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Autore: Ghen    02/05/2018    9 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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11. Nel sangue 


«È una S?», aveva domandato la piccola Kara, scorgendo il foglio su cui stava disegnando suo cugino Kal, a fianco a lei sul tavolo.
«No», aveva riso lui come se la domanda posta fosse troppo sciocca. «È un simbolo, il nostro. Me lo ha mostrato mio padre, lo hanno disegnato lui e tuo padre quando erano ragazzi. Significa speranza ed è l'emblema degli El».
Kara aveva annuito. «Non lo sapevo…».
«Adesso che lo sai non dimenticarlo, per favore. Forse loro lo hanno fatto», aveva detto, adocchiando i loro genitori attraverso la porta della stanza accanto che discutevano animatamente di lavoro.

Kara corse ad abbracciarlo e lui la strinse a sua volta dopo un attimo di sorpresa. Lena li guardava in disparte, con trattenuta emozione.
«Sai chi sono?», domandò lei, ma in cuor suo conosceva già la risposta poiché non avrebbe potuto abbracciarla in quel modo se non fosse così.
«Kara Zor El», lui sorrise e si guardarono, «La mia amata cugina».
Si strinsero ancora e Lena appoggiò i loro bicchieri su un tavolino.
«La mia amata piccola e rompiscatole cugina», specificò allora e la sentì ridere, rialzando un poco lo sguardo e strofinandosi un occhio.
«Sono Danvers, adesso».
«Ma certo». Lui alzò lo sguardo verso Lena e lei gli annuì con un sorriso. «Allontaniamoci, abbiamo un sacco di cui parlare».
Kara gli disse di sì ma cercò subito Lena, che confermò con lo sguardo che potevano lasciarla.
«Ci sentiamo più tardi, se vuoi», le rispose e la vide andare verso un gruppo di curiosi che si facevano domande sui progetti della Luthor Corp, così Kal la accompagnò verso l'ascensore.
Era lui. Era proprio lui. Cresciuto, con i capelli ordinati da un lato, altissimo, dalla postura possente, ma con il solito sorriso e gli occhi azzurri che le ricordavano casa. Le ricordavano casa, sì, ma una casa diversa, lontana, quella che pensava non avrebbe più ritrovato e si sentiva un po' una bambina smarrita, quella Kara bambina che, in una sera, aveva visto il suo mondo sparire in un suono sordo.
«Quando Lena Luthor mi ha cercato e mi ha invitato alla mostra qui a National City per scrivere un articolo per il Daily Planet, beh, sono rimasto un po' sorpreso… Sarebbe venuto qui qualcun altro e mi chiedevo perché dovessi essere proprio io».
«Tu e lei vi conoscete?».
«Diciamo di sì. È la sorella minore di un ragazzo che conosco, o conoscevo».
«Lex».
«Sì». La guardò con interesse, poi, illuminato dalla luce dei lampioni e della luna. Era notte, ormai, e camminavano sul marciapiede, fermandosi ai pressi della stazione dei bus, sedendo su una delle panchine vuote e fredde. «Quasi dimenticavo la novità: la tua madre adottiva è fidanzata con la madre di Lex, quindi vi siete conosciuti così… è proprio piccolo il mondo! Lei mi ha poi spiegato perché voleva che ci fossi io. Ma non ero sicuro di venire».
«Perché?».
«Perché avevo paura».
Kara abbassò lo sguardo, stringendo le labbra. «Probabilmente ne avrei avuta anch'io se me lo avesse detto, invece di farmi una sorpresa», sorrise.
«E poi non ero sicuro fossi davvero tu. Ma mi faceva più paura sapere che fossi davvero tu», confessò con sguardo teso, «È passato così tanto tempo».
«Già. Da quanto tempo ricordi?».
«Da qualche anno… Ma non tutto, ricordo a tratti. Ricordo te», le sorrise e Kara sentì una morsa allo stomaco.
Immaginò che anche lui, come lei, avesse trovato un'altra casa in tutti quegli anni trascorsi separati, eppure una parte di lei si era sentita tradita nel sapere che Kal, il suo Kal, la ricordava e non l'aveva cercata. Ma in fondo anche lei si era decisa a vivere la sua vita lontana da lui, senza chiedersi dove fosse e cosa stesse facendo né, soprattutto, se la sua memoria fosse tornata. «Quindi adesso sei un reporter?», gli sorrise di colpo, lasciando stare i suoi pensieri.
Lui ricambiò il sorriso e una luce di soddisfazione apparve nei suoi occhi chiari. «E Lena Luthor mi ha raccontato che vorresti diventarlo anche tu».
«Vorrei, sì, diciamo che ci sto pensando… Credo proprio di sì».
«Sì», annuì, «Sei proprio mia cugina: certe cose le abbiamo nel sangue».
Passarono insieme un'ora, il tempo concesso a Clark, il suo nome per intero, di prendere l'ultima corsa della metro per tornare a Metropolis, dove conviveva con la sua fidanzata, disse. Si erano ritrovati, ma le loro strade dovevano dividersi. Lei lo accompagnò e si abbracciarono ancora, a lungo, prima di promettersi di rivedersi presto.
«L'emblema degli El», esclamò in un sorriso prima di lasciarlo andare, indicando un disegno scavato a penna blu sul marsupio del ragazzo. Era piccolo e in un angolo, ma a lei non era sfuggito di certo.
Lui ricambiò immediatamente il sorriso, entrando appena in tempo prima che le porte si chiudessero.
Kara tornò alla mostra con il cuore che le rimbalzava in petto come un tamburo, ancora eccitata per ciò che era successo. La mostra era ancora piena di gente e si ritrovò a parlare con alcuni artisti e poi sua madre, che le spiegò, quando Lillian si era distratta per discutere con uno degli artisti, che Lena era tornata a casa ma che aveva lasciato detto a Ferdinand di riaccompagnarla al campus prima che prendesse loro, che si sarebbero trattenute fino a tardi. Si sorprese di restare tanto dispiaciuta perché lei non c'era più, come se si fosse sentita improvvisamente senza un arto, sola. Il che era un po' strano se pensava a Kal che se n'era andato e lui era tutto ciò che le restava della sua vecchia vita.
«Ehi».
«Ehi», rispose la calda voce di Lena, bassa, al cellulare.
Era tardi e Kara pensò che forse non avrebbe dovuto chiamarla, ma doveva assolutamente ringraziarla. Aprì la porta della sua camera al dormitorio e notò che Megan ancora non c'era: a quanto pareva, la serata tra lei e il signor Jonzz stava andando meglio di quanto programmato. Sperava solo di aver avvertito il guardiano che avrebbe fatto tardi se non voleva rischiare di stare fuori per la notte. Si bloccò: a meno che non volesse stare fuori per la notte. «Ohu», mugugnò, massaggiandosi la fronte: ora non riusciva a staccarsi di dosso il pensiero di Megan e il signor Jonzz insieme.
«Tutto bene, Kara?».
«Sì, sì, pensavo solo alla mia compagna di stanza che non è ancora tornata. Emh… volevo, sì, ecco, ti ho chiamato per ringraziarti», si fermò per sorridere anche se non poteva vederla, «Quello che hai fatto per noi è davvero… davvero carino, non so proprio come sdebitarmi».
«Non devi sdebitarti».
«Ma devo fare qualcosa», si morse la lingua, ricordando improvvisamente le parole di Lena quella sera: vorrei baciarti. Il suo cuore saltò un battito. Doveva aver sentito male, ma… Non ebbe il coraggio di chiederglielo e lei, dall'altra parte, si era fatta ancora più silenziosa. «Kal ed io abbiamo anche parlato del mio futuro e grazie a lui penso proprio che andrò dritta verso il mio sogno di fare la reporter! Beh… anche questo è grazie a te, credo», si sedette sul suo materasso e fissò un punto distante, arrossendo. Forse doveva chiederglielo. Doveva chiederglielo, magari aveva capito male e doveva togliersi quel piccolo pensiero fastidioso dalla mente, doveva far-
«Ne sono contenta. Ti posso richiamare domani?», la sentì, la voce un po' fredda, tanto che Kara s'imbrunì. «Sono davvero stanca e penso di dover andare a letto presto. Non te lo chiederei, ma-».
«No, certo. Abbiamo trascorso una lunga serata e sono anch'io stanca, quindi… A domani».
«A domani, Kara. Buonanotte». Lena chiuse la chiamata e il suo sguardo, da dolce, cambiò di colpo, diventando duro e diffidente, girandosi. Dietro di lei, una donna minuta si reggeva le mani, illuminata dalla flebile luce di un lampione sopra di loro, in quel vicolo. Era vestita elegante, trascinata fuori dalla mostra organizzata dalla Luthor Corp.
«Signorina Luthor, io davvero devo andare… E-E le ho detto ogni cosa che potevo dirle, dunque…».
«Ricapitoliamo», disse lei, con voce fredda. «Mia madre ti ha licenziata quasi un anno fa, in concomitanza con la morte di Lionel, mio padre. Tu dici che è una coincidenza, ma eri la sua segretaria da anni e una persona fidata, non avevi fatto nulla che valesse il licenziamento e da allora non hai ancora trovato un buon impiego nonostante le sue referenze».
«Come le ho già spiegato, signorina Luthor, sono stata io a chiedere a sua madre di lasciare».
«Senza un altro lavoro che le coprisse le spalle?». Le si avvicinò e l'altra si tirò indietro, respirando affannosamente. «Quantomeno avventato».
«Volevo staccare un po', mi serviva una vacanza, non può capire».
Lena annuì leggermente. «Fare da segretaria a mia madre deve essere frustrante, non lo metto in dubbio. Mi permetta però di dubitare degli eventi così come vengono raccontati poiché, sarà anche questa una coincidenza», sorrise senza la minima ilarità nello sguardo e nella voce, «ma il coroner del caso di mio padre è stato trasferito proprio dopo essersi occupato di lui. Tutte le persone coinvolte nella sua morte sono irreperibili. E ho cercato di contattare anche lei, giorni fa… Ritengo sia logico pensare che sia stata una sua svista essersi presentata oggi alla mostra, magari nemmeno pensava di trovarmi. Mi vengono sbattute porte in faccia di continuo e ogni volta che pongo una domanda, ottengo solo delle scuse. Ho solo delle scuse anche da parte sua, no?».
La donna deglutì, assumendo un'espressione più seria. «Le giuro che sono stata io a chiedere alla signora Luthor di poter lasciare il mio lavoro». Si guardarono con scrupoloso silenzio, cercando qualcosa nei loro sguardi per porre fine a quella discussione una e per arrivare a qualcosa l'altra. «Lei non deve fare domande».
«Questo mi spinge a continuare».
«E non deve», s'impuntò la donna, stringendo i denti. «Se sua madre lo sapesse… Se sapesse che sono qui, a parlare con lei di questo…», sospirò, guardando intorno a sé vacua, prima di fissarla di nuovo negli occhi. «Lasci che la chiudiamo qui, siamo troppo scoperte. Lasci che vada in vacanza con la mia famiglia, adesso, faccia lei la stessa cosa! Ci risentiremo a settembre. La aiuterò a trovare il coroner. Ma adesso lasci perdere, la prego… La prego», strinse gli occhi.
Lena deglutì, guardandosi brevemente intorno: era chiaro che quella donna era terrorizzata da qualcosa, o meglio qualcuno, e il fatto che fossero ancora tanto vicine alla mostra la faceva pensare a sua madre. Era più chiaro che mai, ora, che la morte di suo padre non era stata solo un incidente. «Posso proteggerla se-».
«No», chiosò senza lasciarle respiro, «Lei non capisce, signorina Luthor: se suo padre è morto, Lionel Luthor, cosa le fa pensare che lei possa proteggere me?».
Lena si arrese, abbassando la testa. «Ci risentiremo a settembre. Voglio sapere tutto».
«Non saprà tutto, non da me, le dirò solo dove può trovare il coroner…».
Quella donna era irremovibile. «E sia».
«E sua madre non dovrà mai sapere di questa discussione, né che l'ho aiutata». Lena annuì e lei si irrigidì con la schiena, passandole accanto per lasciare il vicolo. «Si sta infilando in una questione più grande di lei, signorina Luthor. E glielo assicuro: non è sua madre la cattiva di questa storia».
La donna passò davanti all'auto scura ferma accanto a Ferdinand che era tornato dopo aver riaccompagnato Kara, che aspettava vigile. Lena lo raggiunse e lui le aprì la portiera, così se ne andarono.
Sospirò, poggiando la testa contro lo schienale del sedile posteriore. Era davvero stanca di quella situazione: voleva scoprire cosa era successo a suo padre e tra le bugie, i rapporti contraffatti e le mille email inviate a chi si era occupato di lui senza risposta o con quelle piccole e indisposte, non sapeva come muoversi, nessuno era disposto a parlare con lei e se non avesse intravisto la donna che aveva fatto da segretaria a sua madre alla mostra… Sospirò di nuovo. Più scavava e più si rendeva conto che, davvero, quella sembrava una questione più grande di lei, una questione che si era mangiata suo padre. Ed era un uomo potente, naturalmente… Questo le faceva capire che non poteva permettersi di parlarne con chiunque e si pentì di aver coinvolto Winn, il suo assistente.
Guardò il cellulare, ripensando a Kara, e arrossì. Le disse di volerla baciare, accidenti, e per fortuna Clark Kent aveva interrotto presto quel momento imbarazzante. Forse poteva ancora cavarsela e fingere di non averlo detto. Lei era così bella, in quel momento: rosa sulle gote, con quel suo sorriso tenero che la faceva impazzire. Non sapeva cosa fare, si era ripromessa di stare ferma per vedere cosa succedeva, ma non ci riusciva e voleva baciarla veramente. Veramente. Con quello che stava succedendo, in quello che si stava invischiando, forse faceva bene ad accettare il consiglio di quella donna e passare le vacanze con lei, con la sua famiglia, prima che a settembre… prima di qualsiasi cosa potesse succedere da settembre in avanti. Perché era certo che non si sarebbe fermata, soprattutto dal momento che sua madre voleva fermarla. Avrebbe finto con lei e avrebbe sorriso di più. E forse sarebbe anche riuscita a cavarsela con Kara. Ce la poteva fare.
Intanto, sapeva chi forse avrebbe potuto aiutarla, sotto il giusto compenso. Qualcuno che poteva coinvolgere senza pentirsi perché era scaltra e con un basso livello di moralità. E, per sua fortuna, lavorava per tutto luglio.
Entrò alla CatCo sbattendo i tacchi; l'orologio al polso segnava le nove e dieci del mattino. Prese l'ascensore e si diresse senza tregua fin alla sua scrivania, in mezzo al suono dei pochi telefoni attivi e al chiacchiericcio del personale. Si appoggiò e picchiettò le dita sul banco, così l'altra, chioma argentea e sguardo duro, fece una smorfia con la bocca appena la vide, terminando la sua telefonata e riattaccando la cornetta.
«Cosa fai tu qui? Se è per quell'articolo sulla Luthor Corp, sappi che ha già telefonato mammina e per questo sono stata richiamata dal grande capo, una gran rottura di palle…», la fissò acida, mettendosi comoda sulla sedia, «E per inciso me lo aveva approvato lei, quell'articolo… quindi… Sarebbe stato meglio per me continuare a parlare del meteo».
«Sei fuori strada, Willis, mi serve… diciamo il tuo aiuto», si avvicinò, sedendo nella sedia accanto, appoggiandosi alla sua scrivania. Si assicurò che nessuno stesse ascoltando la loro conversazione.
«Una Luthor che chiede aiuto a me? Ne sono quasi lusingata! Quasi». La scrutò con attenzione prima di rispondere sonoramente: «No». Rise divertita, dando uno sguardo allo schermo del computer davanti a lei e poi di nuovo a Lena. «Ti piace il mio nuovo look?», si sollevò i capelli dalla nuca, facendoseli scivolare addosso, «Hanno iniziato a chiamarmi Livewire perché sembra che abbia preso la scossa ma chi se ne frega, mi piacciono, danno carattere». Sorrise soddisfatta, ma lo sguardo teso di Lena le rovinava il momento. «Va bene, quella faccia da funerale mi sta rendendo irritabile», si rimise composta, «Che vuoi da me?».
«Prima di morire per un attacco di cuore, o questo è ciò che si dice ufficialmente, mio padre è caduto da cavallo e per questo è finito all'ospedale».
«Interessante… il papà ricco è caduto da cavallo», rispose lei con aria distratta, giocherellando con una penna. «Continua…».
«Sto indagando sulla sua morte, Leslie, ascoltami. Mi serve che rintracci tutte le persone che hanno avuto a che fare con mio padre da quella caduta, all'ospedale e poi alla sua morte: poliziotti, dottori, infermieri…».
«Ci vorrà un po'».
«Tu sei brava in questo».
«Questo è vero».
«E sei discreta».
«Anche questo è vero», sorrise compiaciuta, «Ma non avrai uno sconto con le lusinghe, lo sai che non lavoro gratis».
«Verrai pagata. Ti chiedo solo una cosa: non farne parola con nessuno. Mio padre è stato assassinato e sembra che tutti stiano cercando di insabbiare il caso, le persone scompaiono… Ti lascio il mio indirizzo email: potrai scrivermi solo lì».
«Uh, mi piace: un lavoro sotto copertura», le sorrise, «Fare l'agente segreto era il mia seconda scelta. Avrei dovuto accontentarmi invece di seguire Cat Grant e il suo giornalino», scosse la testa. Lena le scrisse il suo indirizzo email su un foglio adesivo che Leslie ripiegò e si infilò in tasca, guardando intorno a loro che non stesse guardando nessuno. «Si autodistruggerà non appena lo avrò letto?», rise e Lena alzò gli occhi al soffitto. «Va bene, principessa, rilassati… Ti farò sapere appena avrò in mano qualcosa, tu intanto goditi il sole, vai a cavallo, fai qualsiasi cosa rilassi quel tuo cervellino».
Lena si alzò, rimettendo a posto la sedia. «Ti ringrazio, sì, penso che mi prenderò una vacanza. Ah, Leslie… un'ultima cosa», attirò la sua attenzione, «Mia madre non dovrà saperne assolutamente niente. Più di tutti, lei non dovrà neppure sapere che ci siamo parlate. Hai capito?».
«Oh», lei fece un grosso sorriso, «Ho capito che ti sei appena guadagnata quello sconto di cui parlavo».
Lena stava per andarsene quando sentì dei rumori all'interno dell'ufficio di Cat Grant e, affacciandosi, vide qualcuno all'interno. «È qui?», chiese. L'espressione seccata di Leslie Willis era una risposta sufficiente. «Oh, allora penso che ne approfitterò…».

«Mi stai ascoltando? Lui era così… così grande», Kara raccontava con sguardo sognante e Alex la guardava non riuscendo a trattenere un sorriso, felice per lei. «Lo so che era grande perché cresciuto, ma lui era grande in un altro senso, grande perché era…».
«Grande», concluse Alex per lei. Si distrasse un attimo per adocchiare un bambino che continuava a infilare la testa sotto dei vestiti per poi annusarli. La madre era lì in compagnia di un'altra donna e andava e usciva dai camerini, senza degnarlo di attenzione. Aveva provato a dire alla donna cosa faceva suo figlio, ma lei lo aveva sgridato superficialmente ed era tornata in camerino sotto i plausi dell'amica. Odiava quelle situazioni quando era lei la responsabile della boutique.
«Sì, era grande, esatto», sorrise Kara, appoggiando i gomiti sul bancone. «Non ci vedevamo da così tanto tempo… E mi ha detto che vive a Metropolis, sai, lavora e vive lì con una certa Lois Lane, la sua fidanzata. Ci credi che è fidanzato? Il mio cugino fidanzato», si perse con lo sguardo, «Mi ricordo ancora di quando gli sistemavo il pannolino…».
«Non è più grande di te?».
«Sì, è una lunga storia… Magari te la racconterà lui, sperando la ricordi, perché dobbiamo invitarlo a casa! Dobbiamo invitarlo a passare un po' di tempo con noi».
«A casa?», Alex la guardò con tenerezza, «Kara, ti sei dimenticata di mamma numero due e figli a seguito?». Pensava avessero già abbastanza confusione per permettersi di ospitare pure suo cugino, ma non sapeva come diglielo e sperava ci arrivasse da sola. Era così felice di averlo ritrovato che non voleva darle una delusione.
«Beh, sarà il caso che anche loro conoscano tutta la famiglia e lui è di famiglia».
Alex la fissò. No, non ci sarebbe arrivata.
Il bambino fece cadere un vestito a terra, distraendo qualche cliente. Alex non gli tolse occhio di dosso finché non lo vide rimetterlo apposto, ma sembrava che ci si stesse soffiando sopra il naso.
«Kara, vai dal bambino da parte mia. Sgridalo, mostragli lo sguardo più truce che riesci a fare».
«No, non sgriderò quel bambino per te».
«Ma devi», fece una smorfia con le labbra, «Io sono la responsabile, oggi, non posso farmi sorprendere mentre caccio un ragazzino, passerei per un mostro».
«Quindi il mostro dovrei farlo io?», inarcò un sopracciglio; lo sguardo addolcito di Alex non raggiunse l'obiettivo e Kara scosse la testa.
Sbuffò, continuando a fissarlo.
«Non ti piacciono i bambini…?», cantilenò la minore, «Cosa ne pensa Jamie? A lei piacciono i bambini?».
Alex la guardò distrattamente, per poi alzare gli occhi al soffitto e ritornare a puntare il bambino in mezzo ai vestiti. «Sì, a lei piacciono i bambini», rise sarcasticamente. Si fermarono quando una donna le diede una maglietta da battere in cassa. Alex la salutò mentre usciva e scorse Kara che le sorrideva. «Anzi, proprio due giorni fa mi ha detto di aver trovato l'uomo con cui un giorno farà tanti bambini».
«Uch», rispose la sorella, cercando di distrarla dal bambino che aveva fatto cadere un altro vestito. «Pensavo fossi tu l'amore della sua vita».
Alex ansimò. «Lo sai com'è Jamie: un giorno sono l'amore della sua vita e quello dopo lo è il primo, o la prima, che incontra».
«Ecco perché stai con Maggie e non con lei», rise e Alex le fece cenno con un dito, sorridendo.
«Acuta, sorellina. E adesso scusami, devo andare a strozzare un bambino». Lasciò il bancone della cassa e corse davanti ai vestiti, rimettendone a posto uno che aveva in mano il bambino e fissandolo. A lui era bastato quello per indietreggiare lentamente e poi cambiare corsia, tornando dalla madre.

Quella sera, Kara richiamò Lena ma la discussione non andò come previsto e, invece di cercare un modo per riprendere il discorso iniziato alla mostra con un vorrei baciarti, erano finite a parlare di Kal, del diventare una reporter e di come non fosse poi un caso che entrambi loro avevano deciso di percorrere quella strada. Lena le era sembrata felice che tra poco meno di una settimana sarebbero tornate a casa Danvers-Luthor per trascorrere agosto in famiglia, e lei era eccitata dalla cosa, sebbene quello significasse stare nella stessa camera con Lena per giorni e giorni e giorni.
«E giorni e giorni e giorni», continuò, con una mano sulla fronte. Megan le era vicina, sorseggiando una tazza di tè.
«Bevi la tua, dai», le disse, cercando di incoraggiarla. «Andrà bene. Non pensare al vorrei baciarti, quanto al ehi, hai mangiato tu il mio yogurt?».
Kara sbatté la fronte contro il tavolo, lasciandosi andare con pesantezza.
«Non era così?».
«Basta yogurt, ti prego», brontolò. «Andrà male; andrà malissimo», rialzò la testa di scatto e aprì le mani fingendo una morsa. «Le cose sono cambiate tanto da quando mi arrabbiavo per gli yogurt, Megan! Prima mi irritava quando mi guardava, se adesso la sorprendo a guardami invece sento le montagne russe…E dovrò dormire accanto a lei, nella stessa stanza?». A d'un tratto la guardò con una nuova luce negli occhi e prese la tazza di tè bollente, finendo di berla in un sorso. Così si alzò in piedi. «Andiamo ad allenarci! Ho deciso che non mi lascerò trasportare da questa cosa! Che lei volesse baciarmi o meno, non posso tirarmi indietro».
«E hai deciso tutto in questo istante?».
«Sì. Andiamo».
Correre e poi lanciare la palla in porta, se non altro, le liberava la mente. E i giorni trascorrevano veloci uno dopo l'altro. Kara iniziava a sentire la tensione crescere, pensando a un regalo da farle per averle fatto ritrovare Kal. Cosa poteva darle per ringraziarla di una cosa tanto grande e preziosa? Qualsiasi regalo, un oggetto, non sarebbe mai stato abbastanza. Ma andare da lei a mani vuote sembrava una prospettiva peggiore.
La notte prima della partenza, Kara non chiuse occhio e si alzò all'alba. Megan la ritrovò che spolverava quando aprì gli occhi; talmente distratta dai suoi pensieri che inciampò varie volte e, una di quelle, le cadde addosso. Si sorprese di vederla sveglia, ma era impossibile non farlo dopo che le schiacciò un seno contro il materasso con un gomito. Poi saltò gli allenamenti e uscì di fretta e furia. Megan provò a dirle che qualsiasi regalo sarebbe andato bene, ma Kara non si sarebbe accontentata.
Salì sul treno che era vagamente agitata e lo notò anche Alex, che tentò di capire cosa avesse da stare tanto sulle spine. Quando Lena le raggiunse le sembrò un po' più chiaro.
«Va bene, ho capito: hai fatto passi da gigante con Lena in questo periodo e non vuoi rovinare tutto tornando a casa, ricordandoti com'erano strane le cose, soprattutto dal momento che ritroveremo lo stesso ambiente con Eliza e Lillian insieme», le bisbigliò appena Lena si allontanò da loro per andare in bagno.
Kara sorrise e abbassò lo sguardo come se non riuscisse a guardarla negli occhi: avrebbe detto a sua sorella se si fosse presa una cotta per chiunque, ma per la ragazza con cui avrebbe dormito accanto dalle notti a seguire non ci pensava nemmeno. E Alex, in quel caso, sarebbe intervenuta cedendole il suo posto o dando il suo a Lena, e lei… e lei, scoprì, non voleva. Voleva dormire nella stessa camera con Lena perché le era mancato farlo, al di là di qualsiasi cotta. Poteva farcela, lo sapeva.
«Pensavo di chiedere a Eliza se possiamo invitare mio cugino Kal a stare qualche giorno con noi», disse d'improvviso mentre Lena guardava fuori dal finestrino e Alex il suo cellulare. «Così potrete conoscerlo anche voi. Conoscerlo meglio», aggiunse, rivolta a Lena. Arrossì incrociando il suo sguardo e ricercò subito quello di Alex che le sorrideva.
«Prova… potrebbe acconsentire», le rispose solamente, guardando poi Lena come per cercare riflesso nel suo sguardo la sua stessa contrarierà alla cosa, ma non riuscì a leggerci ciò che sperava, o qualsiasi altro, era imperscrutabile.
«Ti-», Kara si bloccò, abbozzando una risata, «Ti volevo ancora, sì, ringraziare per ciò che hai fatto, Lena. Non penso ci saremmo mai ritrovati se non fosse stato per te».
«No, sarebbe successo lo stesso! Saresti diventata una reporter coi fiocchi e prima o poi i vostri cammini si sarebbero incrociati».
Si sorrisero.
«Quindi ti sei decisa? Finalmente», sospirò Alex, «E reporter sia»; così la abbracciò.
In realtà, il ritorno a casa non era per niente come aveva predetto Alex: loro erano cambiate e dunque era cambiato il loro modo di vedere ciò che stava succedendo alla loro bizzarra famiglia. Tornare lì era familiare anche con Lillian ad aspettarle e i suoi abbracci, da sempre legnosi, erano quasi più naturali. Tutte loro sorridevano, parlavano del viaggio, erano di buon umore. Lena ogni tanto sembrava perdersi da qualche parte nella sua testa, ma dopo un po' tornava e sorrideva, sorrideva in un modo contagioso che sorrideva subito anche Kara.
Trascorsero la cena a parlare del più o del meno, con Eliza che tentava di distrarre Lillian dal pensiero che suo figlio, ancora una volta, aveva deciso di restare a Metropolis invece di passare qualche giorno con loro. Sapeva che aveva da fare ed era estremamente orgogliosa della sua dedizione al lavoro, che naturalmente aveva ereditato da lei, ci teneva espressamente a ricordare alle presenti, ma era convinta che non sarebbe dovuto restare troppo tempo là da solo.
«Una volta avrei fatto anch'io come Lex», confessò con sguardo duro, «Ho imparato sulla mia pelle che la vita non è fatta solo da lavoro e doveri. E in questo modo, Lex rischia di perdersi tutto questo». Passò con gli occhi una per una le presenti, fino a fermarsi da Eliza.
Lei le rispose: «Ti assomiglia molto. In questo caso, un giorno potrebbe capirlo da sé, come è successo a te».
Lillian annuì. «È nel sangue dei Luthor. Nient'altro che nel sangue dei Luthor».
Lena abbassò lo sguardo e Kara la osservò farsi seria di colpo. Lena era la vera figlia di suo padre, quindi una vera Luthor, e non capiva il perché della sua espressione di colpo così a terra. Ora che ci pensava, Lillian non sapeva che Lena lo aveva scoperto, dunque, da quel punto di vista, la frase della donna sembrava tagliarla fuori. Ma dopotutto Lillian aveva sposato un Luthor e lo era diventata di conseguenza, non avrebbe avuto senso anche se avesse voluto ferirla. D'altro canto, e Alex sorrise, le due donne si appoggiavano a vicenda. Non davano più fastidio nemmeno a lei.
«Che faccia ha Lex?», domandò Kara in bagno più tardi, mentre Alex sputava dentifricio sul lavandino.
«Non lo so… una faccia», sputò di nuovo, poi si ripulì.
«Se non lo avessi sentito per telefono, comincerei a dubitare della sua esistenza». Le due si guardarono e scoppiarono a ridere.
«Anch'io credevo fosse frutto dell'immaginazione collettiva», ammise, «Poi però l'ho conosciuto e pare proprio che esista». Risero ancora e Alex l'abbracciò di nuovo.
«Va bene», sgusciò fuori dalla sua morsa, «Me ne vado a dormire, sorellona. Lena non guarda più i suoi documentari, quindi dovrei riuscire a prendere sonno tranquilla».
«D'accordo. Chiamami se ti irrita ancora: ci penso io. Stavolta farò la guerra al tuo fianco, Kara».
«Oh, non credo ce ne sia bisogno».
Lena stava sistemando il suo letto per dormire quando Kara aprì piano la porta della loro camera in comune. Arrossì, capendo che probabilmente quella era la prima volta che la guardava davvero prima di entrare sotto le coperte: indossava una maglia fine, lunghissima, che la copriva fino al fondo schiena. Sotto portava degli attillati pantaloncini grigi, corti come slip. Non si stancava mai di pensare a quanto fosse bella. Ma stava guardando anche il suo sedere un po' troppo a lungo e doveva spostarsi prima che la cosa potesse diventare ambigua.
«Ti sei incantata a guardarmi mentre sistemo il letto?».
Kara sobbalzò, entrando nella stanza con lo sguardo rivolto al pavimento e dirigendosi verso il suo letto. «No! Pff, p-perché dovrei?».
«Non posso saperlo», entrò sotto il lenzuolo, faceva troppo caldo per tenere la coperta, «Ma vorrei tanto».
Kara sentì il suo sguardo su di sé. Finì di sistemare il letto, tenendo anche lei il solo lenzuolo, e così spense la luce, sdraiandosi.
«Devo confessarti una cosa, Kara». Attirò di nuovo la sua attenzione e si girò verso di lei: ma non credeva le avrebbe parlato del vorrei baciarti. «Sono andata alla CatCo per… questioni personali, e ho parlato con Cat Grant».
«Cat Grant? La signora Grant in persona?».
«Sì, mi doveva un favore, diciamo», prese una breve pausa, ripensandoci, «E l'ho convinta a darti un'occasione».
«Cosa?».
«Hai un colloquio alla CatCo il 10 settembre, alle ore 10:00. Sii puntuale, perché Cat Grant è una persona fiscale».
«S-Stai scherzando?». Kara non riusciva più a respirare.
«Lo so, avrei dovuto prima chiederti cosa ne pensassi, ma dato che leggi il loro magazine e la tua decisione di diventare reporter, ho pensato…».
«Dici davvero, davvero? Lena, stai parlando seriamente? Perché io-».
«Parlo seriamente».
Kara si scoprì e scese da letto con il cuore che le scoppiava in petto, vedendola scoprirsi a sua volta, mettendosi seduta. «I-Io, davvero… Tu cosa…?».
Lena arrossì. «Aspetta a ringraziarmi, magari non si farà niente, o ti prenderà per portarle il caffè. Ma è una piccola opportunità verso ciò che vuoi essere. E spero… spero ti possa aiutare».
E ora Kara aveva decisamente voglia di baciarla. Di andare da lei, di stringerla forte e poi poggiare le labbra eccitate contro le sue. Non sentiva e non capiva più niente, il suo cuore batteva impazzito. Non credeva stesse succedendo davvero. Perché faceva tutto questo per lei? Si chiese. Come poteva ringraziarla, adesso? Poi un piccolo ma insistente pensiero le scombussolò la testa. «Emh, io…», si dondolò con i talloni dei piedi nudi, «T-Ti avevo preso una cosa per, sai, sì, ringraziarti per aver riavvicinato me e Kal, ma adesso… ma adesso sembra una cosa ancora più stupida in confronto a-a tutto quello che tu… emh, stai facendo per me». Si strinse le mani e la guardò.
«Tu mi hai fatto un regalo?», cercò di fissarla nel buio della stanza. Il suo cuore batteva a ritmi così alti e frenetici che per poco non sentiva cosa Kara le diceva. «Non posso averlo?».
Kara deglutì e cominciò a grattarsi dappertutto. «N-Sì, ma… è-è davvero una scemenza e soprattutto ora sto pensando di fingere di non averlo detto e cercare di dormire, che dopo la notizia che mi hai dato non so se riuscirò a fare, anzi sono sicurissima che non riuscirò a fare, ho la tachicardia e l'ansia così forte che mi sta salendo la cena e sicuramente questo non avrei dovuto dirlo, continuo a fare figuracce una dietro l'altra e-e un'altra cosa di cui sono certa è che non saprò mai come sdebitarmi per ciò che hai fatto o farti capire quanto io apprezzi tutto questo, oh cielo, sto scoppiando, penso che imploderò e credo avrei fatto bene a tenere anche questa assurda informazione per me invece di condividerla con te e perché non riesco a starmi zitta?», gracchiò, spalancando gli occhi. Vide Lena ridere e sentì la cena continuare a salire.
«Non c'è nulla che tu possa fare o dire che mi farà cambiare idea su di te, Kara. Non importa se balbetti, se ammetti di essere nervosa: diciamo che sono cose che fanno parte della sua esuberante personalità e… lo trovo adorabile», arrossì. Si sforzò molto per dirlo a voce alta. «Quindi… tranquilla».
Kara si zittì davvero, deglutendo ancora.
«Non devi cercare di ripagarmi in qualche modo. Voglio dire, se faccio qualcosa per te è perché lo voglio e non per aspettarmi qualcosa indietro», si alzò dal letto anche lei e Kara si sentì avvampare, non capendo cosa stesse succedendo, cosa stesse per succedere, se stesse effettivamente per succedere qualcosa. «Ma, se mi hai fatto un regalo, ci tengo ad averlo».
Kara si voltò, dirigendosi verso il suo bagaglio: era l'unica cosa che non aveva tolto dal trolley quella sera. Le andò vicino con il cuore che le pulsava in gola dall'agitazione, tentando con ogni mezzo di non respirarle affannosamente addosso. «È-È davvero una cosa da niente».
Lena aprì la mano destra, mostrandole il palmo. «Su, forza».
Kara glielo passò e si spostò dallo starle così vicino, per paura potesse succedere di tutto. E non avrebbe saputo definire quel tutto.
Lena sorrise e arrossì, vedendo quella piccola e buffa palletta di pelo fuxia che le sorrideva, con il gancio portachiavi.
«N-Non sapevo davvero cosa prenderti e-».
Lena restò fiato per un attimo e poi la interruppe: «La sera alla mostra, prima che ci interrompesse tuo cugino… Ti ricordi?». Oh, no. Lo stava facendo davvero? Stava davvero per mandare tutto all'aria? La strana armonia trovata al loro ritorno, il fatto che finalmente potessero andare d'accordo senza farsi dispetti, i suoi buoni motivi per tenerla lontana da lei, tutto… Cedere segnava il punto di non ritorno.
«Sì», rispose, smettendo di tornare indietro. «Mi hai detto-».
«Che avrei voluto baciarti».
«Lo hai detto davvero…?», sul suo viso apparve un sorriso, non riuscendo a farne a meno.
Lena le si avvicinò e vide chiaro il suo punto di non ritorno: era una bocca rosa che si piegava in un sorriso per lei. Si guardarono, socchiusero gli occhi, avvicinandosi, ma un urlo stridulo e un tonfo le destò da quell'incantevole momento che stavano vivendo, non riuscendo neppure a sfiorarsi. Entrambe si voltarono verso la porta e aprirono di corsa, affacciandosi. Videro che anche Alex si era affacciata dalla sua, strofinandosi un occhio.
«Cos'è stato?», domandò Kara e Alex scrollò le spalle.
«Sembrava Eliza quando trova un ragno». Aveva tutti i capelli schiacciati da un lato.
Così Kara corse per il corridoio e Lena e Alex la raggiunsero dopo, con più calma; provata da ciò che stava per succedere la prima e assonnata la seconda. Era rimasta un po' indietro per chiudere la porta della sua camera e poi le seguì, muovendosi come uno zombie.
Kara spalancò la porta di servizio già aperta, quella dietro la cucina che portava al cortile. Il bidone dell'immondizia era rovesciato e la strada di Kara fu tagliata da Eliza che, correndo, brandiva il bastone di una scopa come una spada.
«Ecco, con questo dovremo stanarlo», la sentì dire. Dietro il muro di casa, scoprì Eliza e Lillian in vestaglia, vicine e terrorizzate.
«Cosa state facendo?».
«Kara, tesoro, torna a dormire», disse Eliza.
«Non volevamo svegliarti, cara. Abbiamo sentito dei rumori e- eccolo, eccolo lì», indicò un punto dietro Kara, che si voltò, non vedendo alcunché. «Fallo nero».
Eliza corse con il bastone della scopa per aria e quasi colpì Lena e Alex, che fermò la madre appena prima di vedersi la scopa in fronte. Stavano per chiederle cosa stesse succedendo quando Lillian gridò ancora ed Eliza inquadrò l'ombra minacciosa muoversi tra i cespugli.
«Deve essere quel dannato procione», ruggì Eliza, voltandosi indietro per dire alle figlie di stare lontane. «Ma oggi lo becco, oggi lo becco».
«No», gridò Kara, raggiungendola subito. «Non farai del male a un procione, sono esseri adorabili». Arrossì di colpo, ricordandosi Lena e ciò che stavano per fare prima di essere interrotte. «Che-Che cosa ti ha fatto?».
«Ogni notte gratta dalla nostra finestra e fruga nella spazzatura, Kara», rispose con aria esausta. «Non vorrei ci entrasse in casa, una di queste sere».
L'urlo stridulo tuonò come un allarme e si voltarono, scoprendo che a emetterlo era Lillian. La donna indicava un punto erboso del giardino e videro tutte muoversi qualche foglia, illuminate dalla lucetta esterna accesa. Alex prese la scopa da sua madre e lei e Kara si avvicinarono insieme, con cautela e senza far movimenti bruschi. Le due si guardarono, scambiandosi occhiate complici. Le foglie si mossero ancora e Kara si gettò, l'ombra saltò e Alex lo schivò per un soffio, ma appena udirono un miagolio si bloccarono.
«È un gatto!», urlarono insieme. Alex gettò la scopa e Kara riuscì ad acchiapparlo, prendendolo con sé.
«Oh, è un piccolo gattino spaventato», lo accarezzò insieme ad Alex e alzò lo sguardo, incrociando quello di Lena, che la fissava, a braccia a conserte. Increspò le labbra e riabbassò lo sguardo di nuovo sul micio: sapeva di essere diventata rossa.
Ferme, con il loro cuore che tentava di tornare a ritmi normali, entrambe si stavano rendendo conto di ciò che era successo, o meglio di ciò che stava per succedere, con un'unica illuminante scoperta impressa a fuoco nella mente: lei ricambia.

Kara chiamò il gattino Biancopelo perché la maggior parte del suo pelo era, appunto, bianco; aveva qualche chiazza marrone solo sul viso e sulle zampette. Nessun altro ebbe da ridire sul nome. Lei e Alex lo pulirono dai rametti d'erba che gli erano rimasti impigliati addosso e lo pettinarono, poi Alex decise di tornare a dormire come avevano fatto prima di loro Eliza e Lillian, perché era stanca. In ogni caso era Kara ad essersi offerta di farlo dormire con lei. Era un gatto ben curato e non aveva paura delle persone, magari di quelle senza il bastone della scopa in mano, dunque doveva essersi perso e decisero di cominciare a cercare i suoi padroni dall'indomani. Eliza e Lillian erano ancora fermamente convinte che ci fosse un procione nascosto da qualche parte, ma finché non si faceva sentire pensarono bene di tornarsene a letto.
«Vado a dormire anch'io, è stata una lunga giornata». Lena non la guardò e, mentre Kara offriva qualcosa da mangiare a Biancopelo, salì le scalette per il corridoio dov'erano le camere.
Kara si rabbuiò: Lena doveva avere i suoi stessi pensieri, capì. Cosa sarebbe successo dopo che si fossero baciate? Poteva non dir molto sul loro futuro familiare, forse sarebbe rimasto un bacio isolato, qualcosa che al momento sentivano e che poi sarebbe svanito, magari ci avrebbe messo del tempo, ma sarebbe svanito. E se invece, dopo quel bacio, avessero desiderato altro? Avessero desiderato di più? A che punto potevano spingersi…? Non erano due ragazze qualunque che si erano conosciute in una situazione bizzarra e che decidevano di frequentarsi, le loro madri stavano per sposarsi. Kara si era ritrovata a pensarci spesso e ora le occorreva ricordarlo più di prima.
Bussò sulla porta di Alex, con Biancopelo in braccio. Bussò ancora, non sentendo alcun movimento. Sospirò, pensando che si fosse già addormentata. Stava per andarsene quando la porta si aprì e sua sorella sbadigliò.
«Il micio sta bene?», le chiese subito e Kara la guardò, per poi scendere dalle nuvole:
«Aah, no, cioè sì, sta bene! Io non… non ero qui per lui». Si avvicinò, coccolando il gattino. «È così buono, i suoi padroni saranno disperati».
«E allora cosa c'è?», la guardò attentamente, parlando con uno sbadiglio: «Ti vedo strana, sorellina. È successo qualcosa?».
Kara deglutì. «No. Te ne parlerei se fosse successo qualcosa, giusto?», ridacchiò, «È-È solo che, emh, Megan mi ha detto che ho iniziato a parlare un po' nel sonno… Non sono fantasiosa come lei, sai che Megan parla nel sonno, no? Te ne ho parlato. E… sì, credo… credo che potrei disturbare Lena e», la guardò e indicò distrattamente dietro di lei, «volevo chiederti se ti andasse di prendere il mio posto… Ecco, sì». Infine annuì e Alex alzò un sopracciglio.
«Ma tu odi la mia camera, dici che ti senti sempre soffocare perché ha solo un lucernario… Sei sicura?».
«No», cambiò idea di colpo. «Poi vediamo, okay?».
Sorrise e Alex le diede la buonanotte, così richiuse la porta. Quando Kara aprì la sua, vide Lena addormentata e corse con Biancopelo verso il suo letto.
«Oggi dormirai con me», disse, sistemandolo sul letto mentre rimetteva apposto il lenzuolo che aveva buttato da un lato prima, quando si era alzata di scatto alla notizia dell'appuntamento alla CatCo. Se ci pensava non stava nella pelle, ma il pensiero di aver quasi baciato Lena e la tachicardia per essere ancora così tanto vicina a lei era più forte.
Il gattino miagolò e scese dal letto, così Kara corse a recuperarlo.
«No, devi dormire qui. Biancopelo, mi hai capito? Biancopelo?». Si sdraiò e lo prese con sé, ma il gatto fuggì di nuovo.
Lena aprì gli occhi e, coperta dai brusii di Kara che parlava col micio, sospirò.

La mattina successiva, quando Lena si svegliò, notò che Kara stava dormendo mezza scoperta e sul bordo del letto, mentre Biancopelo stava raggomitolato sulla sua testa, anche lui addormentato. Sembrava avessero trascorso una lunga notte. Prese il suo nuovo portachiavi, dei vestiti puliti e uscì dalla stanza cercando di fare meno rumore possibile. Si cambiò in bagno come sempre, indossando un pantaloncino e una maglietta così, quando uscì e incrociò lo sguardo di Alex, lei la guardò stranita da capo a piedi: lo sapeva, era la prima volta che la vedeva vestita in quel modo. Le sorrise, intuendo che, finalmente, sembrava aver trovato nella loro una casa anche la sua, tanto da sentirsi a suo agio. Ai piedi aveva addirittura un paio di infradito.
«Oh, è riuscita a dartelo?».
«Cosa?», arrossì di colpo.
«Il portachiavi», indicò la palletta di pelo fuxia che Lena aveva in una mano. «Temevo non ne avrebbe trovato il coraggio! Voleva farti un regalo ma non sapeva quale e stava impazzendo».
Lena sorrise, stringendo il portachiavi. Si spostò per lasciare lo spazio per entrare in bagno, ma la fermò di colpo:
«Ah! Hai dormito bene?».
«Perché?».
«Kara mi stava dicendo che forse vorrebbe che prendessi il suo letto perché dice di aver cominciato a parlare nel sonno e temeva di disturbarti», le confidò e Lena restò immobile, fredda. «Parla davvero nel sonno? È una cosa piuttosto nuova…», ridacchiò.
«Un pochino», rispose infine, dopo averci riflettuto.
«Se vuoi possiamo fare a cambio».
«Se sta bene a Kara», rispose di nuovo lapidale, poi le disse di aver fretta di bere un caffè e sparì.
Dopo quello che era successo, non si stupì affatto di sentire che Kara voleva fare cambio camera per non dormire vicino a lei e rischiare di ripetere ciò che stavano per fare. Eppure un po' le aveva fatto male. Sorseggiò piano il caffè bollente, al tavolo della cucina, giocando a rotolarsi tra le dita la palletta pelosa del suo portachiavi. Sapeva che sarebbe stato meglio assecondarla.
Il gattino entrò in cucina e udì i pesanti passi dei piedi scalzi di Kara avvicinarsi di corsa. La ragazza entrò con uno slancio, inchinata, acciuffò Biancopelo e si alzò di scatto, rischiando di sbattere la testa contro un pensile. «Preso», rise vittoriosa, bloccandosi come una statua di ghiaccio quando vide che Lena era seduta a poco da lei. «Emh… Buongiorno». Notò subito che era vestita da casa e non da ufficio com'era abitata a vederla e sorrise, ma quando lesse che l'enorme scritta rossa sulla sua tshirt diceva love me, però, cambiò espressione, girandoci immediatamente lo sguardo, fingendo di dover assolutamente coccolare Biancopelo. «Come hai dormito, stanotte?».
«Umh…», parve rifletterci, «Non molto bene, credo di averti sentito parlare nel sonno».
Kara deglutì. «Alex…».
«Me lo ha chiesto prima di te. Se vuoi cambiare, va bene».
«Va bene?». La vide annuire e Kara sentì un tonfo allo stomaco.
«Credo sia la cosa migliore per entrambe», si alzò per lavare la tazzina, passandole vicino.
Kara sentì subito il suo profumo e sospirò. Per fortuna Biancopelo che smaniava per scenderle di dosso la fece rinsavire. «Devo fargli un bagnetto per farlo bello per la foto da mettere sul volantino. Mi aiuteresti?».
Alex comparve all'improvviso. «Dai, Kara, andiamo a fare il bagno a Biancopelo, altrimenti passerà troppo tempo da qui ai volantini».
Lena si allontanò dal lavandino e Kara la sentì muoversi dietro di lei come un fantasma. Le sventolò il portachiavi in faccia e la ringraziò ancora per averglielo regalato, attenta che con una zampata Biancopelo non glielo acciuffasse. «Hai già aiuto. A più tardi».
Kara ansimò, vedendola andar via.

Alex cambiò posto con Kara, portandosi dietro entrambe il proprio cuscino. La prima chiese a Lena se avesse preferito stare lei da sola nella sua stanza, ma se Kara non parlava nel sonno avrebbe scoperto che non era vero e avrebbe fatto domande. Era meglio non lasciarle motivo di fare domande. E, comunque, appena Lillian udì la proposta di farla stare da sola mise su una faccia strana e non volevano approfondire la questione. Dopo il bagnetto a Biancopelo e qualche scatto, Kara, Alex e Lena scelsero la foto che secondo loro era perfetta per il volantino ed Eliza la promosse, così allestirono un volantino al computer e salvarono un file che Eliza e Lillian portarono a stampare. Avevano cinquanta volantini da affiggere per le strade. Lillian sembrava eccitata nel fare una cosa tanto banale ma per lei curiosa e lei ed Eliza fecero coppia, anche perché con molta probabilità, da sola, la prima si sarebbe persa; non conosceva molte altre vie oltre a quella che portava alla stazione, al market e alla loro casa.
«Sarai la mia compagna in quest'avventura?». Lena si avvicinò a Kara cautamente. Anche lei avrebbe avuto bisogno di aiuto perché non conosceva il posto.
«Certo».
«Perfetto, compagne! Cominciamo a partire, voglio coprire più zone possibili: riportiamo Biancopelo a casa», esclamò Alex di colpo, mettendosi tra loro. «Kara, lo porti tu? Non possiamo lasciarlo solo».
Non che non gradissero la sua compagnia, ma entrambe in cuor loro speravano di stare da sole. Dovevano parlare e chiarirsi, per quel cambio di camera che disturbava entrambe e di come non avrebbe dovuto, oltre che del loro momento. Se non altro, Alex si allontanava spesso per appendere dei volantini anche dall'altra parte della strada, lei a sinistra e loro a destra. Kara chiese a un commerciante se potevano attaccare un volantino nella sua vetrina e lui accettò. Speravano di ritrovare presto la sua famiglia.
Guardò il volantino e baciò in testa il gattino, sotto lo sguardo di Lena.
«Posso?».
Kara si voltò e la vide con il cellulare pronto a scattarle una foto. Sorrise, abbracciando Biancopelo.
Mentre scattava, ripensava che avrebbe dovuto parlare a Lena non solo del loro bacio, ma anche del suo futuro. Le aveva preso un appuntamento alla CatCo, e non stava nella pelle, ma non poteva accettare ora che ci aveva riflettuto a mente lucida. Doveva dirglielo e non sapeva come. «Avremo un ricordo», disse Kara e si avvicinò. Guardò la foto e Lena guardo lei. «È venuta bene». Alzò gli occhi e si ritrovò lo sguardo di lei sul suo viso. Erano così vicine. Di nuovo così vicine. A quel punto forse non importava cosa sarebbe successo. Si scambiarono uno sguardo e ognuna fissò le labbra dell'altra, di nuovo gli occhi e poi le labbra. Erano così vicine.
Con una zampata, Biancopelo colpì il cellulare che cadde sul marciapiede, distraendo entrambe.
«Cos'è successo, ragazze?». Alex comparve dietro di loro. Per fortuna, non sembrava aver visto nulla. «Biancopelo fa danni? Lo prendo io». Prese loro il gatto e Kara guardò Lena una volta, una volta sola, arrossendo, e poi seguì sua sorella.
Riflettendo sul cambio camera, forse stare distanti si sarebbe rivelato ciò che serviva.
Avevano distribuito i volantini ed erano tornate a casa soddisfatte tutte a parte Lillian, che aveva le caviglie gonfie per aver camminato tanto e averlo fatto con i tacchi ai piedi. Ma cambiò espressione di colpo quando Eliza le disse che le avrebbe fatto i massaggi e le loro figlie sparirono dal soggiorno.
Alex era molto più ordinata rispetto a Kara: si sistemò il letto, gonfiò il cuscino e le augurò la buonanotte. Ma Lena non riusciva a dormire. Giocherellava con il suo portachiavi e pensava che avrebbero potuto farlo, che avrebbero potuto farlo davvero e che avrebbero pensato poi alle conseguenze. Preferiva analizzare la situazione sempre prima di agire, ma ora non riusciva a non pensare che avrebbero potuto rischiare. Dopotutto volevano solo baciarsi, non c'era davvero niente di male. Si alzò e si stirò le braccia, facendo attenzione a non far chiasso. Aprì la porta, voleva fare due passi, quando si ritrovò Biancopelo fra i piedi, facendo le fusa. Alzò gli occhi e lei era lì, appoggiata al muro.
«Cosa fai?», sussurrò, prendendo Biancopelo in braccio.
«A-Avevo bisogno di un po' d'aria…», sospirò con imbarazzo, dondolando sui talloni. «E Biancopelo non vuole dormire».
«Biancopelo non vuole dormire? Senti, Kara, fai di nuovo cambio con Alex. Non è successo nulla, tra noi, no?». Lo avrebbe voluto. Ci stava pensando proprio in quell'istante. Ci pensava quasi di continuo, se non fosse per la questione di suo padre.
Lei sorrise, abbassando lo sguardo. «La camera di Alex sembra una prigione russa». Lena cominciò a camminare verso di lei con un sorriso e sentì il sangue ritirarsi, mentre il suo cuore accelerava i battiti. Le lasciò Biancopelo tra le braccia e si toccarono e non importava se lui, stufo di fare il loro peluche, le avesse graffiate per dispetto, perché loro erano di nuovo lì, vicine. «Va bene. Domani le chiedo di fare di nuovo cambio».
«Perfetto».
Si avvicinarono ancora, il respiro di una batteva sul mento dell'altra, ma si staccarono di colpo quando udirono delle voci e una corsa sfrenata verso di loro.
«Il procione è tornato!», gridò Eliza, passando in mezzo a loro per il corridoio.


***


Da Me a Kal
Ehi, Kal! Sono io, lo sai. Cosa ne pensi di venire a stare un po' da me in questi giorni? Potrai conoscere la mia famiglia…
Da Kal a Me
Non no se sia una buona idea, Kara.
Da Me a Kal
Perché?
Da Kal a Me
Devo andare, adesso. Ci sentiamo più tardi.
Kara sbuffò con delusione, lasciando senza energie il cellulare sul tavolo e gettandosi di peso sulla sedia. Eliza la colse in abbraccio sulle spalle, chiedendole come mai fosse tanto giù. «Kal non viene. Cioè, non lo ha detto proprio così, ma era quello che intendeva».
«Mi dispiace, tesoro. Troverete un altro modo per vedervi».
«Ma non così, avrei voluto che conoscesse voi…».
«Me e Alex, o anche Lillian e Lena?», le chiese, lasciandola andare e sedendosi al suo fianco, guardandola.
«Beh…». Non sapeva cosa rispondere. Di certo avrebbe voluto fargli conoscere lei e Alex, ma conosceva già Lena e non sembravano avere un buonissimo rapporto se lui non la chiamava per nome, e probabilmente conosceva anche già Lillian, madre sua e di Lex. Doveva essere successo qualcosa tra lui e il ragazzo ma non sapeva cosa. «Sono stata troppo avventata, non è vero?».
«Forse lui non se la sente… Dagli del tempo», le sorrise. «Si potrebbe iniziare pian piano, vederci fuori di casa, non tutte insieme… Adesso che ti ha ritrovata non vuole che tu vada via dalla sua vita, non preoccuparti», le carezzò una guancia e lei le regalò un sorriso.
Lena entrò in cucina con Biancopelo che, a pancia all'aria, si faceva fare le coccole. Eliza si alzò, carezzò il gattino e uscì, così la ragazza prese il suo posto sulla sedia lasciata vuota. Carezzava Biancopelo ma guardava Kara. Quest'ultima invece fece finta di niente, arrossendo e restando immobile.
«Stavo pensando… Hai rimediato un colloquio per me perché la signora Grant ti doveva un favore. Che favore era? Se posso chiederlo».
«Vuoi parlare di questo?».
Kara annuì lentamente e non si scollò dalla sua posizione, senza guardare l'altra negli occhi. Senza provare a fare il minimo movimento. Sentì Lena sospirare, mentre Biancopelo miagolava e ricercava il contatto con le sue mani, dopo che si era distratta.
«Va bene. Le ho fatto conoscere tuo cugino».
«Cosa?». Gridò e si spostò tanto velocemente che il gatto salto dalle braccia di Lena e fuggì via dalla cucina. «In che senso?».
Lena rise. «Calmati! Cat Grant ha una specie di…», strinse le labbra, pensandoci, «passione per tuo cugino. Fossi in te proverei a dirle che siete cugini e il posto è tuo», sorrise ma Kara era ancora a bocca aperta. «Dai, stavo scherzando», le sorrise e Kara si ritrovò a fissarle le labbra, quella labbra che, se voleva, potevano davvero essere sue, adesso.
«A proposito di questo: i-io sono davvero felice che tu mi abbia fatto avere quell'appuntamento, davvero, non so come… come dirtelo», si leccò le labbra, cercando di restare concentrata, e finalmente la guardò negli occhi.
«Ma?».
«Ma non posso accettare». Kara deglutì e Lena mantenne saldo il suo sorriso, aspettando che chiarisca. «Lei ha accettato solo perché, non so se questa cosa mi farà dormire, le hai presentato Kal, ma i-io vorrei… vorrei essermelo guadagnato un appuntamento con Cat Grant». Lena sembrò sorriderle ancor di più, i suoi occhi brillavano, e Kara non riuscì a capire se la stesse effettivamente ascoltando o se volesse solo provare a baciarla di nuovo. «Davvero. Mi dispiace e ti ringrazio», scosse la testa, «Ma non posso farlo».
«Tu te lo sei guadagnato», le rispose, «Davvero pensavi che ti avrei preso un appuntamento con lei solo perché la conosco? O perché mi dovesse un favore? Mi ha ascoltato senza appuntamento: con questo ha ricambiato il favore. Ha accettato un appuntamento con te solo quando le ho spiegato cosa hai fatto per me e Lex. Ha visto anche lei cos'è successo alla Luthor Corp e ha approvato degli articoli al riguardo, ma non sapeva che tu avessi lavorato con noi al caso. Sei stata tu, Kara Danvers, a farti avere quell'appuntamento. Non mi sarei mai permessa, al contrario».
Restò senza fiato e arrossì, tanto che Lena dovette ripetere che era stato merito suo e che Cat Grant non avrebbe mai accettato, diversamente. «Oh, beh… in questo caso», rise a voce un po' troppo alta, cercando di concentrarsi. «Accetto. Allora. Se questo è risolto… I-Io volevo… Dovevamo…».
«Dovevamo», annuì Lena. Si avvicinò automaticamente prima che se ne rendesse conto e Kara si spostò di scatto, mordendosi la lingua e strisciando indietro con la sedia.
«Devo… andare». Si alzò rapidamente e sbatté le ginocchia contro il tavolo, così torno a sedere e si rialzò con più calma, attenta a non sbattere di nuovo che incastrò un piede contro la sedia. Rise istericamente e riuscì a rimettersi bene in piedi, la guardò, le sorrise con forza e uscì dalla cucina.
Lena scosse la testa e rise a bassa voce, reggendo la testa con una mano dopo aver poggiato il gomito sul tavolo.
Kara ricambiava, ma non poteva saltarle addosso. Forse anche lei, come dopotutto Lena, si sentiva confusa. Sapeva solo che non l'avrebbe forzata e qualsiasi cosa sarebbe successa, ne avrebbero discusso dopo. Kara e Biancopelo erano riusciti a distrarla, ma il suo pensiero, a volte, tornava ancora lì. A lui.
Si svegliò sudata, quella notte, guardandosi intorno. C'era di nuovo Kara in camera con lei: lei e Biancopelo dormivano profondamente. Sollevò il lenzuolo e prese il laptop dal suo comodino, aprendo e chiudendo la porta della camera dietro di lei. Accese il portatile, sistemandosi sul divano in soggiorno. Era certa di aver sognato suo padre, il suo sguardo duro, eppure ancora respirava con affanno, non più certa che fosse un sogno, quanto piuttosto un incubo. Si portò due dita di una mano contro le labbra, socchiudendo gli occhi nel rileggere per l'ennesima volta gli articoli di giornale che parlavano della morte di suo padre.
«Come mai in piedi a quest'ora?».
La voce di Alex, alle sue spalle, la fece sobbalzare.
«Ehi, ti senti bene?», si avvicinò, scoprendo, sotto la luce del laptop, la sua cera bianca. Le poggiò una mano su una spalla, adocchiando gli articoli sullo schermo del portatile.
«So cosa stai pensando», disse lei lapidale, abbassando lo schermo.
«No, non lo so». Rispose Alex, sedendo vicino a lei. «Vuoi provare a parlarmene?».
A quel punto, Lena aveva davanti a sé due scelte: raccontarle la verità o scappare. Ma stava ancora sudando, aveva impresso nella mente gli occhi di suo padre che aveva visto in sogno, ed era spaventata. Sapeva di non dover mettere in mezzo nessun altro, ma in quell'attimo, sola e fragile, pensò egoisticamente che dirlo a lei fosse un modo per aiutarsi. Così iniziò lentamente e le disse tutto ciò che le passava per la testa, della caduta da cavallo, della morte improvvisa, di come sospettasse del rapporto del coroner perché lo stesso coroner non era rintracciabile, delle sparizioni, delle porte chiuse in faccia davanti alle sue domande, di come sua madre sembrava aver insabbiato tutto. Omise di aver parlato con la ex segretaria di Lillian solo perché non voleva metterla in mezzo.
Alex ascoltò ogni parola, appoggiandosi allo schienale con divano con shock. Poi sembrò essere arrivata a una conclusione. «Se vuoi un consiglio, Lena: per il momento, cerca di farti da parte». La vide aggrottare le sopracciglia, contrariata. «Ho capito cosa stai passando, ma se tua madre stessa ti ha nascosto la verità, come pensi che sia, avrà le sue buone ragioni per farlo. Al di là del vostro rapporto», la fermò, prima che potesse contraddirla, «non metto in dubbio che abbiate dei cattivi trascorsi, lo farà per il tuo bene. Se davvero tuo padre è stato assassinato, come tutto ciò che mi hai raccontato fa pensare, allora salterà fuori».
«Sta passando un anno, Alex. Sembra che a tutti piaccia pensare che lui sia stato semplicemente male e sia morto».
Lei la guardò dritta negli occhi chiari, poggiandole una mano sulle sue, che ancora tremavano. «Hai ragione. Ma Lena, se qualcuno ha ucciso tuo padre e sta facendo sparire la gente che ha avuto a che fare con lui, potrebbe uccidere anche te. Te lo chiedo per favore: lascia perdere».
«Pensi che dovrei… dovrei dire ciò che so alla polizia? Può essere corrotta…».
«No», scosse la testa, «Non farne parola con nessuno; e intendo anche con Kara. È troppo pericoloso. Ed è ancora presto, facciamo passare un po' di tempo e poi vedremo cosa succede».
Lena la ringraziò, spegnendo il laptop. Si divisero: Alex andò in bagno, che doveva essere il motivo per cui si era alzata, e Lena rientrò in camera. Kara era ancora sul bordo del letto e Biancopelo stirava le zampette marroni contro il suo collo. Si fermò a guardarla, sedendo sul letto davanti. Sapeva che non avrebbe potuto coinvolgere Kara, pensò, e fu grata ad Alex, ma non avrebbe seguito il suo consiglio.





























***

Capitoooolo lungo! 14 pagine e mezzo, spero non vi siate addormentati a metà >__<
Sono successe un bel po' di cose oltre al toccante incontro dei due cugini dopo tanto tempo, come Lena che ha ormai imboccato un percorso che spera la porterà a capire cos'è successo a suo padre, e qui alla triste scena finale con Alex che cerca di persuaderla a non continuare. Abbiamo conosciuto Leslie Willis, che spero di caratterizzare bene. Siamo tornati a casa Danvers-Luthor con una nuova luce nell'aria…e Kara ha perfino fatto un regalo a Lena! È proprio vero che a volte basta il pensiero, e Lena di certo ci sta pensando! Senza contare che le ha rimediato un appuntamento alla CatCo. E sì, anche Kara e Lena che si sono quasi baciate qualche volta. Quasi. C'erano davvero quasi. Ma potrebbe essere tutto così semplice? Nah :3 Se non altro hanno capito entrambe che ricambiano, che ricambiano eccome. E non dimentichiamo il procione. 
La vera star del capitolo, in ogni caso, per me è Biancopelo! :D

Sondaggio!! Secondo momento sondaggio!
Come saprete, sono ancora in fase di scrittura. Sono più avanti di capitoli e quindi, man mano che scrivo, mi vengono in mente certe cose e come potrei svilupparle. Questo a volte implica per forza di cose un cambiamento rispetto all'idea di base, quindi ecco perché il sondaggio! È giusto che siate voi, in questo caso, a dirmi se posso o no cambiare.
Il sondaggio riguarda il rating. Avevo da subito capito come sarebbe andata avanti la storia, ma credevo di cavarmela col rating giallo, invece ora sono al punto in cui mi chiedo se non sia il caso di alzare ad arancione. No, non per quello che immaginate, birbantelli, ma per le tematiche violente (non aspettatevi comunque chissà che). In verità dovrei cavarmela sotto il segno del giallo, ma se sapessi di poter andare tranquilla… insomma, non si sa mai. E lo stesso in quel caso mi tornerebbe utile anche per le tematiche sessuali :>
Solitamente farei di testa mia e tanti saluti, ma essendo la storia in corso, voi avendola iniziata a leggere con quello giallo ed essendo il rating una cosa importante… Voglio rendervi partecipi. Se preferite il rating giallo non preoccupatevi che mi adeguerò di conseguenza ;)

Il prossimo capitolo si intitola La linea sottile e sarà pubblicato venerdì 11!




Ah… e chi è Jamie? °°


   
 
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