«È
una S?»,
aveva domandato la piccola Kara, scorgendo il foglio su cui stava
disegnando suo cugino Kal, a fianco a lei sul tavolo.
«No»,
aveva riso lui come se la domanda posta fosse troppo sciocca.
«È un
simbolo, il nostro.
Me lo ha mostrato mio padre, lo hanno disegnato lui e tuo padre
quando erano ragazzi. Significa speranza
ed è l'emblema degli El».
Kara
aveva annuito. «Non lo sapevo…».
«Adesso
che lo sai non dimenticarlo, per favore. Forse loro lo hanno
fatto»,
aveva detto, adocchiando i loro genitori attraverso la porta della
stanza accanto che discutevano animatamente di lavoro.
Kara
corse ad abbracciarlo e lui la strinse a sua volta dopo un attimo di
sorpresa. Lena li guardava in disparte, con trattenuta emozione.
«Sai
chi sono?», domandò lei, ma in cuor suo conosceva
già la risposta
poiché non avrebbe potuto abbracciarla in quel modo se non
fosse
così.
«Kara
Zor El», lui sorrise e si guardarono, «La mia amata
cugina».
Si
strinsero ancora e Lena appoggiò i loro bicchieri su un
tavolino.
«La mia
amata piccola
e rompiscatole
cugina», specificò allora e la sentì
ridere, rialzando un poco lo
sguardo e strofinandosi un occhio.
«Sono
Danvers, adesso».
«Ma
certo». Lui alzò lo sguardo verso Lena e lei gli
annuì con un
sorriso. «Allontaniamoci, abbiamo un sacco di cui
parlare».
Kara
gli disse di sì ma cercò subito Lena, che
confermò con lo sguardo
che potevano lasciarla.
«Ci
sentiamo più tardi, se vuoi», le rispose e la vide
andare verso un
gruppo di curiosi che si facevano domande sui progetti della Luthor
Corp, così Kal la accompagnò verso l'ascensore.
Era
lui. Era proprio lui. Cresciuto, con i capelli ordinati da un lato,
altissimo, dalla postura possente, ma con il solito sorriso e gli
occhi azzurri che le ricordavano casa. Le ricordavano casa,
sì, ma
una casa diversa, lontana, quella che pensava non avrebbe
più
ritrovato e si sentiva un po' una bambina smarrita, quella Kara
bambina che, in una sera, aveva visto il suo mondo sparire in un
suono sordo.
«Quando
Lena Luthor mi ha cercato e mi ha invitato alla mostra qui a National
City per scrivere un articolo per il Daily Planet, beh, sono rimasto
un po' sorpreso… Sarebbe venuto qui qualcun altro e mi
chiedevo
perché dovessi essere proprio io».
«Tu
e lei vi conoscete?».
«Diciamo
di sì. È la sorella minore di un ragazzo che
conosco, o conoscevo».
«Lex».
«Sì».
La guardò con interesse, poi, illuminato dalla luce dei
lampioni e
della luna. Era notte, ormai, e camminavano sul marciapiede,
fermandosi ai pressi della stazione dei bus, sedendo su una delle
panchine vuote e fredde. «Quasi dimenticavo la
novità: la tua madre
adottiva è fidanzata con la madre di Lex, quindi vi siete
conosciuti
così… è proprio piccolo il mondo! Lei
mi ha poi spiegato perché
voleva che ci fossi io. Ma non ero sicuro di venire».
«Perché?».
«Perché
avevo paura».
Kara
abbassò lo sguardo, stringendo le labbra.
«Probabilmente ne avrei
avuta anch'io se me lo avesse detto, invece di farmi una
sorpresa»,
sorrise.
«E
poi non ero sicuro fossi davvero tu. Ma mi faceva più paura
sapere
che fossi davvero tu», confessò con sguardo teso,
«È passato così
tanto tempo».
«Già.
Da quanto tempo ricordi?».
«Da
qualche anno… Ma non tutto, ricordo a tratti. Ricordo
te», le
sorrise e Kara sentì una morsa allo stomaco.
Immaginò
che anche lui, come lei, avesse trovato un'altra casa in tutti quegli
anni trascorsi separati, eppure una parte di lei si era sentita
tradita nel sapere che Kal, il suo Kal, la ricordava e non l'aveva
cercata. Ma in fondo anche lei si era decisa a vivere la sua vita
lontana da lui, senza chiedersi dove fosse e cosa stesse facendo
né,
soprattutto, se la sua memoria fosse tornata. «Quindi adesso
sei un
reporter?», gli sorrise di colpo, lasciando stare i suoi
pensieri.
Lui
ricambiò il sorriso e una luce di soddisfazione apparve nei
suoi
occhi chiari. «E Lena Luthor mi ha raccontato che vorresti
diventarlo anche
tu».
«Vorrei,
sì, diciamo che ci sto pensando… Credo proprio di
sì».
«Sì»,
annuì, «Sei proprio mia cugina: certe cose le
abbiamo nel sangue».
Passarono
insieme un'ora, il tempo concesso a Clark, il suo nome per intero, di
prendere l'ultima corsa della metro per tornare a Metropolis, dove
conviveva con la sua fidanzata, disse. Si erano ritrovati, ma le loro
strade dovevano dividersi. Lei lo accompagnò e si
abbracciarono
ancora, a lungo, prima di promettersi di rivedersi presto.
«L'emblema
degli El», esclamò in un sorriso prima di
lasciarlo andare,
indicando un disegno scavato a penna blu sul marsupio del ragazzo.
Era piccolo e in un angolo, ma a lei non era sfuggito di certo.
Lui
ricambiò immediatamente il sorriso, entrando appena in tempo
prima
che le porte si chiudessero.
Kara
tornò alla mostra con il cuore che le rimbalzava in petto
come un
tamburo, ancora eccitata per ciò che era successo. La mostra
era
ancora piena di gente e si ritrovò a parlare con alcuni
artisti e
poi sua madre, che le spiegò, quando Lillian si era
distratta per
discutere con uno degli artisti, che Lena era tornata a casa ma che
aveva lasciato detto a Ferdinand di riaccompagnarla al campus prima
che prendesse loro, che si sarebbero trattenute fino a tardi. Si
sorprese di restare tanto dispiaciuta perché lei non c'era
più,
come se si fosse sentita improvvisamente senza un arto, sola. Il che
era un po' strano se pensava a Kal che se n'era andato e lui era
tutto ciò che le restava della sua vecchia vita.
«Ehi».
«Ehi»,
rispose la calda voce di Lena, bassa, al cellulare.
Era
tardi e Kara pensò che forse non avrebbe dovuto chiamarla,
ma doveva
assolutamente ringraziarla. Aprì la porta della sua camera
al
dormitorio e notò che Megan ancora non c'era: a quanto
pareva, la
serata tra lei e il signor Jonzz stava andando meglio di quanto
programmato. Sperava solo di aver avvertito il guardiano che avrebbe
fatto tardi se non voleva rischiare di stare fuori per la notte. Si
bloccò: a meno che non volesse stare fuori per la notte.
«Ohu»,
mugugnò, massaggiandosi la fronte: ora non riusciva a
staccarsi di
dosso il pensiero di Megan e il signor Jonzz insieme.
«Tutto
bene, Kara?».
«Sì,
sì, pensavo solo alla mia compagna di stanza che non
è ancora
tornata. Emh… volevo, sì, ecco, ti ho chiamato
per ringraziarti»,
si fermò per sorridere anche se non poteva vederla,
«Quello che hai
fatto per noi è davvero… davvero carino, non so
proprio come
sdebitarmi».
«Non
devi sdebitarti».
«Ma
devo fare qualcosa», si morse la lingua, ricordando
improvvisamente
le parole di Lena quella sera: vorrei
baciarti.
Il suo cuore saltò un battito. Doveva aver sentito male,
ma… Non
ebbe il coraggio di chiederglielo e lei, dall'altra parte, si era
fatta ancora più silenziosa. «Kal ed io abbiamo
anche parlato del
mio futuro e grazie a lui penso proprio che andrò dritta
verso il
mio sogno di fare la reporter! Beh… anche questo
è grazie a te,
credo», si sedette sul suo materasso e fissò un
punto distante,
arrossendo. Forse doveva chiederglielo. Doveva chiederglielo, magari
aveva capito male e doveva togliersi quel piccolo pensiero fastidioso
dalla mente, doveva far-
«Ne
sono contenta. Ti posso richiamare domani?»,
la sentì, la voce un po' fredda, tanto che Kara
s'imbrunì. «Sono
davvero stanca e penso di dover andare a letto presto. Non te lo
chiederei, ma-».
«No,
certo. Abbiamo trascorso una lunga serata e sono anch'io stanca,
quindi… A domani».
«A
domani, Kara. Buonanotte». Lena chiuse la chiamata e il suo
sguardo,
da dolce, cambiò di colpo, diventando duro e diffidente,
girandosi.
Dietro di lei, una donna minuta si reggeva le mani, illuminata dalla
flebile luce di un lampione sopra di loro, in quel vicolo. Era
vestita elegante, trascinata fuori dalla mostra organizzata dalla
Luthor Corp.
«Signorina
Luthor, io davvero devo andare… E-E le ho detto ogni cosa
che
potevo dirle, dunque…».
«Ricapitoliamo»,
disse lei, con voce fredda. «Mia madre ti ha licenziata quasi
un
anno fa, in concomitanza con la morte di Lionel, mio padre. Tu dici
che è una coincidenza, ma eri la sua segretaria da anni e
una
persona fidata, non avevi fatto nulla che valesse il licenziamento e
da allora non hai ancora trovato un buon impiego nonostante le sue
referenze».
«Come
le ho già spiegato, signorina Luthor, sono stata io a
chiedere a sua
madre di lasciare».
«Senza
un altro lavoro che le coprisse le spalle?». Le si
avvicinò e
l'altra si tirò indietro, respirando affannosamente.
«Quantomeno
avventato».
«Volevo
staccare un po', mi serviva una vacanza, non può
capire».
Lena
annuì leggermente. «Fare da segretaria a mia madre
deve essere
frustrante, non lo metto in dubbio. Mi permetta però di
dubitare
degli eventi così come vengono raccontati poiché,
sarà anche
questa una coincidenza», sorrise senza la minima
ilarità nello
sguardo e nella voce, «ma il coroner del caso di mio padre
è stato
trasferito proprio dopo essersi occupato di lui. Tutte le persone
coinvolte nella sua morte sono irreperibili. E ho cercato di
contattare anche lei, giorni fa… Ritengo sia logico pensare
che sia
stata una sua svista essersi presentata oggi alla mostra, magari
nemmeno pensava di trovarmi. Mi vengono sbattute porte in faccia di
continuo e ogni volta che pongo una domanda, ottengo solo delle
scuse. Ho solo delle scuse anche da parte sua, no?».
La
donna deglutì, assumendo un'espressione più
seria. «Le giuro che
sono stata io a chiedere alla signora Luthor di poter lasciare il mio
lavoro». Si guardarono con scrupoloso silenzio, cercando
qualcosa
nei loro sguardi per porre fine a quella discussione una e per
arrivare a qualcosa l'altra. «Lei non deve fare
domande».
«Questo
mi spinge a continuare».
«E
non deve», s'impuntò la donna, stringendo i denti.
«Se sua madre
lo sapesse… Se sapesse che sono qui, a parlare con lei di
questo…»,
sospirò, guardando intorno a sé vacua, prima di
fissarla di nuovo
negli occhi. «Lasci che la chiudiamo qui, siamo troppo
scoperte.
Lasci che vada in vacanza con la mia famiglia, adesso, faccia lei la
stessa cosa! Ci risentiremo a settembre. La aiuterò a
trovare il
coroner. Ma adesso lasci perdere, la prego… La
prego», strinse gli
occhi.
Lena
deglutì, guardandosi brevemente intorno: era chiaro che
quella donna
era terrorizzata da qualcosa, o meglio qualcuno, e il fatto che
fossero ancora tanto vicine alla mostra la faceva pensare a sua
madre. Era più chiaro che mai, ora, che la morte di suo
padre non
era stata solo un incidente. «Posso proteggerla
se-».
«No»,
chiosò senza lasciarle respiro, «Lei non capisce,
signorina Luthor:
se suo padre è morto, Lionel Luthor, cosa le fa pensare che
lei
possa proteggere me?».
Lena
si arrese, abbassando la testa. «Ci risentiremo a settembre.
Voglio
sapere tutto».
«Non
saprà tutto, non da me, le dirò solo dove
può trovare il
coroner…».
Quella
donna era irremovibile. «E sia».
«E
sua madre non dovrà mai sapere di questa discussione,
né che l'ho
aiutata». Lena annuì e lei si irrigidì
con la schiena, passandole
accanto per lasciare il vicolo. «Si sta infilando in una
questione
più grande di lei, signorina Luthor. E glielo assicuro: non
è sua
madre la cattiva di questa storia».
La
donna passò davanti all'auto scura ferma accanto a Ferdinand
che era
tornato dopo aver riaccompagnato Kara, che aspettava vigile. Lena lo
raggiunse e lui le aprì la portiera, così se ne
andarono.
Sospirò,
poggiando la testa contro lo schienale del sedile posteriore. Era
davvero stanca di quella situazione: voleva scoprire cosa era
successo a suo padre e tra le bugie, i rapporti contraffatti e le
mille email inviate a chi si era occupato di lui senza risposta o con
quelle piccole e indisposte, non sapeva come muoversi, nessuno era
disposto a parlare con lei e se non avesse intravisto la donna che
aveva fatto da segretaria a sua madre alla mostra…
Sospirò di
nuovo. Più scavava e più si rendeva conto che,
davvero, quella
sembrava una questione più grande di lei, una questione che
si era
mangiata suo padre. Ed era un uomo potente, naturalmente…
Questo le
faceva capire che non poteva permettersi di parlarne con chiunque e
si pentì di aver coinvolto Winn, il suo assistente.
Guardò
il cellulare, ripensando a Kara, e arrossì. Le disse di
volerla
baciare, accidenti, e per fortuna Clark Kent aveva interrotto presto
quel momento imbarazzante. Forse poteva ancora cavarsela e fingere di
non averlo detto. Lei era così bella, in quel momento: rosa
sulle
gote, con quel suo sorriso tenero che la faceva impazzire. Non sapeva
cosa fare, si era ripromessa di stare ferma per vedere cosa
succedeva, ma non ci riusciva e voleva baciarla veramente. Veramente.
Con quello che stava succedendo, in quello che si stava invischiando,
forse faceva bene ad accettare il consiglio di quella donna e passare
le vacanze con lei, con la sua famiglia, prima che a
settembre…
prima di qualsiasi cosa potesse succedere da settembre in avanti.
Perché era certo che non si sarebbe fermata, soprattutto dal
momento
che sua madre voleva fermarla. Avrebbe finto con lei e avrebbe
sorriso di più. E forse sarebbe anche riuscita a cavarsela
con Kara.
Ce la poteva fare.
Intanto,
sapeva chi forse avrebbe potuto aiutarla, sotto il giusto compenso.
Qualcuno che poteva coinvolgere senza pentirsi perché era
scaltra e
con un basso livello di moralità. E, per sua fortuna,
lavorava per
tutto luglio.
Entrò
alla CatCo sbattendo i tacchi; l'orologio al polso segnava le nove e
dieci del mattino. Prese l'ascensore e si diresse senza tregua fin
alla sua scrivania, in mezzo al suono dei pochi telefoni attivi e al
chiacchiericcio del personale. Si appoggiò e
picchiettò le dita sul
banco, così l'altra, chioma argentea e sguardo duro, fece
una
smorfia con la bocca appena la vide, terminando la sua telefonata e
riattaccando la cornetta.
«Cosa
fai tu qui? Se è per quell'articolo sulla Luthor Corp, sappi
che ha
già telefonato mammina e per questo sono stata richiamata
dal grande
capo, una gran rottura di palle…», la
fissò acida, mettendosi
comoda sulla sedia, «E per inciso me lo aveva approvato lei,
quell'articolo… quindi… Sarebbe stato meglio per
me continuare a
parlare del meteo».
«Sei
fuori strada, Willis, mi serve… diciamo il tuo
aiuto», si
avvicinò, sedendo nella sedia accanto, appoggiandosi alla
sua
scrivania. Si assicurò che nessuno stesse ascoltando la loro
conversazione.
«Una
Luthor che chiede aiuto a me? Ne sono quasi lusingata! Quasi».
La scrutò con attenzione prima di rispondere sonoramente:
«No».
Rise divertita, dando uno sguardo allo schermo del computer davanti a
lei e poi di nuovo a Lena. «Ti piace il mio nuovo
look?», si
sollevò i capelli dalla nuca, facendoseli scivolare addosso,
«Hanno
iniziato a chiamarmi Livewire
perché sembra che abbia preso la scossa ma chi se ne frega,
mi
piacciono, danno carattere». Sorrise soddisfatta, ma lo
sguardo teso
di Lena le rovinava il momento. «Va bene, quella faccia da
funerale
mi sta rendendo irritabile», si rimise composta,
«Che vuoi da me?».
«Prima
di morire per un attacco di cuore, o questo è ciò
che si dice
ufficialmente, mio padre è caduto da cavallo e per questo
è finito
all'ospedale».
«Interessante…
il papà ricco è caduto da cavallo»,
rispose lei con aria
distratta, giocherellando con una penna.
«Continua…».
«Sto
indagando sulla sua morte, Leslie, ascoltami. Mi serve che rintracci
tutte le persone che hanno avuto a che fare con mio padre da quella
caduta, all'ospedale e poi alla sua morte: poliziotti, dottori,
infermieri…».
«Ci
vorrà un po'».
«Tu
sei brava in questo».
«Questo
è vero».
«E
sei discreta».
«Anche
questo è vero», sorrise compiaciuta, «Ma
non avrai uno sconto con
le lusinghe, lo sai che non lavoro gratis».
«Verrai
pagata. Ti chiedo solo una cosa: non farne parola con nessuno. Mio
padre è stato assassinato e sembra che tutti stiano cercando
di
insabbiare il caso, le persone scompaiono… Ti lascio il mio
indirizzo email: potrai scrivermi solo lì».
«Uh,
mi piace: un lavoro sotto copertura», le sorrise,
«Fare l'agente
segreto era il mia seconda scelta. Avrei dovuto accontentarmi invece
di seguire Cat Grant e il suo giornalino», scosse la testa.
Lena le
scrisse il suo indirizzo email su un foglio adesivo che Leslie
ripiegò e si infilò in tasca, guardando intorno a
loro che non
stesse guardando nessuno. «Si autodistruggerà non
appena lo avrò
letto?», rise e Lena alzò gli occhi al soffitto.
«Va bene,
principessa, rilassati… Ti farò sapere appena
avrò in mano
qualcosa, tu intanto goditi il sole, vai a cavallo, fai qualsiasi
cosa rilassi quel tuo cervellino».
Lena
si alzò, rimettendo a posto la sedia. «Ti
ringrazio, sì, penso che
mi prenderò una vacanza. Ah, Leslie… un'ultima
cosa», attirò la
sua attenzione, «Mia madre non dovrà saperne
assolutamente niente.
Più di tutti, lei non dovrà neppure sapere che ci
siamo parlate.
Hai capito?».
«Oh»,
lei fece un grosso sorriso, «Ho capito che ti sei appena
guadagnata
quello sconto di cui parlavo».
Lena
stava per andarsene quando sentì dei rumori all'interno
dell'ufficio
di Cat Grant e, affacciandosi, vide qualcuno all'interno.
«È qui?»,
chiese. L'espressione seccata di Leslie Willis era una risposta
sufficiente. «Oh, allora penso che ne
approfitterò…».
«Mi
stai ascoltando? Lui era così… così
grande», Kara raccontava con
sguardo sognante e Alex la guardava non riuscendo a trattenere un
sorriso, felice per lei. «Lo so che era grande
perché cresciuto, ma
lui era grande in un altro senso, grande
perché era…».
«Grande»,
concluse Alex per lei. Si distrasse un attimo per adocchiare un
bambino che continuava a infilare la testa sotto dei vestiti per poi
annusarli. La madre era lì in compagnia di un'altra donna e
andava e
usciva dai camerini, senza degnarlo di attenzione. Aveva provato a
dire alla donna cosa faceva suo figlio, ma lei lo aveva sgridato
superficialmente ed era tornata in camerino sotto i plausi
dell'amica. Odiava quelle situazioni quando era lei la responsabile
della boutique.
«Sì,
era grande, esatto», sorrise Kara, appoggiando i gomiti sul
bancone.
«Non ci vedevamo da così tanto tempo… E
mi ha detto che vive a
Metropolis, sai, lavora e vive lì con una certa Lois Lane,
la sua
fidanzata. Ci credi che è fidanzato? Il mio cugino
fidanzato», si
perse con lo sguardo, «Mi ricordo ancora di quando gli
sistemavo il
pannolino…».
«Non
è più grande di te?».
«Sì,
è una lunga storia… Magari te la
racconterà lui, sperando la
ricordi, perché dobbiamo invitarlo a casa! Dobbiamo
invitarlo a
passare un po' di tempo con noi».
«A
casa?», Alex la guardò con tenerezza,
«Kara, ti sei dimenticata di
mamma
numero due
e figli a seguito?». Pensava avessero già
abbastanza confusione per
permettersi di ospitare pure suo cugino, ma non sapeva come diglielo
e sperava ci arrivasse da sola. Era così felice di averlo
ritrovato
che non voleva darle una delusione.
«Beh,
sarà il caso che anche loro conoscano tutta la famiglia e
lui è di
famiglia».
Alex
la fissò. No, non ci sarebbe arrivata.
Il
bambino fece cadere un vestito a terra, distraendo qualche cliente.
Alex non gli tolse occhio di dosso finché non lo vide
rimetterlo
apposto, ma sembrava che ci si stesse soffiando sopra il naso.
«Kara,
vai dal bambino da parte mia. Sgridalo, mostragli lo sguardo
più
truce che riesci a fare».
«No,
non sgriderò quel bambino per te».
«Ma
devi», fece una smorfia con le labbra, «Io sono la
responsabile,
oggi, non posso farmi sorprendere mentre caccio un ragazzino,
passerei per un mostro».
«Quindi
il mostro dovrei farlo io?», inarcò un
sopracciglio; lo sguardo
addolcito di Alex non raggiunse l'obiettivo e Kara scosse la testa.
Sbuffò,
continuando a fissarlo.
«Non
ti piacciono i bambini…?», cantilenò la
minore, «Cosa ne pensa
Jamie? A lei piacciono i bambini?».
Alex
la guardò distrattamente, per poi alzare gli occhi al
soffitto e
ritornare a puntare il bambino in mezzo ai vestiti.
«Sì, a lei
piacciono i bambini», rise sarcasticamente. Si fermarono
quando una
donna le diede una maglietta da battere in cassa. Alex la
salutò
mentre usciva e scorse Kara che le sorrideva. «Anzi, proprio
due
giorni fa mi ha detto di aver trovato l'uomo con cui un giorno
farà
tanti bambini».
«Uch»,
rispose la sorella, cercando di distrarla dal bambino che aveva fatto
cadere un altro vestito. «Pensavo fossi tu l'amore della sua
vita».
Alex
ansimò. «Lo sai com'è Jamie: un giorno
sono l'amore della sua vita
e quello dopo lo è il primo, o la prima, che
incontra».
«Ecco
perché stai con Maggie e non con lei», rise e Alex
le fece cenno
con un dito, sorridendo.
«Acuta,
sorellina. E adesso scusami, devo andare a strozzare un
bambino».
Lasciò il bancone della cassa e corse davanti ai vestiti,
rimettendone a posto uno che aveva in mano il bambino e fissandolo. A
lui era bastato quello per indietreggiare lentamente e poi cambiare
corsia, tornando dalla madre.
Quella
sera, Kara richiamò Lena ma la discussione non
andò come previsto
e, invece di cercare un modo per riprendere il discorso iniziato alla
mostra con un vorrei
baciarti,
erano finite a parlare di Kal, del diventare una reporter e di come
non fosse poi un caso che entrambi loro avevano deciso di percorrere
quella strada. Lena le era sembrata felice che tra poco meno di una
settimana sarebbero tornate a casa Danvers-Luthor per trascorrere
agosto in famiglia, e lei era eccitata dalla cosa, sebbene quello
significasse stare nella stessa camera con Lena per giorni e giorni e
giorni.
«E
giorni e giorni e giorni», continuò, con una mano
sulla fronte.
Megan le era vicina, sorseggiando una tazza di tè.
«Bevi
la tua, dai», le disse, cercando di incoraggiarla.
«Andrà bene.
Non pensare al vorrei
baciarti,
quanto al ehi,
hai mangiato tu il mio yogurt?».
Kara
sbatté la fronte contro il tavolo, lasciandosi andare con
pesantezza.
«Non
era così?».
«Basta
yogurt, ti prego», brontolò.
«Andrà male; andrà
malissimo»,
rialzò la testa di scatto e aprì le mani fingendo
una morsa. «Le
cose sono cambiate tanto da quando mi arrabbiavo per gli yogurt,
Megan! Prima mi irritava quando mi guardava, se adesso la sorprendo a
guardami invece sento le montagne russe…E dovrò
dormire accanto a
lei, nella stessa stanza?». A d'un tratto la
guardò con una nuova
luce negli occhi e prese la tazza di tè bollente, finendo di
berla
in un sorso. Così si alzò in piedi.
«Andiamo ad allenarci! Ho
deciso che non mi lascerò trasportare da questa cosa! Che
lei
volesse baciarmi o meno, non posso tirarmi indietro».
«E
hai deciso tutto in questo istante?».
«Sì.
Andiamo».
Correre
e poi lanciare la palla in porta, se non altro, le liberava la mente.
E i giorni trascorrevano veloci uno dopo l'altro. Kara iniziava a
sentire la tensione crescere, pensando a un regalo da farle per
averle fatto ritrovare Kal. Cosa poteva darle per ringraziarla di una
cosa tanto grande e preziosa? Qualsiasi regalo, un oggetto, non
sarebbe mai stato abbastanza. Ma andare da lei a mani vuote sembrava
una prospettiva peggiore.
La
notte prima della partenza, Kara non chiuse occhio e si alzò
all'alba. Megan la ritrovò che spolverava quando
aprì gli occhi;
talmente distratta dai suoi pensieri che inciampò varie
volte e, una
di quelle, le cadde addosso. Si sorprese di vederla sveglia, ma era
impossibile non farlo dopo che le schiacciò un seno contro
il
materasso con un gomito. Poi saltò gli allenamenti e
uscì di fretta
e furia. Megan provò a dirle che qualsiasi regalo sarebbe
andato
bene, ma Kara non si sarebbe accontentata.
Salì
sul treno che era vagamente agitata e lo notò anche Alex,
che tentò
di capire cosa avesse da stare tanto sulle spine. Quando Lena le
raggiunse le sembrò un po' più chiaro.
«Va
bene, ho capito: hai fatto passi da gigante con Lena in questo
periodo e non vuoi rovinare tutto tornando a casa, ricordandoti
com'erano strane le cose, soprattutto dal momento che ritroveremo lo
stesso ambiente con Eliza e Lillian insieme», le
bisbigliò appena
Lena si allontanò da loro per andare in bagno.
Kara
sorrise e abbassò lo sguardo come se non riuscisse a
guardarla negli
occhi: avrebbe detto a sua sorella se si fosse presa una cotta per
chiunque, ma per la ragazza con cui avrebbe dormito accanto dalle
notti a seguire non ci pensava nemmeno. E Alex, in quel caso, sarebbe
intervenuta cedendole il suo posto o dando il suo a Lena, e
lei… e
lei, scoprì, non voleva. Voleva dormire nella stessa camera
con Lena
perché le era mancato farlo, al di là di
qualsiasi cotta. Poteva
farcela, lo sapeva.
«Pensavo
di chiedere a Eliza se possiamo invitare mio cugino Kal a stare
qualche giorno con noi», disse d'improvviso mentre Lena
guardava
fuori dal finestrino e Alex il suo cellulare.
«Così potrete
conoscerlo anche voi. Conoscerlo meglio», aggiunse, rivolta a
Lena.
Arrossì incrociando il suo sguardo e ricercò
subito quello di Alex
che le sorrideva.
«Prova…
potrebbe acconsentire», le rispose solamente, guardando poi
Lena
come per cercare riflesso nel suo sguardo la sua stessa
contrarierà
alla cosa, ma non riuscì a leggerci ciò che
sperava, o qualsiasi
altro, era imperscrutabile.
«Ti-»,
Kara si bloccò, abbozzando una risata, «Ti volevo
ancora, sì,
ringraziare per ciò che hai fatto, Lena. Non penso ci
saremmo mai
ritrovati se non fosse stato per te».
«No,
sarebbe successo lo stesso! Saresti diventata una reporter coi
fiocchi e prima o poi i vostri cammini si sarebbero
incrociati».
Si
sorrisero.
«Quindi
ti sei decisa? Finalmente», sospirò Alex,
«E reporter sia»; così
la abbracciò.
In
realtà, il ritorno a casa non era per niente come aveva
predetto
Alex: loro erano cambiate e dunque era cambiato il loro modo di
vedere ciò che stava succedendo alla loro bizzarra famiglia.
Tornare
lì era familiare anche con Lillian ad aspettarle e i suoi
abbracci,
da sempre legnosi, erano quasi più naturali. Tutte loro
sorridevano,
parlavano del viaggio, erano di buon umore. Lena ogni tanto sembrava
perdersi da qualche parte nella sua testa, ma dopo un po' tornava e
sorrideva, sorrideva in un modo contagioso che sorrideva subito anche
Kara.
Trascorsero
la cena a parlare del più o del meno, con Eliza che tentava
di
distrarre Lillian dal pensiero che suo figlio, ancora una volta,
aveva deciso di restare a Metropolis invece di passare qualche giorno
con loro. Sapeva che aveva da fare ed era estremamente orgogliosa
della sua dedizione al lavoro, che naturalmente aveva ereditato da
lei, ci teneva espressamente a ricordare alle presenti, ma era
convinta che non sarebbe dovuto restare troppo tempo là da
solo.
«Una
volta avrei fatto anch'io come Lex», confessò con
sguardo duro, «Ho
imparato sulla mia pelle che la vita non è fatta solo da
lavoro e
doveri. E in questo modo, Lex rischia di perdersi tutto
questo».
Passò con gli occhi una per una le presenti, fino a fermarsi
da
Eliza.
Lei
le rispose: «Ti assomiglia molto. In questo caso, un giorno
potrebbe
capirlo da sé, come è successo a te».
Lillian
annuì. «È nel sangue dei Luthor.
Nient'altro che nel sangue dei
Luthor».
Lena
abbassò lo sguardo e Kara la osservò farsi seria
di colpo. Lena era
la vera figlia di suo padre, quindi una vera Luthor, e non capiva il
perché della sua espressione di colpo così a
terra. Ora che ci
pensava, Lillian non sapeva che Lena lo aveva scoperto, dunque, da
quel punto di vista, la frase della donna sembrava tagliarla fuori.
Ma dopotutto Lillian aveva sposato un Luthor e lo era diventata di
conseguenza, non avrebbe avuto senso anche se avesse voluto ferirla.
D'altro canto, e Alex sorrise, le due donne si appoggiavano a
vicenda. Non davano più fastidio nemmeno a lei.
«Che
faccia ha Lex?», domandò Kara in bagno
più tardi, mentre Alex
sputava dentifricio sul lavandino.
«Non
lo so… una faccia», sputò di nuovo, poi
si ripulì.
«Se
non lo avessi sentito per telefono, comincerei a dubitare della sua
esistenza». Le due si guardarono e scoppiarono a ridere.
«Anch'io
credevo fosse frutto dell'immaginazione collettiva», ammise,
«Poi
però l'ho conosciuto e pare proprio che esista».
Risero ancora e
Alex l'abbracciò di nuovo.
«Va
bene», sgusciò fuori dalla sua morsa,
«Me ne vado a dormire,
sorellona. Lena non guarda più i suoi documentari, quindi
dovrei
riuscire a prendere sonno tranquilla».
«D'accordo.
Chiamami se ti irrita ancora: ci penso io. Stavolta farò la
guerra
al tuo fianco, Kara».
«Oh,
non credo ce ne sia bisogno».
Lena
stava sistemando il suo letto per dormire quando Kara aprì
piano la
porta della loro camera in comune. Arrossì, capendo che
probabilmente quella era la prima volta che la guardava davvero prima
di entrare sotto le coperte: indossava una maglia fine, lunghissima,
che la copriva fino al fondo schiena. Sotto portava degli attillati
pantaloncini grigi, corti come slip. Non si stancava mai di pensare a
quanto fosse bella. Ma stava guardando anche il suo sedere un po'
troppo a lungo e doveva spostarsi prima che la cosa potesse diventare
ambigua.
«Ti
sei incantata a guardarmi mentre sistemo il letto?».
Kara
sobbalzò, entrando nella stanza con lo sguardo rivolto al
pavimento
e dirigendosi verso il suo letto. «No! Pff,
p-perché dovrei?».
«Non
posso saperlo», entrò sotto il lenzuolo, faceva
troppo caldo per
tenere la coperta, «Ma vorrei tanto».
Kara
sentì il suo sguardo su di sé. Finì di
sistemare il letto, tenendo
anche lei il solo lenzuolo, e così spense la luce,
sdraiandosi.
«Devo
confessarti una cosa, Kara». Attirò di nuovo la
sua attenzione e si
girò verso di lei: ma non credeva le avrebbe parlato del vorrei
baciarti.
«Sono andata alla CatCo per… questioni personali,
e ho parlato con
Cat Grant».
«Cat
Grant? La signora Grant in persona?».
«Sì,
mi doveva un favore, diciamo», prese una breve pausa,
ripensandoci,
«E l'ho convinta a darti un'occasione».
«Cosa?».
«Hai
un colloquio alla CatCo il 10 settembre, alle ore 10:00. Sii
puntuale, perché Cat Grant è una persona
fiscale».
«S-Stai
scherzando?». Kara non riusciva più a respirare.
«Lo
so, avrei dovuto prima chiederti cosa ne pensassi, ma dato che leggi
il loro magazine e la tua decisione di diventare reporter, ho
pensato…».
«Dici
davvero, davvero? Lena, stai parlando seriamente? Perché
io-».
«Parlo
seriamente».
Kara
si scoprì e scese da letto con il cuore che le scoppiava in
petto,
vedendola scoprirsi a sua volta, mettendosi seduta. «I-Io,
davvero…
Tu cosa…?».
Lena
arrossì. «Aspetta a ringraziarmi, magari non si
farà niente, o ti
prenderà per portarle il caffè. Ma è
una piccola opportunità
verso ciò che vuoi essere. E spero… spero ti
possa aiutare».
E
ora Kara aveva decisamente voglia di baciarla. Di andare da lei, di
stringerla forte e poi poggiare le labbra eccitate contro le sue. Non
sentiva e non capiva più niente, il suo cuore batteva
impazzito. Non
credeva stesse succedendo davvero. Perché faceva tutto
questo per
lei? Si chiese. Come poteva ringraziarla, adesso? Poi un piccolo ma
insistente pensiero le scombussolò la testa. «Emh,
io…», si
dondolò con i talloni dei piedi nudi, «T-Ti avevo
preso una cosa
per, sai, sì, ringraziarti per aver riavvicinato me e Kal,
ma
adesso… ma adesso sembra una cosa ancora più
stupida in confronto
a-a tutto quello che tu… emh, stai facendo per
me». Si strinse le
mani e la guardò.
«Tu
mi hai fatto un regalo?», cercò di fissarla nel
buio della stanza.
Il suo cuore batteva a ritmi così alti e frenetici che per
poco non
sentiva cosa Kara le diceva. «Non posso averlo?».
Kara
deglutì e cominciò a grattarsi dappertutto.
«N-Sì, ma… è-è
davvero una scemenza e soprattutto ora sto pensando di fingere di non
averlo detto e cercare di dormire, che dopo la notizia che mi hai
dato non so se riuscirò a fare, anzi sono sicurissima che
non
riuscirò a fare, ho la tachicardia e l'ansia così
forte che mi sta
salendo la cena e sicuramente questo non avrei dovuto dirlo, continuo
a fare figuracce una dietro l'altra e-e un'altra cosa di cui sono
certa è che non saprò mai come sdebitarmi per
ciò che hai fatto o
farti capire quanto io apprezzi tutto questo, oh
cielo,
sto scoppiando, penso che imploderò e credo avrei fatto bene
a
tenere anche questa assurda informazione per me invece di
condividerla con te e
perché non riesco a starmi zitta?»,
gracchiò, spalancando gli occhi. Vide Lena ridere e
sentì la cena
continuare a salire.
«Non
c'è nulla che tu possa fare o dire che mi farà
cambiare idea su di
te, Kara. Non importa se balbetti, se ammetti di essere nervosa:
diciamo che sono cose che fanno parte della sua esuberante
personalità e… lo trovo adorabile»,
arrossì. Si sforzò molto
per dirlo a voce alta. «Quindi…
tranquilla».
Kara
si zittì davvero, deglutendo ancora.
«Non
devi cercare di ripagarmi in qualche modo. Voglio dire, se faccio
qualcosa per te è perché lo voglio e non per
aspettarmi qualcosa
indietro», si alzò dal letto anche lei e Kara si
sentì avvampare,
non capendo cosa stesse succedendo, cosa stesse per succedere, se
stesse effettivamente per succedere qualcosa. «Ma, se mi hai
fatto
un regalo, ci tengo ad averlo».
Kara
si voltò, dirigendosi verso il suo bagaglio: era l'unica
cosa che
non aveva tolto dal trolley quella sera. Le andò vicino con
il cuore
che le pulsava in gola dall'agitazione, tentando con ogni mezzo di
non respirarle affannosamente addosso.
«È-È davvero una cosa da
niente».
Lena
aprì la mano destra, mostrandole il palmo. «Su,
forza».
Kara
glielo passò e si spostò dallo starle
così vicino, per paura
potesse succedere di tutto. E non avrebbe saputo definire quel tutto.
Lena
sorrise e arrossì, vedendo quella piccola e buffa palletta
di pelo
fuxia che le sorrideva, con il gancio portachiavi.
«N-Non
sapevo davvero cosa prenderti e-».
Lena
restò fiato per un attimo e poi la interruppe: «La
sera alla
mostra, prima che ci interrompesse tuo cugino… Ti
ricordi?». Oh,
no. Lo stava facendo davvero? Stava davvero per mandare tutto
all'aria? La strana armonia trovata al loro ritorno, il fatto che
finalmente potessero andare d'accordo senza farsi dispetti, i suoi
buoni motivi per tenerla lontana da lei, tutto… Cedere
segnava il
punto di non ritorno.
«Sì»,
rispose, smettendo di tornare indietro. «Mi hai
detto-».
«Che
avrei voluto baciarti».
«Lo
hai detto davvero…?», sul suo viso apparve un
sorriso, non
riuscendo a farne a meno.
Lena
le si avvicinò e vide chiaro il suo punto di non ritorno:
era una
bocca rosa che si piegava in un sorriso per lei. Si guardarono,
socchiusero gli occhi, avvicinandosi, ma un urlo stridulo e un tonfo
le destò da quell'incantevole momento che stavano vivendo,
non
riuscendo neppure a sfiorarsi. Entrambe si voltarono verso la porta e
aprirono di corsa, affacciandosi. Videro che anche Alex si era
affacciata dalla sua, strofinandosi un occhio.
«Cos'è
stato?», domandò Kara e Alex scrollò le
spalle.
«Sembrava
Eliza quando trova un ragno». Aveva tutti i capelli
schiacciati da
un lato.
Così
Kara corse per il corridoio e Lena e Alex la raggiunsero dopo, con
più calma; provata da ciò che stava per succedere
la prima e
assonnata la seconda. Era rimasta un po' indietro per chiudere la
porta della sua camera e poi le seguì, muovendosi come uno
zombie.
Kara
spalancò la porta di servizio già aperta, quella
dietro la cucina
che portava al cortile. Il bidone dell'immondizia era rovesciato e la
strada di Kara fu tagliata da Eliza che, correndo, brandiva il
bastone di una scopa come una spada.
«Ecco,
con questo dovremo stanarlo», la sentì dire.
Dietro il muro di
casa, scoprì Eliza e Lillian in vestaglia, vicine e
terrorizzate.
«Cosa
state facendo?».
«Kara,
tesoro, torna a dormire», disse Eliza.
«Non
volevamo svegliarti, cara. Abbiamo sentito dei rumori e- eccolo,
eccolo
lì»,
indicò un punto dietro Kara, che si voltò, non
vedendo alcunché.
«Fallo nero».
Eliza
corse con il bastone della scopa per aria e quasi colpì Lena
e Alex,
che fermò la madre appena prima di vedersi la scopa in
fronte.
Stavano per chiederle cosa stesse succedendo quando Lillian
gridò
ancora ed Eliza inquadrò l'ombra minacciosa muoversi tra i
cespugli.
«Deve
essere quel dannato procione», ruggì Eliza,
voltandosi indietro per
dire alle figlie di stare lontane. «Ma oggi lo becco, oggi lo
becco».
«No»,
gridò Kara, raggiungendola subito. «Non farai del
male a un
procione, sono esseri adorabili». Arrossì di
colpo, ricordandosi
Lena e ciò che stavano per fare prima di essere interrotte.
«Che-Che
cosa ti ha fatto?».
«Ogni
notte gratta dalla nostra finestra e fruga nella spazzatura,
Kara»,
rispose con aria esausta. «Non vorrei ci entrasse in casa,
una di
queste sere».
L'urlo
stridulo tuonò come un allarme e si voltarono, scoprendo che
a
emetterlo era Lillian. La donna indicava un punto erboso del giardino
e videro tutte muoversi qualche foglia, illuminate dalla lucetta
esterna accesa. Alex prese la scopa da sua madre e lei e Kara si
avvicinarono insieme, con cautela e senza far movimenti bruschi. Le
due si guardarono, scambiandosi occhiate complici. Le foglie si
mossero ancora e Kara si gettò, l'ombra saltò e
Alex lo schivò per
un soffio, ma appena udirono un miagolio si bloccarono.
«È
un gatto!», urlarono insieme. Alex gettò la scopa
e Kara riuscì ad
acchiapparlo, prendendolo con sé.
«Oh,
è un piccolo gattino spaventato», lo
accarezzò insieme ad Alex e
alzò lo sguardo, incrociando quello di Lena, che la fissava,
a
braccia a conserte. Increspò le labbra e
riabbassò lo sguardo di
nuovo sul micio: sapeva di essere diventata rossa.
Ferme,
con il loro cuore che tentava di tornare a ritmi normali, entrambe si
stavano rendendo conto di ciò che era successo, o meglio di
ciò che
stava per succedere, con un'unica illuminante scoperta impressa a
fuoco nella mente: lei
ricambia.
Kara
chiamò il gattino Biancopelo perché la maggior
parte del suo pelo
era, appunto, bianco; aveva qualche chiazza marrone solo sul viso e
sulle zampette. Nessun altro ebbe da ridire sul nome. Lei e Alex lo
pulirono dai rametti d'erba che gli erano rimasti impigliati addosso
e lo pettinarono, poi Alex decise di tornare a dormire come avevano
fatto prima di loro Eliza e Lillian, perché era stanca. In
ogni caso
era Kara ad essersi offerta di farlo dormire con lei. Era un gatto
ben curato e non aveva paura delle persone, magari di quelle senza il
bastone della scopa in mano, dunque doveva essersi perso e decisero
di cominciare a cercare i suoi padroni dall'indomani. Eliza e Lillian
erano ancora fermamente convinte che ci fosse un procione nascosto da
qualche parte, ma finché non si faceva sentire pensarono
bene di
tornarsene a letto.
«Vado
a dormire anch'io, è stata una lunga giornata».
Lena non la guardò
e, mentre Kara offriva qualcosa da mangiare a Biancopelo,
salì le
scalette per il corridoio dov'erano le camere.
Kara
si rabbuiò: Lena doveva avere i suoi stessi pensieri,
capì. Cosa
sarebbe successo dopo che si fossero baciate? Poteva non dir molto
sul loro futuro familiare, forse sarebbe rimasto un bacio isolato,
qualcosa che al momento sentivano e che poi sarebbe svanito, magari
ci avrebbe messo del tempo, ma sarebbe svanito. E se invece, dopo
quel bacio, avessero desiderato altro? Avessero desiderato di
più? A
che punto potevano spingersi…? Non erano due ragazze
qualunque che
si erano conosciute in una situazione bizzarra e che decidevano di
frequentarsi, le loro madri stavano per sposarsi. Kara si era
ritrovata a pensarci spesso e ora le occorreva ricordarlo
più di
prima.
Bussò
sulla porta di Alex, con Biancopelo in braccio. Bussò
ancora, non
sentendo alcun movimento. Sospirò, pensando che si fosse
già
addormentata. Stava per andarsene quando la porta si aprì e
sua
sorella sbadigliò.
«Il
micio sta bene?», le chiese subito e Kara la
guardò, per poi
scendere dalle nuvole:
«Aah,
no, cioè sì, sta bene! Io non… non ero
qui per lui». Si
avvicinò, coccolando il gattino. «È
così buono, i suoi padroni
saranno disperati».
«E
allora cosa c'è?», la guardò
attentamente, parlando con uno
sbadiglio: «Ti vedo strana, sorellina. È successo
qualcosa?».
Kara
deglutì. «No. Te ne parlerei se fosse successo
qualcosa, giusto?»,
ridacchiò, «È-È solo che,
emh, Megan mi ha detto che ho iniziato
a parlare un po' nel sonno… Non sono fantasiosa come lei,
sai che
Megan parla nel sonno, no? Te ne ho parlato. E…
sì, credo… credo
che potrei disturbare Lena e», la guardò e
indicò distrattamente
dietro di lei, «volevo chiederti se ti andasse di prendere il
mio
posto… Ecco, sì». Infine
annuì e Alex alzò un sopracciglio.
«Ma
tu odi la mia camera, dici che ti senti sempre soffocare
perché ha
solo un lucernario… Sei sicura?».
«No»,
cambiò idea di colpo. «Poi vediamo,
okay?».
Sorrise
e Alex le diede la buonanotte, così richiuse la porta.
Quando Kara
aprì la sua, vide Lena addormentata e corse con Biancopelo
verso il
suo letto.
«Oggi
dormirai con me», disse, sistemandolo sul letto mentre
rimetteva
apposto il lenzuolo che aveva buttato da un lato prima, quando si era
alzata di scatto alla notizia dell'appuntamento alla CatCo. Se ci
pensava non stava nella pelle, ma il pensiero di aver quasi baciato
Lena e la tachicardia per essere ancora così tanto vicina a
lei era
più forte.
Il
gattino miagolò e scese dal letto, così Kara
corse a recuperarlo.
«No,
devi dormire qui. Biancopelo, mi hai capito? Biancopelo?». Si
sdraiò
e lo prese con sé, ma il gatto fuggì di nuovo.
Lena
aprì gli occhi e, coperta dai brusii di Kara che parlava col
micio,
sospirò.
La
mattina successiva, quando Lena si svegliò, notò
che Kara stava
dormendo mezza scoperta e sul bordo del letto, mentre Biancopelo
stava raggomitolato sulla sua testa, anche lui addormentato. Sembrava
avessero trascorso una lunga notte. Prese il suo nuovo portachiavi,
dei vestiti puliti e uscì dalla stanza cercando di fare meno
rumore
possibile. Si cambiò in bagno come sempre, indossando un
pantaloncino e una maglietta così, quando uscì e
incrociò lo
sguardo di Alex, lei la guardò stranita da capo a piedi: lo
sapeva,
era la prima volta che la vedeva vestita in quel modo. Le sorrise,
intuendo che, finalmente, sembrava aver trovato nella loro una casa
anche la sua, tanto da sentirsi a suo agio. Ai piedi aveva
addirittura un paio di infradito.
«Oh,
è riuscita a dartelo?».
«Cosa?»,
arrossì di colpo.
«Il
portachiavi», indicò la palletta di pelo fuxia che
Lena aveva in
una mano. «Temevo non ne avrebbe trovato il coraggio! Voleva
farti
un regalo ma non sapeva quale e stava impazzendo».
Lena
sorrise, stringendo il portachiavi. Si spostò per lasciare
lo spazio
per entrare in bagno, ma la fermò di colpo:
«Ah!
Hai dormito bene?».
«Perché?».
«Kara
mi stava dicendo che forse vorrebbe che prendessi il suo letto
perché
dice di aver cominciato a parlare nel sonno e temeva di
disturbarti»,
le confidò e Lena restò immobile, fredda.
«Parla davvero nel
sonno? È una cosa piuttosto nuova…»,
ridacchiò.
«Un
pochino», rispose infine, dopo averci riflettuto.
«Se
vuoi possiamo fare a cambio».
«Se
sta bene a Kara», rispose di nuovo lapidale, poi le disse di
aver
fretta di bere un caffè e sparì.
Dopo
quello che era successo, non si stupì affatto di sentire che
Kara
voleva fare cambio camera per non dormire vicino a lei e rischiare di
ripetere ciò che stavano per fare. Eppure un po' le aveva
fatto
male. Sorseggiò piano il caffè bollente, al
tavolo della cucina,
giocando a rotolarsi tra le dita la palletta pelosa del suo
portachiavi. Sapeva che sarebbe stato meglio assecondarla.
Il
gattino entrò in cucina e udì i pesanti passi dei
piedi scalzi di
Kara avvicinarsi di corsa. La ragazza entrò con uno slancio,
inchinata, acciuffò Biancopelo e si alzò di
scatto, rischiando di
sbattere la testa contro un pensile. «Preso», rise
vittoriosa,
bloccandosi come una statua di ghiaccio quando vide che Lena era
seduta a poco da lei. «Emh… Buongiorno».
Notò subito che era
vestita da casa e non da ufficio com'era abitata a vederla e sorrise,
ma quando lesse che l'enorme scritta rossa sulla sua tshirt diceva
love
me,
però, cambiò espressione, girandoci
immediatamente lo sguardo,
fingendo di dover assolutamente coccolare Biancopelo. «Come
hai
dormito, stanotte?».
«Umh…»,
parve rifletterci, «Non molto bene, credo di averti sentito
parlare
nel sonno».
Kara
deglutì. «Alex…».
«Me
lo ha chiesto prima di te. Se vuoi cambiare, va bene».
«Va
bene?». La vide annuire e Kara sentì un tonfo allo
stomaco.
«Credo
sia la cosa migliore per entrambe», si alzò per
lavare la tazzina,
passandole vicino.
Kara
sentì subito il suo profumo e sospirò. Per
fortuna Biancopelo che
smaniava per scenderle di dosso la fece rinsavire. «Devo
fargli un
bagnetto per farlo bello per la foto da mettere sul volantino. Mi
aiuteresti?».
Alex
comparve all'improvviso. «Dai, Kara, andiamo a fare il bagno
a
Biancopelo, altrimenti passerà troppo tempo da qui ai
volantini».
Lena
si allontanò dal lavandino e Kara la sentì
muoversi dietro di lei
come un fantasma. Le sventolò il portachiavi in faccia e la
ringraziò ancora per averglielo regalato, attenta che con
una
zampata Biancopelo non glielo acciuffasse. «Hai
già aiuto. A più
tardi».
Kara
ansimò, vedendola andar via.
Alex
cambiò posto con Kara, portandosi dietro entrambe il proprio
cuscino. La prima chiese a Lena se avesse preferito stare lei da sola
nella sua stanza, ma se Kara non parlava nel sonno avrebbe scoperto
che non era vero e avrebbe fatto domande. Era meglio non lasciarle
motivo di fare domande. E, comunque, appena Lillian udì la
proposta
di farla stare da sola mise su una faccia strana e non volevano
approfondire la questione. Dopo il bagnetto a Biancopelo e qualche
scatto, Kara, Alex e Lena scelsero la foto che secondo loro era
perfetta per il volantino ed Eliza la promosse, così
allestirono un
volantino al computer e salvarono un file che Eliza e Lillian
portarono a stampare. Avevano cinquanta volantini da affiggere per le
strade. Lillian sembrava eccitata nel fare una cosa tanto banale ma
per lei curiosa e lei ed Eliza fecero coppia, anche perché
con molta
probabilità, da sola, la prima si sarebbe persa; non
conosceva molte
altre vie oltre a quella che portava alla stazione, al market e alla
loro casa.
«Sarai
la mia compagna in quest'avventura?». Lena si
avvicinò a Kara
cautamente. Anche lei avrebbe avuto bisogno di aiuto perché
non
conosceva il posto.
«Certo».
«Perfetto,
compagne! Cominciamo a partire, voglio coprire più zone
possibili:
riportiamo Biancopelo a casa», esclamò Alex di
colpo, mettendosi
tra loro. «Kara, lo porti tu? Non possiamo lasciarlo
solo».
Non
che non gradissero la sua compagnia, ma entrambe in cuor loro
speravano di stare da sole. Dovevano parlare e chiarirsi, per quel
cambio di camera che disturbava entrambe e di come non avrebbe
dovuto, oltre che del loro
momento.
Se non altro, Alex si allontanava spesso per appendere dei volantini
anche dall'altra parte della strada, lei a sinistra e loro a destra.
Kara chiese a un commerciante se potevano attaccare un volantino
nella sua vetrina e lui accettò. Speravano di ritrovare
presto la
sua famiglia.
Guardò
il volantino e baciò in testa il gattino, sotto lo sguardo
di Lena.
«Posso?».
Kara
si voltò e la vide con il cellulare pronto a scattarle una
foto.
Sorrise, abbracciando Biancopelo.
Mentre
scattava, ripensava che avrebbe dovuto parlare a Lena non solo del
loro bacio, ma anche del suo futuro. Le aveva preso un appuntamento
alla CatCo, e non stava nella pelle, ma non poteva accettare ora che
ci aveva riflettuto a mente lucida. Doveva dirglielo e non sapeva
come. «Avremo un ricordo», disse Kara e si
avvicinò. Guardò la
foto e Lena guardo lei. «È venuta bene».
Alzò gli occhi e si
ritrovò lo sguardo di lei sul suo viso. Erano
così vicine. Di nuovo
così vicine. A quel punto forse non importava cosa sarebbe
successo.
Si scambiarono uno sguardo e ognuna fissò le labbra
dell'altra, di
nuovo gli occhi e poi le labbra. Erano così vicine.
Con
una zampata, Biancopelo colpì il cellulare che cadde sul
marciapiede, distraendo entrambe.
«Cos'è
successo, ragazze?». Alex comparve dietro di loro. Per
fortuna, non
sembrava aver visto nulla. «Biancopelo fa danni? Lo prendo
io».
Prese loro il gatto e Kara guardò Lena una volta, una volta
sola,
arrossendo, e poi seguì sua sorella.
Riflettendo
sul cambio camera, forse stare distanti si sarebbe rivelato
ciò che
serviva.
Avevano
distribuito i volantini ed erano tornate a casa soddisfatte tutte a
parte Lillian, che aveva le caviglie gonfie per aver camminato tanto
e averlo fatto con i tacchi ai piedi. Ma cambiò espressione
di colpo
quando Eliza le disse che le avrebbe fatto i massaggi e le loro
figlie sparirono dal soggiorno.
Alex
era molto più ordinata rispetto a Kara: si
sistemò il letto, gonfiò
il cuscino e le augurò la buonanotte. Ma Lena non riusciva a
dormire. Giocherellava con il suo portachiavi e pensava che avrebbero
potuto farlo, che avrebbero potuto farlo davvero e che avrebbero
pensato poi alle conseguenze. Preferiva analizzare la situazione
sempre prima di agire, ma ora non riusciva a non pensare che
avrebbero potuto rischiare. Dopotutto volevano solo baciarsi, non
c'era davvero niente di male. Si alzò e si stirò
le braccia,
facendo attenzione a non far chiasso. Aprì la porta, voleva
fare due
passi, quando si ritrovò Biancopelo fra i piedi, facendo le
fusa.
Alzò gli occhi e lei era lì, appoggiata al muro.
«Cosa
fai?», sussurrò, prendendo Biancopelo in braccio.
«A-Avevo
bisogno di un po' d'aria…», sospirò con
imbarazzo, dondolando sui
talloni. «E Biancopelo non vuole dormire».
«Biancopelo
non vuole dormire? Senti, Kara, fai di nuovo cambio con Alex. Non
è
successo nulla, tra noi, no?». Lo avrebbe voluto. Ci stava
pensando
proprio in quell'istante. Ci pensava quasi di continuo, se non fosse
per la questione di suo padre.
Lei
sorrise, abbassando lo sguardo. «La camera di Alex sembra una
prigione russa». Lena cominciò a camminare verso
di lei con un
sorriso e sentì il sangue ritirarsi, mentre il suo cuore
accelerava
i battiti. Le lasciò Biancopelo tra le braccia e si
toccarono e non
importava se lui, stufo di fare il loro peluche, le avesse graffiate
per dispetto, perché loro erano di nuovo lì,
vicine. «Va bene.
Domani le chiedo di fare di nuovo cambio».
«Perfetto».
Si
avvicinarono ancora, il respiro di una batteva sul mento dell'altra,
ma si staccarono di colpo quando udirono delle voci e una corsa
sfrenata verso di loro.
«Il
procione è tornato!», gridò Eliza,
passando in mezzo a loro per il
corridoio.
Da
Me a Kal
Ehi,
Kal! Sono io, lo sai. Cosa ne pensi di venire a stare un po' da me in
questi giorni? Potrai conoscere la mia famiglia…
Da
Kal a Me
Non
no se sia una buona idea, Kara.
Da
Me a Kal
Perché?
Da
Kal a Me
Devo
andare, adesso. Ci sentiamo più tardi.
Kara
sbuffò con delusione, lasciando senza energie il cellulare
sul
tavolo e gettandosi di peso sulla sedia. Eliza la colse in abbraccio
sulle spalle, chiedendole come mai fosse tanto giù.
«Kal non viene.
Cioè, non lo ha detto proprio così, ma era quello
che intendeva».
«Mi
dispiace, tesoro. Troverete un altro modo per vedervi».
«Ma
non così, avrei voluto che conoscesse
voi…».
«Me
e Alex, o anche Lillian e Lena?», le chiese, lasciandola
andare e
sedendosi al suo fianco, guardandola.
«Beh…».
Non sapeva cosa rispondere. Di certo avrebbe voluto fargli conoscere
lei e Alex, ma conosceva già Lena e non sembravano avere un
buonissimo rapporto se lui non la chiamava per nome, e probabilmente
conosceva anche già Lillian, madre sua e di Lex. Doveva
essere
successo qualcosa tra lui e il ragazzo ma non sapeva cosa.
«Sono
stata troppo avventata, non è vero?».
«Forse
lui non se la sente… Dagli del tempo», le sorrise.
«Si potrebbe
iniziare pian piano, vederci fuori di casa, non tutte
insieme…
Adesso che ti ha ritrovata non vuole che tu vada via dalla sua vita,
non preoccuparti», le carezzò una guancia e lei le
regalò un
sorriso.
Lena
entrò in cucina con Biancopelo che, a pancia all'aria, si
faceva
fare le coccole. Eliza si alzò, carezzò il
gattino e uscì, così
la ragazza prese il suo posto sulla sedia lasciata vuota. Carezzava
Biancopelo ma guardava Kara. Quest'ultima invece fece finta di
niente, arrossendo e restando immobile.
«Stavo
pensando… Hai rimediato un colloquio per me
perché la signora
Grant ti doveva un favore. Che favore era? Se posso
chiederlo».
«Vuoi
parlare di questo?».
Kara
annuì lentamente e non si scollò dalla sua
posizione, senza
guardare l'altra negli occhi. Senza provare a fare il minimo
movimento. Sentì Lena sospirare, mentre Biancopelo miagolava
e
ricercava il contatto con le sue mani, dopo che si era distratta.
«Va
bene. Le ho fatto conoscere tuo cugino».
«Cosa?».
Gridò e si spostò tanto velocemente che il gatto
salto dalle
braccia di Lena e fuggì via dalla cucina. «In che
senso?».
Lena
rise. «Calmati! Cat Grant ha una specie
di…», strinse le labbra,
pensandoci, «passione
per tuo cugino. Fossi in te proverei a dirle che siete cugini e il
posto è tuo», sorrise ma Kara era ancora a bocca
aperta. «Dai,
stavo scherzando», le sorrise e Kara si ritrovò a
fissarle le
labbra, quella labbra che, se voleva, potevano davvero essere sue,
adesso.
«A
proposito di questo: i-io sono davvero felice che tu mi abbia fatto
avere quell'appuntamento, davvero, non so come… come
dirtelo», si
leccò le labbra, cercando di restare concentrata, e
finalmente la
guardò negli occhi.
«Ma?».
«Ma
non posso accettare». Kara deglutì e Lena mantenne
saldo il suo
sorriso, aspettando che chiarisca. «Lei ha accettato solo
perché,
non
so se questa cosa mi farà dormire,
le hai presentato Kal, ma i-io vorrei… vorrei essermelo
guadagnato
un appuntamento con Cat Grant». Lena sembrò
sorriderle ancor di
più, i suoi occhi brillavano, e Kara non riuscì a
capire se la
stesse effettivamente ascoltando o se volesse solo provare a baciarla
di nuovo. «Davvero. Mi dispiace e ti ringrazio»,
scosse la testa,
«Ma non posso farlo».
«Tu
te lo sei guadagnato», le rispose, «Davvero pensavi
che ti avrei
preso un appuntamento con lei solo perché la conosco? O
perché mi
dovesse un favore? Mi ha ascoltato senza appuntamento: con questo ha
ricambiato il favore. Ha accettato un appuntamento con te solo quando
le ho spiegato cosa hai fatto per me e Lex. Ha visto anche lei
cos'è
successo alla Luthor Corp e ha approvato degli articoli al riguardo,
ma non sapeva che tu avessi lavorato con noi al caso. Sei stata tu,
Kara Danvers, a farti avere quell'appuntamento. Non mi sarei mai
permessa, al contrario».
Restò
senza fiato e arrossì, tanto che Lena dovette ripetere che
era stato
merito suo e che Cat Grant non avrebbe mai accettato, diversamente.
«Oh, beh… in questo caso», rise a voce
un po' troppo alta,
cercando di concentrarsi. «Accetto. Allora. Se questo
è risolto…
I-Io volevo… Dovevamo…».
«Dovevamo»,
annuì Lena. Si avvicinò automaticamente prima che
se ne rendesse
conto e Kara si spostò di scatto, mordendosi la lingua e
strisciando
indietro con la sedia.
«Devo…
andare». Si alzò rapidamente e sbatté
le ginocchia contro il
tavolo, così torno a sedere e si rialzò con
più calma, attenta a
non sbattere di nuovo che incastrò un piede contro la sedia.
Rise
istericamente e riuscì a rimettersi bene in piedi, la
guardò, le
sorrise con forza e uscì dalla cucina.
Lena
scosse la testa e rise a bassa voce, reggendo la testa con una mano
dopo aver poggiato il gomito sul tavolo.
Kara
ricambiava, ma non poteva saltarle addosso. Forse anche lei, come
dopotutto Lena, si sentiva confusa. Sapeva solo che non l'avrebbe
forzata e qualsiasi cosa sarebbe successa, ne avrebbero discusso
dopo. Kara e Biancopelo erano riusciti a distrarla, ma il suo
pensiero, a volte, tornava ancora lì. A lui.
Si
svegliò sudata, quella notte, guardandosi intorno. C'era di
nuovo
Kara in camera con lei: lei e Biancopelo dormivano profondamente.
Sollevò il lenzuolo e prese il laptop dal suo comodino,
aprendo e
chiudendo la porta della camera dietro di lei. Accese il portatile,
sistemandosi sul divano in soggiorno. Era certa di aver sognato suo
padre, il suo sguardo duro, eppure ancora respirava con affanno, non
più certa che fosse un sogno, quanto piuttosto un incubo. Si
portò
due dita di una mano contro le labbra, socchiudendo gli occhi nel
rileggere per l'ennesima volta gli articoli di giornale che parlavano
della morte di suo padre.
«Come
mai in piedi a quest'ora?».
La
voce di Alex, alle sue spalle, la fece sobbalzare.
«Ehi,
ti senti bene?», si avvicinò, scoprendo, sotto la
luce del laptop,
la sua cera bianca. Le poggiò una mano su una spalla,
adocchiando
gli articoli sullo schermo del portatile.
«So
cosa stai pensando», disse lei lapidale, abbassando lo
schermo.
«No,
non lo so». Rispose Alex, sedendo vicino a lei.
«Vuoi provare a
parlarmene?».
A
quel punto, Lena aveva davanti a sé due scelte: raccontarle
la
verità o scappare. Ma stava ancora sudando, aveva impresso
nella
mente gli occhi di suo padre che aveva visto in sogno, ed era
spaventata. Sapeva di non dover mettere in mezzo nessun altro, ma in
quell'attimo, sola e fragile, pensò egoisticamente che dirlo
a lei
fosse un modo per aiutarsi. Così iniziò
lentamente e le disse tutto
ciò che le passava per la testa, della caduta da cavallo,
della
morte improvvisa, di come sospettasse del rapporto del coroner
perché
lo stesso coroner non era rintracciabile, delle sparizioni, delle
porte chiuse in faccia davanti alle sue domande, di come sua madre
sembrava aver insabbiato tutto. Omise di aver parlato con la ex
segretaria di Lillian solo perché non voleva metterla in
mezzo.
Alex
ascoltò ogni parola, appoggiandosi allo schienale con divano
con
shock. Poi sembrò essere arrivata a una conclusione.
«Se vuoi un
consiglio, Lena: per il momento, cerca di farti da parte». La
vide
aggrottare le sopracciglia, contrariata. «Ho capito cosa stai
passando, ma se tua madre stessa ti ha nascosto la verità,
come
pensi che sia, avrà le sue buone ragioni per farlo. Al di
là del
vostro rapporto», la fermò, prima che potesse
contraddirla, «non
metto in dubbio che abbiate dei cattivi trascorsi, lo farà
per il
tuo bene. Se davvero tuo padre è stato assassinato, come
tutto ciò
che mi hai raccontato fa pensare, allora salterà
fuori».
«Sta
passando un anno, Alex. Sembra che a tutti piaccia pensare che lui
sia stato semplicemente male e sia morto».
Lei
la guardò dritta negli occhi chiari, poggiandole una mano
sulle sue,
che ancora tremavano. «Hai ragione. Ma Lena, se qualcuno ha
ucciso
tuo padre e sta facendo sparire la gente che ha avuto a che fare con
lui, potrebbe uccidere anche te. Te lo chiedo per favore: lascia
perdere».
«Pensi
che dovrei… dovrei dire ciò che so alla polizia?
Può essere
corrotta…».
«No»,
scosse la testa, «Non farne parola con nessuno; e intendo
anche con
Kara. È troppo pericoloso. Ed è ancora presto,
facciamo passare un
po' di tempo e poi vedremo cosa succede».
Lena
la ringraziò, spegnendo il laptop. Si divisero: Alex
andò in bagno,
che doveva essere il motivo per cui si era alzata, e Lena
rientrò in
camera. Kara era ancora sul bordo del letto e Biancopelo stirava le
zampette marroni contro il suo collo. Si fermò a guardarla,
sedendo
sul letto davanti. Sapeva che non avrebbe potuto coinvolgere Kara,
pensò, e fu grata ad Alex, ma non avrebbe seguito il suo
consiglio.
Capitoooolo
lungo! 14 pagine e mezzo, spero non vi siate addormentati a
metà
>__<
Sono
successe un bel po' di cose oltre al toccante incontro dei due cugini
dopo tanto tempo, come Lena che ha ormai imboccato un
percorso che spera la porterà a capire cos'è
successo a suo padre,
e qui alla triste scena finale con Alex che cerca di persuaderla a non
continuare. Abbiamo conosciuto Leslie Willis, che spero di
caratterizzare bene. Siamo tornati a casa Danvers-Luthor con una
nuova luce nell'aria…e Kara ha perfino fatto un regalo a
Lena! È
proprio vero che a volte basta il pensiero, e Lena di certo ci sta
pensando! Senza contare che le ha rimediato un appuntamento
alla CatCo. E sì, anche Kara e Lena che si sono quasi
baciate qualche volta. Quasi. C'erano davvero quasi. Ma potrebbe essere
tutto
così semplice? Nah
:3 Se non altro hanno capito entrambe che ricambiano,
che ricambiano eccome. E non dimentichiamo il procione.
La
vera star del capitolo, in ogni caso, per me è Biancopelo!
:D
Sondaggio!!
Secondo momento sondaggio!
Come
saprete, sono ancora in fase di scrittura. Sono più avanti
di
capitoli e quindi, man mano che scrivo, mi vengono in mente certe
cose e come potrei svilupparle. Questo a volte implica per forza di
cose un cambiamento rispetto all'idea di base, quindi ecco
perché il
sondaggio! È giusto che siate voi, in questo caso, a dirmi
se posso
o no cambiare.
Il
sondaggio riguarda il rating. Avevo da subito
capito come
sarebbe andata avanti la storia, ma credevo di cavarmela col rating
giallo, invece ora sono al punto in cui mi chiedo se non sia il caso
di alzare ad arancione. No, non per quello che immaginate,
birbantelli, ma per le tematiche violente (non
aspettatevi comunque chissà che). In
verità dovrei
cavarmela sotto il segno del giallo, ma se sapessi di poter andare
tranquilla… insomma, non si sa mai. E lo stesso in quel caso
mi
tornerebbe utile anche per le tematiche sessuali :>
Solitamente
farei di testa mia e tanti saluti, ma essendo la storia in corso, voi
avendola iniziata a leggere con quello giallo ed essendo il rating
una cosa importante… Voglio rendervi partecipi. Se preferite
il
rating giallo non preoccupatevi che mi adeguerò di
conseguenza ;)
Il
prossimo capitolo si intitola La linea sottile e
sarà
pubblicato venerdì 11!
Ah…
e chi è Jamie? °°
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