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Autore: fiammah_grace    26/07/2018    1 recensioni
[Resident Evil: code Veronica X]
"Seppur la non fisicità di Alexia, la sua presenza era rimasta come un alone costante nella vita dell’uomo che abitava oramai da solo quel vuoto castello.
Una costante fittizia, ma così viva e forte che a un certo punto lui stesso l’aveva resa reale continuando a dare un nome, un volto e un ruolo alla sua venerata e lontana sorella, muovendo uno spaventoso gioco di ruolo mentecatto in cui ella esisteva e non lo aveva mai lasciato.
Nulla avrebbe avuto importanza per lui. Avrebbe sacrificato ogni cosa al fine del benessere e del successo della sua Unica Donna, la sua Unica Regina. Persino se stesso.
Qualcuno tuttavia aveva osato disturbare la sua macabra attesa.
Claire Redfield. Il nome della donna dai capelli rossi che aveva invaso il suo cammino nel momento più prezioso. Il nome dell’infima donna che aveva sporcato l’universo perfetto di lui e Alexia, portando scompiglio nel suo territorio.
Quella formica che gli aveva dato del filo da torcere…persino troppo. Più di quanto potesse sopportare."

[Personaggi principali: Alfred Ashford, Claire Redfield]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfred Ashford, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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The Only Woman, The Only Queen




-Ultimo Atto-
 
 
 
 


 
 
 
Capitolo 28: Nec sine te, nec tecum vivere possum
Non posso vivere né con te, né senza di te. (Ovidio)
   
 
 
 
Ti odierò se potrò; altrimenti ti amerò mio malgrado.
-Ovidio, Amores  (III, 11b, 3)
 
 
 
 




 
 
 
 
Laboratorio dell’Umbrella corporation - Sede: Antartide
 
 
 
  
 
 
Le sirene del sistema di allarme si diffusero fra le mura gelide dell’imponente edificio nascosto tra le distese dell’Antartide, emettendo il loro ultimo grido.
Squillarono logorate a furia di tacere le orrende storie, gli inaccettabili destini e la violenza più macabra di cui erano amaramente testimoni.
Gemiti e fragori di estremo dolore, uniti a vite distrutte e plagiate, tutte nel nome di una scienza che mirava solo a contaminare la dignità umana.
Esperimenti nascosti e menti deviate, che furono lasciate libere di agire per troppo a lungo, e così quel territorio fu costretto a fingersi orbo e silente, pur di sopravvivere.
Aveva tappato le orecchie, serrato gli occhi, cercato di fuorviare ogni cosa per salvarsi, ma internamente sapeva di aver visto la morte al suo livello più crudo e disumano. Questo l’aveva ormai macchiato per sempre.
Le luci rosse lampeggiavano seguendo un movimento circolare, illuminando l’intera struttura finalmente libera di urlare. Furono come il simbolo di una struttura invece viva, stanca di essere indifferente, vogliosa di far sparire dalla faccia della terra quegli abomini.
Quegli allarmi parlavano e volevano gridare alle lande desertiche e desolate di tutto l’Artico che in quel luogo viveva il male.
L’apatia e il dolore incommensurabile avevano alimentato le fauci affamate della ferocia; un orrore che tutti avevano fatto finta di non vedere.
Claire Redfield era fra quelle mura e si sistemò davanti la cella, pronta a scappare appena la porta della prigione si sarebbe aperta.
Aveva recuperato le sue vesti, tornando a essere la determinata e forte ragazza che era sopravvissuta appena pochi mesi prima a Raccoon City.
I suoi occhi azzurri tuttavia ora avevano un riflesso diverso; era lo sguardo di chi aveva conosciuto il dolore, la morte, la perdita, tutto a un livello così profondo da cambiarla per sempre.
Il suo cuore batteva, era inquieto, questo perché non riusciva a perdonarsi nulla di come fossero andate le cose.
Doveva però scacciare dalla sua mente quel senso di sopraffazione, più tardi ci avrebbe fatto i conti e sapeva non sarebbe stato un bel momento.
Le sue iridi erano lucide, non aveva ancora superato il lutto di quel tragico finale e mai l’avrebbe fatto. Era giusto che quel dolore facesse parte di lei, non voleva dimenticare. Mai.
Quell’indigesto magone non sarebbe mai stato schiacciato, il suo cuore avrebbe solo potuto convivere con esso. Voltandosi vedeva dietro di sé tutto quel lungo cammino, fatto di persone che avrebbe voluto portare con sé. Lei era la testimonianza della loro vita.
Inspirò, infondendosi coraggio.
Sapeva che presto avrebbe dovuto concentrarsi solo su una cosa: correre.
Chris credeva in lei, era davvero riuscito a venire fino in Antartide pur di salvarla. Ancora non poteva crederci, non aveva nemmeno rivisto il suo volto; ma la sua voce, il suo amore, la sua vicinanza, erano ancora capaci di infonderle quel fondamentale calore umano di cui ognuno ha bisogno per sopravvivere.
Finalmente l’imponente cancello ferroso aprì i suoi battenti. Il suono della sirena era ancora più assordante ora. Claire non attese nemmeno un attimo e intraprese la sua fuga, tornando ironicamente all’inizio di quella storia.
Un sorriso apparentemente fuori da quel contesto si disegnò sulle sue labbra. Un sorriso di amarezza.
Riaffiorò nella sua mente un ricordo ormai lontano, quando assieme a Steve riuscì a evadere dal Centro di Addestramento di Rockfort Island fino a rubare l’aereo nascosto oltre il sommergibile.
A quel tempo fuggendo da un ambiguo e scellerato comandante chiamato Alfred Ashford, un uomo di cui non sapeva nulla se non la sua perfidia e il fatto che lavorasse per l’Umbrella, e fosse dunque suo nemico.
Tutto però era cambiato completamente.
Questo perché aveva conosciuto quel folle soldato, cambiando in modo ineluttabile la sua concezione di quel mondo apparentemente deviato.
Aveva toccato con mano il suo dolore, i suoi dilemmi, i suoi affanni, e infine aveva anche incontrato Lei, la sua Regina, la sua “metà”. Colei che aveva generato quell’apocalisse interiore.
Era entrata nel suo mondo e in poco tempo si era insinuata nel suo cuore…e lui nel suo.
Quel tragico finale aveva distrutto tutto e non aveva dato il tempo a quella conoscenza di evolversi; eppure una parte di sé penava per quell’amore perduto che non era sicura non avrebbe potuto ricambiare.
Alfred…lui…
Era stato capace di donare un amore così immenso arrivando persino a logorare se stesso. Un sentimento così profondo e profano da averla sconvolta completamente. Non avrebbe mai saputo come sarebbe stato, un giorno. Questo la crucciava.
In quel momento correva da sola, fra quei corridoi bui, logori, assordata dal suono degli allarmi, accompagnata solo dalle luci di emergenza, sentendosi profondamente incompleta.
Voltandosi dietro, rivedeva ancora il suo volto, la sua voce che non faceva che richiamarla, rivelando che lui fosse sempre lì ad osservarla.
Egli faceva questo non solo per divertirsi e torturarla; a un certo punto fu la malata manifestazione di un amore squilibrato, inconsueto, forse persino perverso e cruento, ma che poteva essere curato.
Si ritrovò a correre, e correre, lasciando dietro di sé quei ricordi che scivolavano da lei ad ogni suo passo. Frammenti di memorie che non voleva abbandonare; ricordi in cui sperava di salvare quell’animo dannato, che seppure avesse compiuto troppe malvagità, per lei poteva essere aiutato.
Innumerevoli volte si era illusa che ci sarebbe riuscita.
Intanto non si era accorta che anche lui, a sua volta, aveva lasciato una profonda traccia di sé dentro di lei.
Le B.O.W. tentavano di afferrarla, sbattendo contro le celle chiuse e insanguinate, strisciando sui loro corpi lerci ricoperti di vesciche e ferite purulenti.
La Redfield guardò con odio e pietà quell’abominio. Ognuno di quelli era un uomo che non ce l’aveva fatta. Ognuno di loro era come Steve, Alfred, e persino Alexia… persone che avevano lottato, ci avevano provato, e che erano perite.
Lei invece poteva correre, e correre, e correre, avendo almeno la possibilità di salvarsi.
Chris aveva sicuramente intenzione di far saltare in aria quel posto, di bruciare e annientare quell’inferno ispirato dalle menti malate dell’Umbrella per le loro perverse ricerche.
Strinse gli occhi pensando a quel momento…quell’esatto istante in cui tutto sarebbe sparito nel fuoco…definitivamente…
Giunse finalmente fuori da quella fredda prigione, riaffacciandosi dopo tanto tempo nell’atrio del palazzo Ashford, un luogo che aveva percorso innumerevoli volte sia lì che a Rockfort. Prima di andare oltre, per dirigersi verso suo fratello, si fermò ad osservare l’imponente quadro di famiglia, ove erano immortalate le illustri personalità costruite in realtà nella crudeltà e nella menzogna.
Al centro v’era Alexander Ashford. Quell’uomo posato ed elegante ivi ritratto non era un padre; era invece un individuo devastato, che aveva perduto tutto.
Potere, fama, gloria; pur di riottenerli aveva consegnato all’Umbrella la vita dei suoi figli, creati geneticamente appositamente per i suoi scopi egoistici, dimenticando che prima di essere il discendente di un casato tanto rinomato, egli era un uomo ed era un padre.
Era per questo che il suo cuore marcio era stato esposto fra le fitte ferite che deturpavano il suo corpo.
Fu gettato nelle segreta di quell’inferno di cui era complice, trasformandosi in Nosferatu, il mostro che avrebbe sofferto una penitenza eterna, senza mai spirare nella luce di un nuovo giorno.
V’erano poi i due biondi e eterei gemelli, posti ai lati di colui che li aveva generati.
Alexia e Alfred Ashford.
Lei, una ragazzina potente e intelligente, in realtà vittima delle pressioni dei suoi studi. Trattata non diversamente da una cavia da laboratorio, ella aveva finito col perdere tutto, esattamente come suo padre. Arrivò persino a fingere la sua morte quando aveva solo dodici anni, questo pur di scacciare un vuoto che non avrebbe mai colmato in quel modo.
Poi v’era Alfred, il fratello. Lui…
Chiuse gli occhi, non riuscendo a ricambiare per molto quegli occhi infranti.
Anche se soltanto un quadro, rispecchiarsi nelle sue iridi cristalline era doloroso.
Aveva visto quegli occhi infrangersi, svuotarsi, riempirsi di odio e follia, farsi ridenti in balia della crudeltà e del gusto del macabro; ma poi erano cambiati e si fecero colmi di amore, desiderio, passione, tornando a essere umani.
Due occhi tristi, incompleti, che lei aveva conosciuto e aveva compreso.
La storia che aveva appreso era completamente racchiusa in quegli occhi, un percorso tortuoso che non poteva essere riassunto con pochi pensieri; la storia del Re che aspettava la sua unica Donna, la sua unica Regina.
Elaborò tutti gli episodi, quei tragici e cruciali momenti che in tutto il loro insieme avevano dato una profonda caratterizzazione a quella complicata conoscenza.
Se le parole non bastavano, restavano invece i ricordi; essi erano perenni, erano vivi, erano dentro di lei.
Chi era quel bambino vestito elegante posto accanto alla sua famiglia?
Si trattava di una difficile e lunga, lunghissima storia.
Egli era Alfred Ashford; un uomo che, ora poteva ammetterlo, era felice e onorata di aver conosciuto.
Dal nulla, un dolce e familiare motivetto prese a echeggiare fra quelle mura, contrapponendosi alla sirena dell’allarme. Si trattava dell’ormai nota melodia dei due gemelli, quella che raccontava quella tragica storia tra amanti. Il suono proveniva da oltre il quadro, il quale in realtà era una porta.
Claire avanzò sulle scale, guidata da quella musica, come in completa balia di essa. Procedette lentamente, pesando ogni passo, avvicinandosi sempre più a quell’uscio.
Prese mentalmente a canticchiare le parole della storia narrata da quel carillon, leggendovi le immense similitudini con la vita dei due ragazzi.
Quando arrivò di fronte la porta, restò immobile qualche attimo prima di posare la mano su di essa per aprirla.
 
 
[…]
 
 
 
Centro Artico dell’Umbrella Corporation - Laboratorio segreto
 
 
Chris attivò l’ultimo codice, tenendosi pronto a scattare nel momento nel quale tutte le porte si sarebbero sbloccate. Era pronto. Non aveva motivi per indugiare.
Il suo piano era molto semplice; avrebbe recuperato Claire e subito dopo l’avrebbe portata verso il Jaguar che aveva visto parcheggiato sulla pista di atterraggio interna della struttura; si trattava di aereo da attacco bimotore a getto sviluppato, estremamente veloce e devastante. Sarebbe stato il perfetto mezzo per fuggire una volta per tutte, prima che quel luogo crollasse del tutto.
Si diede quindi da fare. Caricò la 9mm, ormai l’unica arma rimastogli, e una volta terminati i preparativi sbloccò l’ultimo sistema di sicurezza.
Dopo quel momento, v’era un timer che non sapeva quando di preciso sarebbe scattato. Conosceva quel tipo di congegno e l’informazione più importante da tener conto era di agire in fretta e con estrema attenzione. Due fattori molto difficili da collimare.
Chris era però un soldato abituato ad agire sotto pressione quindi quando decise di abbassare quella leva e schiacciare il pulsante, non aveva timore. Era pronto.
Corse via subito, dirigendosi verso l’uscita delle prigioni, che a occhio e croce affacciava sull’atrio principale dove era passato recentemente per giungere nei laboratori. Doveva solo fare il percorso a ritroso e intraprendere qualche piccola deviazione.
Grazie al sistema di evacuazione, le porte erano state sbloccate tutte; dunque, zombie a parte, muoversi risultava più veloce e pratico finalmente.
Gli allarmi rimbombavano assordanti, essendo Chris ancora frastornato dalla lunga permanenza nella stanza buia.
Quell’alternarsi di buio e rosso sfavillante lo disorientava, ma non abbastanza da impedirgli di muoversi con relativa disinvoltura. Con l’arma ben puntata davanti a sé, non si fece remore nel colpire a uno a uno le varie teste tramortite che si affacciavano verso di lui bloccandogli il passaggio.
Aveva conservato le sue munizioni per quel momento, era arrivato il momento di non fare più sconti a nessuno.
Improvvisamente, mentre girava uno dei tanti angoli labirintici di quel luogo indemoniato, un dolce e malinconico motivetto si espanse per la struttura. Seguì con lo sguardo la fonte di tale melodia e ritrovò così un altoparlante ben nascosto sul soffitto. Dapprima decise di ignorarlo, avendo la salvezza di Claire come assoluta priorità. Tuttavia, pochi passi dopo, egli indietreggiò, non potendo ignorare quel richiamo.
Quel canto d’aiuto, d’addio, di disperazione, di solitudine, di cui sapeva l’autrice.
Strinse i denti, scusandosi mentalmente con sua sorella. Sarebbe tornato presto per lei, ma se v’era una possibilità di fare qualcosa ancora per Alexia, doveva provarci almeno.
Tornò indietro, quindi, dirigendosi verso il cuore del laboratorio.
Spalancò la porta e superò la passerella circolare al centro del quale era posizionato il Baccello di Alexia, fonte dei suoi studi più arcani, entrando così nell’antro più profondo del suo dolore; il luogo dove era iniziato e finito tutto.
 
“Alexia!” la chiamò sicuro di trovarla, ed infatti lei era lì.
 
Fra le sue braccia reggeva il corpo rigido e pallido di un giovane uomo a lei molto somigliante.
Lo accarezzava, bisbigliando parole che non poteva sentire da quella distanza.
Il suo sguardo era spento, eppure addolcito; stava conversando con quell’uomo ormai privo di vita, raccontandogli qualcosa che la fece sorridere.
In seguito ella si sollevò, abbandonando quell’uomo dai capelli chiarissimi a terra, ai suoi piedi.
Vide la bionda Ashford sorridere malignamente a una figura alle sue spalle e fu allora che Chris si accorse che v’era anche Albert Wesker in quella stanza.
 
“Sono lieta di avervi entrambi al mio cospetto. Non mi aspettavo un pubblico tanto smanioso. Non è la gloria quella che cerco, non è più nemmeno il potere o i miei sogni. Siete qui dinanzi a me come testimoni della mia opera più grande.
Alcuni di voi penseranno sia la rappresentanza della mia nobile stirpe, altri le mie ricerche, altri il mio T-Veronica Virus…” a quella frase trafisse con lo sguardo l’irremovibile  Wesker. “…ma la cruda verità è un’altra. Vi ho chiamati a vivere il Giorno del Giudizio. Il momento in cui il mondo sarebbe stato ridotto in cenere. E’ questo il mio vero potere. Io distruggerò ogni cosa, la mia vendetta sarà implacabile. Non avrò pietà, non avrò rimorsi, non più.”
 
Prese ad avanzare verso di loro e i suoi occhi celesti di ghiaccio cambiarono colore in quello stesso istante assumendo una tonalità dorata, quasi iridescente.
Un forte vento di innalzò dal nulla, facendo ondeggiare i suoi capelli biondi e il delicato vestito viola col quale era ritratta in molti dei suoi dipinti.
In seguitò il Redfield comprese che quello non era vento, ma fuoco; Alexia stava innalzando da se stessa delle fiamme ardenti che lentamente presero ad avvolgerla, bruciandola in quel rogo eterno nel quale il suo cuore era intrappolato.
Ella sorrise, specchiandosi negli occhi impauriti di Chris, il quale era dinanzi a lei.
 
“Non ho intenzione di cedere più nulla. Voglio mostrarti la vera me stessa, quello per cui ho immolato non solo la mia vita…ma tutto. Basta, voglio che questo luogo sparisca, voglio che…che bruci. Bruci per sempre, come ha fatto bruciare me e tutto ciò che più amavo.” disse calcando molto sulle parole, trasmettendo al soldato tutta la rabbia e la razionalità che aveva in quel momento.
Eppure vedendola ridotta così, Chris non poteva credere che fosse davvero questo che desiderava.
Alexia si accorse della pietà che trasmettevano i suoi leali occhi blu, la cosa la intenerì; quell’uomo rude era riuscito a farle provare un sentimento così dolce persino in quel momento in cui aveva deciso di cedere al virus.
Tuttavia ormai era troppo tardi. Lei non voleva tornare indietro.
 
“Chris Redfield, sei un uomo speciale, oserei dire unico. Se queste fiamme risparmieranno qualcuno, questo sarai tu.”
 
Concluse e posò una mano sulla sua guancia, che nonostante fosse avvolta totalmente dal fuoco, non scottava affatto.
Chris non riuscì a dirle nulla, era paralizzato. Voleva prenderla per mano e portarla via come aveva fatto l’ultima volta, eppure l’aura di Alexia era così forte che non poté fare a meno di piegarsi alla sua volontà.
Quella bellissima donna aveva sofferto, e tanto, e ora desiderava soltanto la sua vendetta.
Sebbene crucciato dall’inevitabile destino cui sarebbe andata in contro, il membro S.T.A.R.S. comprese che doveva rispettarla. Riuscì ad sentire dentro di sé che era questo ciò che ella desiderava più ardentemente.
Voleva distruggere quello che l’Umbrella le aveva fatto, e questo lui poteva comprenderlo.
Intanto lei lo superò e si pose al centro del laboratorio dove era stata ibernata per quindici lunghissimi anni.
Allargò le braccia e finalmente quelle fiamme che tanto la tormentavano furono libere di impossessarsi di lei.
Non chiuse mai gli occhi. Mai. Rimase vigile fino all’ultimo secondo, trasformandosi nella creatura vendicativa che desiderava essere.
Della soave fanciulla eterea conosciuta prima non rimase nulla, la sua estetica divenne coerente con il suo animo ormai dannato, conferendole quell’aspetto maledetto che più le si addiceva.
I suoi lunghi capelli biondi fluttuarono nell’aria un’ultima volta prima di assumere una forma più rigida che avvolse il suo capo come dei tentacoli.
La sua pelle diventò di un pigmento grigio, contornandosi di piaghe verde scuro che si ramificarono sul suo corpo, denudato quando il suo abito elegante andò in cenere. Fra i filamenti che passavano sul suo corpo, un fuoco interno poteva intravedersi nel suo rosso iridescente; il virus si era espanso ed aveva trasformato per sempre la sua figura.
Gli occhi gialli e felini brillavano intensi, erano minacciosi, fieri, eppure vuoti.
Ella sorrise, compiacendosi della sua enorme potenza; allo stesso tempo beffandosi dell’insoddisfazione che provava in quel momento.
Da una parte la gloria di una Dea Vendicatrice, dall’altra la Condanna della Cattiva Regina.
Non era ciò che voleva, non era ciò che bramava, ma quel che lei era ora era tuttavia l’unica cosa che avesse al mondo.
Con le fiamme che inneggiavano quella crudele maledizione della sua anima, ella fece gocciolare del sangue a terra in direzione di Wesker, il quale a contatto con l’ossigeno prese immediatamente fuoco.
In poco tempo trasformò l’immacolato laboratorio in un inferno arroventato, pronto a cremare ogni cosa.
L’uomo vestito di nero provò a contrattaccare, ma preferì la fuga a un certo punto, comprendendo che per fronteggiare Alexia era necessario lavorare più strategicamente; non gli interessava che lei rimanesse viva, gli serviva solo un campione del suo virus e sapeva come rimediarlo.
Dunque sogghignò infischiandosi del fuoco, facendo adirare la Regina, la quale mirò di nuovo verso di lui. Tuttavia l’ex capitano S.T.A.R.S. fuggì in tempo, confermando la superbia e la furbizia che da anni gli avevano conferito la fama di diavolo nero.
In seguito sparì fra il rosso sfavillante del fuoco; Chris si mise subito al suo seguito, ma fu bloccato da Alexia, la quale lo rinchiuse in una prigione di fuoco che gli impedì di proseguire.
 
“Fermo, Redfield. Quel che accadrà oltre questa stanza non garantisce la tua salvezza. Non angustiarti, non brucerai, sono io che domino queste fiamme. Qui dentro non ti accadrà nulla, poiché è qui che è preservata l’unica parte di me cha ha saputo amare. Il mio cuore giace in questa stanza, ed è qui che ormai resterà per sempre.”
 
Il bruno guardò istintivamente verso il ragazzo sdraiato ai piedi della cella di ibernazione che lei aveva avuto fra le braccia poco prima.
Riportò i suoi occhi verso Alexia, ma ella era già sparita. Corrucciò la fronte.
Si impensierì riflettendo che in quel luogo la ragazza aveva intenzione di custodire coloro che aveva amato…non voleva essere di nuovo sequestrato! Non era il momento!
 
“Alexia!!”
 
Urlò, ma il suono degli allarmi coprì completamente la sua voce, rendendo il suo grido un eco muto e impercettibile.
 
 
 
[…]
 
 
 
Laboratorio dell’Umbrella corporation – Atrio Residenziale
 
 
Claire passò oltre la porta nascosta dietro al quadro ritraente la famiglia Ashford, entrando così nei luoghi più segreti e arcani del laboratorio; ascoltava la melodia del carillon, seguendolo come fosse un richiamo.
Una volta solcata quella soglia, però, mai si sarebbe aspettata di trovare l’inferno sceso in terra. Le fiamme avvolgevano interamente l’ambiente, facendo sprofondare nelle ceneri quegli angusti antri conoscitori di quella vita devastata dalla scelleratezza dell’Umbrella.
La rossa sentì il suo cuore battere forte di fronte quegli inferi furiosi e implacabili.
Provò ad avanzare, ma una vampata di fuoco esplose proprio in quel momento costringendola a indietreggiare.
Fu in quel momento che una figura comparve dal fondo di quel lungo corridoio buio, della quale distinse solo i brillanti e spaventosi occhi dorati.
Sebbene con sembianze del tutto diverse da come l’aveva conosciuta, Claire non poté non riconoscervi la maestosa rappresentate del casato Ashford: l’indiscussa e impietosa Alexia Ashford.
Boccheggiò dapprima spaventata, dopo però si controllò ed attese che la donna le fosse più vicina. Era certa che l’avesse vista e non aveva alcuna intenzione di scappare ormai. Inoltre non era armata, non aveva alcun senso anche solo provarci. Aveva conosciuto Alexia anche se brevemente, adesso poteva guardarla dritto negli occhi con la consapevolezza che entrambe provavano lo stesso dolore.
La Redfield aveva dentro di sé quell’enorme ferita, conosceva quel malanno, aveva sperimentato amaramente sulla sua pelle la morte, la perdita, la sofferenza di un amore spezzato, trafitto, interrotto da un bieco e spietato destino…
Alexia stessa si accorse di quello sguardo adesso cambiato completamente, poteva sentire la sua rabbia, il suo desiderio di vendetta, quella ferita che non poteva essere guarita.
Ora sì che l’Altra Donna poteva guardarla negli occhi. Adesso ne aveva l’onore, finalmente.
Si bloccò diversi metri lontana da lei, guardandola dall’alto della scalinata in fiamme. Claire non indugiò, nonostante quella veemenza spaventosa che trapelava da ogni parte del suo corpo.
Restò immobile, fissandola in quegli occhi giallissimi, iniettati di odio.
 
“Sono qui, Alexia…come volevi tu. Hai ottenuto ciò che desideravi. Mi hai tolto tutto.”
 
Alexia sogghignò, compiaciuta in un certo senso, eppure aveva amaramente appreso che le cose non erano esattamente andate come aveva pianificato. Il suo regno non era che un mondo fatto di dolore e cenere e nemmeno quell’enorme potenza era riuscita a consolarla.
La verità più crudele era che nulla avrebbe potuto restituirle la felicità. Lei non era stata creata per esserlo.
 
“Miss Redfield, ho conosciuto il tuo amato fratello. Un uomo davvero audace, eroico, onesto. Ne sono stata colpita. Sei una persona fortunata ad averlo.”
 
“Lo so.” rispose Claire, più che consapevole di quelle parole.
 
“Avrei voluto anche io un bel cavaliere senza macchia e senza paura, che venisse fin qui per salvarmi. Volevo svegliarmi e vivere con il mio eroe per sempre. Tuttavia questa possibilità mi è stata negata; hai conosciuto il tremendo vuoto che è in grado di lasciare la morte. La cancrena che marcia nel proprio cuore, che si insinua nelle carni e pian piano fa degenerare tutto. Alla fine di questo tunnel, esiste un’unica strada.”
 
“Trascinare tutti nell’inferno.”
 
“Vedo che comprendi.”
 
Le due rimasero in silenzio un breve momento, mentre il fuoco scoppiettava facendo da sfondo a quel triste e complesso dialogo.
La Redfield la osservò con una profonda amarezza; da una parte lei era l’artefice di quel disastro, il fulcro di quella vita devastata. Questo le trasmetteva rabbia, odio, era furiosa nei suoi confronti.
Dall’altra, invece, provava un complicato sentimento di comprensione che le impediva di colpevolizzarla come avrebbe voluto.
Rivedeva davanti ai suoi occhi Steve mentre si trasformava in un mostro, una condanna che eseguì solo per farla disperare, per comunicarle l’orribile emozione di dolore e perdita, pur di vendicarsi della morte di Alfred.
Eppure suo fratello stesso era caduto nel baratro da lei generato, anteponendo i suoi loschi scopi privati al suo amore.
Quei ricordi le impedivano di provare pietà; ma al tempo stesso la bloccavano, costringendola a quell’inopponibile indulgenza che non poteva ignorare.
Distese il suo sguardo, preferendo preservare la sua umanità, quella dignità che la rendeva diversa da lei.
Claire non bramava vendetta, non era una Dea Vendicatrice. Era invece una luce, una speranza, un messaggio di amore…e non voleva trasformarsi in un mostro, per nessun motivo.
Anche se quella ferita interiore faceva male, tanto male.
 
“Cosa intendi fare, dunque?”
 
“Non lo vedi? Ho intenzione di cancellarvi dalla faccia della terra. Me compresa, non temere. Sono consapevole che scavando negli abissi più celati e nascosti, sono il nucleo che ha alimentato questa distruzione. Sono il seno che ha nutrito il frutto del male, non mi aspetto alcuna salvezza. Voglio però lasciare un ultimo messaggio prima di andare via. Voglio che l’inferno avvolga anche voi, voglio che bruciate esattamente come ho bruciato anche io.
Quello che io sono, quel che sono diventata, è anche colpa vostra. Sono stata fabbricata nell’egoismo, nell’oppressione, da un cuore marcio e lugubre. Sono poi stata sfruttata per il mio ingegno, come fossi un animale da spremere fino alla fine dei suoi tempi. Basta guardarti attorno per capire come mi sento, cosa è stata la mia breve vita.
Ho vissuto solo dodici anni e mi sono bastati a farmi rigettare questa umanità lercia, di cui non voglio far parte.
Voi dite che io sono il mostro…io dico che invece lo siete voi. Siete voi che mi avete creata.”
 
Dopo quella confessione, una trave avvolta dalle fiamme crollò frapponendosi fra loro; Claire riuscì ad aggrapparsi giusto in tempo al pavimento, trasformatosi in una voragine.
Provò a sollevarsi, ma non era semplice sopportare il peso del suo corpo in una situazione critica come quella. I fumi inoltre stavano divampando sempre di più impedendole una corretta respirazione.
Strinse i denti, sforzandosi di non mollare, tuttavia il fumo la stava intossicando, costringendola a tossire violentemente.
La Somma avanzò leggiadra verso di lei, mantenendo la sua estrema regalità nonostante quelle sembianze mostruose. Ad ogni suo passo lasciava una scia incandescente, capace di cremare ogni cosa. Si piegò su di lei e la osservò sprezzante, con quell’aria di superiorità di chi aveva invece il completo controllo della situazione.
 
“Claire Redfield, magari in altre circostanze avrebbe potuto essere diverso. Non lo sapremo mai. Voglio presentarti una persona a me molto cara, l’unico esempio di lealtà che ho conosciuto…un amore di cui io stessa non ero degna. Egli è tutt’ora pronto a lottare con me, non c’è cosa che non farebbe per me, e io per lui. Ci sta osservando, sento i suoi occhi su di noi. Si è svegliato finalmente.”
 
La Redfield scosse il capo confusa.
 
“Di cosa stai parlando?”
 
“Vuoi saperlo?” sorrise. “Allora scoprilo da sola.”
 
Detto ciò, alzò con veemenza il braccio cosparso di piaghe e fiamme, il quale bagnò di sangue la porzione di pavimento sulla quale si reggeva faticosamente la rossa. Subito dopo questo prese fuoco, costringendo la ragazza a cadere giù.
 
 
[…]
 
 
Claire si risvegliò in un seminterrato completamente buio, avvolto nelle dense nubi grigie generate dal fuoco.
Sporca di fuliggine e intossicata dal fumo, si rimise stentatamente in piedi, sentendosi dolorante. Si piegò in due, cercando di contrastare l’ulcera che le corrodeva lo stomaco. Aveva ingerito così tanto male e dolore, da sentirsi male.
Inspirò, infondendosi coraggio. Doveva raggiungere Chris e scappare da lì.
Guardandosi attorno, non riuscì a riconoscere il luogo dove era precipitata. Era una zona del laboratorio completamente bruciata, del tutto irriconoscibile. Gli allarmi del sistema di evacuazione risuonavano in lontananza, facendole intuire che dovesse essere purtroppo molto lontana dal centro.
Sperò con tutta se stessa che, se non avesse fatto in tempo a raggiungere l’aereo, Chris sarebbe fuggito per mettersi in salvo. In un momento tanto critico, per lei era davvero difficile riuscire a orientarsi in tempo e raggiungerlo.
Ciononostante avrebbe lottato fino alla fine; non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione di schiacciarla senza dimostrare il suo valore.
Trovò a terra un tubo d’acciaio, che decise di portare con sé per avere un minimo di arma da difesa. Doveva ammettere di non avere una buona destrezza nella lotta corpo a corpo, ma era sempre meglio di niente.
Avanzò in quel sotterraneo annerito, stringendo l’arma con sé, la sua unica compagnia. Eppure si sentiva stranamente osservata.
Fu una sensazione difficile da spiegare, non v’era nulla che si muovesse nell’ombra. Inoltre la stanza era ampia e i muri completamente abbattuti. Vi erano molte macerie e il fumo offuscava la visuale, ma non c’era nessuno presente. Almeno credeva.
L’ansia di ritrovare alle sue spalle un nemico dal quale non poter scappare la tormentava. Avanzò dunque lentamente, cercando di essere estremamente prudente. Il suo istinto però le diceva che non si sbagliava, c’era qualcuno celato fra quelle rovine; sentiva una presenza impalpabile ma insistente. Trasalì più volte, spaventata.
A quel punto il suo modo di agire cambiò e ritenne più opportuno aumentare il passo, se non proprio correre e scappare; era la sua unica possibilità per sopravvivere.
Se non poteva combattere, poteva almeno sperare di seminare il pericolo. Si ritrovò dunque a correre a perdifiato, insinuandosi fra i detriti di un luogo che non conosceva affatto. Passò fra muri crollati, tubature spaccate, fili elettrici slegati e scintillanti, illudendosi di seminare quell’oscura presenza.
Una scia erbosa tentò improvvisamente di colpirla, schiantandosi erroneamente contro una parete rimasta ancora in piedi fino a quel momento. Claire si riparò, non era stata colpita, ma quell’attacco le confermò che v’era qualcosa che la stava inseguendo; era probabilmente quel qualcuno di cui aveva appena parlato Alexia.
Si girò pronta, ora che quella B.O.W. aveva fatto un errore palesando le sue intenzioni ostili. Fu allora che fra la coltre nera di fumo e quei frantumi, cominciò a distinguere una figura.
Questi era alto quanto un uomo, poteva vedere l’alternarsi di una pelle bianca e cadaverica a una robusta corazza nera e verdastra che copriva buona metà del suo corpo, stratificandosi particolarmente sui suoi arti, rendendoli forti e imponenti. Ciononostante aveva le sembianze di un uomo, poteva distinguerne l’anatomia longilinea.
Il suo passo era pesante, ma incerto, come gli innumerevoli zombie fino a quel momento incontrati. Eppure la sua posizione perfettamente dritta e controllata rendeva regale la sua postura in qualche modo, facendole comprendere fin da subito che non era un’arma batteriologica come le altre.
Claire si nascose dietro una trave, stringendo il tubo arrugginito. Quando le fu un po’ più vicino, si affacciò di nuovo e vide un corpo snello ma ben allenato; questi, silenzioso e furente, si girava intorno, cercando visibilmente lei.
Osservò la sua nuca ricoperta da capelli pallidi tirati indietro ed ebbe un tonfo al cuore; un sentimento così forte da farle cadere di mano l’arma, la quale emise un sonoro rintocco quando cascò sul suolo.
La ragazza rimase tuttavia immobile, impietrita, mentre la sua mente convergeva quelle fattezze a una precisa persona che lei aveva ben conosciuto.
La conferma definitiva venne quando quella B.O.W. si girò frontalmente, individuandola.
La sua pelle ora era ingrigita, i suoi capelli unti e appiccicati alla testa, gli occhi gialli e vuoti, il volto androgino era deformato in un digrigno affamato…eppure era lui, non aveva dubbi.
Era Alfred Ashford.
 
“Alfred…” sussurrò, non potendo credere che lui fosse davanti ai suoi occhi.
Era un mostro, era vero; ma era lui. Era pur sempre lui, e camminava, poteva muoversi, guardarla, sentirla.
Li per li non fu pronta ad accettare il fatto che egli non ci fosse ormai.
Tuttavia era follemente felice di vederlo e più si avvicinava, più la consapevolezza che fosse l’ultima volta che l’avrebbe rivisto si faceva forte.
Gli mostrò un sorriso amaro, di chi non è pronto a dire addio, questo mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. Tuttavia si controllò, passò una mano sul viso sporco e rivolse a quell’uomo un ultimo sguardo di compianto.
 
“Mi dispiace. Avrei voluto portarti via con me. Alfred…”
 
Gli disse, realizzando tristemente che non avrebbe rivisto nei suoi occhi l’uomo che aveva conosciuto, costringendosi a voltarsi velocemente e correre via.
Raccolse da terra la tubatura cadutale precedentemente, immergendosi in quel sotterraneo ormai deteriorato, cercando di non imboccare vicoli ciechi.
Non si sorprese di vedere T-Alfred inseguirla, muovendosi agilmente grazie ai robusti prolungamenti che si innalzavano dalla sua schiena.
A un certo punto questi riuscì a superarla e a pararsi davanti a lei; tuttavia non si smosse e restò di spalle, rendendola scettica.
Fu allora che scorse di fronte a loro la figura di un uomo molto alto, vestito di nero, il quale indossava degli spessi occhiali scuri nonostante la scarsa illuminazione.
La rossa passò lo sguardo da lui ad Alfred e comprese che il suo bersaglio non era mai stata lei, ma quel losco individuo.
Guardandolo meglio lo riconobbe, egli era Albert Wesker, l’ex- capitano S.T.A.R.S. .
L’ultima volta che l’aveva visto, era stato quando aveva liberato quelle orribili B.O.W. rettili, costringendo lei e Alfred a scappare nei sotterranei. 
Dunque era rimasto nei paraggi, a quanto sembrava.
Osservò la postura d’attacco dell’altolocato Ashford, il quale si precipitò in direzione del suo nemico dando inizio a una sanguinosa battaglia. Claire stette a osservarli impotente, non sapendo cosa fare. Le qualità fisiche dei due erano notevolmente alte, entrambi avevano raggiunto una potenza tale da averli innalzati dal livello umano.  
La cosa che più la sorprese però era che Wesker riusciva perfettamente a tenere testa ad Alfred, nonostante la sua trasformazione.
Il suo aspetto era però rimasto immutato a differenza di quest’ultimo; la domanda sorgeva ovvia, dunque: cosa diavolo era quell’uomo in realtà?
Cercò un’arma nei paraggi, voleva aiutare Alfred in qualche modo, ma non sapeva come. Aguzzando la vista, notò che una zona del soffitto sembrava molto traballante. Se fosse riuscita a farvi esplodere qualcosa, questa avrebbe potuto sopraffare Wesker.
Corse dunque verso una tanica di benzina che aveva visto rovesciata a terra mentre era fuggita, augurandosi che ci fosse ancora del liquido al suo interno.
La prese a la tirò con veemenza contro il muro, sporcandolo; in seguito diede gas al suo accendino dorato e attese il momento giusto.
Quando i due si separarono per un brevissimo istante, lo lanciò nella stessa direzione e in men che non si dica provocò un’esplosione tale da costringere Wesker ad allontanarsi, permettendo ad Alfred un attacco più incisivo.
L’uomo riuscì però a scansarsi, esibendosi in un salto che aveva dell’inverosimile dati i metri d’altezza che raggiunse. Egli lanciò loro uno sguardo sprezzante prima di sparire fra il nero del fumo di combustione del piano superiore.
Alfred fece per corrergli dietro ma la Redfield lo bloccò, afferrandolo istintivamente per un braccio. Un gesto imprudente, fuori da ogni logica, ma che fece con grande spontaneità, non riuscendo proprio a vedere in lui un nemico, nemmeno sotto quelle sembianze.
Il fatto che egli si immobilizzò a quel delicato tocco sul suo polso ricoperto da strati ruvidi e scuri di pelle, confermò la sua teoria; egli era ancora Alfred Ashford, l’aveva risparmiata perché ancora in parte cosciente di sé.
 
“Alfred…sei ancora tu?” lo chiamò, speranzosa.
 
L’uomo dai capelli pallidi rimase in silenzio; non voleva voltarsi verso di lei, non ce la faceva, ma il desiderio di rivederla era così forte da impedirgli di continuare quella farsa ancora a lungo.
Dentro di sé non aveva che desiderato incontrarla ancora, una volta riapriti gli occhi, anche se in quelle sembianze deturpanti.
 
“Redfield.”
 
Disse, riempendo di gioia il cuore di Claire, che non trattenne per nulla un sincero sorriso.
Lui si posizionò di fronte a lei, non comprendendo come lei potesse amarlo ancora, dopo tutto quello che era accaduto. Quella misteriosa donna restava un mondo ermetico, decisamente troppo criptico persino per lui; colui che era stato il fratello di Alexia Ashford e aveva incontrato mentalità ben più arcane.
Invece la semplicità della bellissima Claire restavano una nebbia difficile da decifrare; lei riusciva a infondere purezza e vita anche solo con uno sguardo.
Persino in quel momento, ove il suo DNA era stato mischiato con quello del virus di Alexia, poteva avvertire quel soffio caldo di amore che lei emanava con tanta naturalezza.
La guardò assorto e intristito, con i suoi occhi divenuti dorati.
Sul suo petto potevano vedersi le cicatrici ancora vive dei colpi d’arma da fuoco che l’avevano stroncato, assieme ai lividi e gli ematomi della sua ultima e terribile caduta. Era inaccettabile una visione simile, quella di un corpo ormai freddo, morto, con i segni deturpanti del suo ultimo momento di vita, invece essere perfettamente in piedi; anche se il prezzo da pagare era stato sottomettersi a un batterio onnipotente, che a lungo andare avrebbe divorato la sua ragionevolezza.
Non era più in grado di provare emozioni; quel cuore già morto in vita, non batteva più a maggior ragione ora che era resuscitato divenendo una B.O.W. .
Eppure, nonostante questo, specchiarsi nelle iridi luminose della ragazza che aveva in qualche modo cambiato il suo destino, poteva influenzare ancora le sue scelte.
Non voleva però che lei si avvicinasse a lui. Sebbene ricordasse tutto, non era più Alfred Ashford ormai.
Intanto Claire stette in silenzio, accanto a lui, non accennando a lasciare il suo polso. T-Alfred stette a guardare la sua rosea mano piena di graffi, poggiata sul suo arto invece grosso e pericoloso.
Se avesse avuto ancora un cuore, questo si sarebbe spezzato.
Vide la donna schiudere la bocca più volte, non proferendo però alcuna parola.
I due comunicarono con quella semplice ma profonda intesa di sguardi;  una sinergia che solo chi aveva vissuto un rapporto travagliato come il loro poteva capire.
A interrompere quel difficile momento, fu un’ulteriore esplosione che fece vibrare l’intero sottosuolo, il che fece temere i due per la stabilità del posto.
 
“Vai nel laboratorio centrale, troverai il mio passpartout. Usalo per azionare il sistema di autodistruzione. Ti occorrerà la password, anche se credo non ti sarà difficile identificarla…”
 
“Vieni con me, possiamo andare ad attivarlo assieme.”
 
“No.” Asserì lui, dovendo soffrire così il volto deluso della giovane. Leggeva nei suoi occhi il sincero desiderio di voler ancora ricominciare tutto; quel gesto lo rese immensamente felice. “Devo prima trovare Alexia. Ha deciso di cedere al T-Veronica Virus, questo significa che presto perderà conoscenza e sarà lei stessa a distruggere questo laboratorio. Se vuoi scappare, è questo il momento per farlo.”
 
“Non voglio scappare da sola. Sono sicura che ci sarà un rimedio. Ti aiuterò…c’è anche Chris con me, mio fratello. Insieme troveremo una soluzione.”
 
Alfred passò lo sguardo da lei al suo corpo ormai in avanzato stato di trasformazione. Lui non era uno scienziato, ma aveva studiato assieme ad Alexia e l’aveva aiutata enormemente nei suoi complicati esperimenti. Sapeva bene che quella era una strada di non ritorno.
Decise dunque di mentirle, per il bene di entrambi; non v’era tempo per spiegarle quella irreversibile verità.
 
“Allora cerca tuo fratello, attivate il sistema di autodistruzione e raggiungete un mezzo di trasporto per andare via. Ci incontreremo in seguito.”
 
Detto ciò, l’afferrò stringendola a sé e risalì verso i piani superiori. Claire osservò la struttura ormai in balia del fuoco, che velocemente stava già distruggendo tutto nel rogo. Era quella la vendetta di Alexia?
Mentre osservata attonita la devastante potenza di quella distruzione, un forte boato simile a un grido inferocito la fece voltare. Era stato certamente un urlo mostruoso, ma aveva un evanescente tono femminile.
 
“Alexia..?”
 
Vide il volto di Alfred farsi truce, avendo fatto probabilmente la sua stessa associazione, al che con fermezza si fece lasciare a terra e gli parlò seria.
 
“Vai. Posso cavarmela da sola. Ci vediamo più tardi…okay?”
 
L’ex-altolocato Ashford non rispose verbalmente a quella domanda, tuttavia le mostrò uno sguardo grato, apprezzando sinceramente quel gesto.
Non si attardò ulteriormente, il tempo stringeva e rischiava di non poter far più nulla per Alexia.
Quando andò via, sparendo nel fuoco, Claire allungò un braccio verso di lui, avendo fatto caso che egli non avesse risposto alla sua invocazione.
Strinse i denti, era anche lei abbastanza cinica e razionale da sapere come sarebbero andate le cose, eppure quella bugia l’aiutò ad andare avanti, ad affrontare quell’ultimo decisivo passo prima che l’incubo finisse per sempre.
Lo doveva fare non solo per lei, ma per Alfred, per suo fratello Chris, per Steve…e anche per Alexia.
Guardandosi attorno riconobbe il corridoio dove si trovava, le sarebbe bastato imboccare qualche angolo e sarebbe arrivata a destinazione.
In effetti lei ed Alexia avevano in comune lo stesso scopo: far bruciare nella cenere quell’inferno senza anima, maledetto dal marchio disumano e spietato dell’Umbrella.
 
 
[…]
 
 
Chris Redfield si gettò fra le fiamme, raccogliendo il capo fra le mani e lanciandosi con una posizione aereodinamica, proprio per tangere le vampate di fuoco il più velocemente possibile e limitare le ustioni, per quanto possibile.
Non esisteva per lui il fatto di restare a guardare rinchiuso lì dentro, soprattutto dopo quel che aveva visto.
Quando Alexia era scomparsa in seguito alla sua trasformazione, egli era rimasto solo in quel lugubre laboratorio strisciato di sangue per diversi interminabili minuti.
Mentre faceva per elaborare un piano, dominando l’irrequietezza di quel momento, sentì qualcosa muoversi alle sue spalle.
Restò in guardia, voltandosi cautamente, pronto a far fuoco, ma ciò che si animò davanti ai suoi occhi lo fece pietrificare.
Si era quasi dimenticato che la giovane donna aveva lasciato sul pavimento bagnato il corpo di un ragazzo esile e pallido, molto rassomigliante a lei.
Si trattava probabilmente di suo fratello, il quale gestiva la base di Rockfort Island a quanto aveva letto dai rapporti; un uomo irrequieto, instabile, ormai sull’orlo del delirio.
Essendo visibilmente morto, non vi aveva dato peso, eppure quando sentì quei gemiti, non mise in dubbio un attimo la possibilità che egli potesse essersi rianimato dato quel macabro contesto.
Sbirciò oltre le sbarre incandescenti create da Alexia e vide quel corpo muoversi come fosse in preda a un attacco epilettico; fu un’immagine terribile, umanamente sarebbe corso a soccorrerlo, tuttavia sapeva bene cosa stava accadendo in realtà. Quell’uomo si stava trasformando e, al contrario, era lui ad essere in pericolo.
Rimase immobile, pronto a difendersi se lo avesse attaccato, non avendo però la concreta possibilità di scappare si sentiva inquieto.
Tutto a un tratto, quel corpo prese letteralmente fuoco, in un modo diverso da quello di sua sorella. Questo perché ovviamente, a differenza della donna che era in grado di dominare il virus, per un comune umano era diverso.
Il ragazzo sdraiato a terra invece dapprima si carbonizzò del tutto, in seguito, quando le fiamme si spensero, egli assunse un aspetto a metà fra un mostro e un uomo.
Aveva conservato i tratti somatici del viso, così come la struttura del corpo, eppure era grigio, con la pelle squamosa, rivestito da pezzi organici più rigidi e neri che lo avvolgevano in varie parti del corpo. Al posto delle sue braccia v’erano degli artigli e i suoi occhi si fecero gialli ed iridescenti. Il sangue colava dal suo corpo, conferendogli un aspetto dolente eppure vigoroso.
Lo vide lentamente smettere di tremare, per poi mettersi in piedi e tornare padrone del suo corpo trasformato.
Improvvisamente si curvò in avanti e dalla sua schiena schizzarono fuori dei strani artigli simili a dei rami. Questi gridò dal dolore, mentre il rosso scuro e copioso colava ancora dalle sue immense ferite, alcune avute prima della sua morte, altre creatosi durante quella tragica metamorfosi.
Chris indietreggiò, comprendendo che egli non era una B.O.W. qualsiasi. Era invece molto più simile a quell’orribile creatura già incontrata ai tempi delle sue indagini sui Monti Arklay. Egli era una variante dell’esemplare Tyrant, l’arma batteriologica creata da Wesker.
Il soldato ben conosceva quanto potesse essere devastante. All’epoca riuscì a sconfiggerne uno solo perché armato di una potente magnum reperita per caso in un sotterraneo; poi poté distruggerla definitivamente grazie a Brad, che gli lanciò un lanciarazzi dall’elicottero di salvataggio.
Osservò dunque il suo equipaggiamento attuale, composto soltanto dalla sua pistola 9mm e un coltello.
Se quel Tyrant avesse deciso di attaccarlo, era sicuramente morto.
Stette dunque immobile, preferendo attendere prima di agire; per qualche motivo quell’arma batteriologica si limitava a stare immobile, come fosse assorto.
Quando decise di muoversi, questi rigò dritto lungo il corridoio, avanzando con passi lenti e pesanti.
Chris bloccò i suoi movimenti, compreso il respiro, attendendo paziente che il mostro passasse. Questi non lo curò di uno sguardo, nemmeno quando gli passò a fianco.
Con un attaccò potente scaraventò via la porta di ferro che Alexia aveva chiuso a chiave, dopodiché per sua fortuna sparì.
L’ex membro S.T.A.R.S. tirò un sospiro di sollievo, ma solo fino a un certo punto. Adesso, oltre B.O.W. varie, Hunter, Alexia e Wesker, v’era anche un Tyrant nei paraggi. Temeva per la vita di sua sorella, doveva sbrigarsi a portarla via da lì.
Fu in quel momento che decise di lanciarsi nel fuoco e scappare via; anche perché quel mostro aveva aperto la porta del laboratorio.
Una volta superata la gabbia di fuoco, controllò i danni della scottatura sulla sua pelle. Tutto sommato se l’era cavata bene; una volta rientrato alla sua base si sarebbe fatto medicare. Le braccia erano molto rosse, così come addosso avvertiva più di qualche dolenza. Tuttavia date le circostanze non aveva da lamentarsi.
Controllò i proiettili un’ultima volta e avanzò fra le macerie di quel che rimaneva del laboratorio.
Mentre procedeva, stette a guardare l’enorme voragine ora presente sulla passerella circolare posta al centro della struttura. V’era però qualcosa di diverso.
Si accorse in modo tardivo che prima v’era il Baccello sospeso in quella zona; una mastodontica struttura simile a un alveare, fulcro degli studi di Alexia. Dove diavolo era finito ora?
Sapeva che l’appuntamento con Claire era all’aeroporto, ma v’era ancora un’ultima cosa da fare.
Il suo cuore gli comandava di cercare Alexia, di provare a parlarle un’ultima volta. Non voleva abbandonarla.
Decise quindi di scendere in profondità, andare dove sicuramente era lei…al cuore di tutto.
Non fu difficile individuare il suo percorso, bastava seguire la fonte del fuoco, dove questi era più recente e violento.
Giunse così in un’area ampia e spoglia, simile a un hangar.
Osservò la struttura ferrosa, lasciandosi incuriosire dalla vertiginosa altura circolare, simile a un tunnel, che si propagava in altezza lungo tutta la struttura probabilmente.
Era un luogo certamente molto tecnologico, adibito a qualcosa che non riuscì a comprendere. Ciononostante non era lì per indagare, ormai. I tempi stringevano e lui aveva una severa tabella di marcia da rispettare prima che la situazione precipitasse in modo irreversibile.
Salì un paio di rampe di scale arrugginite e si affacciò su una piattaforma sospesa nel vuoto, costituita da una pesante grata di ferro battuto. Camminarvi fu abbastanza inquietante.
Ad ogni modo esaminò il luogo e si immobilizzò quando, al centro della piattaforma, ritrovò una forma ancora più avanzata della Regina ormai trasformata.
L’animo di Chris si frantumò, mal sopportando quella realtà.
Vide il suo corpo ridotto a un cumolo di carne informe, vagamente somigliante a una crisalide. Il suo busto si ergeva scheletrico alla sommità di esso, elevandosi come appeso solo dalla colonna vertebrale. Il suo volto era ormai deformato, le sue fauci spalancate; non v’era più niente di Alexia se non la sua ferocia e la sua sete di vendetta.
Si era fusa col Baccello, innalzandosi a un livello di potenza assoluta.
Da ella si innalzarono ulteriori fiamme. Voleva soltanto distruggere tutto quello che vedeva, era impazzita.
Finalmente la sua collera era libera di sfogare la frustrazione maturata in lunghissimi anni di agonia, sfruttamento, solitudine, odio, devastazione…sentimenti rimasti intrappolati troppo a lungo nel suo corpo, nella sua mente dotata di un ingegno superiore alla norma, incapace tuttavia di rincorrere la felicità.
Ogni cosa era stata inghiottita nel baratro nero della distruzione. Chris poté vederla ridere di gusto, nonostante le sembianze mostruose; ella era gioiosa di poter finalmente restituire quel che le era stato fatto.
Solo non si accorgeva che quella che aveva più perso, era proprio lei. O forse ne era perfettamente consapevole, soltanto che non vedeva più soluzioni. Ad ogni modo era ormai troppo tardi.
Come da lei promesso, non lo attaccò. Si limitò a far esplodere tutto, incurante che così comunque lo avrebbe messo in pericolo.
Chris dovette aggrapparsi alla ringhiera con tutte le sue forze per non venire scaraventato via. Doveva fare qualcosa, con lei in quello stato non sarebbe mai riuscito a scappare.
Sebbene amareggiato, non poteva far altro che attaccarla; doveva sconfiggerla.
Puntò la pistola e cominciò a colpirla, ma i suoi proiettili sembravano sparire nella massa enorme del suo corpo.
Ella si voltò verso di lui, notandolo, in seguito lo scrutò furiosa; come aveva osato spararle dopo che gli aveva salvato la vita?
In preda all’ira vomitò verso di lui un liquido vischioso e ustionante, che egli riuscì a deviare per il rotto della cuffia.
 
“Come hai potuto ridurti in questo modo?! Come puoi dargliela vinta, Alexia?”
 
“Come osi giudicare la mia opera? Non sei in grado di valutare la grandiosità del mio esperimento, l’apice della mia collera e del mio ingegno. Presto la mia trasformazione supererà ancora di più i suoi limiti, liberando la vera Regina. Preparati, avrai questo sommo onore, Chris Redfield!!”
 
A grande sorpresa dell’uomo, la ragazza conservava ancora la sua coscienza; la cosa lo turbò ulteriormente perché voleva dire che quel che stava facendo, lo stava attuando con un malato raziocinio di cui era più che consapevole.
Due erano le possibilità: o era irrimediabilmente pazza, oppure desiderava davvero morire, come ipotizzava.
Chris per principio non dava mai dello scellerato a nessuno, dunque, considerare la seconda ipotesi come unica ragione possibile, gli rendeva davvero difficile combattere seriamente contro di lei.
Eppure la violenza degli attacchi del T- Alexia furono talmente aggressivi da impedirgli di agire con delicatezza.
Un mordi e fuggi non sarebbe bastato, doveva combattere quale il soldato specialmente addestrato che era.
Mirò dunque ai suoi occhi e sparò, costringendola finalmente a fermarsi dai suoi innumerevoli attacchi. La vide corrucciarsi dolorante, per poi riprendere purtroppo più forte di prima. Era inarrestabile.
In quello stesso istante un allarme prese a avvisare l’intero stabilimento che il “SISTEMA DI AUTO DISTRUZIONE” era stato attivato. In meno di venti minuti, l’intero Laboratorio dell’Antartide sarebbe stato ridotto a un cumulo di cenere.
 
“ATTENZIONE: il sistema di auto-distruzione è stato attivato. Si prega l’intero personale di evacuare al più presto. Meno 19 minuti alla detonazione. Ripeto…ATTENZIONE: ……”
 
Tempestivamente, il Tyrant risvegliatosi poco prima saltò esattamente fra loro, irrompendo in quella battaglia.
Questi sollevò il viso e osservò prima Chris, l’uomo che non aveva ancora avuto l’onore di conoscere; in seguito si voltò verso la sua eterna donna, la sua amata e devota sorella, attesa con costanza e assoluta fedeltà per quindici interminabili anni di agonia.
Persino lo sguardo di Alexia, ormai ridotta a un mostro, mutò completamente, facendosi improvvisamente più fragile, amareggiato, ricolmo di quel dolore intenso che l’aveva definitivamente fatta impazzire.
Intanto la sirena continuava a ripetere le procedure di evacuazione, scandendo i brevi tempi del countdown. Un susseguirsi di boati in lontananza richiamavano l’attenzione dei pochi individui ormai rimasti vivi tra quelle mura, ricordando loro che la struttura di suo non avrebbe più retto per molto.
Eppure, nonostante quell’inferno sceso in terra, i due gemelli rimasero l’uno di fronte all’altro, completamente immobili e silenti, abituati a vivere in bilico fra la vita e la morte da sempre, accompagnati dal fragore della distruzione.
Non temevano l’apocalisse, in quanto per loro le fiamme ardenti del male non avevano mai smesso di bruciare il loro cuore e la loro vita; era un fuoco impossibile da placare ormai.
 
“Alfred…”
 
Lo chiamò forzatamente T-Alexia, sull’orlo di quell’ultimo stadio della sua evoluzione. La sua voce risultò polifonica, non riusciva quasi più a parlare, ma poter pronunciare quel nome un’ultima volta bastò a dire tutto.
Erano entrambi stanchi, ambedue volevano solo che quella tragedia finisse.
Alexia osservò dall’alto suo fratello, che sebbene in piedi grazie alla sua iniezione, si era trasformato in un essere completamente diverso da come lo ricordava.
Vedendo la sua pelle deturpata e i suoi meravigliosi occhi celesti divenuti dorati, provò una morsa al cuore così affliggente da imporle di strillare.
Gridò furiosa e si dimenò afflitta, straziata dall’esito infelice di quella vicenda in cui non aveva che perso tutto.
Per il suo ennesimo egoismo, aveva impedito persino a suo fratello di morire in pace; pur di rivederlo gli aveva fatto questo, lo aveva ridotto a una squallida arma batteriologica.
Tutto nel nome di una scienza di cui non le importava nulla davvero; ella aveva sempre e solo voluto superare i suoi limiti, arrivare a toccare la sommità di un intelletto che non faceva che comandarle di elevare i suoi studi, sempre di più.
Non riusciva a fermarsi, non poteva. Era stata maledetta da suo padre, che le aveva donato quel potere immenso fin da bambina.
Ora che soffriva le pene dell’inferno giunta al limite della sopportazione, vedeva con obbiettività il completo fallimento di quell’esperimento e la sua vita distrutta in ogni suo aspetto.
Allargò le braccia ormai mutate in due ali e con una spinta decisiva si staccò dalla larva sulla quale era attaccato il resto del suo corpo. Si liberò dunque di quella massa e volò via, affiancandosi a quell’unico amore che aveva contato nella sua vita, sprofondando fra le sue braccia.
Chris osservò da lontano quella scena, in cui due ragazzi ormai trasformati in B.O.W. invece furono ancora capaci di provare un sentimento di sincero affetto.
Fu angustiante vederli uniti in quel tenero abbraccio, in quella crudele forma mostruosa.
Abbassò dunque l’arma, non poteva sparare contro due individui che invece non erano che le infelici vittime di un sistema che andava combattuto.
Sentì Alexia ruggire qualcosa, non era più in grado di parlare, ma Alfred comprese perfettamente cosa ella volesse dirgli.
L’accarezzò, poi si voltò verso il soldato rimasto a una distanza tale da concedere loro la giusta discrezione di quell’attimo.
 
“Andate via, sia tu che la Redfield.”
 
Chris strinse le dita, sentendosi impotente. Non dibatté e non disse nulla.
Si girò dunque e corse via.
L’Ashford stette a guardarlo fino a quando non sparì da quella piattaforma definitivamente, tornò poi a curarsi di sua sorella, che lentamente riprese le sue sembianze da donna avendo abbandonato la sua sete di vendetta.
Le sorrise e si avvicinò al suo viso, potendo finalmente sentire il suo respiro, toccare la sua pelle, scaldarsi con quell’amore che aveva straziato così tanto il suo cuore.
Alexia riaprì gli occhi e si specchiò in quelli dorati di suo fratello. Gli accarezzò il viso, avvicinando la sua fronte alla sua, sorretta dalle sue forti braccia.
Questo mentre il conto alla rovescia continuava a scendere, decretando l’inevitabile fine del loro palazzo degli orrori, teatro di un macabro spettacolo tirato avanti anche troppo a lungo.
Adesso potevano essere liberi di calare il sipario e sparire per sempre.
 
“Mi dispiace, non ho potuto fare a meno di te. Non sono stata forte quanto lo sei stato tu.” disse per scusarsi per avergli iniettato il suo virus.
 
“Non importa. Sono felice di rivederti, Alexia, sorella mia.”
 
Rispose lasciando che lei sprofondasse sul suo collo.
Accarezzò i suoi lunghi e meravigliosi capelli biondi e fu come se il tempo non fosse mai passato; era tutto come allora, come lo ricordava.
Era però giunto il momento di dirsi addio; loro malgrado le scelte erano state prese ed entrambi sapevano cosa dovevano fare. Per il loro bene e per la loro giustizia.
Dagli occhi di Alexia comprese che per lei era lo stesso, così i due si guardarono intensamente, sorridendo.
 
“Distruggiamo questo posto.” disse dopo un lungo silenzio.
 
“Sì.” Confermò lui e tutto si fece buio.
 
Intanto, ben più lontano da loro, Chris corse a perdifiato deviando agilmente le svariate B.O.W. che tentavano invano di salvarsi dall’incendio che ormai divampava ovunque nel laboratorio.
Scavalcò la ringhiera ormai spezzata e riuscì a imboccare qualche piccola scorciatoia per raggiungere l’aeroporto al piano superiore. Tirò un paio di colpi, aprendosi la strada, doveva agire in fretta.
Pregò soltanto di trovare Claire lì, non v’era purtroppo più tempo per aspettare e se lei non ci fosse stata proprio non sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Tuttavia conosceva sua sorella, credeva in lei, sapeva l’avrebbe trovata pronta a salire sul Jaguar militare; doveva crederci!
Mentre finalmente risaliva in superficie, una sonora risata lo richiamò dal basso, costringendolo a guardare verso il fondo dell’inferno in combustione che aveva lasciato alle sue spalle. Strinse gli occhi e nel rosso sfavillante distinse la figura del suo ex-capitano.
 
“Wesker…sei vivo…” disse stringendo i denti, al che egli rise di gusto.
 
“Questo non è un addio, Redfield.” esclamò sicuro di sé, mentre i suoi occhi vermigli risplendevano dalle lenti scure. Sogghignò di nuovo; quasi a voler dimostrare di essere il padrone assoluto e di non temere nulla, nemmeno quell’imminente esplosione. Puntò l’indice contro di lui, come un corvo che da appuntamento alla sua preda che presto verrà a reclamare dall’oltretomba. “Ho preso il campione che mi serviva dall’altro ragazzo. Ci incontreremo di nuovo,  puoi contarci. Questo è solo l’inizio di una lunga agonia che non ti darò il piacere di vincere. Non deludermi quando sarà la nostra occasione. Per quel giorno voglio una battaglia degna di noi…vedrai, Ah! Ah! Ah!”
 
Parte dell’impalcatura crollò, impedendogli la visuale su Wesker. Il soldato dové così rigare dritto, consapevole che quando i due avrebbero avuto quella resa dei conti, non sarebbe stato facile; tuttavia bramava quella battaglia esattamente quanto lui, avrebbe pagato per il male col quale aveva macchiato l’umanità.
Riprese quindi a correre per la sua strada, spalancò la porta e finalmente giunse a ridosso della passerella che sopraelevava l’aeroporto, dove felicemente ritrovò Claire ad aspettarlo.
La ragazza gli corse incontro, ma non v’era tempo per i saluti; dovevano andare.
 
“Grande, Claire. Hai attivato tu il sistema di autodistruzione?” disse mentre l’aiutava a salire sul Jaguar.
 
“Sì, mi ha dato Alfred la scheda per farlo.”
 
“Alfred? Intendi il fratello di Alexia?”
 
“Esatto, lei gli ha iniettato il virus ma è ancora cosciente, abbiamo parlato poco fa. A proposito, dobbiamo aspettarlo. So che avrai sentito cose strane su di lui, poi ti spiegherò con calma, ma non possiamo andare via così.”
 
Il cuore di Chris si strinse, doveva darle quella notizia, anche se non voleva.
 
“Claire.” la chiamò ponendosi di fronte a lei, sorreggendola per le spalle. La ragazza ricambiò, rivolgendogli lo sguardo di chi è già a conoscenza di quel tragico epilogo. “Lui ed Alexia non verranno.”
 
Claire abbozzò un amaro sorriso, trattenendo con sforzo le sue emozioni.
 
“Lo so.” disse. “Ma io desidero aspettarli lo stesso. Questa non è solo la loro battaglia, è anche la nostra. Ormai abbiamo conosciuto il loro mondo, abbiamo visto con i nostri occhi cosa gli hanno fatto; non me la sento di andarmene così.”
 
Chris non seppe cosa dirle, il countdown era ormai quasi al limite, se voleva davvero salutarli un’ultima volta, dovevano fare in fretta.
 
“Facciamo così.” esclamò. “Usiamo il Jaguar per circumnavigare lo stabilimento, sarà più facile trovarli.”
 
I due Redfield si sistemarono dunque sul velivolo e una volta avviata la preparazione per il volo, questi si sollevò da terrà, mentre del palazzo dove erano stati fino a quel momento non rimaneva più molto.
Claire si affacciò speranzosa, cercando con lo sguardo quell’uomo che non aveva potuto vincere il suo destino, ma che le aveva insegnato molto, lasciando un’indelebile traccia dentro di sé.
Lo cercò ininterrottamente, in balia della paura che fosse ormai troppo tardi. Intanto iniziarono le prime esplosioni, le quali fecero crollare una buona parte della struttura.
I due ragazzi compresero che era ora di andare, purtroppo; dovevano allontanarsi, era troppo pericoloso.
Mentre Chris fece per fare manovra, con la coda dell’occhio la rossa distinse una figura alta e longilinea, in piedi su una finestra ormai completamente frantumata.
Si voltò totalmente e riconobbe quell’uomo; era Alfred, al cui fianco vi era la donna che aveva tanto amato, la quale gli stringeva la mano.
Le fiamme divampavano alle sue spalle ma egli, incurante, non spostò lo sguardo da Claire, la quale ricambiò con la stessa intensità quegli occhi ricolmi di passione.
Nonostante il fumo nero che lentamente offuscò quell’immagine, la ragazza mantenne quel contatto visivo fino alla fine, comprendendo nitidamente il forte messaggio che lui voleva comunicarle.  
Doveva raccontare ciò che aveva vissuto, divulgare ciò che aveva visto albergare fra quelle mura.
Claire era la viva testimonianza di un mondo creato nel baratro indifferente e spietato della malvagità, ove tutto era lecito; un inferno in cui ciò che di più marcio e disumano aveva potuto avere libero sfogo.
Nessuno era stato punito a dovere, alcuno aveva mai osato opporsi al loro dominio.
Quel palazzo ormai distrutto, quelle vite strappate via con crudeltà, quell’inumana scelleratezza che li avevano trasformati in mostri... quella storia disumana non era finita; non doveva essere dimenticata.
Sarebbe stata una lunga battaglia, forse non ne sarebbero mai davvero usciti.
La Redfield aveva toccato con mano quell’esistenza deturpata e agonizzante, la sofferenza e l’abbandono che avevano costretto due giovani a perdere la loro umanità.
Il loro destino era stato deciso, ma quella morte non sarebbe stata vana se lei fosse stata la testimonianza di tutto questo.
Il luogo ove aveva vissuto il demonio, che aveva redatto le sue mura con l’odio, con la perversione, dando vita al male più spietato.
Con la mano poggiata sulla parete ormai in frantumi, Alfred Ashford si specchiò un’ultima volta nelle iridi della sua splendida donna dai capelli rossicci, entrata nella sua vita in modo così complesso da aver sconvolto in pochi attimi quegli anni vissuti nel terrore e nella violenza.
Era giunta nel suo regno dominato dalla follia, aveva conosciuto la sua realtà ricca di menzogne e paradossi, e infine era riuscita a conquistarlo per sempre. Tutto così velocemente da non poter essere spiegato in modo logico.
Non era un addio. Sarebbe sempre rimasto con lei; lo sapeva.
L’Umbrella doveva pagare. Doveva essere condannata per ciò che aveva fatto.
Sapeva di poter contare su di lei.
Un ultimo boato preannunciò che il tempo era ormai giunto al suo termine, dopodiché quello che era stato l’impero degli ultimi eredi Ashford fu inghiottito dalle implacabili fiamme, decretando la loro inoppugnabile fine.
Il Jaguar sostenne un potente rinculo, che Chris riuscì a gestire con grande maestria essendo un aviatore esperto, questo mentre osservava dallo specchietto retrovisore la struttura dell’Umbrella che spariva in un’immensa nube di fuoco.
La distesa bianca e desolata dell’Antartide nascose nel suo freddo candore quanto di sporco v’era in quel mondo che andava ripulito.
Con l’animo ancora in balia dei propri ricordi ed emozioni, Claire posò una mano sulla spalla di Chris, stringendo forte.
Egli non poté ricambiarla essendo impegnato a guidare, tuttavia entrambi sapevano quanto quell’esperienza li aveva cambiati. Nulla sarebbe più stato come prima.
La ragazza chiuse gli occhi. Adesso toccava a lei.
 
Non era la fine di quella storia.
 
Avrebbe dedicato la sua intera esistenza a combattere contro coloro che avevano distrutto quelle vite.
 
Ognuno era vittima di quella tragica esplosione che adesso stava celando fra le sue ceneri un tumore che non era stato possibile curare.
Un dolore che aveva intaccato le ossa.
Un malanno che era stato capace di contagiare fin nei meandri più oscuri, insinuandosi con la sua pece.
 
Non sarebbe stata in silenzio.
Quella vicenda sarebbe stata diffusa con veemenza, senza far sconto alcuno.
 
Il male non sarebbe stato il vincitore finale.
 
 
 




 
 
[***]
 
 
 







 
 
 
 
…7 anni dopo…
2005
 
 
 
 







 
 
 
Claire Redfield è diventata una attivista di ‘TerraSave’, una associazione in lotta contro lo sviluppo e l'impiego delle armi batteriologiche, impegnata nel soccorrere le vittime del bioterrorismo.
 
 


 
Due anni prima, suo fratello Christopher Redfield fonda la BSAA (Bioterrorism Security Assessment Alliance), per combattere il numero crescente di B.O.W. vendute dal mercato nero, con lo scopo principale di prevenire e sterminare il bioterrorismo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ancora oggi la guerra non è giunta al suo termine.
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
-FINE-
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NdA:
 
The end.
La storia è finita.
 
Cosa posso aggiungere? Ci ho messo tutta me stessa in questa fanfiction, sul serio. Una parte di me resta fra queste pagine che hanno rappresentato una parentesi importante di me stessa. Ogni parola scelta, ogni rigo, ogni frase, ogni concetto, sentimento o situazione che cercavo di descrivere; è stato pensato, scelto, e pesato proprio per far arrivare a chi legge un determinato messaggio.
Ho scelto uno stile di scrittura lungo, un po’ complicato, spesso intricato e volutamente ermetico proprio per farvi immergere già solo con lo stile nel mondo degli Ashford e di Resident Evil. Un mondo oscuro, difficile, psicologico.
Al di la se vi ha incuriosito la coppia Alfred x Claire, protagonista della vicenda, spero vivamente che la storia vi sia piaciuta.
Ho cercato di farvi entrare nel mondo introspettivo, inquietante e bizzarro di un personaggio sul quale si è detto molto poco: Alfred Ashford.
Un uomo indubbiamente devastato dal contesto di follia ove la sua mente è stata deviata, vittima di un sistema crudele e spietato a cui ha reagito con la pazzia e la violenza.
Mi son chiesta cosa gli accadrebbe se avesse la possibilità di incontrare una luce…una speranza diversa da quella che lui conosce…diversa da Alexia.
Così ho creato questo “assurdo” pairing, in cui la dolce e temeraria Claire Redfield riesce persino a toccare il suo cuore. Quello di un uomo come lui.
Ho cercato di creare dei presupposti più o meno plausibili che spero nell’insieme abbiano dato vita a una storia gradevole da seguire.
Non ho voluto dare la morale finale all’amore.
Piuttosto volevo puntare l’attenzione sul quanto spesso basti poco a cambiare il cuore di una persona.
Il finale è lo stesso del Code Veronica, ma lo spirito col quale sia Alfred che Alexia lasciano questo mondo, è tutt’altro. Ed è qui il vero cambiamento del mio finale rispetto l’opera originale.
Alfred ha imparato tanto da Claire. Ha conosciuto la speranza, la luce, l’amore, sentimenti che sembravano ormai essergli preclusi. Ha invece ritrovato il se stesso al di fuori di Alexia.
Questo grazie alla ragazza che prima era sua nemica.
Ha scoperto un mondo fuori dalla pece che oscurava il suo cuore macchiato dall’orrore.
La denuncia è quindi verso un mondo indifferente, che ha lasciato quei due ragazzi da soli, tra le mani di folli mentecatti che ben presto avrebbero condannato l’intero pianeta.
I due Ashford non sono che le vittime di questo disumano destino.
Dunque è compito di chi vive essere testimone di quanto accaduto, e fare di tutto purché vi siano sempre meno vittime.
Questo è il peso che personaggi come Claire, Chris, Leon, Jill, etc, dovranno portare…
Un sincero e affettuoso ringraziamento a tutti coloro che hanno seguito la pubblicazione e a coloro che hanno letto.
Uno speciale grazie a mia sorella gemella, la quale mi ha spinto tanto a non mollare. Mi ha seguito come beta reader e mi ha sempre sostenuta dandomi ottimi consigli nei momenti di blocco narrativo.
Grazie davvero.
Il sipario è calato e io faccio un grandissimo inchino!
Grazie!!
 
by
FiammahGrace
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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