The
Only Woman, The
Only Queen
-Ultimo
Atto-
Capitolo
28: Nec sine te, nec tecum vivere possum
Non posso vivere né con te, né senza di te. (Ovidio)
Ti
odierò se potrò; altrimenti ti amerò
mio malgrado.
-Ovidio,
Amores (III, 11b, 3)
Laboratorio
dell’Umbrella corporation - Sede: Antartide
Le
sirene del
sistema di allarme si diffusero fra le mura gelide
dell’imponente edificio nascosto
tra le distese dell’Antartide, emettendo il loro ultimo grido.
Squillarono
logorate a furia di tacere le orrende storie, gli inaccettabili destini
e la
violenza più macabra di cui erano amaramente testimoni.
Gemiti
e fragori di
estremo dolore, uniti a vite distrutte e plagiate, tutte nel nome di
una
scienza che mirava solo a contaminare la dignità umana.
Esperimenti
nascosti e menti deviate, che furono lasciate libere di agire per
troppo a
lungo, e così quel territorio fu costretto a fingersi orbo e
silente, pur di
sopravvivere.
Aveva
tappato le
orecchie, serrato gli occhi, cercato di fuorviare ogni cosa per
salvarsi, ma internamente
sapeva di aver visto la morte al suo livello più crudo e
disumano. Questo
l’aveva ormai macchiato per sempre.
Le
luci rosse
lampeggiavano seguendo un movimento circolare, illuminando
l’intera struttura
finalmente libera di urlare. Furono come il simbolo di una struttura
invece
viva, stanca di essere indifferente, vogliosa di far sparire dalla
faccia della
terra quegli abomini.
Quegli
allarmi
parlavano e volevano gridare alle lande desertiche e desolate di tutto
l’Artico
che in quel luogo viveva il male.
L’apatia
e il
dolore incommensurabile avevano alimentato le fauci affamate della
ferocia; un
orrore che tutti avevano fatto finta di non vedere.
Claire
Redfield era
fra quelle mura e si sistemò davanti la cella, pronta a
scappare appena la
porta della prigione si sarebbe aperta.
Aveva
recuperato le
sue vesti, tornando a essere la determinata e forte ragazza che era
sopravvissuta appena pochi mesi prima a Raccoon City.
I
suoi occhi
azzurri tuttavia ora avevano un riflesso diverso; era lo sguardo di chi
aveva
conosciuto il dolore, la morte, la perdita, tutto a un livello
così profondo da
cambiarla per sempre.
Il
suo cuore
batteva, era inquieto, questo perché non riusciva a
perdonarsi nulla di come
fossero andate le cose.
Doveva
però scacciare
dalla sua mente quel senso di sopraffazione, più tardi ci
avrebbe fatto i conti
e sapeva non sarebbe stato un bel momento.
Le
sue iridi erano
lucide, non aveva ancora superato il lutto di quel tragico finale e mai
l’avrebbe fatto. Era giusto che quel dolore facesse parte di
lei, non voleva
dimenticare. Mai.
Quell’indigesto
magone non sarebbe mai stato schiacciato, il suo cuore avrebbe solo
potuto
convivere con esso. Voltandosi vedeva dietro di sé tutto
quel lungo cammino,
fatto di persone che avrebbe voluto portare con sé. Lei era
la testimonianza
della loro vita.
Inspirò,
infondendosi coraggio.
Sapeva
che presto
avrebbe dovuto concentrarsi solo su una cosa: correre.
Chris
credeva in
lei, era davvero riuscito a venire fino in Antartide pur di salvarla.
Ancora
non poteva crederci, non aveva nemmeno rivisto il suo volto; ma la sua
voce, il
suo amore, la sua vicinanza, erano ancora capaci di infonderle quel
fondamentale calore umano di cui ognuno ha bisogno per sopravvivere.
Finalmente
l’imponente cancello ferroso aprì i suoi battenti.
Il suono della sirena era
ancora più assordante ora. Claire non attese nemmeno un
attimo e intraprese la
sua fuga, tornando ironicamente all’inizio di quella storia.
Un
sorriso
apparentemente fuori da quel contesto si disegnò sulle sue
labbra. Un sorriso
di amarezza.
Riaffiorò
nella sua
mente un ricordo ormai lontano, quando assieme a Steve
riuscì a evadere dal
Centro di Addestramento di Rockfort Island fino a rubare
l’aereo nascosto oltre
il sommergibile.
A
quel tempo
fuggendo da un ambiguo e scellerato comandante chiamato Alfred Ashford,
un uomo
di cui non sapeva nulla se non la sua perfidia e il fatto che lavorasse
per
l’Umbrella, e fosse dunque suo nemico.
Tutto
però era
cambiato completamente.
Questo
perché aveva
conosciuto quel folle soldato, cambiando in modo ineluttabile la sua
concezione
di quel mondo apparentemente deviato.
Aveva
toccato con
mano il suo dolore, i suoi dilemmi, i suoi affanni, e infine aveva
anche
incontrato Lei, la sua Regina, la sua
“metà”. Colei che aveva generato
quell’apocalisse interiore.
Era
entrata nel suo
mondo e in poco tempo si era insinuata nel suo cuore…e lui
nel suo.
Quel
tragico finale
aveva distrutto tutto e non aveva dato il tempo a quella conoscenza di
evolversi; eppure una parte di sé penava per
quell’amore perduto che non era
sicura non avrebbe potuto ricambiare.
Alfred…lui…
Era
stato capace di
donare un amore così immenso arrivando persino a logorare se
stesso. Un
sentimento così profondo e profano da averla sconvolta
completamente. Non
avrebbe mai saputo come sarebbe stato, un giorno. Questo la crucciava.
In
quel momento
correva da sola, fra quei corridoi bui, logori, assordata dal suono
degli
allarmi, accompagnata solo dalle luci di emergenza, sentendosi
profondamente
incompleta.
Voltandosi
dietro,
rivedeva ancora il suo volto, la sua voce che non faceva che
richiamarla,
rivelando che lui fosse sempre lì ad osservarla.
Egli
faceva questo
non solo per divertirsi e torturarla; a un certo punto fu la malata
manifestazione di un amore squilibrato, inconsueto, forse persino
perverso e
cruento, ma che poteva essere curato.
Si
ritrovò a
correre, e correre, lasciando dietro di sé quei ricordi che
scivolavano da lei
ad ogni suo passo. Frammenti di memorie che non voleva abbandonare;
ricordi in
cui sperava di salvare quell’animo dannato, che seppure
avesse compiuto troppe
malvagità, per lei poteva essere aiutato.
Innumerevoli
volte
si era illusa che ci sarebbe riuscita.
Intanto
non si era
accorta che anche lui, a sua volta, aveva lasciato una profonda traccia
di sé
dentro di lei.
Le
B.O.W. tentavano
di afferrarla, sbattendo contro le celle chiuse e insanguinate,
strisciando sui
loro corpi lerci ricoperti di vesciche e ferite purulenti.
La
Redfield guardò
con odio e pietà quell’abominio. Ognuno di quelli
era un uomo che non ce
l’aveva fatta. Ognuno di loro era come Steve, Alfred, e
persino Alexia… persone
che avevano lottato, ci avevano provato, e che erano perite.
Lei
invece poteva
correre, e correre, e correre, avendo almeno la possibilità
di salvarsi.
Chris
aveva
sicuramente intenzione di far saltare in aria quel posto, di bruciare e
annientare quell’inferno ispirato dalle menti malate
dell’Umbrella per le loro
perverse ricerche.
Strinse
gli occhi
pensando a quel momento…quell’esatto istante in
cui tutto sarebbe sparito nel
fuoco…definitivamente…
Giunse
finalmente
fuori da quella fredda prigione, riaffacciandosi dopo tanto tempo
nell’atrio
del palazzo Ashford, un luogo che aveva percorso innumerevoli volte sia
lì che
a Rockfort. Prima di andare oltre, per dirigersi verso suo fratello, si
fermò ad
osservare l’imponente quadro di famiglia, ove erano
immortalate le illustri
personalità costruite in realtà nella
crudeltà e nella menzogna.
Al
centro v’era Alexander
Ashford. Quell’uomo posato ed elegante ivi ritratto non era
un padre; era invece
un individuo devastato, che aveva perduto tutto.
Potere,
fama,
gloria; pur di riottenerli aveva consegnato all’Umbrella la
vita dei suoi figli,
creati geneticamente appositamente per i suoi scopi egoistici,
dimenticando che
prima di essere il discendente di un casato tanto rinomato, egli era un
uomo ed
era un padre.
Era
per questo che
il suo cuore marcio era stato esposto fra le fitte ferite che
deturpavano il
suo corpo.
Fu
gettato nelle
segreta di quell’inferno di cui era complice, trasformandosi
in Nosferatu, il
mostro che avrebbe sofferto una penitenza eterna, senza mai spirare
nella luce
di un nuovo giorno.
V’erano
poi i due biondi
e eterei gemelli, posti ai lati di colui che li aveva generati.
Alexia
e Alfred
Ashford.
Lei,
una ragazzina
potente e intelligente, in realtà vittima delle pressioni
dei suoi studi.
Trattata non diversamente da una cavia da laboratorio, ella aveva
finito col
perdere tutto, esattamente come suo padre. Arrivò persino a
fingere la sua
morte quando aveva solo dodici anni, questo pur di scacciare un vuoto
che non
avrebbe mai colmato in quel modo.
Poi
v’era Alfred,
il fratello. Lui…
Chiuse
gli occhi,
non riuscendo a ricambiare per molto quegli occhi infranti.
Anche
se soltanto
un quadro, rispecchiarsi nelle sue iridi cristalline era doloroso.
Aveva
visto quegli
occhi infrangersi, svuotarsi, riempirsi di odio e follia, farsi ridenti
in
balia della crudeltà e del gusto del macabro; ma poi erano
cambiati e si fecero
colmi di amore, desiderio, passione, tornando a essere umani.
Due
occhi tristi,
incompleti, che lei aveva conosciuto e aveva compreso.
La
storia che aveva
appreso era completamente racchiusa in quegli occhi, un percorso
tortuoso che non
poteva essere riassunto con pochi pensieri; la storia del Re che
aspettava la
sua unica Donna, la sua unica Regina.
Elaborò
tutti gli
episodi, quei tragici e cruciali momenti che in tutto il loro insieme
avevano
dato una profonda caratterizzazione a quella complicata conoscenza.
Se
le parole non
bastavano, restavano invece i ricordi; essi erano perenni, erano vivi,
erano
dentro di lei.
Chi
era quel
bambino vestito elegante posto accanto alla sua famiglia?
Si
trattava di una
difficile e lunga, lunghissima storia.
Egli
era Alfred
Ashford; un uomo che, ora poteva ammetterlo, era felice e onorata di
aver
conosciuto.
Dal
nulla, un dolce
e familiare motivetto prese a echeggiare fra quelle mura,
contrapponendosi alla
sirena dell’allarme. Si trattava dell’ormai nota
melodia dei due gemelli,
quella che raccontava quella tragica storia tra amanti. Il suono
proveniva da
oltre il quadro, il quale in realtà era una porta.
Claire
avanzò sulle
scale, guidata da quella musica, come in completa balia di essa.
Procedette
lentamente, pesando ogni passo, avvicinandosi sempre più a
quell’uscio.
Prese
mentalmente a
canticchiare le parole della storia narrata da quel carillon,
leggendovi le
immense similitudini con la vita dei due ragazzi.
Quando
arrivò di
fronte la porta, restò immobile qualche attimo prima di
posare la mano su di
essa per aprirla.
[…]
Centro
Artico dell’Umbrella Corporation - Laboratorio segreto
Chris
attivò
l’ultimo codice, tenendosi pronto a scattare nel momento nel
quale tutte le
porte si sarebbero sbloccate. Era pronto. Non aveva motivi per
indugiare.
Il
suo piano era
molto semplice; avrebbe recuperato Claire e subito dopo
l’avrebbe portata verso
il Jaguar che aveva visto parcheggiato sulla pista di atterraggio
interna della
struttura; si trattava di aereo da attacco bimotore a getto sviluppato,
estremamente veloce e devastante. Sarebbe stato il perfetto mezzo per
fuggire
una volta per tutte, prima che quel luogo crollasse del tutto.
Si
diede quindi da
fare. Caricò la 9mm, ormai l’unica arma
rimastogli, e una volta terminati i
preparativi sbloccò l’ultimo sistema di sicurezza.
Dopo
quel momento,
v’era un timer che non sapeva quando di preciso sarebbe
scattato. Conosceva
quel tipo di congegno e l’informazione più
importante da tener conto era di
agire in fretta e con estrema attenzione. Due fattori molto difficili
da
collimare.
Chris
era però un
soldato abituato ad agire sotto pressione quindi quando decise di
abbassare
quella leva e schiacciare il pulsante, non aveva timore. Era pronto.
Corse
via subito,
dirigendosi verso l’uscita delle prigioni, che a occhio e
croce affacciava
sull’atrio principale dove era passato recentemente per
giungere nei
laboratori. Doveva solo fare il percorso a ritroso e intraprendere
qualche
piccola deviazione.
Grazie
al sistema
di evacuazione, le porte erano state sbloccate tutte; dunque, zombie a
parte,
muoversi risultava più veloce e pratico finalmente.
Gli
allarmi
rimbombavano assordanti, essendo Chris ancora frastornato dalla lunga
permanenza nella stanza buia.
Quell’alternarsi
di
buio e rosso sfavillante lo disorientava, ma non abbastanza da
impedirgli di
muoversi con relativa disinvoltura. Con l’arma ben puntata
davanti a sé, non si
fece remore nel colpire a uno a uno le varie teste tramortite che si
affacciavano verso di lui bloccandogli il passaggio.
Aveva
conservato le
sue munizioni per quel momento, era arrivato il momento di non fare
più sconti
a nessuno.
Improvvisamente,
mentre girava uno dei tanti angoli labirintici di quel luogo
indemoniato, un
dolce e malinconico motivetto si espanse per la struttura.
Seguì con lo sguardo
la fonte di tale melodia e ritrovò così un
altoparlante ben nascosto sul
soffitto. Dapprima decise di ignorarlo, avendo la salvezza di Claire
come
assoluta priorità. Tuttavia, pochi passi dopo, egli
indietreggiò, non potendo
ignorare quel richiamo.
Quel
canto d’aiuto,
d’addio, di disperazione, di solitudine, di cui sapeva
l’autrice.
Strinse
i denti,
scusandosi mentalmente con sua sorella. Sarebbe tornato presto per lei,
ma se
v’era una possibilità di fare qualcosa ancora per
Alexia, doveva provarci
almeno.
Tornò
indietro,
quindi, dirigendosi verso il cuore del laboratorio.
Spalancò
la porta e
superò la passerella circolare al centro del quale era
posizionato il Baccello
di Alexia, fonte dei suoi studi più arcani, entrando
così nell’antro più
profondo del suo dolore; il luogo dove era iniziato e finito tutto.
“Alexia!”
la chiamò
sicuro di trovarla, ed infatti lei era lì.
Fra
le sue braccia
reggeva il corpo rigido e pallido di un giovane uomo a lei molto
somigliante.
Lo
accarezzava,
bisbigliando parole che non poteva sentire da quella distanza.
Il
suo sguardo era
spento, eppure addolcito; stava conversando con quell’uomo
ormai privo di vita,
raccontandogli qualcosa che la fece sorridere.
In
seguito ella si
sollevò, abbandonando quell’uomo dai capelli
chiarissimi a terra, ai suoi
piedi.
Vide
la bionda
Ashford sorridere malignamente a una figura alle sue spalle e fu allora
che
Chris si accorse che v’era anche Albert Wesker in quella
stanza.
“Sono
lieta di
avervi entrambi al mio cospetto. Non mi aspettavo un pubblico tanto
smanioso.
Non è la gloria quella che cerco, non è
più nemmeno il potere o i miei sogni.
Siete qui dinanzi a me come testimoni della mia opera più
grande.
Alcuni
di voi
penseranno sia la rappresentanza della mia nobile stirpe, altri le mie
ricerche, altri il mio T-Veronica Virus…” a quella
frase trafisse con lo
sguardo l’irremovibile Wesker.
“…ma la
cruda verità è un’altra. Vi ho chiamati
a vivere il Giorno del Giudizio. Il
momento in cui il mondo sarebbe stato
ridotto in cenere. E’ questo il mio vero potere. Io
distruggerò ogni cosa, la
mia vendetta sarà implacabile. Non avrò
pietà, non avrò rimorsi, non
più.”
Prese
ad avanzare
verso di loro e i suoi occhi celesti di ghiaccio cambiarono colore in
quello
stesso istante assumendo una tonalità dorata, quasi
iridescente.
Un
forte vento di
innalzò dal nulla, facendo ondeggiare i suoi capelli biondi
e il delicato
vestito viola col quale era ritratta in molti dei suoi dipinti.
In
seguitò il
Redfield comprese che quello non era vento, ma fuoco; Alexia stava
innalzando
da se stessa delle fiamme ardenti che lentamente presero ad avvolgerla,
bruciandola in quel rogo eterno nel quale il suo cuore era intrappolato.
Ella
sorrise,
specchiandosi negli occhi impauriti di Chris, il quale era dinanzi a
lei.
“Non
ho intenzione
di cedere più nulla. Voglio mostrarti la vera me stessa,
quello per cui ho
immolato non solo la mia vita…ma tutto. Basta, voglio che
questo luogo
sparisca, voglio che…che bruci. Bruci per sempre, come ha
fatto bruciare me e
tutto ciò che più amavo.” disse
calcando molto sulle parole, trasmettendo al
soldato tutta la rabbia e la razionalità che aveva in quel
momento.
Eppure
vedendola
ridotta così, Chris non poteva credere che fosse davvero
questo che desiderava.
Alexia
si accorse
della pietà che trasmettevano i suoi leali occhi blu, la
cosa la intenerì;
quell’uomo rude era riuscito a farle provare un sentimento
così dolce persino
in quel momento in cui aveva deciso di cedere al virus.
Tuttavia
ormai era
troppo tardi. Lei non voleva tornare indietro.
“Chris
Redfield,
sei un uomo speciale, oserei dire unico. Se queste fiamme
risparmieranno
qualcuno, questo sarai tu.”
Concluse
e posò una
mano sulla sua guancia, che nonostante fosse avvolta totalmente dal
fuoco, non
scottava affatto.
Chris
non riuscì a
dirle nulla, era paralizzato. Voleva prenderla per mano e portarla via
come
aveva fatto l’ultima volta, eppure l’aura di Alexia
era così forte che non poté
fare a meno di piegarsi alla sua volontà.
Quella
bellissima
donna aveva sofferto, e tanto, e ora desiderava soltanto la sua
vendetta.
Sebbene
crucciato
dall’inevitabile destino cui sarebbe andata in contro, il
membro S.T.A.R.S.
comprese che doveva rispettarla. Riuscì ad sentire dentro di
sé che era questo
ciò che ella desiderava più ardentemente.
Voleva
distruggere
quello che l’Umbrella le aveva fatto, e questo lui poteva
comprenderlo.
Intanto
lei lo
superò e si pose al centro del laboratorio dove era stata
ibernata per quindici
lunghissimi anni.
Allargò
le braccia
e finalmente quelle fiamme che tanto la tormentavano furono libere di
impossessarsi di lei.
Non
chiuse mai gli
occhi. Mai. Rimase vigile fino all’ultimo secondo,
trasformandosi nella
creatura vendicativa che desiderava essere.
Della
soave
fanciulla eterea conosciuta prima non rimase nulla, la sua estetica
divenne coerente
con il suo animo ormai dannato, conferendole quell’aspetto
maledetto che più le
si addiceva.
I
suoi lunghi
capelli biondi fluttuarono nell’aria un’ultima
volta prima di assumere una
forma più rigida che avvolse il suo capo come dei tentacoli.
La
sua pelle diventò
di un pigmento grigio, contornandosi di piaghe verde scuro che si
ramificarono
sul suo corpo, denudato quando il suo abito elegante andò in
cenere. Fra i
filamenti che passavano sul suo corpo, un fuoco interno poteva
intravedersi nel
suo rosso iridescente; il virus si era espanso ed aveva trasformato per
sempre
la sua figura.
Gli
occhi gialli e
felini brillavano intensi, erano minacciosi, fieri, eppure vuoti.
Ella
sorrise,
compiacendosi della sua enorme potenza; allo stesso tempo beffandosi
dell’insoddisfazione che provava in quel momento.
Da
una parte la
gloria di una Dea Vendicatrice, dall’altra la Condanna della
Cattiva Regina.
Non
era ciò che
voleva, non era ciò che bramava, ma quel che lei era ora era
tuttavia l’unica
cosa che avesse al mondo.
Con
le fiamme che
inneggiavano quella crudele maledizione della sua anima, ella fece
gocciolare
del sangue a terra in direzione di Wesker, il quale a contatto con
l’ossigeno
prese immediatamente fuoco.
In
poco tempo
trasformò l’immacolato laboratorio in un inferno
arroventato, pronto a cremare
ogni cosa.
L’uomo
vestito di
nero provò a contrattaccare, ma preferì la fuga a
un certo punto, comprendendo
che per fronteggiare Alexia era necessario lavorare più
strategicamente; non
gli interessava che lei rimanesse viva, gli serviva solo un campione
del suo
virus e sapeva come rimediarlo.
Dunque
sogghignò
infischiandosi del fuoco, facendo adirare la Regina, la quale
mirò di nuovo
verso di lui. Tuttavia l’ex capitano S.T.A.R.S.
fuggì in tempo, confermando la
superbia e la furbizia che da anni gli avevano conferito la fama di diavolo nero.
In
seguito sparì
fra il rosso sfavillante del fuoco; Chris si mise subito al suo
seguito, ma fu
bloccato da Alexia, la quale lo rinchiuse in una prigione di fuoco che
gli
impedì di proseguire.
“Fermo,
Redfield.
Quel che accadrà oltre questa stanza non garantisce la tua
salvezza. Non
angustiarti, non brucerai, sono io che domino queste fiamme. Qui dentro
non ti
accadrà nulla, poiché è qui che
è preservata l’unica parte di me cha ha saputo
amare. Il mio cuore giace in questa stanza, ed è qui che
ormai resterà per
sempre.”
Il
bruno guardò
istintivamente verso il ragazzo sdraiato ai piedi della cella di
ibernazione
che lei aveva avuto fra le braccia poco prima.
Riportò
i suoi
occhi verso Alexia, ma ella era già sparita.
Corrucciò la fronte.
Si
impensierì
riflettendo che in quel luogo la ragazza aveva intenzione di custodire
coloro
che aveva amato…non voleva essere di nuovo sequestrato! Non
era il momento!
“Alexia!!”
Urlò,
ma il suono
degli allarmi coprì completamente la sua voce, rendendo il
suo grido un eco
muto e impercettibile.
[…]
Laboratorio
dell’Umbrella corporation – Atrio Residenziale
Claire
passò oltre
la porta nascosta dietro al quadro ritraente la famiglia Ashford,
entrando così
nei luoghi più segreti e arcani del laboratorio; ascoltava
la melodia del
carillon, seguendolo come fosse un richiamo.
Una
volta solcata
quella soglia, però, mai si sarebbe aspettata di trovare
l’inferno sceso in
terra. Le fiamme avvolgevano interamente l’ambiente, facendo
sprofondare nelle
ceneri quegli angusti antri conoscitori di quella vita devastata dalla
scelleratezza dell’Umbrella.
La
rossa sentì il
suo cuore battere forte di fronte quegli inferi furiosi e implacabili.
Provò
ad avanzare,
ma una vampata di fuoco esplose proprio in quel momento costringendola
a
indietreggiare.
Fu
in quel momento
che una figura comparve dal fondo di quel lungo corridoio buio, della
quale
distinse solo i brillanti e spaventosi occhi dorati.
Sebbene
con sembianze
del tutto diverse da come l’aveva conosciuta, Claire non
poté non riconoscervi
la maestosa rappresentate del casato Ashford: l’indiscussa e
impietosa Alexia
Ashford.
Boccheggiò
dapprima
spaventata, dopo però si controllò ed attese che
la donna le fosse più vicina. Era
certa che l’avesse vista e non aveva alcuna intenzione di
scappare ormai.
Inoltre non era armata, non aveva alcun senso anche solo provarci.
Aveva
conosciuto Alexia anche se brevemente, adesso poteva guardarla dritto
negli occhi
con la consapevolezza che entrambe provavano lo stesso dolore.
La
Redfield aveva
dentro di sé quell’enorme ferita, conosceva quel
malanno, aveva sperimentato
amaramente sulla sua pelle la morte, la perdita, la sofferenza di un
amore
spezzato, trafitto, interrotto da un bieco e spietato
destino…
Alexia
stessa si
accorse di quello sguardo adesso cambiato completamente, poteva sentire
la sua
rabbia, il suo desiderio di vendetta, quella ferita che non poteva
essere
guarita.
Ora
sì che l’Altra
Donna poteva guardarla negli occhi. Adesso ne aveva l’onore,
finalmente.
Si
bloccò diversi
metri lontana da lei, guardandola dall’alto della scalinata
in fiamme. Claire
non indugiò, nonostante quella veemenza spaventosa che
trapelava da ogni parte
del suo corpo.
Restò
immobile,
fissandola in quegli occhi giallissimi, iniettati di odio.
“Sono
qui,
Alexia…come volevi tu. Hai ottenuto ciò che
desideravi. Mi hai tolto tutto.”
Alexia
sogghignò,
compiaciuta in un certo senso, eppure aveva amaramente appreso che le
cose non
erano esattamente andate come aveva pianificato. Il suo regno non era
che un
mondo fatto di dolore e cenere e nemmeno quell’enorme potenza
era riuscita a
consolarla.
La
verità più
crudele era che nulla avrebbe potuto restituirle la
felicità. Lei non era stata
creata per esserlo.
“Miss
Redfield, ho
conosciuto il tuo amato fratello. Un uomo davvero audace, eroico,
onesto. Ne
sono stata colpita. Sei una persona fortunata ad averlo.”
“Lo
so.” rispose
Claire, più che consapevole di quelle parole.
“Avrei
voluto anche
io un bel cavaliere senza macchia e senza paura, che venisse fin qui
per
salvarmi. Volevo svegliarmi e vivere con il mio eroe per sempre.
Tuttavia
questa possibilità mi è stata negata; hai
conosciuto il tremendo vuoto che è in
grado di lasciare la morte. La cancrena che marcia nel proprio cuore,
che si
insinua nelle carni e pian piano fa degenerare tutto. Alla fine di
questo
tunnel, esiste un’unica strada.”
“Trascinare
tutti
nell’inferno.”
“Vedo
che
comprendi.”
Le
due rimasero in
silenzio un breve momento, mentre il fuoco scoppiettava facendo da
sfondo a
quel triste e complesso dialogo.
La
Redfield la
osservò con una profonda amarezza; da una parte lei era
l’artefice di quel
disastro, il fulcro di quella vita devastata. Questo le trasmetteva
rabbia,
odio, era furiosa nei suoi confronti.
Dall’altra,
invece,
provava un complicato sentimento di comprensione che le impediva di
colpevolizzarla come avrebbe voluto.
Rivedeva
davanti ai
suoi occhi Steve mentre si trasformava in un mostro, una condanna che
eseguì solo
per farla disperare, per comunicarle l’orribile emozione di
dolore e perdita,
pur di vendicarsi della morte di Alfred.
Eppure
suo fratello
stesso era caduto nel baratro da lei generato, anteponendo i suoi
loschi scopi
privati al suo amore.
Quei
ricordi le
impedivano di provare pietà; ma al tempo stesso la
bloccavano, costringendola a
quell’inopponibile indulgenza che non poteva ignorare.
Distese
il suo
sguardo, preferendo preservare la sua umanità, quella
dignità che la rendeva
diversa da lei.
Claire
non bramava
vendetta, non era una Dea Vendicatrice. Era invece una luce, una
speranza, un
messaggio di amore…e non voleva trasformarsi in un mostro,
per nessun motivo.
Anche
se quella
ferita interiore faceva male, tanto male.
“Cosa
intendi fare,
dunque?”
“Non
lo vedi? Ho
intenzione di cancellarvi dalla faccia della terra. Me compresa, non
temere.
Sono consapevole che scavando negli abissi più celati e
nascosti, sono il
nucleo che ha alimentato questa distruzione. Sono il seno che ha
nutrito il
frutto del male, non mi aspetto alcuna salvezza. Voglio però
lasciare un ultimo
messaggio prima di andare via. Voglio che l’inferno avvolga
anche voi, voglio
che bruciate esattamente come ho bruciato anche io.
Quello
che io sono,
quel che sono diventata, è anche colpa vostra. Sono stata
fabbricata
nell’egoismo, nell’oppressione, da un cuore marcio
e lugubre. Sono poi stata
sfruttata per il mio ingegno, come fossi un animale da spremere fino
alla fine
dei suoi tempi. Basta guardarti attorno per capire come mi sento, cosa
è stata
la mia breve vita.
Ho
vissuto solo
dodici anni e mi sono bastati a farmi rigettare questa
umanità lercia, di cui
non voglio far parte.
Voi
dite che io
sono il mostro…io dico che invece lo siete voi. Siete voi
che mi avete creata.”
Dopo
quella
confessione, una trave avvolta dalle fiamme crollò
frapponendosi fra loro;
Claire riuscì ad aggrapparsi giusto in tempo al pavimento,
trasformatosi in una
voragine.
Provò
a sollevarsi,
ma non era semplice sopportare il peso del suo corpo in una situazione
critica
come quella. I fumi inoltre stavano divampando sempre di più
impedendole una
corretta respirazione.
Strinse
i denti,
sforzandosi di non mollare, tuttavia il fumo la stava intossicando,
costringendola a tossire violentemente.
La
Somma avanzò
leggiadra verso di lei, mantenendo la sua estrema regalità
nonostante quelle
sembianze mostruose. Ad ogni suo passo lasciava una scia incandescente,
capace
di cremare ogni cosa. Si piegò su di lei e la
osservò sprezzante, con
quell’aria di superiorità di chi aveva invece il
completo controllo della
situazione.
“Claire
Redfield, magari
in altre circostanze avrebbe potuto essere diverso. Non lo sapremo mai.
Voglio
presentarti una persona a me molto cara, l’unico esempio di
lealtà che ho
conosciuto…un amore di cui io stessa non ero degna. Egli
è tutt’ora pronto a
lottare con me, non c’è cosa che non farebbe per
me, e io per lui. Ci sta
osservando, sento i suoi occhi su di noi. Si è svegliato
finalmente.”
La
Redfield scosse
il capo confusa.
“Di
cosa stai
parlando?”
“Vuoi
saperlo?”
sorrise. “Allora scoprilo da sola.”
Detto
ciò, alzò con
veemenza il braccio cosparso di piaghe e fiamme, il quale
bagnò di sangue la
porzione di pavimento sulla quale si reggeva faticosamente la rossa.
Subito
dopo questo prese fuoco, costringendo la ragazza a cadere
giù.
[…]
Claire
si risvegliò
in un seminterrato completamente buio, avvolto nelle dense nubi grigie
generate
dal fuoco.
Sporca
di fuliggine
e intossicata dal fumo, si rimise stentatamente in piedi, sentendosi
dolorante.
Si piegò in due, cercando di contrastare l’ulcera
che le corrodeva lo stomaco.
Aveva ingerito così tanto male e dolore, da sentirsi male.
Inspirò,
infondendosi coraggio. Doveva raggiungere Chris e scappare da
lì.
Guardandosi
attorno, non riuscì a riconoscere il luogo dove era
precipitata. Era una zona del
laboratorio completamente bruciata, del tutto irriconoscibile. Gli
allarmi del
sistema di evacuazione risuonavano in lontananza, facendole intuire che
dovesse
essere purtroppo molto lontana dal centro.
Sperò
con tutta se
stessa che, se non avesse fatto in tempo a raggiungere
l’aereo, Chris sarebbe
fuggito per mettersi in salvo. In un momento tanto critico, per lei era
davvero
difficile riuscire a orientarsi in tempo e raggiungerlo.
Ciononostante
avrebbe lottato fino alla fine; non avrebbe dato a nessuno la
soddisfazione di
schiacciarla senza dimostrare il suo valore.
Trovò
a terra un
tubo d’acciaio, che decise di portare con sé per
avere un minimo di arma da
difesa. Doveva ammettere di non avere una buona destrezza nella lotta
corpo a
corpo, ma era sempre meglio di niente.
Avanzò
in quel
sotterraneo annerito, stringendo l’arma con sé, la
sua unica compagnia. Eppure
si sentiva stranamente osservata.
Fu
una sensazione
difficile da spiegare, non v’era nulla che si muovesse
nell’ombra. Inoltre la
stanza era ampia e i muri completamente abbattuti. Vi erano molte
macerie e il
fumo offuscava la visuale, ma non c’era nessuno presente.
Almeno credeva.
L’ansia
di
ritrovare alle sue spalle un nemico dal quale non poter scappare la
tormentava.
Avanzò dunque lentamente, cercando di essere estremamente
prudente. Il suo
istinto però le diceva che non si sbagliava, c’era
qualcuno celato fra quelle
rovine; sentiva una presenza impalpabile ma insistente.
Trasalì più volte,
spaventata.
A
quel punto il suo
modo di agire cambiò e ritenne più opportuno
aumentare il passo, se non proprio
correre e scappare; era la sua unica possibilità per
sopravvivere.
Se
non poteva
combattere, poteva almeno sperare di seminare il pericolo. Si
ritrovò dunque a
correre a perdifiato, insinuandosi fra i detriti di un luogo che non
conosceva
affatto. Passò fra muri crollati, tubature spaccate, fili
elettrici slegati e
scintillanti, illudendosi di seminare quell’oscura presenza.
Una
scia erbosa
tentò improvvisamente di colpirla, schiantandosi
erroneamente contro una parete
rimasta ancora in piedi fino a quel momento. Claire si
riparò, non era stata
colpita, ma quell’attacco le confermò che
v’era qualcosa che la stava
inseguendo; era probabilmente quel qualcuno di cui aveva appena parlato
Alexia.
Si
girò pronta, ora
che quella B.O.W. aveva fatto un errore palesando le sue intenzioni
ostili. Fu
allora che fra la coltre nera di fumo e quei frantumi,
cominciò a distinguere
una figura.
Questi
era alto
quanto un uomo, poteva vedere l’alternarsi di una pelle
bianca e cadaverica a una
robusta corazza nera e verdastra che copriva buona metà del
suo corpo, stratificandosi
particolarmente sui suoi arti, rendendoli forti e imponenti.
Ciononostante aveva
le sembianze di un uomo, poteva distinguerne l’anatomia
longilinea.
Il
suo passo era
pesante, ma incerto, come gli innumerevoli zombie fino a quel momento
incontrati. Eppure la sua posizione perfettamente dritta e controllata
rendeva
regale la sua postura in qualche modo, facendole comprendere fin da
subito che
non era un’arma batteriologica come le altre.
Claire
si nascose
dietro una trave, stringendo il tubo arrugginito. Quando le fu un
po’ più
vicino, si affacciò di nuovo e vide un corpo snello ma ben
allenato; questi,
silenzioso e furente, si girava intorno, cercando visibilmente lei.
Osservò
la sua nuca
ricoperta da capelli pallidi tirati indietro ed ebbe un tonfo al cuore;
un
sentimento così forte da farle cadere di mano
l’arma, la quale emise un sonoro
rintocco quando cascò sul suolo.
La
ragazza rimase
tuttavia immobile, impietrita, mentre la sua mente convergeva quelle
fattezze a
una precisa persona che lei aveva ben conosciuto.
La
conferma
definitiva venne quando quella B.O.W. si girò frontalmente,
individuandola.
La
sua pelle ora
era ingrigita, i suoi capelli unti e appiccicati alla testa, gli occhi
gialli e
vuoti, il volto androgino era deformato in un digrigno
affamato…eppure era lui,
non aveva dubbi.
Era
Alfred Ashford.
“Alfred…”
sussurrò,
non potendo credere che lui fosse davanti ai suoi occhi.
Era
un mostro, era
vero; ma era lui. Era pur sempre lui, e camminava, poteva muoversi,
guardarla,
sentirla.
Li
per li non fu
pronta ad accettare il fatto che egli non ci fosse ormai.
Tuttavia
era follemente
felice di vederlo e più si avvicinava, più la
consapevolezza che fosse l’ultima
volta che l’avrebbe rivisto si faceva forte.
Gli
mostrò un
sorriso amaro, di chi non è pronto a dire addio, questo
mentre i suoi occhi si
riempivano di lacrime. Tuttavia si controllò,
passò una mano sul viso sporco e
rivolse a quell’uomo un ultimo sguardo di compianto.
“Mi
dispiace. Avrei
voluto portarti via con me. Alfred…”
Gli
disse,
realizzando tristemente che non avrebbe rivisto nei suoi occhi
l’uomo che aveva
conosciuto, costringendosi a voltarsi velocemente e correre via.
Raccolse
da terra la
tubatura cadutale precedentemente, immergendosi in quel sotterraneo
ormai
deteriorato, cercando di non imboccare vicoli ciechi.
Non
si sorprese di
vedere T-Alfred inseguirla, muovendosi agilmente grazie ai robusti
prolungamenti che si innalzavano dalla sua schiena.
A
un certo punto
questi riuscì a superarla e a pararsi davanti a lei;
tuttavia non si smosse e
restò di spalle, rendendola scettica.
Fu
allora che scorse
di fronte a loro la figura di un uomo molto alto, vestito di nero, il
quale
indossava degli spessi occhiali scuri nonostante la scarsa
illuminazione.
La
rossa passò lo
sguardo da lui ad Alfred e comprese che il suo bersaglio non era mai
stata lei,
ma quel losco individuo.
Guardandolo
meglio
lo riconobbe, egli era Albert Wesker, l’ex- capitano
S.T.A.R.S. .
L’ultima
volta che
l’aveva visto, era stato quando aveva liberato quelle
orribili B.O.W. rettili,
costringendo lei e Alfred a scappare nei sotterranei.
Dunque
era rimasto
nei paraggi, a quanto sembrava.
Osservò
la postura
d’attacco dell’altolocato Ashford, il quale si
precipitò in direzione del suo
nemico dando inizio a una sanguinosa battaglia. Claire stette a
osservarli
impotente, non sapendo cosa fare. Le qualità fisiche dei due
erano notevolmente
alte, entrambi avevano raggiunto una potenza tale da averli innalzati
dal
livello umano.
La
cosa che più la
sorprese però era che Wesker riusciva perfettamente a tenere
testa ad Alfred,
nonostante la sua trasformazione.
Il
suo aspetto era
però rimasto immutato a differenza di
quest’ultimo; la domanda sorgeva ovvia,
dunque: cosa diavolo era quell’uomo in realtà?
Cercò
un’arma nei
paraggi, voleva aiutare Alfred in qualche modo, ma non sapeva come.
Aguzzando
la vista, notò che una zona del soffitto sembrava molto
traballante. Se fosse
riuscita a farvi esplodere qualcosa, questa avrebbe potuto sopraffare
Wesker.
Corse
dunque verso
una tanica di benzina che aveva visto rovesciata a terra mentre era
fuggita,
augurandosi che ci fosse ancora del liquido al suo interno.
La
prese a la tirò
con veemenza contro il muro, sporcandolo; in seguito diede gas al suo
accendino
dorato e attese il momento giusto.
Quando
i due si
separarono per un brevissimo istante, lo lanciò nella stessa
direzione e in men
che non si dica provocò un’esplosione tale da
costringere Wesker ad
allontanarsi, permettendo ad Alfred un attacco più incisivo.
L’uomo
riuscì però
a scansarsi, esibendosi in un salto che aveva
dell’inverosimile dati i metri d’altezza
che raggiunse. Egli lanciò loro uno sguardo sprezzante prima
di sparire fra il
nero del fumo di combustione del piano superiore.
Alfred
fece per corrergli
dietro ma la Redfield lo bloccò, afferrandolo istintivamente
per un braccio. Un
gesto imprudente, fuori da ogni logica, ma che fece con grande
spontaneità, non
riuscendo proprio a vedere in lui un nemico, nemmeno sotto quelle
sembianze.
Il
fatto che egli
si immobilizzò a quel delicato tocco sul suo polso ricoperto
da strati ruvidi e
scuri di pelle, confermò la sua teoria; egli era ancora
Alfred Ashford, l’aveva
risparmiata perché ancora in parte cosciente di
sé.
“Alfred…sei
ancora
tu?” lo chiamò, speranzosa.
L’uomo
dai capelli
pallidi rimase in silenzio; non voleva voltarsi verso di lei, non ce la
faceva,
ma il desiderio di rivederla era così forte da impedirgli di
continuare quella
farsa ancora a lungo.
Dentro
di sé non
aveva che desiderato incontrarla ancora, una volta riapriti gli occhi,
anche se
in quelle sembianze deturpanti.
“Redfield.”
Disse,
riempendo di
gioia il cuore di Claire, che non trattenne per nulla un sincero
sorriso.
Lui
si posizionò di
fronte a lei, non comprendendo come lei potesse amarlo ancora, dopo
tutto
quello che era accaduto. Quella misteriosa donna restava un mondo
ermetico,
decisamente troppo criptico persino per lui; colui che era stato il
fratello di
Alexia Ashford e aveva incontrato mentalità ben
più arcane.
Invece
la
semplicità della bellissima Claire restavano una nebbia
difficile da decifrare;
lei riusciva a infondere purezza e vita anche solo con uno sguardo.
Persino
in quel
momento, ove il suo DNA era stato mischiato con quello del virus di
Alexia,
poteva avvertire quel soffio caldo di amore che lei emanava con tanta
naturalezza.
La
guardò assorto e
intristito, con i suoi occhi divenuti dorati.
Sul
suo petto
potevano vedersi le cicatrici ancora vive dei colpi d’arma da
fuoco che
l’avevano stroncato, assieme ai lividi e gli ematomi della
sua ultima e
terribile caduta. Era inaccettabile una visione simile, quella di un
corpo
ormai freddo, morto, con i segni deturpanti del suo ultimo momento di
vita,
invece essere perfettamente in piedi; anche se il prezzo da pagare era
stato sottomettersi
a un batterio onnipotente, che a lungo andare avrebbe divorato la sua
ragionevolezza.
Non
era più in
grado di provare emozioni; quel cuore già morto in vita, non
batteva più a
maggior ragione ora che era resuscitato divenendo una B.O.W. .
Eppure,
nonostante
questo, specchiarsi nelle iridi luminose della ragazza che aveva in
qualche
modo cambiato il suo destino, poteva influenzare ancora le sue scelte.
Non
voleva però che
lei si avvicinasse a lui. Sebbene ricordasse tutto, non era
più Alfred Ashford
ormai.
Intanto
Claire
stette in silenzio, accanto a lui, non accennando a lasciare il suo
polso.
T-Alfred stette a guardare la sua rosea mano piena di graffi, poggiata
sul suo
arto invece grosso e pericoloso.
Se
avesse avuto
ancora un cuore, questo si sarebbe spezzato.
Vide
la donna schiudere
la bocca più volte, non proferendo però alcuna
parola.
I
due comunicarono
con quella semplice ma profonda intesa di sguardi;
una sinergia che solo chi aveva vissuto un
rapporto travagliato come il loro poteva capire.
A
interrompere quel
difficile momento, fu un’ulteriore esplosione che fece
vibrare l’intero
sottosuolo, il che fece temere i due per la stabilità del
posto.
“Vai
nel
laboratorio centrale, troverai il mio passpartout. Usalo per azionare
il
sistema di autodistruzione. Ti occorrerà la password, anche
se credo non ti
sarà difficile identificarla…”
“Vieni
con me,
possiamo andare ad attivarlo assieme.”
“No.”
Asserì lui,
dovendo soffrire così il volto deluso della giovane. Leggeva
nei suoi occhi il
sincero desiderio di voler ancora ricominciare tutto; quel gesto lo
rese
immensamente felice. “Devo prima trovare Alexia. Ha deciso di
cedere al
T-Veronica Virus, questo significa che presto perderà
conoscenza e sarà lei
stessa a distruggere questo laboratorio. Se vuoi scappare, è
questo il momento
per farlo.”
“Non
voglio
scappare da sola. Sono sicura che ci sarà un rimedio. Ti
aiuterò…c’è anche
Chris con me, mio fratello. Insieme troveremo una soluzione.”
Alfred
passò lo
sguardo da lei al suo corpo ormai in avanzato stato di trasformazione.
Lui non
era uno scienziato, ma aveva studiato assieme ad Alexia e
l’aveva aiutata
enormemente nei suoi complicati esperimenti. Sapeva bene che quella era
una
strada di non ritorno.
Decise
dunque di
mentirle, per il bene di entrambi; non v’era tempo per
spiegarle quella
irreversibile verità.
“Allora
cerca tuo
fratello, attivate il sistema di autodistruzione e raggiungete un mezzo
di
trasporto per andare via. Ci incontreremo in seguito.”
Detto
ciò,
l’afferrò stringendola a sé e
risalì verso i piani superiori. Claire osservò la
struttura ormai in balia del fuoco, che velocemente stava
già distruggendo tutto
nel rogo. Era quella la vendetta di Alexia?
Mentre
osservata
attonita la devastante potenza di quella distruzione, un forte boato
simile a
un grido inferocito la fece voltare. Era stato certamente un urlo
mostruoso, ma
aveva un evanescente tono femminile.
“Alexia..?”
Vide
il volto di
Alfred farsi truce, avendo fatto probabilmente la sua stessa
associazione, al
che con fermezza si fece lasciare a terra e gli parlò seria.
“Vai.
Posso
cavarmela da sola. Ci vediamo più
tardi…okay?”
L’ex-altolocato
Ashford non rispose verbalmente a quella domanda, tuttavia le
mostrò uno
sguardo grato, apprezzando sinceramente quel gesto.
Non
si attardò
ulteriormente, il tempo stringeva e rischiava di non poter far
più nulla per
Alexia.
Quando
andò via,
sparendo nel fuoco, Claire allungò un braccio verso di lui,
avendo fatto caso
che egli non avesse risposto alla sua invocazione.
Strinse
i denti,
era anche lei abbastanza cinica e razionale da sapere come sarebbero
andate le
cose, eppure quella bugia l’aiutò ad andare
avanti, ad affrontare quell’ultimo
decisivo passo prima che l’incubo finisse per sempre.
Lo
doveva fare non
solo per lei, ma per Alfred, per suo fratello Chris, per
Steve…e anche per
Alexia.
Guardandosi
attorno
riconobbe il corridoio dove si trovava, le sarebbe bastato imboccare
qualche
angolo e sarebbe arrivata a destinazione.
In
effetti lei ed Alexia
avevano in comune lo stesso scopo: far bruciare nella cenere
quell’inferno
senza anima, maledetto dal marchio disumano e spietato
dell’Umbrella.
[…]
Chris
Redfield si
gettò fra le fiamme, raccogliendo il capo fra le mani e
lanciandosi con una
posizione aereodinamica, proprio per tangere le vampate di fuoco il
più
velocemente possibile e limitare le ustioni, per quanto possibile.
Non
esisteva per
lui il fatto di restare a guardare rinchiuso lì dentro,
soprattutto dopo quel
che aveva visto.
Quando
Alexia era
scomparsa in seguito alla sua trasformazione, egli era rimasto solo in
quel
lugubre laboratorio strisciato di sangue per diversi interminabili
minuti.
Mentre
faceva per
elaborare un piano, dominando l’irrequietezza di quel
momento, sentì qualcosa
muoversi alle sue spalle.
Restò
in guardia,
voltandosi cautamente, pronto a far fuoco, ma ciò che si
animò davanti ai suoi
occhi lo fece pietrificare.
Si
era quasi
dimenticato che la giovane donna aveva lasciato sul pavimento bagnato
il corpo
di un ragazzo esile e pallido, molto rassomigliante a lei.
Si
trattava probabilmente
di suo fratello, il quale gestiva la base di Rockfort Island a quanto
aveva
letto dai rapporti; un uomo irrequieto, instabile, ormai
sull’orlo del delirio.
Essendo
visibilmente morto, non vi aveva dato peso, eppure quando
sentì quei gemiti,
non mise in dubbio un attimo la possibilità che egli potesse
essersi rianimato
dato quel macabro contesto.
Sbirciò
oltre le
sbarre incandescenti create da Alexia e vide quel corpo muoversi come
fosse in
preda a un attacco epilettico; fu un’immagine terribile,
umanamente sarebbe
corso a soccorrerlo, tuttavia sapeva bene cosa stava accadendo in
realtà.
Quell’uomo si stava trasformando e, al contrario, era lui ad
essere in
pericolo.
Rimase
immobile,
pronto a difendersi se lo avesse attaccato, non avendo però
la concreta
possibilità di scappare si sentiva inquieto.
Tutto
a un tratto,
quel corpo prese letteralmente fuoco, in un modo diverso da quello di
sua
sorella. Questo perché ovviamente, a differenza della donna
che era in grado di
dominare il virus, per un comune umano era diverso.
Il
ragazzo sdraiato
a terra invece dapprima si carbonizzò del tutto, in seguito,
quando le fiamme
si spensero, egli assunse un aspetto a metà fra un mostro e
un uomo.
Aveva
conservato i
tratti somatici del viso, così come la struttura del corpo,
eppure era grigio,
con la pelle squamosa, rivestito da pezzi organici più
rigidi e neri che lo
avvolgevano in varie parti del corpo. Al posto delle sue braccia
v’erano degli
artigli e i suoi occhi si fecero gialli ed iridescenti. Il sangue
colava dal
suo corpo, conferendogli un aspetto dolente eppure vigoroso.
Lo
vide lentamente
smettere di tremare, per poi mettersi in piedi e tornare padrone del
suo corpo
trasformato.
Improvvisamente
si
curvò in avanti e dalla sua schiena schizzarono fuori dei
strani artigli simili
a dei rami. Questi gridò dal dolore, mentre il rosso scuro e
copioso colava
ancora dalle sue immense ferite, alcune avute prima della sua morte,
altre creatosi
durante quella tragica metamorfosi.
Chris
indietreggiò,
comprendendo che egli non era una B.O.W. qualsiasi. Era invece molto
più simile
a quell’orribile creatura già incontrata ai tempi
delle sue indagini sui Monti
Arklay. Egli era una variante dell’esemplare Tyrant,
l’arma batteriologica
creata da Wesker.
Il
soldato ben
conosceva quanto potesse essere devastante. All’epoca
riuscì a sconfiggerne uno
solo perché armato di una potente magnum reperita per caso
in un sotterraneo; poi
poté distruggerla definitivamente grazie a Brad, che gli
lanciò un lanciarazzi
dall’elicottero di salvataggio.
Osservò
dunque il
suo equipaggiamento attuale, composto soltanto dalla sua pistola 9mm e
un
coltello.
Se
quel Tyrant
avesse deciso di attaccarlo, era sicuramente morto.
Stette
dunque
immobile, preferendo attendere prima di agire; per qualche motivo
quell’arma
batteriologica si limitava a stare immobile, come fosse assorto.
Quando
decise di
muoversi, questi rigò dritto lungo il corridoio, avanzando
con passi lenti e
pesanti.
Chris
bloccò i suoi
movimenti, compreso il respiro, attendendo paziente che il mostro
passasse.
Questi non lo curò di uno sguardo, nemmeno quando gli
passò a fianco.
Con
un attaccò
potente scaraventò via la porta di ferro che Alexia aveva
chiuso a chiave,
dopodiché per sua fortuna sparì.
L’ex
membro
S.T.A.R.S. tirò un sospiro di sollievo, ma solo fino a un
certo punto. Adesso,
oltre B.O.W. varie, Hunter, Alexia e Wesker, v’era anche un
Tyrant nei paraggi.
Temeva per la vita di sua sorella, doveva sbrigarsi a portarla via da
lì.
Fu
in quel momento
che decise di lanciarsi nel fuoco e scappare via; anche
perché quel mostro aveva
aperto la porta del laboratorio.
Una
volta superata
la gabbia di fuoco, controllò i danni della scottatura sulla
sua pelle. Tutto
sommato se l’era cavata bene; una volta rientrato alla sua
base si sarebbe
fatto medicare. Le braccia erano molto rosse, così come
addosso avvertiva più
di qualche dolenza. Tuttavia date le circostanze non aveva da
lamentarsi.
Controllò
i
proiettili un’ultima volta e avanzò fra le macerie
di quel che rimaneva del
laboratorio.
Mentre
procedeva, stette
a guardare l’enorme voragine ora presente sulla passerella
circolare posta al
centro della struttura. V’era però qualcosa di
diverso.
Si
accorse in modo
tardivo che prima v’era il Baccello sospeso in quella zona;
una mastodontica
struttura simile a un alveare, fulcro degli studi di Alexia. Dove
diavolo era
finito ora?
Sapeva
che
l’appuntamento con Claire era all’aeroporto, ma
v’era ancora un’ultima cosa da
fare.
Il
suo cuore gli
comandava di cercare Alexia, di provare a parlarle un’ultima
volta. Non voleva
abbandonarla.
Decise
quindi di
scendere in profondità, andare dove sicuramente era
lei…al cuore di tutto.
Non
fu difficile
individuare il suo percorso, bastava seguire la fonte del fuoco, dove
questi
era più recente e violento.
Giunse
così in un’area
ampia e spoglia, simile a un hangar.
Osservò
la
struttura ferrosa, lasciandosi incuriosire dalla vertiginosa altura
circolare,
simile a un tunnel, che si propagava in altezza lungo tutta la
struttura
probabilmente.
Era
un luogo
certamente molto tecnologico, adibito a qualcosa che non
riuscì a comprendere.
Ciononostante non era lì per indagare, ormai. I tempi
stringevano e lui aveva
una severa tabella di marcia da rispettare prima che la situazione
precipitasse
in modo irreversibile.
Salì
un paio di
rampe di scale arrugginite e si affacciò su una piattaforma
sospesa nel vuoto,
costituita da una pesante grata di ferro battuto. Camminarvi fu
abbastanza
inquietante.
Ad
ogni modo
esaminò il luogo e si immobilizzò quando, al
centro della piattaforma, ritrovò
una forma ancora più avanzata della Regina ormai trasformata.
L’animo
di Chris si
frantumò, mal sopportando quella realtà.
Vide
il suo corpo
ridotto a un cumolo di carne informe, vagamente somigliante a una
crisalide. Il
suo busto si ergeva scheletrico alla sommità di esso,
elevandosi come appeso
solo dalla colonna vertebrale. Il suo volto era ormai deformato, le sue
fauci
spalancate; non v’era più niente di Alexia se non
la sua ferocia e la sua sete
di vendetta.
Si
era fusa col
Baccello, innalzandosi a un livello di potenza assoluta.
Da
ella si
innalzarono ulteriori fiamme. Voleva soltanto distruggere tutto quello
che
vedeva, era impazzita.
Finalmente
la sua
collera era libera di sfogare la frustrazione maturata in lunghissimi
anni di
agonia, sfruttamento, solitudine, odio,
devastazione…sentimenti rimasti
intrappolati troppo a lungo nel suo corpo, nella sua mente dotata di un
ingegno
superiore alla norma, incapace tuttavia di rincorrere la
felicità.
Ogni
cosa era stata
inghiottita nel baratro nero della distruzione. Chris poté
vederla ridere di
gusto, nonostante le sembianze mostruose; ella era gioiosa di poter
finalmente
restituire quel che le era stato fatto.
Solo
non si
accorgeva che quella che aveva più perso, era proprio lei. O
forse ne era
perfettamente consapevole, soltanto che non vedeva più
soluzioni. Ad ogni modo
era ormai troppo tardi.
Come
da lei
promesso, non lo attaccò. Si limitò a far
esplodere tutto, incurante che così
comunque lo avrebbe messo in pericolo.
Chris
dovette
aggrapparsi alla ringhiera con tutte le sue forze per non venire
scaraventato
via. Doveva fare qualcosa, con lei in quello stato non sarebbe mai
riuscito a
scappare.
Sebbene
amareggiato, non poteva far altro che attaccarla; doveva sconfiggerla.
Puntò
la pistola e
cominciò a colpirla, ma i suoi proiettili sembravano sparire
nella massa enorme
del suo corpo.
Ella
si voltò verso
di lui, notandolo, in seguito lo scrutò furiosa; come aveva
osato spararle dopo
che gli aveva salvato la vita?
In
preda all’ira
vomitò verso di lui un liquido vischioso e ustionante, che
egli riuscì a
deviare per il rotto della cuffia.
“Come
hai potuto
ridurti in questo modo?! Come puoi dargliela vinta, Alexia?”
“Come
osi giudicare
la mia opera? Non sei in grado di valutare la grandiosità
del mio esperimento,
l’apice della mia collera e del mio ingegno. Presto la mia
trasformazione
supererà ancora di più i suoi limiti, liberando
la vera Regina. Preparati,
avrai questo sommo onore, Chris Redfield!!”
A
grande sorpresa
dell’uomo, la ragazza conservava ancora la sua coscienza; la
cosa lo turbò
ulteriormente perché voleva dire che quel che stava facendo,
lo stava attuando
con un malato raziocinio di cui era più che consapevole.
Due
erano le
possibilità: o era irrimediabilmente pazza, oppure
desiderava davvero morire,
come ipotizzava.
Chris
per principio
non dava mai dello scellerato a nessuno, dunque, considerare la seconda
ipotesi
come unica ragione possibile, gli rendeva davvero difficile combattere
seriamente contro di lei.
Eppure
la violenza
degli attacchi del T- Alexia furono talmente aggressivi da impedirgli
di agire
con delicatezza.
Un
mordi e fuggi
non sarebbe bastato, doveva combattere quale il soldato specialmente
addestrato
che era.
Mirò
dunque ai suoi
occhi e sparò, costringendola finalmente a fermarsi dai suoi
innumerevoli attacchi.
La vide corrucciarsi dolorante, per poi riprendere purtroppo
più forte di
prima. Era inarrestabile.
In
quello stesso
istante un allarme prese a avvisare l’intero stabilimento che
il “SISTEMA DI
AUTO DISTRUZIONE” era stato attivato. In meno di venti
minuti, l’intero
Laboratorio dell’Antartide sarebbe stato ridotto a un cumulo
di cenere.
“ATTENZIONE:
il sistema di auto-distruzione è stato
attivato. Si prega l’intero personale di evacuare al
più presto. Meno 19 minuti
alla detonazione. Ripeto…ATTENZIONE:
……”
Tempestivamente,
il
Tyrant risvegliatosi poco prima saltò esattamente fra loro,
irrompendo in
quella battaglia.
Questi
sollevò il
viso e osservò prima Chris, l’uomo che non aveva
ancora avuto l’onore di
conoscere; in seguito si voltò verso la sua eterna donna, la
sua amata e devota
sorella, attesa con costanza e assoluta fedeltà per quindici
interminabili anni
di agonia.
Persino
lo sguardo
di Alexia, ormai ridotta a un mostro, mutò completamente,
facendosi improvvisamente
più fragile, amareggiato, ricolmo di quel dolore intenso che
l’aveva
definitivamente fatta impazzire.
Intanto
la sirena
continuava a ripetere le procedure di evacuazione, scandendo i brevi
tempi del
countdown. Un susseguirsi di boati in lontananza richiamavano
l’attenzione dei
pochi individui ormai rimasti vivi tra quelle mura, ricordando loro che
la
struttura di suo non avrebbe più retto per molto.
Eppure,
nonostante
quell’inferno sceso in terra, i due gemelli rimasero
l’uno di fronte all’altro,
completamente immobili e silenti, abituati a vivere in bilico fra la
vita e la
morte da sempre, accompagnati dal fragore della distruzione.
Non
temevano
l’apocalisse, in quanto per loro le fiamme ardenti del male
non avevano mai
smesso di bruciare il loro cuore e la loro vita; era un fuoco
impossibile da
placare ormai.
“Alfred…”
Lo
chiamò
forzatamente T-Alexia, sull’orlo di quell’ultimo
stadio della sua evoluzione.
La sua voce risultò polifonica, non riusciva quasi
più a parlare, ma poter
pronunciare quel nome un’ultima volta bastò a dire
tutto.
Erano
entrambi
stanchi, ambedue volevano solo che quella tragedia finisse.
Alexia
osservò
dall’alto suo fratello, che sebbene in piedi grazie alla sua
iniezione, si era
trasformato in un essere completamente diverso da come lo ricordava.
Vedendo
la sua
pelle deturpata e i suoi meravigliosi occhi celesti divenuti dorati,
provò una
morsa al cuore così affliggente da imporle di strillare.
Gridò
furiosa e si
dimenò afflitta, straziata dall’esito infelice di
quella vicenda in cui non
aveva che perso tutto.
Per
il suo ennesimo
egoismo, aveva impedito persino a suo fratello di morire in pace; pur
di
rivederlo gli aveva fatto questo, lo aveva ridotto a una squallida arma
batteriologica.
Tutto
nel nome di
una scienza di cui non le importava nulla davvero; ella aveva sempre e
solo
voluto superare i suoi limiti, arrivare a toccare la sommità
di un intelletto
che non faceva che comandarle di elevare i suoi studi, sempre di
più.
Non
riusciva a
fermarsi, non poteva. Era stata maledetta da suo padre, che le aveva
donato
quel potere immenso fin da bambina.
Ora
che soffriva le
pene dell’inferno giunta al limite della sopportazione,
vedeva con obbiettività
il completo fallimento di quell’esperimento e la sua vita
distrutta in ogni suo
aspetto.
Allargò
le braccia
ormai mutate in due ali e con una spinta decisiva si staccò
dalla larva sulla
quale era attaccato il resto del suo corpo. Si liberò dunque
di quella massa e
volò via, affiancandosi a quell’unico amore che
aveva contato nella sua vita,
sprofondando fra le sue braccia.
Chris
osservò da
lontano quella scena, in cui due ragazzi ormai trasformati in B.O.W.
invece
furono ancora capaci di provare un sentimento di sincero affetto.
Fu
angustiante
vederli uniti in quel tenero abbraccio, in quella crudele forma
mostruosa.
Abbassò
dunque
l’arma, non poteva sparare contro due individui che invece
non erano che le
infelici vittime di un sistema che andava combattuto.
Sentì
Alexia
ruggire qualcosa, non era più in grado di parlare, ma Alfred
comprese
perfettamente cosa ella volesse dirgli.
L’accarezzò,
poi si
voltò verso il soldato rimasto a una distanza tale da
concedere loro la giusta
discrezione di quell’attimo.
“Andate
via, sia tu
che la Redfield.”
Chris
strinse le
dita, sentendosi impotente. Non dibatté e non disse nulla.
Si
girò dunque e
corse via.
L’Ashford
stette a
guardarlo fino a quando non sparì da quella piattaforma
definitivamente, tornò
poi a curarsi di sua sorella, che lentamente riprese le sue sembianze
da donna
avendo abbandonato la sua sete di vendetta.
Le
sorrise e si
avvicinò al suo viso, potendo finalmente sentire il suo
respiro, toccare la sua
pelle, scaldarsi con quell’amore che aveva straziato
così tanto il suo cuore.
Alexia
riaprì gli
occhi e si specchiò in quelli dorati di suo fratello. Gli
accarezzò il viso, avvicinando
la sua fronte alla sua, sorretta dalle sue forti braccia.
Questo
mentre il
conto alla rovescia continuava a scendere, decretando
l’inevitabile fine del
loro palazzo degli orrori, teatro di un macabro spettacolo tirato
avanti anche
troppo a lungo.
Adesso
potevano
essere liberi di calare il sipario e sparire per sempre.
“Mi
dispiace, non
ho potuto fare a meno di te. Non sono stata forte quanto lo sei stato
tu.”
disse per scusarsi per avergli iniettato il suo virus.
“Non
importa. Sono felice
di rivederti, Alexia, sorella mia.”
Rispose
lasciando
che lei sprofondasse sul suo collo.
Accarezzò
i suoi
lunghi e meravigliosi capelli biondi e fu come se il tempo non fosse
mai
passato; era tutto come allora, come lo ricordava.
Era
però giunto il
momento di dirsi addio; loro malgrado le scelte erano state prese ed
entrambi
sapevano cosa dovevano fare. Per il loro bene e per la loro giustizia.
Dagli
occhi di
Alexia comprese che per lei era lo stesso, così i due si
guardarono
intensamente, sorridendo.
“Distruggiamo
questo posto.” disse dopo un lungo silenzio.
“Sì.”
Confermò lui e
tutto si fece buio.
Intanto,
ben più
lontano da loro, Chris corse a perdifiato deviando agilmente le
svariate B.O.W.
che tentavano invano di salvarsi dall’incendio che ormai
divampava ovunque nel
laboratorio.
Scavalcò
la
ringhiera ormai spezzata e riuscì a imboccare qualche
piccola scorciatoia per
raggiungere l’aeroporto al piano superiore. Tirò
un paio di colpi, aprendosi la
strada, doveva agire in fretta.
Pregò
soltanto di
trovare Claire lì, non v’era purtroppo
più tempo per aspettare e se lei non ci
fosse stata proprio non sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Tuttavia
conosceva sua
sorella, credeva in lei, sapeva l’avrebbe trovata pronta a
salire sul Jaguar
militare; doveva crederci!
Mentre
finalmente risaliva
in superficie, una sonora risata lo richiamò dal basso,
costringendolo a
guardare verso il fondo dell’inferno in combustione che aveva
lasciato alle sue
spalle. Strinse gli occhi e nel rosso sfavillante distinse la figura
del suo
ex-capitano.
“Wesker…sei
vivo…”
disse stringendo i denti, al che egli rise di gusto.
“Questo
non è un
addio, Redfield.” esclamò sicuro di sé,
mentre i suoi occhi vermigli
risplendevano dalle lenti scure. Sogghignò di nuovo; quasi a
voler dimostrare
di essere il padrone assoluto e di non temere nulla, nemmeno
quell’imminente
esplosione. Puntò l’indice contro di lui, come un
corvo che da appuntamento
alla sua preda che presto verrà a reclamare
dall’oltretomba. “Ho preso il
campione che mi serviva dall’altro ragazzo. Ci incontreremo
di nuovo, puoi
contarci. Questo è solo l’inizio di una
lunga agonia che non ti darò il piacere di vincere. Non
deludermi quando sarà
la nostra occasione. Per quel giorno voglio una battaglia degna di
noi…vedrai,
Ah! Ah! Ah!”
Parte
dell’impalcatura crollò, impedendogli la visuale
su Wesker. Il soldato dové
così rigare dritto, consapevole che quando i due avrebbero
avuto quella resa
dei conti, non sarebbe stato facile; tuttavia bramava quella battaglia
esattamente quanto lui, avrebbe pagato per il male col quale aveva
macchiato
l’umanità.
Riprese
quindi a
correre per la sua strada, spalancò la porta e finalmente
giunse a ridosso
della passerella che sopraelevava l’aeroporto, dove
felicemente ritrovò Claire
ad aspettarlo.
La
ragazza gli
corse incontro, ma non v’era tempo per i saluti; dovevano
andare.
“Grande,
Claire.
Hai attivato tu il sistema di autodistruzione?” disse mentre
l’aiutava a salire
sul Jaguar.
“Sì,
mi ha dato
Alfred la scheda per farlo.”
“Alfred?
Intendi il
fratello di Alexia?”
“Esatto,
lei gli ha
iniettato il virus ma è ancora cosciente, abbiamo parlato
poco fa. A proposito,
dobbiamo aspettarlo. So che avrai sentito cose strane su di lui, poi ti
spiegherò con calma, ma non possiamo andare via
così.”
Il
cuore di Chris
si strinse, doveva darle quella notizia, anche se non voleva.
“Claire.”
la chiamò
ponendosi di fronte a lei, sorreggendola per le spalle. La ragazza
ricambiò,
rivolgendogli lo sguardo di chi è già a
conoscenza di quel tragico epilogo. “Lui
ed Alexia non verranno.”
Claire
abbozzò un
amaro sorriso, trattenendo con sforzo le sue emozioni.
“Lo
so.” disse. “Ma
io desidero aspettarli lo stesso. Questa non è solo la loro
battaglia, è anche
la nostra. Ormai abbiamo conosciuto il loro mondo, abbiamo visto con i
nostri
occhi cosa gli hanno fatto; non me la sento di andarmene
così.”
Chris
non seppe
cosa dirle, il countdown era ormai quasi al limite, se voleva davvero
salutarli
un’ultima volta, dovevano fare in fretta.
“Facciamo
così.”
esclamò. “Usiamo il Jaguar per circumnavigare lo
stabilimento, sarà più facile
trovarli.”
I
due Redfield si
sistemarono dunque sul velivolo e una volta avviata la preparazione per
il
volo, questi si sollevò da terrà, mentre del
palazzo dove erano stati fino a
quel momento non rimaneva più molto.
Claire
si affacciò
speranzosa, cercando con lo sguardo quell’uomo che non aveva
potuto vincere il
suo destino, ma che le aveva insegnato molto, lasciando
un’indelebile traccia
dentro di sé.
Lo
cercò
ininterrottamente, in balia della paura che fosse ormai troppo tardi.
Intanto iniziarono
le prime esplosioni, le quali fecero crollare una buona parte della
struttura.
I
due ragazzi compresero
che era ora di andare, purtroppo; dovevano allontanarsi, era troppo
pericoloso.
Mentre
Chris fece
per fare manovra, con la coda dell’occhio la rossa distinse
una figura alta e
longilinea, in piedi su una finestra ormai completamente frantumata.
Si
voltò totalmente
e riconobbe quell’uomo; era Alfred, al cui fianco vi era la
donna che aveva tanto
amato, la quale gli stringeva la mano.
Le
fiamme
divampavano alle sue spalle ma egli, incurante, non spostò
lo sguardo da
Claire, la quale ricambiò con la stessa intensità
quegli occhi ricolmi di
passione.
Nonostante
il fumo
nero che lentamente offuscò quell’immagine, la
ragazza mantenne quel contatto
visivo fino alla fine, comprendendo nitidamente il forte messaggio che
lui
voleva comunicarle.
Doveva
raccontare
ciò che aveva vissuto, divulgare ciò che aveva
visto albergare fra quelle mura.
Claire
era la viva
testimonianza di un mondo creato nel baratro indifferente e spietato
della malvagità,
ove tutto era lecito; un inferno in cui ciò che di
più marcio e disumano aveva
potuto avere libero sfogo.
Nessuno
era stato
punito a dovere, alcuno aveva mai osato opporsi al loro dominio.
Quel
palazzo ormai
distrutto, quelle vite strappate via con crudeltà,
quell’inumana scelleratezza
che li avevano trasformati in mostri... quella storia disumana non era
finita;
non doveva essere dimenticata.
Sarebbe
stata una lunga
battaglia, forse non ne sarebbero mai davvero usciti.
La
Redfield aveva
toccato con mano quell’esistenza deturpata e agonizzante, la
sofferenza e
l’abbandono che avevano costretto due giovani a perdere la
loro umanità.
Il
loro destino era
stato deciso, ma quella morte non sarebbe stata vana se lei fosse stata
la
testimonianza di tutto questo.
Il
luogo ove aveva
vissuto il demonio, che aveva redatto le sue mura con l’odio,
con la
perversione, dando vita al male più spietato.
Con
la mano
poggiata sulla parete ormai in frantumi, Alfred Ashford si
specchiò un’ultima
volta nelle iridi della sua splendida donna dai capelli rossicci,
entrata nella
sua vita in modo così complesso da aver sconvolto in pochi
attimi quegli anni vissuti
nel terrore e nella violenza.
Era
giunta nel suo
regno dominato dalla follia, aveva conosciuto la sua realtà
ricca di menzogne e
paradossi, e infine era riuscita a conquistarlo per sempre. Tutto
così
velocemente da non poter essere spiegato in modo logico.
Non
era un addio.
Sarebbe sempre rimasto con lei; lo sapeva.
L’Umbrella
doveva
pagare. Doveva essere condannata per ciò che aveva fatto.
Sapeva
di poter
contare su di lei.
Un
ultimo boato
preannunciò che il tempo era ormai giunto al suo termine,
dopodiché quello che
era stato l’impero degli ultimi eredi Ashford fu inghiottito
dalle implacabili
fiamme, decretando la loro inoppugnabile fine.
Il
Jaguar sostenne
un potente rinculo, che Chris riuscì a gestire con grande
maestria essendo un
aviatore esperto, questo mentre osservava dallo specchietto retrovisore
la
struttura dell’Umbrella che spariva in un’immensa
nube di fuoco.
La
distesa bianca e
desolata dell’Antartide nascose nel suo freddo candore quanto
di sporco v’era
in quel mondo che andava ripulito.
Con
l’animo ancora
in balia dei propri ricordi ed emozioni, Claire posò una
mano sulla spalla di
Chris, stringendo forte.
Egli
non poté
ricambiarla essendo impegnato a guidare, tuttavia entrambi sapevano
quanto
quell’esperienza li aveva cambiati. Nulla sarebbe
più stato come prima.
La
ragazza chiuse
gli occhi. Adesso toccava a lei.
Non
era la fine di quella storia.
Avrebbe
dedicato la sua intera esistenza a combattere contro coloro che
avevano distrutto quelle vite.
Ognuno
era vittima di quella tragica esplosione che adesso stava celando
fra le sue ceneri un tumore che non era stato possibile curare.
Un
dolore che aveva intaccato le ossa.
Un
malanno che era stato capace di contagiare fin nei meandri
più
oscuri, insinuandosi con la sua pece.
Non
sarebbe stata in silenzio.
Quella
vicenda sarebbe stata diffusa con veemenza, senza far sconto
alcuno.
Il
male non sarebbe stato il vincitore finale.
[***]
…7
anni dopo…
2005
Claire
Redfield è diventata una attivista di ‘TerraSave’,
una associazione in lotta contro lo sviluppo e l'impiego delle armi
batteriologiche, impegnata nel soccorrere le vittime del bioterrorismo.
Due
anni prima, suo fratello
Christopher Redfield fonda la BSAA (Bioterrorism Security Assessment
Alliance),
per combattere il numero crescente di B.O.W. vendute dal mercato nero,
con lo
scopo principale di prevenire e sterminare il bioterrorismo.
Ancora
oggi la
guerra non è giunta al suo termine.
-FINE-
NdA:
The
end.
La
storia è finita.
Cosa
posso aggiungere? Ci ho messo tutta me stessa in
questa fanfiction, sul serio. Una parte di me resta fra queste pagine
che hanno
rappresentato una parentesi importante di me stessa. Ogni parola
scelta, ogni
rigo, ogni frase, ogni concetto, sentimento o situazione che cercavo di
descrivere; è stato pensato, scelto, e pesato proprio per
far arrivare a chi
legge un determinato messaggio.
Ho
scelto uno stile di scrittura lungo, un po’ complicato,
spesso intricato e volutamente ermetico proprio per farvi immergere
già solo
con lo stile nel mondo degli Ashford e di Resident Evil. Un mondo
oscuro,
difficile, psicologico.
Al
di la se vi ha incuriosito la coppia Alfred x
Claire, protagonista della vicenda, spero vivamente che la storia vi
sia
piaciuta.
Ho
cercato di farvi entrare nel mondo introspettivo, inquietante
e bizzarro di un personaggio sul quale si è detto molto
poco: Alfred Ashford.
Un
uomo indubbiamente devastato dal contesto di follia
ove la sua mente è stata deviata, vittima di un sistema
crudele e spietato a
cui ha reagito con la pazzia e la violenza.
Mi
son chiesta cosa gli accadrebbe se avesse la
possibilità di incontrare una luce…una speranza
diversa da quella che lui
conosce…diversa da Alexia.
Così
ho creato questo “assurdo” pairing, in cui la
dolce e temeraria Claire Redfield riesce persino a toccare il suo
cuore. Quello
di un uomo come lui.
Ho
cercato di creare dei presupposti più o meno
plausibili che spero nell’insieme abbiano dato vita a una
storia gradevole da
seguire.
Non
ho voluto dare la morale finale all’amore.
Piuttosto
volevo puntare l’attenzione sul quanto spesso
basti poco a cambiare il cuore di una persona.
Il
finale è lo stesso del Code Veronica, ma lo spirito
col quale sia Alfred che Alexia lasciano questo mondo, è
tutt’altro. Ed è qui
il vero cambiamento del mio finale rispetto l’opera
originale.
Alfred
ha imparato tanto da Claire. Ha conosciuto la
speranza, la luce, l’amore, sentimenti che sembravano ormai
essergli preclusi.
Ha invece ritrovato il se stesso al di fuori di Alexia.
Questo
grazie alla ragazza che prima era sua nemica.
Ha
scoperto un mondo fuori dalla pece che oscurava il
suo cuore macchiato dall’orrore.
La
denuncia è quindi verso un mondo indifferente, che
ha lasciato quei due ragazzi da soli, tra le mani di folli mentecatti
che ben
presto avrebbero condannato l’intero pianeta.
I
due Ashford non sono che le vittime di questo disumano
destino.
Dunque
è compito di chi vive essere testimone di quanto
accaduto, e fare di tutto purché vi siano sempre meno
vittime.
Questo
è il peso che personaggi come Claire, Chris,
Leon, Jill, etc, dovranno portare…
Un
sincero e affettuoso ringraziamento a tutti coloro
che hanno seguito la pubblicazione e a coloro che hanno letto.
Uno
speciale grazie a mia sorella gemella, la quale mi
ha spinto tanto a non mollare. Mi ha seguito come beta reader e mi ha
sempre
sostenuta dandomi ottimi consigli nei momenti di blocco narrativo.
Grazie
davvero.
Il
sipario è calato e io faccio un grandissimo inchino!
Grazie!!
by
FiammahGrace
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