
insolito e disperata per un briciolo di solitudine, si fiondò a sua
volta oltre Malfoy e fuori dall’ufficio, ma ancora disorientata fece
male i calcoli e finì contro lo stipite con un gran colpo.
Draco, allarmato e confuso più che mai, la afferrò prima che potesse
barcollare altrove, cercando allo stesso tempo di starle distante, come
se avesse paura di sporcarsi. Constatò che non puzzava di burrobirra o
alcol come alcuni suoi compagni quando si comportavano in modo simile,
e gli si strinse lo stomaco. Aveva una gran voglia di andarsene da lì
prima che tornasse Piton.
“Per Merlino Potter, che ti
succede?”
“Che succede a te Malfoy,
stare lì così impalato!”
Gracchiò Marie con la voce
debole suo malincuore, fallendo nell’intento di suonare sprezzante.
“Almeno io sto in piedi da
solo.” Ribatté Malfoy in tono piatto.
“La Umbridge ti darà una
spilla anche per questo, Malfoy?”
Marie si ricordò
improvvisamente di cosa le aveva detto durante pozioni, poche settimane
prima, e di come avesse portato Piton a capire quale fosse il suo punto
debole.
“Toglimi le mani di dosso,
Serpeverde!”
“Ma prego Potter!” E lasciò
andare la presa.
Ingrata, pensò Malfoy
irritato, cosa stava a preoccuparsi per chi lo disprezzava? Eppure la
scena che si era trovato davanti agli occhi continuava ad apparirgli
orrendamente dissonante e profondamente sbagliata. Lasciò che Marie lo
superasse, incerta sulle gambe, e poi, dopo essersi guardato le spalle,
la seguì, con tutta l’abilità di una serpe. Sapeva che la sala comune
di Grifondoro si trovava in una delle torri, ma come pensava, lei non
si diresse verso le scalinate più alte, ma balzò, e rischiò di cadere
indietro, su una scala che conduceva al quarto piano.
Draco stette a due rampe di distanza, pronto ad appiattirsi nell’ombra
se necessario, ma lei non si voltò nemmeno una volta. La intravide
sgusciare furtivamente in un’aula semiaperta, e si accostò alla porta,
incapace di entrare senza essere scoperto.
Dall’interno, gli sembrò di udire il cinguettare fioco di un uccellino,
ma si convinse che fosse un’illusione, perché non lo sentì più. Al
contrario, il suono di singhiozzi soffocati giungeva sufficientemente
chiaro alle sue orecchie, e sarebbe rimasto lì, aspettando non sapeva
cosa, se dopo alcuni minuti dei passi affrettati non lo avessero messo
in guardia e non si fosse nascosto dietro una colonna.
Fu un bene, perché se Harry lo avesse trovato ad origliare, avrebbero
di certo scatenato un putiferio duellando. Appena il gemello era
sparito nell’aula, Draco si diresse di corsa verso la torre di
astronomia, incurante del coprifuoco imminente.
Aveva bisogno di aria
fresca che lavasse via l’atmosfera asfissiante e opprimente del
sotterraneo, e le stelle lo avevano sempre aiutato a pensare. In fondo,
portava il nome di una costellazione. Scala dopo scala, il pensiero lo
arrovellava e corrodeva. Stava ricamando un dramma, la sua
immaginazione cavalcava troppo in fretta, oppure avrebbe dovuto
riportare quello che aveva appena visto?
“A chi, al capo casa?” Domandò una
voce caustica.
“Fatti
gli affari tuoi Draco, come hai sempre fatto finora. A loro non importa
nulla di te, perché dovresti preoccuparti per la Potter? Si sa
difendere da sola.”
Continuò, ma Draco non
riusciva a darle ascolto. Svoltò un altro angolo e cominciò a scalare
la rampa di scale a chiocciola.
“È
proprio questo il punto, era indifesa! Probabilmente si stava
approfittando di lei ed era indifesa!” “Ma se non sai nemmeno quello
che hai visto! Forse si è fatta male ed è passata per l’ufficio di
Piton per una pozione.” L’ipotesi suonava talmente ridicola da
essere già insopportabile sotto forma di pensiero.
Non era così. Non gli era sfuggito il sangue sul pavimento di pietra
dell’ufficio.
Possibile che Piton avesse un lato tanto oscuro e minaccioso, possibile
che potesse essere tanto vile verso una Grifondoro? Come poteva Silente
non saperlo? Avrebbe dovuto dire qualcosa?
Il dubbio lo arrovellava.
Finalmente l’aria gelida lo aggredì, e l’agitazione che gli ribolliva
nelle vene si calmò un poco. Raggirò la barriera e si avvicinò alla
balaustra, lo sguardo puntato verso le stelle.
Guardando le stelle, una
tranquillità fredda ma cristallina lo invase, e tentò di riconoscere le
costellazioni come era solito fare da bambino, senza successo.
Il dubbio rimaneva.
Ora non era più sola, se ne
era accertato lui stesso. Non poteva bastare quello? Il gemello tronfio
l’avrebbe aiutata, come sempre, quei due non erano mai davvero soli.
“Se davvero è successo quello che credi,
ci penserà Potter a correre da Silente. Non occorre che lo faccia tu.”
Draco dovette ammettere che sembrava un’ipotesi ragionevole, e, cosa
più importante, lo assolveva da qualsiasi responsabilità.
Le stelle gli sembrarono brillare più fulgide, ora. Com’era solito
fare, abbracciò immediatamente quella che gli appariva come la via più
sicura, e la sua coscienza smise di disturbarlo, per quella sera.
Tuttavia, non avrebbe più
taciuto a lungo, ormai era stata risvegliata.
Marie biascicò qualcosa nel
sonno e si agitò inquieta, ma tutto ciò che Draco riuscì ad afferrare
fu il nome di Harry. Tornò a seguire il filo dei suoi pensieri.
Chissà se sua madre aveva
colto l’indizio lasciato a suo padre. Doveva essere così, cercò di
convincersi Draco, il messaggio era chiaro. Sperò che ripartissero
presto, avevano ancora molta strada da fare per Londra. Al pensiero del
negozio di Burgin & Burke e di come avessero intenzione di arrivare
ad Hogwarts, si ricordò di come l’anno precedente avesse rifiutato con
disprezzo e risolutezza ogni aiuto di Piton.
Da quella sera irrisolta nutriva per quell’uomo una diffidenza e un
ribrezzo radicato nelle sue viscere, e le attenzioni che gli dedicava
non solo lo mandavano su tutte le furie, ma lo facevano sentire
complice dei suoi intenti, e sapeva quanto perversi potessero essere.
All’improvviso un grido lo
fece sobbalzare da terra, e la creatura alzò il muso da terra e drizzò
le orecchie, allarmata.
Portò istintivamente la mano alla bacchetta, sebbene realizzò subito
che era solamente Marie, risvegliatasi di soprassalto. Si alzò e girò
attorno alla creatura, che si era risistemata, per sedersi accanto a
Marie.
“Stai bene?” Le domandò,
sentendosi un po’ a disagio per il filo dei suoi pensieri precedenti.
Lei lo guardò con gli occhi
persi nel vuoto, pieni di orrore e allarme.
“Dobbiamo muoverci.
Tu-Sai-Chi ha scoperto che stiamo cercando gli Ho…insomma, degli
oggetti vitali per lui. Dobbiamo assolutamente arrivare ad Hogwarts e
riunirci ad Harry, e trovare gli altri oggetti prima che sia troppo
tardi. Uno è sicuramente ad Hogwarts, ed ha a che fare con Corvonero.”
Parlava come spiritata, più a sé stessa che a lui, ma d’un tratto tornò
i sé.
“Ma tu, stai bene? O mio
Dio, mi sono addormentata!” Balzò in piedi e si contorse le mani, un
vizio che aveva preso dalla sua amica.
“Come va la ferita?”
Esclamò, chinandosi di nuovo verso di lui.
Draco credette che si
rivolgesse al Marchio; il dolore causato dal pugnale era stato tanto
forte che se lo ricordava solo in modo confuso, e la preoccupazione per
la maledizione del Marchio, unita al fatto che la saliva della creatura
aveva narcotizzato la ferita, gliel’aveva fatto dimenticare.
“Non ci crederai, ma la
saliva della creatura sembra aver fermato il Marchio. Lo sta
dissolvendo.” Disse piano, togliendosi il giaccone e mostrandole il
braccio.
Marie corrucciò il viso in
un’espressione incredula, per poi spalancare la bocca, non senza una
smorfia di dolore, meravigliata.
“Non è possibile, è un
miracolo…” Sussurrò, tracciando con il dito la lunghezza del suo
avambraccio, facendolo rabbrividire. La pelle era ancora irritata e
Draco l’avvertiva, al suo tocco, come se fosse effettivamente
scorticata.
“Ahi” Disse ostentatamente,
per farla smettere.
“Oh scusami! È così
straordinario che non ho resistito.” Si scusò lei imbarazzata.
Tacque, pensierosa, per
alcuni istanti.
“Dici che abbia fermato la
maledizione, quindi?” Domandò, ancora stentava a crederlo.
Possibile che la soluzione
che sembrava impossibile si fosse offerta a loro così
spontaneamente? Lesse la stessa domanda negli occhi di Draco.
“Non la sento più farsi
strada nella mia carne, e la fitta al petto che mi tormentava da alcuni
giorni è svanita. Ma il braccio è ancora indolenzito e la pelle la
avverto come scorticata, fa un male tremendo. Ma il serpente sta
svanendo, guarda bene anche tu.”
Le protese l’avambraccio, e
stavolta Marie fece attenzione a non toccarlo. Notò anche lei un fluido
argenteo avviluppare la coda del serpente, anche se sarebbe stato
difficile affermare con sicurezza che stesse avanzando.
“Dobbiamo proprio andare ad
Hogwarts. Là troveremo qualcuno in grado di farti una fasciatura come
si deve. Io non sono molto dotata, come avrai notato.”
“Cosa?” Domandò Draco,
confuso.
“Come cosa? Guarda la tua
spalla! – Quella destra!” Aggiunse spazientita, vedendo che Draco
controllava quella avviluppata dal Marchio. La fasciatura alla bell’e
meglio con un brandello del suo mantello si era allentata, e per Draco
non fu difficile toglierla. Era così molle che nemmeno se n’era
accorto.
Osservò con orrore e sgomento lo squarcio che si apriva fra
l’attaccatura dell’omero alla clavicola, e la sottile pellicola
trasparente che la ricopriva. Un alone bluastro e violaceo la
circondava, e quando tentò di ruotare il braccio, un dolore lancinante
lo trapassò. L’effetto narcotizzante della saliva stava svanendo.
Perché se si mostrava tanto
forte contro il Marchio, sembrava proteggere debolmente la ferita della
lama?
“Ti ricordi cosa è
successo?” Domandò Marie, con voce morbida.
“Mi ricordo che mi sono
fiondato fra te e Bellatrix, che aveva l’aspetto di mia madre, per
impedire che ti pugnalasse e non perdere la Passaporta.”
Non gli occorreva una
spiegazione di ciò che era accaduto dopo, se lo poteva facilmente
immaginare.
“Come ti sei disfatta di
Bellatrix?”
“La creatura è piombata dal
cielo e l’ha assalita, per poi leccare la tua ferita, che sanguinava in
modo…strano.” Marie rabbrividì al ricordo.
“Era tramortita, così l’ho
legata ad un albero e l’ho mollata lì. Spero sia ancora lì impalata, ma
ne dubito.”
Draco annuì, scuro in
volto. Conosceva i passatempi della detestata zia.
“La lama è maledetta. È
imbevuta in un’antica pozione di famiglia che impedisce a qualsiasi
ferita di rimarginarsi. È un miracolo che l’emorragia si sia fermata.”
“La creatura deve avere
poteri straordinari, e ancora sconosciuti. Non compare nel libro di
Newt Scamander, e lui ha girato il mondo intero!”
Hermione ci aveva visto
giusto, pensò Marie, solo un rimedio ignoto aveva potuto fermare il
Marchio.
Entrambi pensarono
nostalgici a Luna ed alle sue mani abili.
“Te la senti di
Smaterializzarti?” Gli domando Marie, cambiando tono e diventando
pragmatica.
“Sì.” Non era vero, ma
voleva assolutamente arrivare a Londra il più in fretta possibile, e lo
stesso valeva per Marie. La furia di Voldemort e la distruzione che
aveva disseminato intorno a lui, così come la determinazione assassina
con cui si era prefisso di controllare i luoghi degli Horcrux, la
riempivano di terrore per Harry, dovevano assolutamente riunirsi per
essere più forti e poterlo affrontare.
Lei glissò sulla sua bugia,
e osservò l’orizzonte. Il castello era visibile dal cimitero, e la sua
sagoma maestosa si stagliava sempre più chiara all’orizzonte. Stava
albeggiando, e presto avrebbero dovuto trovarsi nelle vicinanze di un
altro castello.
Draco, tuttavia, voleva
assolutamente approfittare della rara intimità che rimaneva loro per
affrontare la questione che riguardava unicamente loro due.
“Aspetta ancora un
momento.” La fermò.
Marie alzò un sopracciglio, interrogativa. Pensò che stesse per
riferirsi alla creatura, lei difatti si stava domandando come avrebbero
fatto a portarla ad Hogwarts. Le parole seguenti tuttavia furono una
doccia fredda.
“Non possiamo più
ingannarci, dobbiamo smettere di ignorare l’evidenza. Il Pathos
Cogitatio ci è sfuggito di mano fin dall’inizio.”
Marie si sedette di nuovo
accanto a lui, con un gran sospiro. La creatura cominciò a muovere la
coda di qua e di là, con un rumore lento ma costante.
“Sì, è innegabile. Ad
Azkaban è avvenuto senza che potessimo controllarlo, fin da prima che
entrassimo, anche se si è rivelato di nuovo molto utile.”
“Non dico che non sia
utile, ma non è questo il punto.” Continuò Draco, senza capire se lei
stesse facendo la finta tonta o se fosse ancora all’oscuro di ciò che
avevano condiviso.
“Dici il fatto che ho visto
il tuo ricordo, quello nel campo di fiori?” Domandò lei, esitante.
Questo non sorprese più di
tanto Draco, se l’era già immaginato, riflettendo sugli episodi in cui
era avvenuto.
Ecco, ora devo dirglielo.
Merda. Se mi affattura mi riduco ad un bidone, pensò Draco.
“Sì, diciamo di sì, ma non
solo.” Esitò, non sapeva come continuare. La prese larga.
“Mi riferisco ai sogni, in
particolare.” Tacque, e Marie non disse nulla.
Le lanciò un’occhiata,
timoroso, ma vide solamente sorpresa nel suo sguardo. Draco si
maledisse, perché non capiva? Avrebbe preferito che ci arrivasse lei,
invece così ogni passo era penoso.
“Aspetta, allora quel sogno
orrendo che ho appena fatto è stato a causa tua?”
Come? Di cosa lo stava
accusando?
“Il sogno del sotterraneo,
quando Piton…” Si interruppe e deglutì con forza.
“Bé, quando tu sei entrato
di sorpresa, io non…non stavo bene e fin lì sarebbe anche stato
normale, ma poi io era te e ho visto cose che non avrei mai potuto
immaginare, tu mi hai seguito!” Il tono, si sorprese Draco, non era
accusatorio, ma sofferente.
“E sei andato sulla torre
si Astronomia. Era il tuo sogno, quello?”
Dopo quella scena, la
rabbia di Voldemort e la visione che sicuramente aveva avuto anche
Harry aveva soffocato temporaneamente quel ricordo, al suo risveglio,
ma ora era dolorosamente vivido.
“No, dovevano essere i miei
pensieri, devono aver interferito con il tuo sogno…” Disse Draco, preso
in contropiede. Ora anche quello, si disse, esasperato, non bastava il
resto!
“Quello che dico io è che a
Villa Conchiglia, ho fatto un sogno che era indubbiamente tuo!"
“Come fai ad esserne
certo?” Domandò Marie, a voce bassa.
Draco sentì il sangue
salirgli alla testa, e fu felice che il sole non fosse ancora sorto e
non distinguessero chiaramente i propri visi.
“Perché io ero te, e
insomma, solo tu eri così… vicina a Cedric.”
Sperò non dovesse rivelarle
che aveva spiato un frammento di quella scena anche dal vero.
La bacchetta di Marie fece
scintille, ma il suo viso era rigato dalle lacrime, Draco le scorse
copiose nonostante la luce fioca. Lei soffocò un ringhio di rabbia e
gli voltò furiosa la schiena, ma una tristezza immensa l’invadeva, e
Draco questo lo avvertiva, perciò non si scostò.
Perché, perché quei momenti
impagabili e meravigliosi che aveva vissuto con Cedric non potevano
essere suoi, solamente suoi, come avrebbe dovuto essere normale?
Non bastava Piton e la sua intrusiva, intollerabile lascivia, non
bastava che la morte le avesse strappato Cedric quando appena avevano
cominciato ad amarsi, che mani estranee avessero tentato di strapparle
via perfino il suo corpo, non bastava. Ora anche Malfoy aveva rubato un
frammento del loro piacere, e quel dolce momento non era più suo. La
rabbia cozzava con la tristezza incommensurabile, e un pensiero dettato
dall’ira l’invase. Era uguale a Piton, un Serpeverde viscido e schifoso
anche lui, invadente e strisciante.
Ma no, lui, Draco non lo
aveva voluto, era imbarazzato e da come glielo aveva detto, avvertiva
che avrebbe voluto fermare quel fenomeno, le disse la voce più
ragionevole.
Erano ugualmente impotenti
di fronte al legame che si era instaurato fra di loro e li avvicinava
sempre più.
“Non avevo mai immaginato
che ti fossi preoccupato per me.” Proruppe, ricordando l’ultima parte
del sogno, quella estranea. Draco sollevò lo sguardo da terra e la
guardò esitante.
“È stato nobile da parte
tua. Quasi da Grifondoro”
E abbozzò un sorriso timido, fra le lacrime che scorrevano
inarrestabili.
“Quasi” Ripeté Draco
amaramente.
“Io, mi dispiace Marie. Non
avrei mai voluto invadere i tuoi ricordi. E mi detesto per non aver
avuto il coraggio di agire, quella sera.”
Queste parole sorpresero
Marie.
“Ma cosa dici, non avresti
potuto fare nulla. Mi aiutasti già come potevi.”
“Mi riferisco a Piton… quel
viscido! Io non se ti ha fatto quel che ti ha fatto, ma il pensiero mi
ha tormentato per settimane! Non doveva metterti le mani addosso.”
Marie cominciò a fare uno
più uno, e un’ondata di vergogna la travolse nuovamente, acuta come
quel giorno. Certo Draco aveva potuto pensare il peggio, e non ci era
andato tanto lontano, pensò amaramente Marie. Se non fosse per il fatto
che la violenza di Piton era stata interamente psicologica, e per
fortuna non lo aveva lasciato andare fino in fondo, non aveva sbagliato
di molto.
“Draco, non è così grave,
non ti tormentare.”
Si girò interamente verso di lui, ed appoggiati alla creatura dalla
pelle serica, non erano mai stati così vicini.
Lui la guardò, senza dirle
nulla, con uno sguardo morbido e delicato a lei nuovo.
“Piton non mi ha messo le
mani addosso, almeno non fisicamente. Con l’esca dell’Occlumanzia
avanzata, è penetrato nei miei pensieri più intimi, cercando di
prendere e rendere suoi gli attimi che appartenevano solamente a me e
Cedric, quelli che non vorresti mai rivelare a nessun altro.”
“Ci è arrivato molto, molto
vicino, ed ha certamente visto molto più di quello che tu ti
rimproveri, ma sono riuscita a fermarlo. Nello sforzo sono caduta ed ho
sbattuto contro il pavimento. Poi sei arrivato tu. Per questo un attimo
fa ero arrabbiata con te, perché pochi attimi così intimi sono rimasti
ancora miei.”
Draco avrebbe voluto essere
sollevato da quelle parole, ed una parte di lui sicuramente lo era, ma
al tempo stesso rabbia e disgusto l’invadevano di nuovo.
Afferrò la mano di Marie e
la strinse forte fra le sue.
“Marie, guardami.” Lei lo
fece, anche se con vergogna.
“Non sminuire quello che ti
ha fatto. Sono uno stupido Serpeverde, ma proprio per questo la
violenza la so riconoscere anche nelle sue forme più contorte, e se
quello che avevo visto mi ha tormentato per settimane, ci sarà un
motivo.
È una violenza fatta e
finita, ma tu non ne hai colpa.”
“Si invece, sono stata una
stupida. Sono felice che Cedric sia morto, non saprà mai che ho
rovinato ciò che era stato.”
“Non lo hai rovinato.
Quello schifoso si è approfittato di te quando eri più vulnerabile, ma
quello che avete vissuto fra di voi rimarrà sempre puro e sincero.”
Marie lo guardò, sconsolata.
“I ricordi sono solamente
una traccia, che la magia manipola e a volte intacca. Quello che c’e
stato fra di voi l’avete goduto solamente voi due, e sarà sempre
vostro.”
Cercò il suo sguardo, e non
la lasciò sfuggire finché non fu certo che la decisione presente nei
suoi occhi si fosse riflessa in quelli di lei. Con sua sorpresa, lei
fece per appoggiare il capo sulla sua spalla, poi si ricordò della
ferita e si appoggio al suo petto, chiudendo gli occhi.
Draco non la disturbò,
sperando che le sue parole stessero facendo effetto. Si godette la sua
vicinanza, che lo risollevava sempre, quando era libera da rancori.
Rimasero così per un po’, Marie ascoltando il battito nuovamente forte
e regolare del suo cuore, e lui assaporando la sensazione del suo corpo
caldo contro il suo.
Il sole sorse, e la
giornata si prospettava fredda, ventosa e serena fra le viuzze di
Edinburgh. Entrambi volsero lo sguardo verso il castello loro
guardiano, che sembrò un monito ad affrettarsi.
Si staccarono e volsero
verso la creatura, che aveva cominciato ad agitarsi e sbattere le ali.
Draco prese l’iniziativa e
si avvicinò al suo orecchio.
“Vola più su, Niké, va ad
Hogwarts, il castello magico più a Nord. Ci ritroveremo lì.”
E le accarezzò il dorso
dalle vertebre sporgenti. Niké lo guardò negli occhi e sbatté le ali,
in quello che per Draco era in tutto e per tutto un segno di assenso.
Si librò in volo leggiadra e fluida, diventando un puntino sempre più
piccolo contro il cielo chiaro.
“Come l’hai chiamata?”
Domandò Marie, prima che si smaterializzassero.
“Niké. Ci porterà alla
vittoria.”
Quel mattino, il curatore
del Writers’ Museum di Edinburgh lo cominciò facendo una passeggiata
per le vie della città che aveva abitato sin da bambino, e decise di
passare per il Greyfriars. Passeggiava tranquillo fumando la pipa,
quando delle bizzarre orme fra l’erba attirarono la sua attenzione.
Sembravano gli zoccoli di un cavallo. Strano, pensò, emettendo
uno sbuffo di fumo. Cosa ancora più bizzarra, sembravano finire nel
nulla, come se il cavallo che avrebbe dovuto gironzolare libero per
Edinburgh in quel preciso istante, dato che le orme erano fresche,
avesse preso il volo. Il vecchio, colto e saggio, si strinse nelle
spalle e proseguì godendosi la vista del castello, che si stava
lentamente risvegliando, accarezzato dal vento tagliente. La vista di
altre orme, decisamente umane questa volta, che svanivano a loro volta
spezzò un sorriso sul suo volto rugato dall’esperienza.
Uno dei motivi per cui
amava la sua città erano i suoi tanti misteri.
Angolo
dell’autrice
Miei
cari lettori, eccoci con un nuovo capitolo.
Il
caso vuole che la scorsa settimana un esame abbia mandato in frantumi
la mia forza creativa per gran parte della settimana, ma ho ingranato
la marcia nel tempo rimasto e cercato di limitare il ritardo al minimo.
In
questo capitolo, come avrete notato, ho pensato necessario aggiungere
un avvertimento. Vorrei sottolineare che gli eventi narrati hanno lo
scopo di portare a riflettere, ma cosa più importante, hanno la loro
ragione di essere all’interno dell’ecosistema del racconto.
Le
due necessità si fondono. Sarei molto curiosa di sapere cosa ne
pensiate, e di rispondere alle vostre recensioni.
La
realtà, questa impietosa dispensatrice di gioie e dolori, ha funto da
spunto per l’episodio fra Marie e Piton. Il caro De André era solito
dire, “Dal letame nascono i fiori”, e spero che sia così anche per
questo capitolo.
La
narrazione si concentra su Draco e Marie, ma non preoccupatevi, Harry
Ron ed Hermione non sono stati dimenticati, ma ai due occorreva proprio
un momento di tranquillità per sciogliere alcuni nodi.
Avrei
voluto aggiungere più dettagli sulla meravigliosa Edinbirgh, ma la
storia non me lo vuole permettere. Mi limito a dire che il Writers’
Museum esiste davvero, così come il suo curatore, uomo oltremodo
affabile, colto e saggio.
Mi
immagino che avrebbe reagito esattamente così, di fronte al
soprannaturale di cui è ricca la sua antica città. Ma se andaste a
trovarlo, prego siate discreti ;-)
Ringrazio
tutti voi che mi seguite, ed un abbraccio colmo di affetto va ai miei
amici recensori, è sempre un onore rispondervi.
Un
grazie particolare va a:
Francy
Em
Bea
Angyp
Siete
la mia forza e motivazione!
Buona
lettura a tutti voi,
A
presto,
Claire
P.S Un premio va a chi individua
per
primo le citazioni/
i richiami a Shakespeare e Neitzsche nel capitolo, due in totale.
Faccio
Sul Serio.
|