Le ombre della
sera calavano sul tardo pomeriggio dell’antivigilia di Natale. Il
mormorio proveniente dalla chiesa si era attenuato. Gli ospiti, venuti
ad assistere a un matrimonio, stavano andando a una cena nuziale, anche
se lo sposalizio non era stato celebrato. Sebastian Moran aveva
spiegato che vi era stato uno scambio di identità fra John
Rowling e John Watson, ma che ora era stato tutto chiarito e risolto.
Greg, John e i fratelli Holmes erano ancora nella sagrestia.
L’aria fresca della sera entrava dalla finestra spalancata,
raffreddando la stanza, ma nessuno pensò di chiuderla.
John e Sherlock si stavano fissando negli occhi, senza dire una parola o scambiarsi un pensiero.
Si sorridevano.
Felici.
Era successo l’incredibile. L’intuizione di Sherlock sulla
reale identità di John si era rivelata esatta. La verità
era stata svelata. John Watson e Sherlock Holmes potevano progettare il
loro futuro insieme, come facevano tutte le anime gemelle del mondo.
“E ora?” Domandò John, inclinando la testa.
Lunga è la strada…
“Per prima cosa ti porteremo in un ospedale, per fare degli
accertamenti. Dobbiamo essere sicuri che il cianuro non abbia fatto
danni,” rispose Sherlock.
“Stando agli esami già fatti, Davemport ha iniziato con
piccole dosi. Non potevi morire troppo presto o sarebbe stato sospetto.
Quindi non dovresti avere problemi. Comunque, Sherlock ha ragione. Per
prima cosa andremo in ospedale,” concordò Mycroft.
“Grazie per la tua approvazione,” ridacchiò Sherlock, sarcastico.
“In secondo luogo, dovremo farti resuscitare,” riprese il maggiore degli Holmes, ignorando il commento del fratello.
“Resuscitare?” Ripeté John.
“Ci vorrà un po’ di tempo. La burocrazia sa essere
piuttosto lenta, qualche volta. Figuriamoci quando dovremo spiegare che
c’è stato uno scambio d’identità, avvalorato
da dei congiunti. Insomma, dovremo presentarci da un giudice che ti
dichiari… posso darti del tu, vero John? Ora siamo ufficialmente
parenti … dicevo, il giudice deve dichiararti vivo e certificare
il decesso di John Rowling. Fortunatamente abbiamo già i
risultati del test del DNA eseguiti da tre laboratori riconosciuti dal
Tribunale di Sua Maestà, che dichiarano la corrispondenza del
tuo con quello del Capitano John Watson. Non ti preoccupare per
l’avvocato. Te ne procurerò uno io. È uno dei
migliori che si possano trovare a Londra, se non in tutto il Regno
Unito. La mia assistente lo sta contattando proprio ora. Ti
fisserà un appuntamento con lui per il giorno dopo Natale.”
“Grazie?” Borbottò John, interdetto.
“Che cosa vuoi in cambio di tanta generosità?” Chiese Sherlock, sospettoso.
“Potrai anche non crederci, fratello caro, ma non voglio nulla.”
“Non ti credo,” ribatté Sherlock, aggrottando la fronte, come se volesse leggere nella mente di Mycroft.
“Sherlock! – sbuffò Greg, alzando gli occhi al cielo
– Smettila di comportarti come se My fosse il tuo peggior nemico.
Siamo una famiglia e ci aiutiamo fra di noi. Come si fa in ogni
famiglia.”
“A parte il fatto che Mycroft
è
il mio arcinemico, dimmi Gary in che mondo vivi e che lavoro fai? Da
quando i membri delle famiglie sono così disponibili gli uni con
gli altri? Proprio tu, come ispettore di Scotland Yard, dovresti sapere
quanti delitti siano compiuti all’interno delle mura domestiche
da membri di
amorevoli famiglie!” Rimbrottò Sherlock.
John appoggiò una mano su una di quelle di Sherlock:
“Mycroft la… ti ringrazio per il tuo aiuto disinteressato.
Ovviamente, ora come ora non potrei pagare nulla. Dire che sono un
nullatenente è un eufemismo. Gli abiti che indosso e la stanza
dell’hotel, in cui ho alloggiato fino a oggi, sono stati pagati
da Sebastian Moran, che adesso non ha alcuna motivazione per continuare
a saldare i miei conti. Dato che non sono John Rowling, non ho diritto
nemmeno alla sua pensione. Come John Watson, invece, sono morto e
l’esercito non mi può pagare nulla.”
“Sarà un problema riavere la tua pensione da tua sorella.
Harriet con quella ci paga l’affitto della casa e i liquori con
cui si ubriaca,” interloquì Sherlock, in tono secco.
“Sherlock…” sospirò Greg, in tono di rimprovero.
“Non ricordo mia sorella. E anche questo è un bel
problema. Io non ricordo ancora nulla del mio passato. Anche se mi
restituiscono l’identità, che cosa farò della mia
vita? Mi dite tutti che sono un medico. Mi fa piacere, ma come
potrò svolgere la mia professione, se non ricordo quello che ho
studiato? Chi si fiderà a darmi un lavoro?”
“Io!” Rispose Sherlock, con entusiasmo.
John lo fissò sbalordito. Sherlock continuò: “Come
ti ho spiegato, io sono un Consulente Investigativo, l’unico al
mondo. Il lavoro lo ho inventato io. Scotland Yard viene a chiedere la
mia consulenza ogni volta che non sa come fare a risolvere un caso. Il
che vuol dire molto spesso…”
Greg emise un grugnito fra l’irritato e il disgustato.
“Poi ci sono i privati, che mi assumono per problemi di vario
genere. Sappi che non mi occupo di mariti o mogli traditi, non sono un
investigatore privato. Io scelgo sempre casi interessanti e
particolari, che mi facciano usare il cervello. Cosa che la gente
comune dimentica spesso di fare. Tu potrai non ricordare i tuoi studi,
ma il tuo subconscio ha una propria memoria. Sono sicuro che la tua
preparazione medica mi sarà molto utile. Molto spesso i medici
della polizia non sono propensi ad aiutarmi…”
“Chissà perché, visto come li tratti!” Esclamò Greg.
“… avere un collaboratore con le tue conoscenze,
sarà solo un vantaggio, per il mio Lavoro. Inoltre, qualche
volta mi trovo a inseguire i colpevoli da solo…”
“Qualche volta? Ci fosse una volta in cui aspetti che arrivino i rinforzi!” Lo rimproverò Mycroft.
“… se tu collabori alle indagini con me, potrai anche
coprirmi le spalle. In fin dei conti, sei stato in guerra, hai ricevuto
un addestramento, quindi saprai sicuramente sparare o difenderti.
Queste sono tutte conoscenze che non vengono cancellate da una semplice
amnesia,” continuò Sherlock, come se non fosse mai stato
interrotto.
John lo guardava sempre più sbalordito: “Ne sei sicuro?”
“Certo che ne sono sicuro o non te lo avrei mai proposto!” Sbottò Sherlock, alzando gli occhi al soffitto.
“Avrò anche bisogno di un posto in cui andare a vivere.
Soprattutto, fino a quando non avrò accesso a qualche sterlina,
che mi permetta di pagare un affitto,” riprese John.
“221B di Baker Street, ovviamente!” Proruppe Sherlock, spazientito.
“Casa tua?” Domandò John.
“Siamo anime gemelle, John! Non c’è nulla di strano
a vivere insieme. E non ti preoccupare. Non attenterò alla tua
virtù. Non sono così interessato al sesso da saltarti
addosso mentre dormi.”
“Chi ti assicura che non lo faccia io? Per quanto ne sappiamo,
potrei essere un serial killer o uno stupratore o uno cui piace
torturare i propri amanti,” sospirò John, esasperato.
“Non c’è nulla del genere nel tuo file, John. E ti
assicuro che io ho accesso a informazioni cui persino tu non potresti
mai arrivare,” intervenne Mycroft.
“Se ci fosse stato qualcosa di sospetto o ambiguo sul tuo file,
My ti avrebbe fatto sparire nel nulla, facendo in modo che non
rimanesse nessuna traccia di te. Nulla di personale. Lo avrebbe fatto
solo per proteggere Sherlock,” si intromise Greg, scrollando le
spalle con noncuranza.
“Immagino,” ridacchiò John.
“Direi che sia stato tutto stabilito e che possiamo
andarcene,” sorrise Sherlock, soddisfatto, allungando una mano
verso John.
“Sì. Lo penso anche io,” John ricambiò il sorriso e prese la mano, che gli era stata porta.
“Andiamo a casa,” sussurrò Sherlock.
“Andiamo a casa,” annuì John.
Sherlock e John uscirono dalla sagrestia per immergersi nella fredda sera, tenendosi per mano, seguiti da Mycroft e Greg.
“Se non ricordo male, tu non hai fatto l’albero di Natale,” osservò John.
“L’albero di Natale è solo una stupida tradizione…” iniziò Sherlock, ma venne subito interrotto.
“Che inizieremo a rispettare da
quest’anno. Perché questo sarà il nostro
anniversario. Dovevamo essere separati per tanto tempo, invece siamo
insieme. Non è un meraviglioso regalo di Natale?”
Sherlock storse la bocca in una smorfia schifata:
“Se vogliamo chiamarlo così… io penso…”
“Bene. Direi che avremo il
tempo necessario per procurarci ciò che ci serve per festeggiare
il nostro primo Natale insieme nel migliore dei modi. Sarà un
bel Natale. Cui ne seguiranno tanti altri. Perché non ti
libererai facilmente di me.”
“Né tu di me,” ribatté Sherlock, stringendo forte la mano di John.
L’aria gelida li avvolse, mentre radi fiocchi di neve cadevano da
un luminoso cielo bianco, colorati dalle luci delle decorazioni
natalizie. In lontananza, si sentivano i canti dei cori, che
celebravano il Natale. Sherlock e John si scambiarono un sorriso. Era
lunga la strada che avrebbero dovuto percorrere prima di definirsi
veramente una coppia. Quel giorno avevano compiuto il primo passo verso
il loro futuro. Quel giorno era iniziata la loro avventura. Dovevano
imparare a conoscersi. A convivere. A comprendersi. Ad accettare uno i
pregi e i difetti dell’altro. John e Sherlock sapevano che vi
sarebbero riusciti, perché loro erano anime gemelle. Loro si
completavano a vicenda. Avrebbero trovato una soluzione a qualunque
problema si fosse presentato. Perché loro erano e sarebbero
stati sempre insieme. Sostegno l’uno dell’altro. Cuore e
mente l’uno per l’altro.
Per il resto dei loro giorni.
FINE
Angolo dell’autrice
Così si conclude la storia che spero vi abbia piacevolmente
accompagnato in queste due settimane. Finiscono pure le mie ferie, ma
questo è un altro paio di maniche.
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto il mio racconto e quelli che lo leggeranno in futuro.
Se mi volete lasciare due righe, sapete che mi fate sempre piacere vi ringrazio fin da ora.
Grazie a 1234ok, CreepyDoll, meiousetsuna ed emerenziano per tutte le belle recensioni lasciate al racconto.
Ciao!