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Autore: Ghen    10/05/2018    9 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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12. La linea sottile


«Amiche?», propose Kara, mostrandole la mano destra.
«Amiche», annuì Lena che le strinse la mano.
Si sorrisero, si guardarono. Lena si morse il labbro inferiore e Kara deglutì. Le loro mani ancora unite. I loro nasi si sfiorarono. Le loro bocche…
«Ragazze? Ci aiutate a scegliere un film da vedere tutte insieme?». Eliza urlò attraverso la casa e le due si separarono all'istante, come se avessero preso la scossa.
Si guardarono, guardarono altrove, e poi uscirono dalla camera una dietro l'altra.
Durante la settimana erano successe alcune cose. Prima di tutto, Biancopelo aveva ritrovato la sua famiglia, lasciando un vuoto enorme nei loro cuori e nel letto di Kara, che aveva deciso di riempire tenendo con sé un vecchio peluche che aveva usato quando era bambina per non sentirsi sola i primi anni a casa Danvers. Era un orsacchiotto bianco un po' spelacchiato, ritrovato in soffitta in mezzo ad altre cianfrusaglie. La seconda cosa, infatti, era che si sarebbe presto tenuto un mercatino nel quartiere ed Eliza si era decisa a buttare giù la soffitta e tutto ciò che conteneva. Lillian se ne era tenuta ben lontana quando capì che i vecchi oggetti avevano con loro anche tanta polvere, ma di tanto in tanto la si poteva scorgere guardare ciò che Eliza, Alex e Kara, aiutate da Lena, controllavano, esaminando con occhio clinico se qualcosa poteva tornarle utile, pronta a intervenire.
«Sembra un condor», aveva sussurrato Alex e lei e Kara si erano messe a ridacchiare sottovoce, guardate male da Eliza, che le aveva bacchettate con un vecchio battipanni.
La terza cosa aveva visto la famiglia Danvers-Luthor di nuovo in piscina. Le giornate si facevano calde e smaniavano dalla voglia di rinfrescarsi. Come al solito, Eliza e Lillian avevano trascorso il loro tempo a passarsi la crema a vicenda, a chiacchierare e a leggere delle riviste, Alex era sparita da sola per delle ore e nessuno l'aveva più vista; avevano tutti notato quanto stesse appresso al suo cellulare più del solito, da qualche giorno a quella parte. Mentre Kara e Lena erano finalmente riuscite a stare un po' da sole e a parlare. La quarta cosa, infatti, era che erano riuscite a discutere di ciò che era quasi successo e continuava a quasi succedere; avevano parlato del loro rapporto, avevano parlato di cosa cambierebbe e si erano messe d'accordo: dovevano diventare amiche. Ma come inizio non era stato dei migliori. Un bambino le aveva schizzate e, per girarsi verso di lui, Kara era scivolata sulle mattonelle bagnate e per poco non era cascata sul seno di Lena. Si erano guardate e desiderate, così stavano per sfiorarsi le labbra, quando il bambino le aveva schizzate di nuovo, si mossero e caddero in piscina. La quinta cosa, era che, fortuna o sfortuna che fosse, non riuscivano mai a baciarsi e in un modo o nell'altro i loro tentativi finivano per venire interrotti. Forse era meglio così, d'altronde dopo potevano tornare alla loro fase sull'amicizia.
«Amiche?».
«Amiche».
Si erano tenute per mano, uscendo dall'acqua.
La sesta e ultima cosa, per lo sconforto di Lillian ed Eliza: il procione non si era fatto trovare.
Eliza le vide arrivare dal corridoio e applaudì. «Un film divertente, ragazze. Un film per famiglie. Qualcosa-», fu interrotta da una sghignazzante Alex:
«Sulla famiglia».
«Per famiglie», continuò Kara.
«Per famiglie? Siete sicure?», aggiunse anche Lena, sorridendo.
Eliza rise sarcasticamente, ordinando a tutte di mettersi a sedere sul divano e di starsi zitte, che a quel punto il film lo avrebbe scelto lei. Per quanto Eliza si sforzasse per trovare qualcosa di divertente e per famiglie, finiva sempre per mettere play a film sì divertenti e per famiglie, ma pregni di drammi che a uno spettatore attento non potevano passare inosservati e, dopo il film della sera precedente con protagonista un anziano scorbutico che si metteva in viaggio verso il Sud America con un bambino, nel ricordo della defunta moglie, quello non fu da meno: un padre single doveva ritrovare il figlio disabile che si era perduto e poi rapito e, in suo aiuto, solo una donna con problemi mentali. Alex guardava il film a scatti perché presa dal suo cellulare, all'angolo destro del divano. Kara era al lato opposto ed era attentissima, amava quel film. Lena al centro; attenta al film e al contempo altrove con la testa. Eliza e Lillian erano abbracciate su una delle comode poltrone; la prima rideva e la seconda era immobile, con gli occhi sgranati per non perdersi neanche una scena, colpita nel profondo.
Kara rise e arrossì, rendendosi conto che, vicino alla sua mano destra, c'era quella di Lena. Nel sentirla muovere doveva essersene accorta anche lei, perché le carezzò il dorso con il pollice. Non si guardarono, non fecero niente più di guardare il film, se non intrecciare le dita l'un l'altra. Nessuno le poteva vedere, era una cosa innocente, se lo concessero. Se non che i loro cuori, veloci, le tradivano: non era vero che era un gesto poi così innocente e lo sapevano entrambe.
Andarono a letto senza guardarsi quella notte, poiché erano consce che farlo avrebbe messo a rischio le ore a seguire.

All'improvviso, era come essersi accorte che erano i due pezzi opposti di una calamita. Si cercavano a ogni sguardo, si mettevano sempre vicine, si sorridevano e facevano squadra nelle discussioni, se le loro mani si sfioravano per errore a tavola Kara scattava indietro e Lena sospirava, ma solo se nessuno le guardava, naturalmente, la prima stava ben attenta a come si comportava quando non erano sole.
«Anche se c'è una certa… attrazione, tra noi, puoi star tranquilla: loro non lo vedranno», le disse Lena un pomeriggio mentre stava seduta sul suo letto, davanti al portatile poggiato sulle cosce.
Era entrata nella loro camera in comune per cercare qualcosa, non sapeva cosa, lo aveva dimenticato non appena si ritrovò a cercarlo, guardando tra trolley, scrivania e letto. Forse, pensava Kara, era lì solo per vedere cosa faceva lei. «Ho paura che Alex sospetti qualcosa», sussurrò, rimettendosi a posto gli occhiali sul naso. Sentì Lena ridacchiare piano, non staccando occhio dallo schermo.
«Ammettiamolo: non sei certo la regina della faccia da poker», si morse un labbro.
Kara sbuffò, sedendo sul suo letto. Manteneva lo sguardo basso. «Non è solo quello: Alex mi conosce troppo bene e poi sapeva c-che tu, insomma, flirtavi con me e temo lo capisca».
Lena sollevò lo sguardo, inarcando un sopracciglio. «E Alex conosce così bene anche me o come fa a sapere una cosa del genere?», sorrise, «Non è qualcosa che viene in mente subito».
Kara avvampò, stringendo il copriletto sotto le dita delle mani in tensione. «Q-Qualcuno potrebbe averglielo detto, ma non è questo il punto». Si alzò di scatto e s'incamminò verso la porta. La aprì e poi la richiuse poco dopo, voltandosi verso di lei, sorridendo. «Come… Come fai a dire che non lo vedranno?», si sistemò gli occhiali un'altra volta, cercando di non fissarla troppo.
«L'essere umano a volte vede solo ciò che vuole vedere. Potresti indossare una calzamaglia, toglierti gli occhiali o, che so, tenere i capelli sciolti e essere più sicura di te, andare là fuori e sventare il crimine che nessuno vedrebbe Kara Danvers, ma un'eroina ignota. Perché nessuno si aspetterebbe di vedere te, che sei…», la guardò, «Mi hai capito», si voltò di nuovo verso lo schermo. «Un po' come quando giochi a lacrosse e diventi Supergirl. Siamo solo… sorelle. Amiche. Potremmo», si morse un labbr0 di nuovo, rialzando lo sguardo verso di lei, che la guardava, «avere una relazione sotto i loro nasi che non sospetterebbero niente».
Kara deglutì, arrossendo. «Cosa fai?».
«Cerco un film da vedere. Non so cosa fare e ho voglia di non pensare», si spostò da un lato del letto, facendole il gesto di sedersi accanto. «Se vuoi, puoi guardarlo con me».
Kara le arrivò vicino piano, ignorando il suo cuore che aveva iniziato a farsi sentire più forte. Le sorrise e cercò di sistemarsi, mentre Lena annunciava di aver trovato un film che le andava di vedere, chiedendole se per lei andava bene. A Kara sarebbe andato bene qualsiasi cosa, in quel momento. «… credi che non sospetterebbero niente?».
«La stai considerando come possibile?». La guardò negli occhi e poi le labbra, di nuovo gli occhi.
«N-No», rise, abbassando la testa e risistemandosi gli occhiali che le erano scivolati. «È-È che non so cosa…», la guardò attentamente, intanto che le sue guance si coloravano con imbarazzo, «cosa ci succede».
Lena stava per aggiungere qualcosa ma si trattenne. Sapeva che doveva tirarsi indietro in quel momento, in quel momento o sarebbe stato tardi, ma le sue labbra…
La porta si aprì all'improvviso e Kara si spinse indietro, troppo indietro: cadde dal letto, schivò il comodino, ma una scarpa di Lena le tatuò una natica e cominciò a lamentarsi dal dolore.
Alex rise e contagiò anche Lena, decisa a non farlo. «Scusa, sorellina! Ti sei fatta male?».
«Appena», si rialzò con dolore, fregandosi il punto dolorante, guardando con rancore la scarpa incriminata.
«Come hai fatto a scivolare?», trattenne un'altra risata. «Volevo sapere se vi andava di uscire, più tardi. Cosa fate?».
«Volevamo vederci un film. Ti unisci a noi?», propose Lena e Kara la guardò di straforo.
«Volentieri. Porto la pizza».
Sparì dietro la porta e Lena sorrise a Kara, ancora confusa. «Come ti avevo detto: non sospetterebbero niente».
Nonostante la tensione tra loro, era la calma ciò che contraddistingueva Lena, a dispetto dell'agitazione perenne di Kara. Era davvero sicura che nessuna delle altre tre avrebbe sospettato che qualcosa stesse succedendo tra loro anche se qualcosa avesse iniziato a succedere davvero, ma Kara non riusciva a convincersene. Se si toglieva gli occhiali e scioglieva i capelli, era sempre lei ciò che vedeva allo specchio.
Da Me a Megs
Megan! In un'ipotetica situazione in cui tu e il signor Jonzz non state insieme, lui ti guarda e vorrebbe baciarti, tu lo guardi e vorresti baciarlo, cosa faresti?
La risposta non si fece attendere: Baciato. Non è così ipotetica: è ciò che è successo. Baciala, ragazza. Dacci dentro.
Da Me a Megs
Ecco perché solitamente chiedo consiglio ad Alex!
Da Megs a Me
Allora fallo: “Alex, sto desiderando di baciare la nostra sorellastra, tu cosa ne pensi?”. Se vuoi glielo chiedo io, ho il suo numero ancora in rubrica.
Da Me a Megs
Grazie per i tuoi consigli, ti voglio bene e buonanotte.
Kara grugnì, poggiando il telefono sul mobiletto del bagno, prendendo un grosso respiro e guardandosi allo specchio. Si lisciò i capelli un po' di volte, si guardò meglio il viso, avvicinandosi; si toccò il naso, le labbra, gesto seguito da una smorfia. Non si era ancora chiesta perché Lena volesse baciarla. La trovava così bella? In effetti, avevano parlato di ciò che era cambiato tra loro, di come entrambe sentissero il bisogno di toccare l'una le labbra dell'altra, ma non avevano parlato del perché. Dei sentimenti. Forse era meglio così perché parlarne avrebbe rischiato di aggiungere motivazioni a ciò che stava succedendo e non doveva succedere. Erano amiche. O dovevano diventarlo.
Fece un passo indietro, specchiandosi ancora, immobile, disegnando con gli occhi la sua figura. I capelli sciolti che le coprivano le spalle, la pelle un poco arrossata sulle guance e sul naso, che aveva la gobbetta per gli occhiali, le labbra rosa, schiuse, le spalle sotto la maglietta a quadri che scendeva larga sul seno e sulla pancia. Lena la trovava bella?
Alex bussò e aprì la porta senza aspettare risposta, affrettandosi verso il lavandino. Kara si spaventò come se l'avesse sorpresa a baciare Lena col pensiero. «Scusa, sorellina, ma ci stai mettendo una vita e devo andare a dormire anch'io», si piegò per risciacquarsi la faccia. «Quando io entro in bagno, comunque, tu ci sei sempre, quindi…». La guardò con la coda dell'occhio, intanto che si asciugava: era ancora imbambolata a guardarsi e sospirava. «Stai bene?».
«Sì».
«Non ti rivedi con Mike, vero?».
«No, perc-», si bloccò, immaginando la sua paura che si concretizzava: Alex sospettava ci fosse qualcuno ed era meglio giocare d'astuzia e non darle domande a cui farsi delle risposte. «Non mi vedo con nessuno: ho chiuso con i ragazzi». Riprese il cellulare e le annunciò la buonanotte, chiudendo la porta del bagno dietro di lei. «Chiuso con i ragazzi», ripeté sottovoce roteando gli occhi, mordendosi la lingua. «Alex sa», fu la prima cosa che disse non appena aprì la porta della loro camera in comune, prima ancora di vedere che la luce era spenta e che Lena, a letto, era girata da un lato con gli occhi chiusi. Strinse i denti, iniziando a camminare con la punta dei talloni verso il suo letto.
«Cosa sa?».
Saltò dallo spavento e incastrò un piede nel tappeto, sbattendo le ginocchia sul pavimento.
Lena accese la luce del suo comodino, alzandosi il tanto giusto per vederla baciare una ciabatta. Trattenne una risata. «Stai bene, Kara?».
«C-Certo», si rialzò scuotendo la testa, davvero in imbarazzo. «Pensavo dormissi, mi hai fatto prendere un colpo». La sentì ridere, intanto che si copriva di nuovo. «Sa che sono presa da qualcuno», confessò senza mezzi termini, sistemando il letto per entrare sotto le lenzuola color pesca. «Comincia a fare domande».
«Quindi sei… presa da qualcuno?».
Kara si girò, scorgendole il sorrisetto che tentava di nascondere sotto il lenzuolo. «Da un'amica», ribatté, sistemandosi sul letto e abbracciando il suo peluche, sotto lo sguardo concentrato dell'altra.
Entrambe volevano dire qualcosa, ma infine Lena spense la luce e si diedero la buonanotte.
No, era meglio non parlarne, tacere, resistere quei giorni per poi tornare a National City senza il bisogno di incontrarsi tanto spesso e lasciare che la cosa passasse da sola. Anche se fino a quel momento era il loro obiettivo e non era passata. Ci stavano lavorando. Erano amiche, in fondo, lo sapevano; dovevano solo concentrarsi su quella parte del loro rapporto e lasciar andare l'altra che le voleva vicine in un senso più romantico ad ogni costo. Probabilmente era solo la magia del proibito ad attrarle, ma dopotutto non erano riuscite a baciarsi mai e significava pur qualcosa: non era il destino, semplicemente la linea che divideva l'amicizia dal quel qualcosa di più.
Il giorno dopo si tenne il mercatino e le ragazze aiutarono Eliza e Lillian, che più che altro fotografava il lavoro, ad allestire i tavoli nel vialetto. Eliza guardava il lavoro davanti alle case degli altri e le loro bancarelle, continuando a fare paragoni con quello che stavano facendo loro. Salutò qualche vicina e loro ricambiavano, ma non osavano avvicinarsi da quando Lillian Luthor andò ad abitare con lei, immaginando la temessero come altri prima di loro, giudicandola senza conoscerla.
«Speriamo di attirare qualcuno», sospirò Eliza, mettendo le mani contro i fianchi a lavoro terminato, guardandosi intorno. Il sole spaccava le pietre ma i cittadini lasciavano le loro abitazioni come lumache dopo la pioggia, sperando di poter cogliere qualche opportunità nelle cianfrusaglie che vendevano i vicini.
«Dunque», Lillian apparve al suo fianco, «La gente del quartiere si sveglia e si aggira per le vie con portafogli in mano per arruffare dalle bancarelle qualcosa che il proprietario considera uno scarto», annuì da sola, scorgendo la gente che cominciava ad avvicinarsi, parlava, si salutava e controllava gli oggetti in vendita. «Ho capito bene come funziona?».
Eliza le sorrise. «Ssì… diciamo che più o meno è così. Se vuoi, e se le ragazze acconsentono, più tardi lasciamo loro qui a vendere e noi andiamo a farci un giro per vedere cosa stanno vendendo gli altri, che ne pensi?».
«Penso che con te andrei ovunque», disse con decisione ed Eliza le picchiettò un braccio con imbarazzo intanto che Lillian scambiava con le vicine dall'altra parte della strada occhiate d'odio e di sfida.
Le ragazze, invece, sistemavano l'ordine di alcuni soprammobili con le ultime accortezze, lasciandosi andare, di tanto in tanto, a qualche ricordo: Alex riprese una vecchia tazza che usava quando era bambina per fare colazione, Kara un bambolotto che era stato uno dei suoi primi giocattoli a casa Danvers, Alex ricordò del periodo in cui la loro madre si era messa in testa di scrivere un libro scientifico con quella vecchia macchina da scrivere e Kara rise, mostrando a Lena una vecchia lampada per bambini che proiettava le stelle sul soffitto. Era rotta e di certo non l'avrebbero venduta.
«No, che peccato. Me la ricordo», esclamò Alex appena la vide, pulendola da un ultimo sbuffetto di polvere rimasto incastrato nel pulsante di accensione. «Kara ed io chiudevamo le tapparelle, accendevamo la lampada e ci sdraiavamo sul pavimento a osservare le stelle che giravano intorno a noi».
Kara le sorrise. «All'inizio, ti lamentavi di essere troppo grande per questa lampada».
«E per vedere le stelle con te, sì», annuì, «Penso ancora che ero troppo grande, e ora che ci penso lo eri anche tu, ma era divertente».
Si scambiarono un sorriso e Lena sorrise a sua volta.
«A Kara piacevano un sacco le stelle».
«Mi piacciono ancora adesso».
Lena si allontanò, lasciando che ricordassero di quei momenti da sole. Era pur vero che desiderava allontanarsi prima che l'istinto di comprare lei la lampada e aggiustargliela solo per vedere il suo sorriso di fronte alle stelle sulle pareti si concretizzasse. Avrebbe corso il rischio di sostituire il bel ricordo del loro legame, e non era giusto, oltre a rendere Kara di nuovo in debito con lei. Non che pensasse davvero una cosa del genere, ma già immaginava la ragazza che le ricordava che per lei faceva troppo. Per un'amica faceva troppo. Forse anche per una sorella. Mise la mano destra nella tasca dei pantaloncini ed estrasse la palletta fuxia che le sorrideva, con il portachiavi, ripensando che tutto quello era decisamente troppo.

Da Kal a Me
Kara. Ti chiedo scusa per aver rifiutato di venire da te, non vorrei pensassi che non ho voglia di vederti o che non ne abbia di conoscere la tua famiglia…
Da Me a Kal
No, non preoccuparti! Ero così felice di invitarti che non ho pensato di stare affrettando le cose! Ci possiamo vedere quando vuoi!
Da Kal a Me
A proposito di questo, ti scrivo per invitarti. Ti andrebbe di venire tu a casa mia, a Metropolis? Prima che finiscano le vacanze estive, magari! Sarebbe bello averti con noi, puoi portare anche tua sorella. Ci farebbe piacere!
Kara sorrise, leggendo l'ultimo messaggio di suo cugino. Naturalmente con il parlare al plurale intendeva che avrebbe fatto piacere anche alla sua fidanzata e lei non vedeva l'ora di conoscerla.
Stava impalata davanti all'auto di Eliza, con il cellulare in mano. Alex le passò accanto per aprire lo sportello e la richiamò, mettendosi a ridere.
«Terra chiama Kara! Che hai da sorridere tanto, sorellina? Ti ha scritto il tuo nuovo ragazzo?».
«Non ho un nuovo ragazzo, te l'ho detto». Ripose il cellulare nella borsa che aveva a tracolla, scuotendo la testa. «Era Kal: ci ha invitato a passare da lui prima che finiscano le vacanze».
Lei immediatamente sospirò, stringendo le labbra. «Oh, non so se potrò esserci, devo tornare a casa prima del previsto: un professore vuole vedermi prima dell'inizio delle lezioni».
«Dici davvero?».
«Porta Lena», entrò in macchina, «E non ci credo che non hai un nuovo ragazzo: ti conosco troppo bene per non sapere che stai pensando a qualcuno».
Kara arrossì di colpo e trasalì, scoprendo che dietro di loro era apparsa Lena. Le passò davanti e salì in macchina prima di lei, con uno strano sorrisetto sulla faccia.
Dopo giorni di tentativi, finalmente Eliza convinse Lillian a provare la spiaggia, invece della solita piscina. Lillian Luthor odiava la sabbia e la sua incredibile dote di materializzarsi ovunque anche solo camminandoci sopra e raccontava con disgusto di quando da bambina la sua famiglia la portava là a giocare. Doveva essere stata l'unica bambina al mondo a non amare la sabbia. Eliza l'amava però, e quando disse alle loro figlie che sarebbero andate a trascorrere laggiù il pomeriggio, Lena pensò al miracolo. Addirittura scrisse a Lex, perché l'evento richiedeva la giusta importanza.
Kara chiuse lo sportello appena si fu seduta, scrutando, con la coda dell'occhio, che Lena sorrideva ancora come se fosse soddisfatta. Il loro essere amiche stava mettendo a dura prova entrambe, o almeno lo credeva, poiché sorridendo in quel modo sembrava che non le interessasse al suo stesso modo.
Lillian stava scegliendo la compilation da mettere in play nello stereo ed Eliza mise in moto, guardandosi indietro. «Avete preso tutto, ragazze?». Guardò ognuna di loro e, a risposta affermativa, partì per uscire dal vialetto.
«Seriamente», disse Alex a un certo punto, con lo sguardo rivolto al suo cellulare, «Perché non mi hai detto che frequenti un altro ragazzo? Se non è Mike…».
Lena guardò Kara in attesa di una risposta e quest'ultima avvampò, cercando di non cadere nella sua trappola. «Non ho un altro ragazzo».
«Frequenti qualcuno, Kara?», domandò anche Eliza. Lillian stava ancora cercando il cd adatt0, quindi non c'era della musica a coprire il loro discorso.
«Un ragazzo fortunato», mormorò anche quest'ultima.
«Non sto con nessuno», specificò, ricambiando lo sguardo di Lena, aggrottando le sopracciglia.
Alex sospirò. «Prima ci dicevamo sempre tutto, sorellina. Lo so che stai pensando a qualcuno, non vuoi parlarne davanti a loro, va bene, ma almeno tra noi…».
«Dice la sorella che non mi ha detto che avrebbe interrotto prima le vacanze».
«L'ho scoperto oggi anch'io», scrollò le spalle.
«Chi? Chi interrompe prima le vacanze?», sbottò Eliza. Lillian si fermò subito dallo sfogliare i cd.
«Io», sbuffò Alex, «Mi dispiace. Un professore mi ha chiamata e non posso dirgli di no. Anche Kara interrompe, no?», si voltò a guardarla.
«Vado a trovare Kal! Mi ha invitata a Metropolis e doveva venire anche Alex, ma lei non può…». Guardò di sbieco Lena, che aveva poggiato la testa allo schienale con fare rilassato.
Eliza e Lillian si scambiarono uno sguardo. Sorrisero comprensive, anche se palesemente dispiaciute.
Da Me a Kal
Non vedo l'ora! Ma Alex non potrà venire, è impegnata. Posso portare con me Lena?
Inviò e ripose il cellulare nella borsa, spingendosi un po' di più verso lo sportello. Non sapeva se fosse o meno la sua impressione, ma Lena e il suo seno erano diventati incredibilmente vicini. Indossava una canotta con spalline fini bianca, quasi trasparente poteva vedere il reggiseno rosso che indossava. Deglutì. «In effetti…», sussurrò, attirando l'attenzione suo e di Alex. «C'è una persona…». Ecco, decise in un lampo: era inutile tentare di mentire anche su quello, se era vero che comunque non riusciva a nasconderlo.
«Lo sapevo», sorrise Alex, «Dai, racconta»; indicò davanti a loro con gli occhi, a Lillian che aveva finalmente scelto un cd da ascoltare e a lei ed Eliza che discutevano, immaginando che non le avrebbero interrotte, proprio ora. Lena aveva gli occhi chiusi e Kara era certa che stesse fingendo di non ascoltare.
«Ma non so come comportarmi con… questa persona», ammise. La vide svegliarsi d'improvviso, come ricordata in quel momento di dover cercare qualcosa in borsa.
«In che senso? Stai parlando in codici? Vi frequentate oppure no?».
«No. È più complicato di così… È che non so cosa vuole, non la capisco. Stiamo provando a restare amiche con-con questa persona, ma continua a mandarmi segnali contrari, diciamo», alzò gli occhi.
Lena si mise gli occhiali da sole, richiudendo la borsetta. Per una curva le finì ancora più addosso e le chiese scusa, abbassandosi per recuperare la borsa che era scivolata ai piedi di Kara. Il seno le si spalmò contro le ginocchia e Kara prese un grosso respiro, cercando di focalizzarsi sullo sguardo smarrito di Alex.
«E tu non sei una cima, quando si tratta di segnali», rise la sorella, «Ma se sei sicura ci stia provando, cosa ti trattiene? Mike lo sa?».
«Mike non c'entra nulla», scosse la testa. Lena si rialzò, mantenendo la borsa sulle ginocchia. La vide sorridere con la coda dell'occhio; possibile che non prendesse la cosa seriamente? «Le sue parole, quando parla, dicono una cosa ma», si risistemò gli occhiali sul naso, «q-quello che fa è un'altra cosa. M-Mi mette in difficoltà».
«Se ti mette in difficoltà, forse dovresti dirglielo», rispose a un certo punto Lena e Kara arrossì, bloccandosi.
«Concordo», aggiunse Alex, riguardando per un attimo il suo cellulare. «Ma non mi hai ancora detto cosa ti trattiene, se non Mike», le rivolse di nuovo lo sguardo.
Una curva opposta sbandò Kara addosso a Lena e, cercando di scansarsi il più in fretta possibile, continuava a scivolarci sopra. Lena la aiutò e la mano destra di Kara era rimasta su quella sinistra di lei. Si guardarono. Poi Kara gliela lasciò, girandosi verso il finestrino. «N-Non posso stare con… questa persona», rispose.
Alex spalancò gli occhi, girando verso di lei e cercando di mantenere bassa la voce, guardando di sbieco Eliza e Lillian. «Ti prego, dimmi che non è un uomo sposato».
«No», gridò così forte che loro madri si bloccarono, riprendendo a parlare poco dopo. Lena sorrise divertita. «Non è un uomo. Sposato, intendo. Non è un uomo, né sposato. V-Voglio dire: no, non è sposato», si risistemò di nuovo gli occhiali, riprendendo fiato.
Alex rise, riservandole poi uno sguardo compassionevole. «Va bene, ne riparliamo dopo. A questo punto, di peggio può esserci solo se è un Luthor».
Kara scoppiò in una risata isterica, mentre Lena deglutiva. Per fortuna, Alex era davvero presa dal suo cellulare per dare il giusto peso alle loro reazioni. La sorella lo aveva detto per via della relazione della loro madre con Lillian, per come si erano svolte le cose, in fretta e in modo strano, non certo perché pensasse che potesse stare seriamente con un Luthor. O una Luthor. Nemmeno considerava l'ipotesi che potesse trattarsi di una lei; d'altronde era pur vero che con Alex aveva sempre e solo parlato di ragazzi. E le erano sempre piaciuti i ragazzi, ma non solo. E di quel non solo non ne aveva mai parlato, perché in un modo o nell'altro non era mai stata con qualcuno che non fosse un ragazzo.
Parcheggiarono nel parcheggio apposito e lasciarono la strada e poi l'area ciclabile, per entrare in spiaggia. Era enorme, c'era già tanta gente e il mare era mosso. Lillian fece in tempo a toccare la sabbia che cominciò a lamentarsi di sentirla fino agli occhi. Sarebbe parsa esagerata se non fosse per il vento che, effettivamente, lanciava violentemente la sabbia contro di loro. Sistemarono un ombrellone e lo agganciarono per non farlo volare via, così distesero gli asciugamani e Alex si allontanò per rispondere al cellulare, dicendo che avrebbe fatto una passeggiata. Allora anche Kara e Lena si distanziarono, lasciando le loro madri alla consueta crema sulla schiena. Si avvicinarono alle rocce e Kara cominciò a passarsi le mani bagnate addosso per prendere confidenza con l'acqua fredda. Per un attimo si voltò con l'intento di chiederle se voleva a bagnarla, ma la domanda morì sul nascere, diventando rossa.
«Allora», Lena attirò la sua attenzione, «Ti metto in difficoltà?».
Kara abbozzò una risata, scuotendo la testa. «Lascia perdere, per favore… Era solo un-un- non lo so, uno sfogo, forse! Te l'avevo detto che Alex sapeva», le riservò un'occhiata, infine.
«Ma non sa niente, Kara. Cosa sa? Che sei presa da qualcuno? Sono state le tue parole. Non potrà mai sospettare di me, lo ha dimostrato ciò che ha detto in auto», sorrise, «Ma quello che hai detto tu, è vero? Ti metto in difficoltà?».
Kara si sedette su di uno scoglio un po' levigato, lavorato dalla forza del mare, scuotendo i piedi all'interno dell'acqua, soprappensiero. «No. Forse. Un pochino… diciamo di sì», strinse i denti. «Dici che vuoi che restiamo amiche, ma poi ti metti a fare delle cose che-», si fermò, aggrottando le sopracciglia.
«Di che tipo?».
«In auto, ad esempio», gonfiò le guance, «mi sei gettata addosso».
«Erano le curve».
«Ti è caduta la borsa e ti sei abbassata per prenderla».
«Non volevo disturbarti e chiedere a te di prenderla, stavi parlando».
Kara si tappò, scambiandosi con lei uno sguardo. «Hai-Hai… cioè, mi metti sempre… Emh, voglio dire, il tuo corpo…».
Lena spalancò la bocca e le sue guance si arrossarono, intuendo finalmente dove volesse andare a parare. «Adesso capisco. Ti metto in difficoltà con il mio corpo?! Emh, Kara… è una cosa che tu fai di continuo».
«Eh?».
Lena le ricordò di quando le si sedeva vicino e, allungandosi e sbilanciandosi per prendere qualcosa dall'altra parte del tavolo, le si buttava addosso, di quando si abbassava davanti a lei per fare ginnastica e la maglietta si apriva sotto il suo collo, mostrandole il seno, o di quando si appoggiava sui pensili della cucina leccando il cucchiaino davanti a lei mentre mangiava qualcosa, del giorno in cui era uscita dal bagno con indosso solo un piccolo asciugamano, o meglio ancora di quando lei, già a letto, la vedeva passare davanti tutte le notti per agganciarsi le lenzuola, inchinandosi e lasciando che il sedere fosse proprio in direzione della sua faccia. Kara non disse più nulla poiché non immaginava di provocarla allo stesso modo di come Lena provocava lei e, soprattutto, di essere guardata allo stesso modo.
«Ah… T-Ti chiedo scusa».
«Credimi, le tue scuse sono l'ultima cosa a cui pensavo», le si avvicinò con un strano sorriso stampato sulle labbra, abbassandosi verso di lei e sedendo su una roccia vicina, parandosi il viso da qualche schizzo d'acqua.
«Non-Non ci pensavo», sorrise con un sospiro. Si portò una mano sul naso per sistemarsi gli occhiali, notando solo un istante dopo che gli occhiali non erano sulla sua faccia e che li aveva lasciati in spiaggia.
«Non pensavi che fossi attratta, anche in questo senso, da te? Non pensavi che… ti guardassi?», si voltò e scrutò le sue labbra. Le passò di tutto per la testa in quei pochi istanti in cui, con decisione, si rialzò in piedi. «Stavamo per cascarci di nuovo, va bene, dobbiamo dire basta», abbozzò una risata, osservando una Kara che stringeva le labbra con imbarazzo, «Qualsiasi cosa ci spinga insieme, per quanto bello, deve finire. Lo so, è un discorso che abbiamo già fatto ma pare non abbia funzionato, quindi ho deciso che tornerò a casa a National City».
«Cosa?».
«Ti prego, non cercare di farmi cambiare idea: non voglio andare, voglio stare con te, ed è per questo che devo farlo. Le nostri madri si sposeranno, Kara, non possiamo permetterci di farlo, accidenti», scosse la testa, «tra tutte le donne del mondo, proprio te… e continuo a chiedermi se ci fossimo incontrate in un altro contesto… o se forse così non ci saremmo incontrate mai. Ma non si andrà da nessuna parte pensando ai ma e ai se, quindi devo muovermi e fare qualcosa di concreto».
Kara deglutì, guardandola negli occhi. Le stava dicendo che doveva finire e, proprio mentre lo faceva, sentiva il bisogno di baciarla. Doveva sforzarsi per accettare le sue parole perché aveva ragione e capì che in fondo le importava davvero che restassero solo amiche. Erano attratte l'una dall'altra, bene, lo avevano chiarito, stando particolarmente attente a non parlare di ciò che sentivano emotivamente, ed era arrivato il momento giusto per dividersi seriamente.
«Dobbiamo restare lontane per un po', magari ci rivedremo quando avremo degli impegni familiari e per allora, forse…», non concluse, ma Kara sapeva cosa intendeva e annuì, abbassando un poco lo sguardo.
«Va bene. No», scosse la testa all'ultimo, increspando il viso, «No, no, non va bene, aspetta: volevo chiederti se ti andava di venire con me a Metropolis», la vide alzare un sopracciglio, «Da mio cugino Kal. Non so come sia il vostro rapporto, forse non vi conoscete ancora bene e vorrei che tu lo conoscessi, sì, come lo conosco io. S-Se ti va, ovviamente… Volevo la tua compagnia».
Lena spostò il suo sguardo verso un punto distante della spiaggia, sembrò pensarci, per poi lasciarsi andare a una breve risata. «Lui lo sa?».
«Gliel'ho chiesto».
«E?».
«Non mi ha ancora risposto ma sono certa che dirà di sì».
Lei scosse la testa, per poi annuire. «Al diavolo il mio discorso: va bene. Ma dobbiamo sforzarci per essere solo amiche», le mostrò la mano e Kara gliela strinse, approfittando per farsi tirare su.
«Noi siamo amiche». La abbracciò e Lena s'irrigidì, salendole i brividi.
«Sei ghiacciata».
Kara si allontanò di scatto, quando si accorse di averla abbracciata che aveva indosso solo il costume.
Lontano dalle due, Alex le vide ridere, ascoltando la voce dall'altra parte del cellulare. Sospirò. «Come ho detto: sembra che sia riuscita a convincerla a non andare avanti, se non altro per il momento», prese una pausa, giocando a lasciare le sue orme sulla sabbia bagnata, guardando che intorno a lei che nessuno stesse ascoltando la sua conversazione. «Non credo abbia abbastanza paura, è frustrata, sembrava solo decisa ad arrivare alla verità. È una cosa che ha in comune con mia sorella, forse per questo vanno così d'accordo. No, non gliene ha parlato. Non ne sono certa, ma Kara non è brava a nascondere le cose e lo saprei… Non riparlerò con lei di questo, non voglio ricordarglielo adesso che è serena e ho già detto tutto riguardo a ciò che sa», deglutì, girandosi e guardando che, più avanti sulla riva, Eliza cercava di convincere Lillian a bagnarsi. «Mi dispiace per il tono. Sono… sono solo stanca di questa situazione e di dover mentire alla mia famiglia. Sì, a Metropolis mi hanno detto di aspettare ancora, ma la stanchezza…», si passò due dita sulla fronte, «Va bene, signore. A presto». Chiuse la chiamata e sospirò di nuovo, decidendo di raggiungerle.

Alex tornò a National City due giorni dopo. Eliza e Lillian erano più dispiaciute di quanto volessero ammettere, e lo erano anche per l'imminente partenza di Kara e Lena a Metropolis, seppur tremendamente commosse che la prima avesse invitato la seconda come una sorella, al posto di Alex. Clark Kent accettò la sua presenza a patto che non si fosse parlato di Lex e Kara non avrebbe parlato di Lex prima di sapere che non voleva si parlasse di lui, e curiosa aveva subito chiesto spiegazioni a Lena, che aveva liquidato la conversazione con un erano amici ma hanno litigato. Era più curiosa di prima ma decise di lasciar perdere per non rovinarsi la vacanza. Intanto aveva altro per la testa: scoprire dove abitava suo cugino e se si trovava bene, conoscere la sua fidanzata e fingere che non fosse dispiaciuta per l'insolita freddezza di Lena nei suoi riguardi. Non capitava più che si sfiorassero per errore, che si sedessero tanto vicino e, quando lei andava a letto, Lena stava sdraiata sull'altro lato e dormiva, o Kara supponeva che lo facesse; non le parlava né guardava più. Non come prima. Si sentiva una stupida a volere sia che riuscissero a essere amiche e sia che fossero intime, sapendo che rischiava di compromettere la prima cosa.
Prima di andare a dormire, la sera prima della partenza, Lena portò fuori la spazzatura. Era il suo turno. Aprì il bidone ci infilò il sacchetto nero, così chiuse e sua madre le si parò davanti come un fantasma, ben stretta nella sua vestaglia scura.
«Domani vai a Metropolis con Kara», disse con voce glaciale, guardandola negli occhi. Lena riusciva a notare in lei un flebile sorriso, eppure il suo tono era tutt'altro che gioviale.
«Credevo fossi felice che ci siamo avvicinate. Siamo diventate amiche».
«Sì, vorrei solo essere sicura che tu non ne stia combinando una delle tue. Vi vedo molto vicine».
«Una delle mie?».
Lillian le strinse un braccio e Lena si tirò indietro inutilmente, mentre lei la fissava. «Fingevo di non sapere cosa facevi con le tue amichette, Lena, ma lei è diversa. Non ti azzardare. Neanche una cazzata, sono stata chiara?».
La figlia riuscì a separarsi dalla morsa, non mancando di staccare un solo istante gli occhi freddi da lei. «Quello che sai è solo ciò che pensi di sapere! Hai tenuto sotto controllo tutta la mia vita, non sono mai riuscita a tenermi un'amica. Lascia in pace me e il mio rapporto con Kara, per favore».
Lillian la guardò tornare dentro, chiudendo la porta piano, senza dare spettacolo. Guardò verso il cielo, intorno a lei come per assicurarsi che nessuno le avesse sentite, e così tornò dentro prima che Eliza si accorgesse di essere sparita.
Kara era rimasta da sola in soggiorno, sul divano, poiché tutte erano già andate a dormire, e posò qualche rivista che stava sfogliando: si parlava della mostra sulle barriere architettoniche finanziata dalla Luthor Corp e in tre su quattro Eliza e Lillian erano in copertina; negli articoli all'interno, loro venivano nominate, in una foto c'era solo Lena e, in un altro giornale, comparivano insieme, in una foto più piccola, vergognandosi un po'. «Sei già a casa?», chiese a sua sorella, per telefono. «Domani vado a Metropolis con Lena. Sì, sono un po' nervosa, è vero», sorrise. «Lena? Sta bene, perché? Aah, ecco, sì, in realtà non credo ci siano problemi tra Kal e Lena, quanto tra Kal e Lex. Ma non conosco i dettagli, sembra che nessuno ne voglia parlare».
«Va bene, salutami tuo cugino, un giorno avrò modo di conoscerlo».
«Sarà fatto», rise entusiasta.
«Devo andare, sorellina. Ho già detto ad Eliza che non tornerò per la fine di agosto, ma in caso si dimenticasse ricordarglielo. C'è il compleanno di Jamie e non posso perderlo».
«Oh, sì», Kara si passò una mano sulla fronte, «Mi dispiace non esserci ma le ho fatto un regalo, te lo invio domattina… Mi stavo per dimenticare!».
«Un regalo?».
«Dovevo». Si scambiarono la buonanotte e Kara si sdraiò lì sul divano, chiuse gli occhi e pensò all'incredibile giornata e mezza che l'avrebbe aspettata a Metropolis.
Presero la metro la mattina presto, Kara fece appena in tempo a inviare un pacchetto a National City, e salutarono Eliza e Lillian che le avevano accompagnate in auto. La metro le portò a Metropolis e da lì salirono sulla monorotaia, godendosi del panorama di altissimi e ricchissimi palazzi incorniciati dal cielo limpido e toccati dai raggi del sole. In verità, era Kara quella attaccata al vetro che non faceva che stupirsi e ripetere quando Metropolis fosse grande e meravigliosa, Lena era fin troppo abituata alla metropoli e non si stupiva più di niente, se non dell'entusiasmo dell'altra.
«Vedo la Luthor Corp», emise, indicando uno dei palazzi più grandi e più in vista, possente e con riflessi neri alle finestre. Si domandò se Lex fosse là affacciato da qualche parte, rendendosi conto di non essere mai stata tanto vicina a lui fino ad ora. Ma non avrebbero avuto il tempo di andare a trovarlo.
Scese alla stazione si fermarono ai pressi di un enorme parco, sedute su una panchina ad aspettare l'arrivo di Clark, intanto che facevano fuori due ciambelle. Kara non aveva resistito ed erano state la prima cosa su cui aveva posato gli occhi sopra appena scese. Lui arrivò con pronto un gran sorriso e Kara gli si gettò addosso per abbracciarlo.
Era tutto perfetto. Kal era di nuovo accanto a lei e non le sembrava vero. A volte sentiva come se in stargli vicino ci fosse qualcosa di sbagliato, di storto, perché erano cresciuti e si erano dimenticati per anni, e forse una parte di loro ammetteva che faticavano a riconoscersi, ma era bello e metteva su di giri.
Entrarono in un palazzo e l'ascensore li portò fin su al tredicesimo piano, dove Clark aprì la porta di casa. Sull'etichetta del campanello si leggeva Kent-Lane. Kara prese un grosso respiro prima di attraversare la porta, particolarmente in ansia. Al suo fianco, Lena le sorrise e così prese coraggio, annuendo.
«Casa dolce casa», disse lui, appendendo le chiavi all'ingresso e salutando con una carezza il grande cane che venne subito loro incontro scodinzolando.
Kara salutò il cucciolo e restò a bocca aperta, girandosi da una parte all'altra in quella sala grande e luminosa, sorretta da pilastri bianchi. Davanti a loro c'erano delle enormi vetrate invece delle pareti, che permetteva di vedere gli altri palazzi lontani; quel soggiorno era spazioso, c'era un enorme tappeto steso sul pavimento di legno e sopra due divani, poco lontano un mobile con tv al centro, pieno di libri intorno. A sinistra c'era una scala di legno a chiocciola che portava al soppalco e, più avanti, una porta aperta, dove sembrava esserci un breve corridoio che affacciava ad altre porte. Alla loro destra, invece, c'era la cucina, che separava lo spazio con un tavolo e dei mobili. Davanti alla zona cottura si intravedeva un cucuzzolo di capelli castani; si sollevò e una donna sorrise verso la loro direzione.
«Tornato?».
«Ti prego, dimmi che non hai bruciato niente», supplicò lui.
«Giuro. E come vedi anche tu la casa non è a fuoco». Lo baciò con un abbraccio e sorrise alle due ragazze, sporgendosi da lui per tendere loro la mano. «Piacere, sono Lois. E non so cucinare», rise, stringendosi l'elastico che teneva alti i suoi capelli disordinati. A un certo punto si staccò dal suo fidanzato, optando per un abbraccio invece che della stretta di mano.
«Per niente», sussurrò lui scuotendo la testa e guardando Kara, indicandola mentre abbracciava Lena.
«Noi due già ci conosciamo», le lasciò mezzo sorriso e Lena annuì.
«Sì, ci siamo incrociate qualche volta».
«Per via di Kal?», domandò Kara curiosa, accarezzando di nuovo il bovaro a pelo lungo.
«No, per via del mio lavoro: sono anch'io reporter per il Daily Planet».
Kara restò a bocca aperta: erano ancora tante le cose che non sapeva di suo cugino e della sua nuova vita, come essere fidanzato con una collega e avere un cane di nome Keplero, lesse dalla sua medaglietta sul collare.
I due fecero fare alle ragazze un breve tour della casa e le fecero posare le loro cose nella camera degli ospiti, sul divano che per la notte avrebbero aperto per loro. Avevano già parlato di quello per telefono, ma Lois continuò a dire che le dispiaceva di non poter avere dei letti, chiedendo alle due se erano sicure di voler dormire insieme. Con Alex immaginarono non ci sarebbe stato problema, ma non sapevano quanto era da sorelle il loro nuovo rapporto da sorelle. Entrambe la tranquillizzarono e si scambiarono un'occhiata, spendo che, per quella notte, avrebbero dovuto sforzarsi e stare lontane.
Era già ora di pranzo e mentre Clark finiva di cucinare, Lois apparecchiò nel tavolo in soggiorno aiutata da Kara e Lena, che si offrirono, e poi diede la pappa a Keplero, in una ciotola vicino alla penisola in cucina. Kara s'imbambolò a fissarli. Ricordava che quando era ragazzino, Kal non amava la cucina ma di certo amava mangiare, come lei. Ritrovò i suoi atteggiamenti e i suoi sorrisi e quando parlava con Lois emanava spensieratezza. Le era spuntato un sorriso nel vederli battibeccarsi con complicità.
Appena finito di leccare la sua ciotola, Keplero era ai loro piedi, seduti a tavola. Si sedeva a fianco a uno di loro e lo fissava per un po', così quando capiva che non gli avrebbe dato nulla, passava al posto successivo e faceva la stessa cosa, ritrovandosi a fare il giro varie volte. Era ben educato, se non altro, e Clark si vantò di aver provato ad addestrarlo qualche volta, ottenendo discreti risultati. Lui e Lois erano seduti davanti a loro e, di tanto in tanto, Kara li scorgeva cercarsi con lo sguardo, sorridere, perdersi in un momento solo loro. Ma notò anche con quanta scrupolosità ogni tanto lui fissasse Lena, che mangiava in silenzio a fianco a lei. Le sembrava di vederlo un po' teso, quando posava i suoi occhi su di lei, in verità. Parlarono del loro lavoro al Daily Planet e Kara di come anche lei avrebbe voluto essere reporter e del suo colloquio a settembre con Cat Grant. Clark si freddò un po' al sentire che Lena le aveva rimediato un appuntamento, al contrario di Lois che ne era sembrata entusiasta, rimarcando, tuttavia, quanto non le piacesse quella donna.
«Ma è brava nel suo lavoro, quindi è ottimo, Kara», le disse alzando la forchetta che aveva in mano, con mezzo boccone ancora in bocca. «Come ho detto: sulla sua persona avrei da ridire, il suo passatempo preferito è criticarmi, ma sa il fatto suo in tutto il resto. Vedi di passarlo quel colloquio».
Lei annuì con decisione. Scambiò uno sguardo con Lena, ancora grata per ciò che aveva fatto per lei, che le sorrise di rimando.
Clark la guardò per un po' e aggrottò le sopracciglia, finendo di ingoiare un boccone. «Lena, che mi dici di Roulette? La stai ancora frequentando?».
Lei deglutì e sforzò un sorriso. «No, è da un sacco di tempo che non la sento. Ha lasciato l'università».
Clark scrollò le spalle come se se lo aspettasse e Kara si fece curiosa. «Chi è Roulette?».
«Veronica Sinclair, una mia vecchia amica».
Kara scorse con la coda dell'occhio suo cugino ridacchiare scuotendo la testa e non capiva la sua reazione, quando sentì Lois riprendere il discorso:
«Non stavate insieme?», domandò. Se non altro, al contrario di Kal, lei non sembrava nascondere qualcosa ma ne parlava con pacatezza. «Così mi aveva raccontato Clark».
Kara aggrottò le sopracciglia, guardando Lena.
Quest'ultima restò a bocca aperta, pensando bene a cosa rispondere. «Una specie. Eravamo per lo più amiche».
«Mh, amiche come erano amici Clark e Lana Lang, suppongo», lanciò un'occhiata al suo fidanzato che, a quel nome, aveva alzato le sopracciglia.
«Per quanto ancora tirerai fuori questa storia?», rise, passandosi una mano sul viso e scuotendo la testa. Dopo guardò subito Kara. «Lana Lang è la mia ex, per un po' siamo rimasti amici e Lois se l'è legata al dito».
«Oh, andiamo, non fare l'innocentino solo perché c'è tua cugina! Lo so che facevi pensieri su di lei anche quando eravate solo amici».
Lui negò ed entrambi risero. Kara si sforzò di ridere con loro, ancora soprappensiero, e Lena sospirò. Decisa a chiudere quella conversazione in fretta, quest'ultima fece loro i complimenti per la casa e così parlarono di arredamento, poi di nuovo di Keplero, e infine della serata, che come erano rimasti d'accordo per cellulare erano ancora dell'idea di fare una festicciola intima, dicendo che sarebbe venuto anche un amico che lavorava con loro.
Nonostante sorridesse ed entrasse ogni tanto in discussione, Kara era ancora presa da quella Roulette, a come Lena si era irrigidita a parlare di lei, alla domanda di Lois, a come Lena, quindi, quella volta sul treno, le aveva mentito dicendole di essere stata con un ragazzo per cinque anni e che da allora era single.
Lena sapeva che Kara era ancora lì con la testa, glielo leggeva in faccia, ma fece finta di niente e, a pranzo finito, quando Kara disse che andava in bagno a lavarsi, la seguì per sistemarsi il trucco. Kara non la degnò di sguardo quando passò dietro di lei per raggiungere lo specchio con la trousse che si era portata da casa. Iniziò a ripulirsi gli occhi, decidendo di rifarsi un trucco più leggero, pensando a come Clark Kent, che non voleva si parlasse di Lex, aveva tirato fuori Roulette. Era stato un colpo basso, ma non era quello a interessarla quanto immaginare a quali conclusioni era arrivata Kara.
«Roulette ed io eravamo davvero amiche», le disse mentre gettava i dischetti struccanti in un cestino, mentre Kara si lavava la faccia.
«Va bene», la sentì.
«Kara, ti prego», le toccò un braccio e si voltò verso di lei, «Non ti ho mentito, sono stata davvero con Jack cinque anni, solo che… che non siamo stati sempre insieme in quei cinque anni. La nostra relazione si basava su uno strano tira e molla. Lui si è visto con altre ragazze in quei periodi… e anche io. L'ho omesso quella volta perché non mi sembrava rilevante».
«Va bene, non mi devi delle spiegazioni».
«Tornavamo insieme, alla fine e… Sento di dovertelo dire che», deglutì, «ho sempre preferito le donne, ma Jack era come un punto fermo per me e io lo ero per lui. Per questo ci ritrovavamo. Ma Roulette… siamo state insieme, è vero, ma non c'è stato nient'altro, non eravamo legate sentimentalmente, intendo».
«Va bene», ripeté Kara. Continuava a dirlo ma era visibilmente seccata e sembrava che più Lena tentava di spiegarsi e peggio si piegava il suo viso. «Non c'è niente neanche tra noi, siamo amiche, c-come tu e questa Roulette», strinse le labbra, «A-A parte la… hai capito. Siamo attratte, sì», sospirò, «ma è tutto, no? Non siamo legate in qualcos'altro come sentimenti o cose simili», accennò un sorriso e Lena si sentì contrarre dentro. «Guardavo mio cugino e Lois prima e ho capito che è quello che voglio! Una relazione come la loro è quello che voglio e-e questo che succede tra noi non la porterà. Quindi è tutto a posto».
Non lasciò che le disse altro e uscì dal bagno e, a giudicare dalla vocina stridula dietro la porta, doveva aver incontrato il cane. Lena sospirò rassegnata e continuò a struccarsi. Era certa di aver rovinato qualcosa con lei. Anche se non avevano mai parlato di ciò che sentivano emotivamente, non significava che ciò che c'era sarebbe scomparso. E quella stessa discussione ne era la prova. Ma a quel punto, pensò, ricominciando a truccarsi, era forse ciò che serviva per freddare definitivamente le cose tra loro.

Erano rimaste distanti per quasi l'intero pomeriggio. Lena si era intrattenuta a parlare con Lois di politica, in soggiorno, mentre Kara aveva seguito Kal verso le camere.
«Ti sei sistemato davvero bene qui, Kal. Mi piace. E mi piace Lois».
«Sì, lei», arrossì, portandola nella stanza per gli ospiti davanti a una scrivania logora, aprendo uno dei cassetti, «è eccezionale. Sono fortunato». Le sorrise e dopo le mostrò una pila di fogli che lei prese, sfogliandoli. «Questi li ho fatti quando ho cominciato a ricordare».
«L'emblema degli El», sussurrò con un sorriso commosso, guardando con attenzione quei disegni, dapprima con righe poco ispirate, solo bozze di un ricordo che non voleva apparire chiaro, poi via via sempre più riconoscibile e deciso. In un altro foglio erano scritti il suo nome e quelli della loro famiglia perduta. In altri fogli i disegni si facevano più confusi, linee dure e perse, delle personcine con sorrisi appena abbozzati e pregni di malinconia.
«Non ero bravo nel disegno prima e non lo sono neanche ora», scherzò, ma lei era tesa, incantata nell'osservare quei segni neri e blu su bianco che le ricordavano lo scoppio, il sangue sulla sua nuca quando lo aveva soccorso, un nodo pesante dentro di lei che credeva di aver sepolto con il tempo.
«Kal, tu lo sai cosa… cosa è successo quel giorno?».
Lui tornò serio e si portò le mani sui fianchi, prendendo un grosso sospiro. «Sì. Sì, ammetto di aver cercato di capirci quando ho iniziato a ricordare, perché volevo dare un senso ma», scosse la testa, «un senso non c'era e non c'è ora. Non ci sarà mai».
«L'assistente sociale, quando avevo diciott'anni, è venuta a casa mia e mi ha parlato. Mi ha spiegato delle persone contro cui si erano messe i nostri genitori e mi ha detto che sono state arrestate, che stanno pagando in galera per ciò che hanno fatto…».
«Sì. Sì, è vero». Le poggiò una mano su una spalla quando la vide fare una certa espressione, poiché la conosceva bene: era la sua in quel periodo. «È finita, Kara. Te lo dico subito perché voglio essere chiaro su questa cosa: non c'è nient'altro che possiamo fare. Che puoi fare. Quel gruppo di persone non esiste più e chi ne era iscritto sta pagando con il carcere». Il campanello suonò e lui andò ad aprire, dicendole che doveva essere arrivato il loro amico.
Kara restò incantata, ancora fogli in mano. Raccontavano il terrore che Kal aveva passato, la vita a cui entrambi erano stati strappati. Qualcosa di terribile che sarebbe rimasto dentro di loro per sempre, come quella matassa che sentiva nello stomaco; potevano nasconderlo, andare avanti, ma ci sarebbe sempre stato. E non sapeva se essere a conoscenza dei responsabili in carcere l'avrebbe aiutata, adesso che quei disegni le avevano aperto gli occhi. Li lasciò sulla scrivania e seguì i chiacchiericci, tornando indietro dal corridoio in sala. Con loro c'era un ragazzo alto, nero e di muscolatura decisamente possente. Inchinato, stava salutando Keplero che gli scodinzolava addosso felice. Lui alzò lo sguardo e la vide, sorridendo in un attimo.
«Jimmy, vieni, ti voglio presentare Kara, mia cugina».
Si strinsero la mano e lui intervenne subito: «James. James Olsen. Ti prego, solo lui e Lois mi chiamano in quel modo», le fece l'occhiolino e lei sorrise, annuendo.
Accesero le lampade da terra lasciando la sala in una luce soffusa, quando chiusero le tende delle vetrate con il cielo farsi scuro. La tv trasmetteva un film che doveva essere comico poiché si sentivano le finte risate in sottofondo, ma nessuno di loro la guardava, neppure Keplero, che sonnecchiava appollaiato su un lato di uno dei divani. Il tavolo era pieno intorno a loro di snack e bibite, mentre giocavano a carte. Kara temeva che Lena non si sarebbe ambientata e che l'avrebbe odiata per averla invitata, trascinata lì e poi solo per litigare, ma in realtà la vedeva riuscire a scambiare parole sia con Lois che con Kal, seppure lui riuscisse a stento a sostenere il suo sguardo durante una conversazione. Odiava il fatto che avesse litigato con lei, se poteva chiamarlo litigio. Ma non si pentiva di ciò che aveva detto perché lo pensava davvero. E se quella con Roulette, per lei, era tranquillamente classificabile come amicizia, non osava immaginare cosa ne pensava della loro. Apparentemente, per Lena la linea che divideva l'amicizia da quel qualcosa di più era molto più sottile che per lei. Gettò una carta sul tavolo e James, al suo fianco, si lamentò. La guardò e sorrise, prendendo un'altra carta dal mazzo. Kara cominciava a pensare che ci stesse provando, ma era troppo arrabbiata con Lena per darci peso, e troppo annebbiata dai disegni di terrore di Kal. Era davanti a lei, sul tavolo, e ogni volta che lo guardava, anche se le sorrideva, lei rivedeva il sangue che lui aveva perso a causa dell'esplosione.
Lena vinse un'altra mano e Lois stappò un'altra birra. Kal prese un'altra carta dal mazzo e James rise con lui a squarcia gola, Lois grugniva, riprendendo James. Kara faticava a tenere alta la concentrazione e non ricordava nemmeno più a cosa stavano giocando. Sapeva solo che, da un attimo all'altro, smisero di giocare a carte e Kal portò a tavola una birra diversa, proponendo anche un nuovo gioco.
«A squadre sarebbe più divertente ma siamo dispari», disse, stappando la nuova bottiglia. «Allora, a turno ognuno di noi dovrà mimare qualcosa, che sia il titolo di un film, di uno spettacolo, qualsiasi cosa che sia popolare, e tutti cercheremo di indovinare. Chi non indovina abbastanza avrà meno punti e avrà perso».
«È un gioco stupido, andiamo», rispose James, continuando a bere.
«Tu sei stupido».
«Tu sei stupido».
«Siete stupidi tutti e due», concluse Lois, adocchiando poi la bottiglia di birra portata da Clark. «E vacci piano con questa».
«Cos'è?», domandò prontamente Kara, che l'aveva tenuta sotto stretto sguardo da quando lui la portò sul tavolo.
«Una cosa un po' più forte», scrollò le spalle, «L'altra, Clark la sente appena».
Se era rimasto qualcosa in loro che li identificava come parenti di sangue, quella poteva essere la lunga sopportazione all'alcol. Chiese un sorso e da lì cominciò a gettarsi qualche bicchiere quando capì che faceva effetto, suo cugino stappava e lei beveva, prendendo coraggio per riuscire a essere solare come lo era sempre, senza pensare all'esplosione che aveva privato lei e Kal di una vita normale o del fatto che non poteva stare con la persona di cui probabilmente si era innamorata. Di cui si era sicuramente innamorata. E riusciva ad ammetterlo solo ora che era quasi ubriaca.
Kal le disse all'orecchio che di birra non ne avrebbe rivisto più per il resto della serata ma aveva ancora il fondo del bicchiere e stava per metterselo in bocca quando Lena la fermò, dicendole che aveva bevuto abbastanza. Lei buttò giù lo stesso fino all'ultima goccia e si alzò, poiché toccava a lei mimare. Prese James quando si accorse che non riusciva da sola. Lois tentava di indovinare, Kal era infastidito e Lena la guardava a braccia a conserte; aveva smesso di giocare già qualche bicchiere di Kara prima.
«Suvvia, questa è facile…», borbottò con un sorriso, guardando dopo James che, in imbarazzo, non sapeva cosa fare. Kara rise. «Dobbiamo morire, Jimmy che non vuole essere chiamato Jimmy».
«Kara, basta», sussurrò lui, «Credo che tu non ti senta molto bene».
«Sto benissimo, siete voi che non state bene: avete tutti una faccia così strana», abbozzò una risata.
Lena si alzò, cercando di andarle incontro. «Kara, sono molto stanca. Posso chiederti se mi fai compagnia… a letto», aggiunse e Kara le sorrise. Kal si alzò e la appoggiò, dicendo che anche lui era stanco e che la serata si era conclusa; così si alzò anche Lois, cominciando a sparecchiare la tavola.
«Non verrò a letto con te, Lena», scosse la testa. La ragazza si portò una mano sulla fronte e dopo insisté, così Kara si tirò indietro. «Prima di dormire, devo finire la mia per- per- perfor- formaggio, quella cosa lì, o perderò il gioco», rise, abbracciando James. Si mise in punta di piedi e gli sfiorò le labbra con le proprie. Lui si tirò indietro quando il danno era già fatto. A quel punto, Kara portò indietro un piede e nel tentativo di fingere di cadere per poco non cadde davvero e, al suo lamento, Keplero sollevò e incurvò la testa. «Muoio… Muoio…», gridò, «Siamo Giulietto e Romea, capite? O era Giulietta e Romeo? Ehi», aggrottò le sopracciglia, guardando James, «Devi morire anche tu».
Clark la prese per le spalle e quando si avvicinò Lena gliela consegnò come un pacco. Forse non avevano in comune tante cose, e non cose positive, ma entrambi volevano bene a Kara.


***


Del resto, Kara non ricordò molto di come si era conclusa la serata né come era finita a letto, oppure di chi l'aveva cambiata, constatando che era a pantaloncini e canotta. Sentiva un respiro e si girò, ricordando in quel momento che era a casa di Kal e Lena le dormiva accanto. O non proprio: era sul bordo, girata dall'altro lato, probabilmente arrabbiata con lei. E come darle torto, rifletteva ora, provando a mettersi seduta sul materasso del divano-letto; lei sarebbe arrabbiata con se stessa. Le girava la testa e, quando provò ad alzarsi, la gravità ebbe la meglio, si rimise a sedere che per poco non si coricava sull'altra. Mantenne l'equilibrio per miracolo e riuscì perfino a non svegliarla. Sorpassò la porta del bagno e proseguì il corridoio fino alla sala. Accese solo una lampada da terra e lasciò che Keplero, scodinzolando, le andasse incontro.
«Sei sveglia. Come ti senti?».
Alzò lo sguardo e lo vide, suo cugino con pantaloncini e una canotta come lei. «Mi sono svegliata adesso… La testa mi sta scoppiando».
«Avrei dovuto farti smettere prima».
«Sono un'adulta, Kal. Avrei dovuto smettere io».
Lui sospirò. «Non sono più abituato a fare il cugino maggiore… a prendermi cura di te». Le diede un antidolorifico e poi le chiese di seguirlo, dopo aver fatto sdraiare il cane sul divano per non andare loro incontro. Salirono le scale a chiocciola e l'aiutò perché non perdesse l'equilibrio, salendo sul soppalco.
«Lo usiamo come studio», spiegò. Con gli occhi che si stavano abituando al buio, Kara vide una scrivania e una sedia, due poltrone ai lati, tante pile di giornali e cuscini da terra. «E non ho acceso la luce perché volevo mostrarti questo». Schiacciò un pulsante dietro una pila e, all'improvviso, mille stelle si accesero. Erano sul soffitto, sulle pareti, sulla ringhiera del soppalco.
Kara restò a bocca aperta e, con tanto che cercava di alzare il collo, per poco non cadeva, sorretta dal cugino. Si sdraiarono sui cuscini, guardando le costellazioni.
«Una notte ho alzato gli occhi al cielo e ho visto le stelle. Era stato come vederle per la prima volta. Sapevo che erano importanti anche se non sapevo perché. Ho iniziato a creare stelle, una dopo l'altra, ritagliandole dai giornali, dal cartone del latte», rise, «Ero pieno di stelle ovunque e mia madre pensò che fossi impazzito. È stato così che cominciai a ricordare… ricordavo la tua passione per le stelle».
Kara strinse le labbra e strizzò gli occhi di colpo, cercando di contenere le lacrime. Ma lui la sentiva singhiozzare e si avvicinò.
«E mi sono ritrovato a pensare a noi, soli al mondo come le tue pietre, quelle che collezionavi convinta fossero cadute dallo spazio. Noi come loro, estranei all'improvviso in questo mondo, senza genitori, come scesi dallo spazio. Sei tu che mi hai fatto ricordare, Kara».
Lei si portò una mano contro il viso e cominciò a piangere, senza riuscire più a trattenersi. «Mi dispiace… Mi dispiace tanto…».
Clark non riuscì a contenersi e la prese tra le sue braccia, cercando di cullarla. «Va tutto bene. È passato. Vai avanti, Kara. Andremo avanti insieme», sussurrò, «Andremo avanti insieme».



































***

(Pubblicazione in anticipo di ore ma ehi, non abituatevi :P)
Lo so, lo so, la fine del capitolo è triste… Eeeh, era un dovere, prima o poi Kara e Kal dovevano affrontare questa cosa e dovevano farlo adesso, in questo capitolo (lunghissimo, anche questo 14 pagine e mezzo) che ritengo come il gemello dello scorso, o più come una seconda parte.

Ma ricapitoliamo. Kara e Lena hanno deciso di restare amiche, o diventarlo, vedete voi, anche se tra loro l'attrazione è tanta e forte. Ma Kara ha scoperto che Lena aveva una relazione con una donna (anzi, se proprio vogliamo dirlo, Lillian ha parlato di “amichette” al plurale e lei stessa ha detto di essere stata con "altre ragazze", ma non rigiriamo il coltello nella piaga) in passato di cui non le aveva parlato, una donna con cui dichiara di essere stata amica. Kara ammette di essere innamorata di lei e tra questo e il suo passato che ritorna prepotente a galla con i disegni di Kal, decide, per essere più solare, di ubriacarsi, baciare James, dire a Lena che non andrà a letto con lei dimostrando la tesi di quest'ultima secondo cui nessuno sospetterebbe qualcosa.
E poi ci sono Kal e Lois. E Keplero, Lillian che odia la sabbia (e i vicini di casa), Eliza che continua a interrompere le due ragazze quando stanno per baciarsi, e Alex. Alex che è “sospetta”, no? Con chi parlava al telefono? E perché è tornata prima a casa? E chi è Jamie?

Piccole curiosità:
- Per immaginare e caratterizzare Lois mi sono basata sui ricordi che ho di quella di Smallville ai primi tempi. E dico “primi tempi” perché non ho mai finito la serie (che sarebbe da recuperare, immagino) e non so quindi come si sia evoluto il suo personaggio, senza pensare che ho visto la serie veramente tanti anni fa e quindi non è che ricordo benissimo. Spero di averla resa bene, io l'adoravo e ora adoro il suo personaggio nella mia fan fiction
- Keplero nella prima stesura si chiamava Roxy. Sì, è una curiosità inutile ma la condivido perché sì
- La storia avrà da oggi rating arancio come avrete notato :) Grazie per aver votato nello scorso capitolo. Rosso no, ahah! Alcune di voi me lo hanno “proposto”, ma le rosse mi piace leggerle, scriverle è tutto un altro paio di maniche XD

E io lo so che mi odierete, lo so, ma ve lo aspettate, no? No? Beh, che ve lo aspettiate o no, non voletemene, ahahah (rido ma ho paura che mi mandiate in privato minacce serie D: ), il prossimo capitolo è uno stand alone! Focalizzato su chi lo immaginerete… Devo dare delle risposte, e devo darle ora! Quindi ci soffermiamo un po' per scoprire cos'è successo a un personaggio mentre la trama continua a scorrere, non temete.
Il prossimo capitolo si intitola Periodo fortunato e sarà pubblicato sabato 19 (poi se tutto va come previsto, la pubblicazione torna regolare di lunedì) :)
Ah, una cosa: purtroppo sto avendo problemi di connessione e Rao non voglia se non riesco a pubblicare il capitolo sapete perché. Spero di risolvere prima la situazione, comunque. Giusto per avvisare, non si sa mai!


   
 
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