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Autore: fiammah_grace    26/07/2018    0 recensioni
[Resident Evil: code Veronica X]
"Seppur la non fisicità di Alexia, la sua presenza era rimasta come un alone costante nella vita dell’uomo che abitava oramai da solo quel vuoto castello.
Una costante fittizia, ma così viva e forte che a un certo punto lui stesso l’aveva resa reale continuando a dare un nome, un volto e un ruolo alla sua venerata e lontana sorella, muovendo uno spaventoso gioco di ruolo mentecatto in cui ella esisteva e non lo aveva mai lasciato.
Nulla avrebbe avuto importanza per lui. Avrebbe sacrificato ogni cosa al fine del benessere e del successo della sua Unica Donna, la sua Unica Regina. Persino se stesso.
Qualcuno tuttavia aveva osato disturbare la sua macabra attesa.
Claire Redfield. Il nome della donna dai capelli rossi che aveva invaso il suo cammino nel momento più prezioso. Il nome dell’infima donna che aveva sporcato l’universo perfetto di lui e Alexia, portando scompiglio nel suo territorio.
Quella formica che gli aveva dato del filo da torcere…persino troppo. Più di quanto potesse sopportare."

[Personaggi principali: Alfred Ashford, Claire Redfield]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfred Ashford, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 27
 
 
La Regina: capitolo 06
 
 
 
 
 
Se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te.
(Friedrich Nietzsche)
 
 
 
 
 
 
Chris aprì debolmente gli occhi. La sua bocca era secca e la gola completamente asciutta, la sua pelle era invece fredda, sudata, appiccicaticcia. Era la terza volta che riprendeva conoscenza e non faceva che vedere perpetuamente un fitto nero davanti a sé. Era tutto buio. Triste. Silente.
Non riusciva a sentire più nulla. Le tenebre più dense lo avvolgevano nel loro glaciale abbraccio, nascondendo ai suoi occhi qualsiasi prospettiva, dipingendo con la sua pece ogni cosa.
Non percepiva più nemmeno il suo corpo stesso. Era come se galleggiasse nel vuoto, in una oscurità senza un inizio e senza una fine; l’altra faccia di un mondo inaccessibile, ove non gli era possibile alcun pensiero, alcun futuro.
Sbatté più volte le palpebre indebolite, ormai non riconoscendo più i momenti in cui era vigile da quelli in cui perdeva conoscenza.
Ritrovava davanti a sé sempre la stessa prospettiva, sempre lo stesso nero; come se i suoi occhi fossero perennemente ciechi, sia se fossero stati aperti, sia se fossero stati chiusi.
Riuscite a immaginare cosa significhi annegare nell’oscurità? Com’è davvero perdere ogni cognizione, sentendo quell’aria pesante dietro le proprie spalle che nega ogni possibilità di sentire il mondo che ci circonda, avvolti dal silenzio più violento e indifferente…
Un gioco di sensi che mirava a confondere la stabilità di un uomo invece rigido e vigoroso, che aveva imparato duramente a vivere nella terra dei morti.
Erano passati minuti, poi ore, e poi altre ore, e ore. Non v’era modo di conteggiare il tempo; il suo stato di alienazione stava cominciando a sfiancarlo.
Si sentiva ancora padrone dei suo raziocinio, ma il tempo incalzava ineluttabile e la paura non poteva essere schiacciata del tutto. Un pensiero brutale infastidiva la sua mente; quell’umano terrore di essere lasciato lì dentro per sempre.
I suoi muscoli dolevano; in quella dispersione, egli era anche costretto su una piccola e dura poltrona di legno, ancorato da due maniglie ferrose senza avere alcuna possibilità di sgranchirsi minimamente.
Uno stato coercitivo che, dopo quella lunga e indecifrabile attesa nel nulla, aveva logorato interamente il suo corpo.
La sua schiena era a pezzi, il collo doleva sui lati, le gambe erano addormentate e fredde.
Aveva cercato di forzare quelle morse innumerevoli volte ormai, logorando le carni dei polsi inutilmente.
Egli vagheggiò col capo, mentre la sua mente perdeva i sensi, ancora una volta.
E di nuovo il nulla.
Gli abissi lo avevano inghiottito; di quel soldato valoroso venuto in quel palazzo alla ricerca della sorella, non v’era più niente.
Egli faceva ormai parte di quel nero, perso nell’infinita catacomba di quel luogo bloccato nell’abisso.
Sprazzi di vita di tanto in tanto animavano quelle mura, anche se ‘vita’ non era il termine più appropriato.
Gemiti lontani echeggiavano per la struttura, essi scavavano tra le mura raggiungendo quell’arcana e tetra prigione, facendo da accompagnamento all’agonia di quell’uomo. Sebbene lontani e appena percepibili, a furia di ascoltarli era come se si facessero sempre più nitidi e vicini.
Non riusciva più a distinguerne la lontananza, facendolo sentire indifeso.
Dei sottili e freddi spifferi d’aria lo colpivano dietro la nuca, proiettando nella sua mente le immagini deteriorare dei mostri che potevano sopraggiungere a lui.
Il suo stomaco si irrigidiva, costringendolo palpitare; quello stato d’allarme lo stava danneggiando.
Cercava con gli occhi uno spiraglio, ma non riusciva nemmeno a rendersi conto se le sue palpebre fossero davvero aperte.
Sobbalzò non sentendo nemmeno il pavimento.
Quel gioco di sensi stava vincendo su di lui; sudava freddo e in modo silente tratteneva il tremore che crucciava i suoi impulsi interiori, impedendogli di tornare padrone del suo corpo.
Così lentamente egli giacque, cadendo di nuovo fra le crudeli braccia dell’oblio, entrando in uno stato di stand-by: mente e corpo si abbandonarono. Tutto si fermò. Nulla esisteva più.
Intanto il tempo passava ancora; indifferente, meschino, senza preoccuparsi di quell’ospite ormai in stato catatonico.
L’abisso è un luogo nefasto, chi non tocca il suo suolo non può davvero comprendere cosa significhi perdere tutto.
Non possedere alcuna condizione, alcuna forza, alcuna possibilità. Un vortice che risucchia via ogni cosa non stancandosi di sgretolare nel suo baratro anche le più evanescenti speranze.
Basta privare l’uomo della luce per dimenticare ciò che esiste.
Chiudendo gli occhi in una stanza buia, isolata da tutto, possiamo accorgerci quanto sia semplice annientare tutto il creato. In un attimo non esiste più nulla.
Futili certezze, spazzate via privandosi di un piccolo organo.
In questo universo, dove basta non vedere per chiederci chi siamo, cosa è davvero importante?
Annientate dunque le vostre consapevolezze, i vostri timori, le vostre gioie, cosa ritenete giusto o falso, qui nelle tenebre non avrete bisogno di nulla.
Vivrete solo di ciò che davvero vi appartiene da sempre, ovvero la più cruda disperazione. Una fedele compagnia che posa volentieri i suoi artigli sul vostro cuore, cibandosi di quelle inezie che credevate fondamentali.
Basta che quella candela fioca sparisca ed è tutto nero…
 
Dopo un lungo tempo non conteggiato, un lontano stridio si disperse lentamente partendo da una fonte che non riuscì a identificare.
Un ronzio molesto, che indusse il soldato a deformare le sue labbra, infastidito. Quel rumore si fece più insistente, costringendo il suo petto a contorcersi pur di scacciarlo dalla sua mente in qualche modo.
Poco dopo seguì un secondo suono, era una melodia simile a quella di un carosello mal accordato.
Quel ritmo gioioso, eppure acuto e violento, si elevava appositamente sulle note più pungenti, emettendo un rumore assordante che faticò a sopportare.
Il volume dei due suoni prese gradualmente ad alzarsi, come se quei rumori gareggiassero l’uno per sovrastare l’altro; ma così facendo devastavano i timpani e la mente già provata del Redfield, il quale non poteva proteggersi in nessun modo.
Le sue urla di dolore erano un eco muto in quel frastuono infernale, nessuno avrebbe mai potuto percepire i suoi lamenti. Poté solo dimenarsi pur di scacciare quel male, voltandosi senza avere la possibilità di contrastare quel tormento che continuava a martellarlo, torturandolo senza pietà.
Quella giostra continuò imperterrita, aumentando la sua intensità, velocizzando il suo ritmo e facendosi sempre più alto e forte.
Poi d’improvviso…silenzio.
Un’interruzione così improvvisa da fargli avere la sensazione di sbattere contro il muro.
Frastornato, spossato e agitato, il cuore di Chris batteva incessantemente, continuando a ripetersi di tener duro.
L’ansia faceva gonfiare il suo petto. Quel susseguirsi di buio, silenzio, disturbi, tormenti, poi di nuovo silenzio e buio…era un loop che stava facendo impazzire i suoi sensi.
Le sue forze lo abbandonarono nuovamente, facendolo cascare sulla poltrona, inerme. Il suo viso si fece apatico. Dissociato e intrappolato, tenne lo sguardo fisso nel vuoto, ove tutto era scuro e immerso nel nulla.
In quello stesso istante, da lontano scorse una piccola luce rossastra che prese a lampeggiare. Sbatté le palpebre accecato.
Sebbene fosse un puntino che dispendeva poca illuminazione, bastò a farlo sentire abbagliato essendo stato nelle tenebre così a lungo. Quel rosso era poi molto inquietante.
Questa si accendeva e si spegneva ripetutamente, e se dapprima gli aveva comunicato un minimo di senso di vita, disperato e alienato com’era, si accorse velocemente che fosse l’ennesimo modo per infastidirlo.
Provò a spostare lo sguardo, ma quella luce insistente non faceva che tediarlo. Seguirono vari giochi di luce di quel genere che si fecero sempre più molesti, tutti con il medesimo intento di farlo ripiombare nel buio d’improvviso. Per poi accecarlo di nuovo.
Per quanto ancora doveva continuare quella tortura?
Provò a sollevarsi, ovviamente inutilmente.
Sollevò di nuovo la testa dondolante e si ritrovò improvvisamente a scrutare il suo volto stanco e affranto.
A metà fra la coscienza e l’incoscienza, si esaminò distrattamente: non aveva una bella cera, era sciupato e sporco, come se da giorni non si prendesse cura di sé. Scosse la testa, riflettendo attentamente su quei pensieri.
Si accorse così che non stava guardando propriamente se stesso, ma il suo riflesso in uno specchio.
Senza che se ne rendesse conto, era stato erto un vetro riflettente ed era stato posizionato proprio di fronte a sé, giusto a pochissimi metri di distanza.
Si sentì spaesato.
Quel vetro era illuminato dalla stessa luce rossa vista precedentemente e rifletteva così la sua immagine con toni vermigli.
Diede una scrollata ai capelli appesantiti, non potendo fare molto altro; non v’erano azioni che potessero aiutarlo a sentirsi meglio in qualche modo.
Osservò la sua posizione costretta dalle maniglie arrugginite, sentendosi umiliato e snervato.  
Quell’ennesima prova di resistenza voleva forse metterlo alla prova contro se stesso, oppure era stato lasciato semplicemente lì per mostrargli quella solitudine immensa fino a gettarlo in un completo stato di abbandono.
Non gli era difficile comprendere il fine di tali crudeli perversioni.
Ripensò ad Alexia, al degrado del luogo in cui l’aveva trovata, e si chiese ardentemente se vi fosse ancora qualcosa di umano in lei; oppure se avesse sbagliato a vedere.
In lei aveva visto un’infinita e amara tristezza, che si era trasformata in una crudele chiusura mentale; dentro aveva un dolore incommensurabile, un male di vivere che aveva inghiottito la sua mente distruggendola.
Le risposte erano a portata di mano, gli bastava guardarsi attorno per comprendere quel mondo incenerito.
 Ai suoi occhi quella donna era una contradizione fra bellezza e spietatezza, tra un’amara tristezza e una prepotente superbia; era sia un’incompresa ragazza sola e indifesa, che un’indiscussa sovrana, fieramente padrona di quel castello.
Si ritrovò a osservare i suoi stessi occhi in quello specchio, rivedendovi quella confusione che lo affliggeva e che gli urlava di non lasciarsi sopraffare.
Voleva capire, voleva aiutarla. Non poteva accettare che non potesse far nulla per lei.
Fu in quell’istante che, ironicamente, si accorse che attraverso lo specchio poteva scrutare l’altra parte del vetro…fu una visione strana.
Che tipo di specchio era?
Oppure era un vetro talmente tanto lucido da essergli apparso uno specchio, anche per colpa di quel gioco di luci e ombre che fin dall’inizio lo stavano ingannando. Aguzzò dunque la vista e sgranò gli occhi quando, dietro a quel vetro, distinse lei.
 
Alexia Ashford sogghignò sottovoce, aveva atteso impazientemente il momento in cui lui si sarebbe accorto che lo stava osservando.
Ella lo scrutò con i suoi diabolici occhi di ghiaccio, incantevoli e agghiaccianti, avvicinandosi all’estremità dello specchio.
Subito dopo avergli rivolto un maligno sorriso, ella scavalcò l’uscio dello specchio, attraversandolo come se non ci fosse davvero, esattamente come un fantasma che può raggiungere ogni luogo che desidera.
Chris aveva i suoi occhi fissi su di lei, terrorizzato da quella visione paranormale.
Proprio mentre Alexia giunse dall’altra parte, la camera piombò di nuovo nell’ombra più completa, facendo trasalire l’ormai instabile soldato, che provò invano a girarsi attorno.
Cercò di individuare la donna che, occultata nel buio, si dilettava a vederlo impazzire. Sapeva che lo stava osservando, muovendosi fra le mura oscure di un universo che soltanto lei era capace di dominare.
Ella lo esaminò ridacchiando, notando che non riusciva a individuarla.
Si pose a sua insaputa esattamente dietro di lui e allungò le sue mani sul suo volto impaurito.
Chris sentì le sue dita sottili muoversi sui suoi occhi, così seducenti eppure terrificanti, come lame pronte a ferirlo se solo l’avessero voluto.
Ciononostante, appellò a sé tutta la sua rigorosità militare, consapevole che l’indole di Alexia fosse quella di mostrarsi al di sopra di tutti. Dunque era suo intento non darle soddisfazione; quindi rimase immobile, con il volto rigido e la schiena ben dritta, sull’attenti, lasciando che lei giocasse coi suoi sensi.
La donna dai lunghi capelli biondi trovava delizioso quel comportamento, quello del bel cavaliere senza macchia e senza paura.
Era affascinante un uomo tanto ligio al dovere, ai suoi principi, al suo senso della giustizia.
Non era una persona qualsiasi, sentiva dentro di lui una forza vitale che non poteva essere paragonata ad alcun essere avesse mai incontrato. Eppure non era questo ciò che l’attraeva.
La verità era che bramava visceralmente vedergli perdere quella maschera da bravo soldatino; voleva vedergli raggiungere il limite, trasformarsi e lasciarsi sopraffare dalla disperazione.
Esisteva una linea di confine, oltre la quale egli sarebbe crollato. Più quel soggetto era vigoroso, più era eccitante scoprire quando avrebbe raggiunto la soglia della sopportazione.
Seguì con le sue unghie curate le curve dei suoi splendidi occhi sinceri e leali. Lo specchio di un’anima che sembrava incorruttibile.
L’intera vita di Alexia era stata crucciata da quella perversa ambizione.
Ella era una scienziata cresciuta secondo i rigidi e disumani principi dell’Umbrella, da sempre non aveva fatto che portare al massimo le sue ricerche, al fine di creare un’arma batteriologica in grado di sovrastare qualsiasi creatura.
Da quando aveva messo piede sul mondo, la sua vita non era stata che questa continua ricerca.
Allo stesso tempo, amava mettere alla prova le sue creature, le sottoponeva alle prove più ardue fino a trovarne i punti deboli…questo per schiacciarle a e distruggerle crudelmente.
Un processo che serviva per trasformale in qualcosa di più completo, per poi distruggerle ancora, in un baratro eterno che lentamente l’avrebbe condotta a quella ambita perfezione cui mirava.
Eppure una volta raggiunto quell’apice…sapeva che si sarebbe chiesta se avesse potuto arrivare a uno studio ancora più raffinato ed elevato.
Non sarebbe mai stata soddisfatta.
Anche lei faceva parte di questo ciclo auto-distruttivo; aveva finito col distruggersi e ricrearsi, al fine di raggiungere risultati sempre più ambiti, ma mai avrebbe trovato la sua realizzazione.
Ella era consapevole di tale deviazione mentale, Alexia era dotata di una grande capacità di auto-analisi; non era difficile per lei prevedere la crudele sorte cui sarebbe andata in contro. Era la sua vita, il suo destino.
Dentro di sé doveva fare i conti con quell’inconfessabile realtà celata dietro la sua ibernazione di quindici anni.
Quell’egoistica brama di potere che non aveva potuto contrastare.
Semplicemente non aveva potuto fare a meno di farlo, in nessun modo, anche a costo di sacrificare le uniche cose che avesse al mondo…
Il suo era un baratro irrefrenabile: doveva creare, doveva distruggere, per poi ricreare e distruggere ancora, e ancora…
Chris Redfield l’aveva intrigata e forse persino attratta proprio per questo. Egli era un uomo integro, energico, ricco di valori buoni… ma non poteva fare a meno di desiderare di demolirlo.
A quel punto sollevò le mani dal suo volto, si allontanò e sparì nel buio.
Intanto egli stette immobile ancora diversi secondi prima di accorgendosi che la ragazza l’aveva nuovamente lasciato da solo.
Dal suo punto di vista era un continuo essere messo alla prova. L’impossibilità di vedere e la sua relativa perdita della consapevolezza del mondo che lo circondava si stava facendo sempre più compromessa.
Una gelida freddura crucciava ora il suo animo, devastato da quella condizione che perdurava da così tante ore di completa oscurità e silenzio.
Stette ancora una volta inerme, senza poter sfogare in alcun modo il suo malessere. Voleva cadere, voleva gridare, voleva reagire in qualsiasi modo.
Dal suo naso gocciolava un sudore di tensione fisica e psicologica. Il suo cuore batteva in petto, gonfiando il corpo irrigidito.
Poi di colpo, dopo esservi stato tutto quel nero denso e invalicabile, con una insensibilità riprovevole, una fortissima luce bianca fu proiettata in pieno sul suo viso, accecandolo completamente.
Egli digrignò i denti e cercò di tenere gli occhi aperti in una fessura.
Quel bianco sgargiante risaltava le sue splendidi iridi blu.
Ebbe la dimostrazione pratica di quanto sia il buio che la luce potessero essere equamente violenti e deturpanti.
Il bagliore non accennò minimamente a placarsi, anzi, più passava il tempo, più si faceva insistente; il ragazzo provò a spostare lo sguardo, ma per quanto potesse, il raggio era troppo ampio per poterlo evitare.
Dové dunque subire passivamente quella tortura, attendendo che la vendetta di Alexia si mitigasse.
Spostò le sue attenzioni verso il fondo della stanza, invece ancora avvolto dal nero, e fu allora che vide a circa cinque o sei metri di distanza, una seconda luce che si stava lentamente accendendo; essa era però più fioca e giallognola e lasciava una densa penombra sulla figura che stava pacatamente illuminando.
Chris, sebbene sotto sforzo, cercò di inquadrare la persona lì di fronte. Era una giovane donna, con il capo chino.
La testa era completamente oscurata, ma poteva vederne vagamente i capelli raccolti dietro la nuca; indossava un jeans e una maglietta nera corta, che lasciava scoperto l’addome mostrandone il suo fisico tonico.
Non gli ci volle nemmeno un attimo per riconoscere quella ragazza.
 
“Claire!!” urlò e il suo cuore prese a palpitare forte, in attesa di una risposta.
 
La giovane era immobile, sembrava incosciente e indebolita; probabilmente era stata stordita allo stesso modo di lui.
Il soldato dunque si concentrò, recuperando la lucidità. Si raddrizzò con la schiena e continuò a chiamarla imperterrita, questo finché non avrebbe avuto una sua reazione.
Ella sembrò finalmente muovere il capo verso la sua direzione, così Chris si rincuorò e fu in quel momento che trovò la spinta necessaria per tornare a lottare.
Si dimenò con tutto se stesso, ignorando i suoi polsi ormai arrossati da graffi e piaghe vivide, caricandosi di una forza finora mai mostrata, che finalmente riuscì a farlo prevaricare su quelle rugginose morse di ferro.
Riuscì a esercitare una pressione tale che i braccioli della poltrona di legno si ruppero e portò dunque via con sé le morse ferrose con tutto il legno ove erano ancorate.
Corse così verso Claire, pronto a portarla via da quel posto, ma si accorse giusto in tempo di un ennesimo vetro frapposto fra loro, il quale gli impedì di raggiungerla.
Batté adirato un pugno contro di esso, amareggiato di essere stato raggirato ancora una volta.
Tuttavia non demorse, si rimboccò le maniche concentrandosi sul fatto che gli mancava un piccolo, piccolissimo passo, e finalmente avrebbe raggiunto sua sorella.
Doveva riuscire a contrastare la delusione e non crollare proprio in quel momento.
Inspirò, dunque e batté di nuovo sul vetro, cercando di attirare l’attenzione della ragazza.
La luce bianca continuava a insistere sui suoi occhi, come allontanandolo da quel compito, costringendolo a ripararsi ripetutamente.
 
“Claire! Claire sono io…rispondi!”
 
“Chris…” sussurrò lei alla fine, dopo averla richiamata così a lungo.
Il soldato sorrise, rincuorato. Non poteva vederla bene e il vetro offuscava la voce di entrambi. Doveva fare del suo meglio per aiutarla.
 
“Claire, sono qui, sono venuto per salvarti. Perdonami se ci ho messo tanto, e anche per averti lasciato sola così a lungo. Prometto che mi prenderò cura di te da ora in avanti.”
 
“Sal..varmi…?” ripeté lei frastornata.
 
“Sì. Ho messo al primo posto le mie indagini, ero adirato per quello che era successo durante la mia ultima missione. Così facendo ho però trascurato te e tutto il resto. Mi dispiace…non volevo che ti accadesse questo. Quando saremo a casa, ricominceremo tutto, d’accordo? Però svegliati ora, dobbiamo andare via di qui.”
 
Le disse con grande sincerità, non potendosi perdonare quanto accaduto.
Vederla lì, con i polsi legati dietro una sedia, in quella stanza buia, sotto quella velata luce ombrosa, fece stringere il suo cuore come in una morsa, potendo solo immaginare cosa potesse aver vissuto, lei che era stata carcerata lì dentro da così tanto.
 
“Chris…è stata…è stata Alexia. E’ lei la causa di tutto.”
 
Ella raccolse le sue energie. La sua voce dapprima risultò debole e rauca, quasi non sembrava la sua, ma più parlava più il tono si scaldò facendosi sempre più alto e determinato; un diverso vigore ora l’animava, rendendola insolita. Il dolore e la rabbia l’avevano trasformata, era qualcosa di cui non poteva biasimarla.
 
“Quella…donna…lei si è auto-proclamata la sovrana assoluta di questo laboratorio, credendosi elevata rispetto tutto il creato; ma la verità è che lei non è altro che una spietata regina, odiata e temuta da tutti.
Ha finito solo col bruciare e distruggere il suo mondo, per inseguire qualcosa che invece non ha fatto che portare morte e dolore, persino a se stessa.
Si era preposta uno scopo ambito e si è appropriata di un’immensa potenza, la quale le si è ritorta contro gettandola invece fra i dannati.
Credeva di essere diversa, credeva di essere superiore, invece non è che un mostro raccapricciante.”
 
Quelle parole ferirono profondamente Chris, il quale era consapevole dell’intrinseca veridicità di quelle riflessioni, eppure…eppure non erano tutta la verità.
Non se la sentiva di puntare completamente il dito contro Alexia, la quale aveva certamente vissuto e reagito in modo sconsiderato, ma non era completamente colpa sua.
In quel disastro erano coinvolti anche la sua famiglia, l’Umbrella e tutto il contesto che aveva contribuito a farla crescere in modo tanto inumano.
No, non poteva giudicarla così aspramente. Non era giusto.
Tuttavia poteva immaginare con quanto dolore avesse caricato il cuore di Claire.
Tanta perversione e sadismo non potevano essere perdonati e questo lo comprendeva.
Prima però di poter dire qualsiasi cosa, fu sua sorella a riprendere parola prima di lui.
Il suo tono fu molto serio, cosa che spinse Chris a una maggiore attenzione ulteriore.
 
“Lei è sul baratro, non può essere fermata. Ha stabilito il suo verdetto e ormai ha deciso la tua condanna, Chris.” poi aggiunse. “L’ultima prova di Alexia…sono io.”
 
Dichiarò, gettando nello sgomento l’animo del ragazzo.
La Redfield sorrise, assumendo un'espressione quasi di compianto.
In quello stesso istante si accese uno schermo alla sinistra di Chris, il quale mostrava la ripresa di una videocamera di sorveglianza.
Il ragazzo si avvicinò, facendo attenzione alla stanza mostrata; si trattava di una cella dentro la quale era imprigionata una donna dai lunghi capelli pallidi, i quali erano completamente portati in avanti, coprendone il viso inclinato.
Era Alexia.
L'uomo si appropinquò a due dita di distanza, frastornato da quella visione; cosa ci faceva Alexia ridotta in quello stato catatonico e per di più prigioniera?
Come era possibile se fino a qualche momento prima era stata dietro di lui, a giocare con i suoi sensi?
Accostandosi allo schermo, incappò in un macchinario ad esso connesso.
Si trattava di un marchingegno visibilmente molto complesso, ma costituito sostanzialmente da una serie di comandi congiunti a un motore distinguibile dalla prospettiva della telecamera.
Aguzzando meglio la vista, notò che quella macchina collegava a un braccio meccanico armato di vari tipi di lame, affilate come rasoi.
Chris impallidì, rifiutandosi di comprendere lo scopo di quella diabolica apparecchiatura.
Sbirciò verso il basso e costatò che la chiave di accensione era inserita nella fessura. Doveva solo girarla e mettere in moto.
 
"Non hai altra scelta."
 
Sentì dire alle sue spalle.
 
"Cosa intendi?" chiese tremante.
 
"Sono riuscita a scappare poco prima che lei mi imprigionasse. Ero io che dovevo essere rinchiusa lì dentro.” racconto Claire con voce roca, esprimendo con il suo tono tutta l’ansia e la paura di quel momento. “Lei voleva costringerti a uccidermi con le tue mani; era questa la tua condanna.”
 
Ci fu un breve, ma interminabile momento di silenzio, nel quale i due fratelli elaborarono una ipotetica e terribile sorte, che tuttavia non sembrava del tutto sorpassata. Il ragazzo dai capelli castani strinse gli occhi, mentre un forte turbamento interiore cominciava a metterlo in guardia.
Rimase in silenzio, attendendo la fine del racconto di Claire.
 
“Sono stata lì dentro, per giorni, dovendo sentire orribili parole. Ti ho aspettato, senza perdermi d’animo. Alla fine ho avuto la mia occasione e…l'ho fermata e sono corsa via. Ciononostante mi ha catturata come vedi.” si fermò. “Esiste un unico modo per fuggire davvero, e lo sai..."
 
Chris digrignò i denti.
 
"Non capisco.” scosse la testa. “Per quale motivo dovrei ucciderla per liberarti?"
 
"Per quanto entrambi possiamo scappare, lei ci troverà sempre." spiegò afflitta. "Alexia voleva uccidermi. Era me, ME, che voleva che tu facessi a fette. Godeva dall'idea di torturarmi e soprattutto di scegliere come mano giustiziera la tua.
Non hai idea di quanto ti ho aspettato, non puoi immaginare quanta paura ho avuto, quanto dolore ho sopportato.
Vuoi abbandonarmi proprio ora? Quando sai perfettamente chi è lei?"
 
Chris non riuscì ad ascoltarla fino in fondo. Non gli tornava quel discorso, v’erano troppe incoerenze, trovava  inverosimili quelle parole da parte di Claire, nonostante avessero un giusta veridicità.  
 
"Non lo vedi, Chris?" continuò lei. "E' ormai in procinto di trasformarsi. Non dovrai farlo ora, magari, ma dopo sì. E' un atto di pietà il tuo, verso una persona che in realtà non è che se lo meriti molto. Fra meno di qualche ora il virus le farà perdere del tutto il controllo sulla sua mente. Il processo è già in atto, non può essere fermato. Devi farlo, non hai altra scelta..."
 
"Non riesco a capire...!" ringhiò Chris indignato. "Lei era qui un attimo fa, era nella stanza con me! Quando esattamente saresti riuscita a fuggire e a intrappolarla al tuo posto in quella cella?"
 
Claire sorrise, il suo povero fratellino aveva un cuore troppo buono, era sempre stato il suo tallone d'Achille.
 
"Oh, Chris, cosa dici? Cosa ti fa pensare che lei sia stata qui ‘poco’ fa? Ti ha lasciato per ore al buio, da solo, facendoti perdere la cognizione del tempo e di te stesso. Perché sei così sicuro, dunque, che non sia passato più tempo rispetto la tua percezione?"
 
Il bruno ansimò, scoraggiato. Picchiò un pugno contro il muro, non potendo credere che stava accadendo realmente.
 
"Perchè..." chiese. "Perché ucciderla poi in modo tanto violento? Noi non siamo così. E' brutale...non… non merita una fine del genere, nemmeno se davvero si trasformasse in un mostro!"
 
"E' questo il problema? Sul serio?" lo rispose spaesata la ragazza, trovando ridicolo che si facesse tanti problemi dopo che lei ne aveva subite così tante. "Forse non te ne sei accorto, ma hai ancora la pistola con te."
 
Chris posò la mano nella cintura e sobbalzò accorgendosi che effettivamente era vero, era armato.
Puntò gli occhi verso la sorella e di nuovo quella luce bianchissima lo accecò con violenza.
 
"Non hai notato nemmeno che c'è una finestra in questa stanza. Vai a controllare, è proprio lì, un po' più avanti. Osserva e dimmi cosa vedi."
 
Leggermente disorientato, il ragazzo seguì le sue indicazioni; era completamente buio, muoversi era un vero e proprio salto della fede.
Fu sorpreso quando trovò dinanzi a sé, mentre costeggiava il muro, delle barre di ferro che limitavano una piccola finestrella che affacciava proprio su una prigione.
Guardando al di sotto, poté vedere una cella all'interno della quale era conficcata nel pavimento una mastodontica falce insanguinata. Esaminò meglio quella squallida e lugubre segreta e notò due figure: uno era un ragazzo ormai bianco e irrigidito dalla morte e l'altra era proprio la donna dai capelli biondi posta di spalle.
 
"Come vedi, puoi scegliere di spararle da qui, se vuoi. Un’opzione più umana, ti comprendo."
 
Chris non parlò.
Nel suo privato, combatteva contro il micidiale istinto di afferrare la sua 9mm, eppure non riusciva in nessun modo a trovare la logicità delle parole di sua sorella.
Non riusciva a capacitarsi.
 
"Sei la mia unica speranza.” lo supplicò. “Avanti…fallo, Chris. "
 
Non tornava nulla in quello che stava accadendo, né il suo modo di parlare, né il suo fervore, né Alexia lì prigioniera, né quelle circostanze, e neppure quella luce che non faceva che abbagliarlo proprio ogni volta che tentava di guardarla.
 
"Uccidila."
 
Inoltre non poteva fare a meno di chiedersi il nesso fra la morte di Alexia e la vita di sua sorella.
Quel crudele gioco dei sensi lo aveva confuso e fuorviato; si sentiva tremare, sudava freddo.
La nausea prevaricava sui suoi sensi, ormai voleva solo venir fuori da quella situazione.
Intanto il buio chiudeva ogni sua prospettiva; allo stesso modo in cui la luce invece accecava le sue certezze.
Era un fulcro di nozioni sbagliate, che non facevano altro che distruggere nel loro baratro il suo intento di ragionare.
Questo mentre Claire continuava a parlargli, implorando il suo aiuto, richiamandolo al suo dovere di fratello, disperando e reclamando quella condanna...ancora...e ancora...
 
"Uccidila."
 
"Ora basta!!"
 
Urlò e a quel punto...silenzio.
Il tono alto e potente di quel comando bloccò completamente la giovane, che si azzittì di colpo non riuscendo più a dibattere.
Osservò Chris marciare in sua direzione, con lo sguardo fermo, le emozioni controllate, il fervore dominato dai suoi sensi.
Il feroce bagliore vivido di quel faro continuava a picchiarlo sugli occhi limpidi, intimandogli di fermarsi, cercando di nascondergli scomode verità, di negare ogni percezione, gioia o dolore.
Egli però tenne le sue palpebre ben aperte, ormai scoperta quella realtà, mostrando i suoi fieri e leali occhi blu.
 
“Hai cercato in tutti i modi di piegare la mia volontà, di sottomettermi ai tuoi principi, di distruggere quello che è dissimile dalla tua realtà. Bramavi dominare sulla devastazione di un mondo oscurato, ove ogni cosa è consumata in un incendio senza fine. Solo tu potevi ergerti fra quelle ceneri. Oppure…”
 
Si fermò.
 
“Oppure, più semplicemente, eri talmente certa di essere odiata e temuta da tutti, da esser sicura che avrei scelto di spararti. Non è vero, Alexia?”
 
Chris si posizionò eretto davanti al vetro, aspettando.
Dall’altra parte, la donna abbassò il suo viso celato dalla penombra.
Dopo un lungo momento di silenzio, il suo corpo prese a muoversi assecondando le movenze del sogghigno che non poteva più trattenere.
Ella rise silenziosamente, allargando le labbra e compiacendosi di quello spettacolo che aveva avuto un risultato molto diverso da quello che si era figurata.
Si alzò dalla sedia, palesando di non esser mai stata legata o imprigionata. Portò le mani sul capo e sciolse i suoi capelli, i quali al buio erano apparsi molto più scuri. Quando però venne alla luce, questi si rivelarono essere palesemente più chiari e così quella donna si rese riconoscibile come la smascherata Regina.
Avanzò verso Chris, imitando la sua fermezza, non staccando i suoi occhi da quelli onesti e leali di lui, il suo bel cavaliere puro e innocente.
 
“Chris Redfield, sei molto più mieloso di quanto avessi immaginato.” sorrise. “Non mi hai sparato, sono lusingata.”
 
Chris osservò la sua figura, la quale appariva molto diversa con una semplice maglietta e un paio di jeans.
Il suo animo si contorse, facendolo interrogare ancora una volta su quella drammatica storia che sembrava voler negare un lieto fine a tutti i costi; non riusciva ad accettare che non potesse far nulla per lei.
In quelle spoglie appariva una comune ragazza di un’età simile a quella di sua sorella, non faticava a immaginarla confondersi fra le ordinarie vie cittadine.
Quel pensiero lo crucciava. Era davvero impossibile aiutarla a trovare una vita normale?
 
“Pensavi l’avrei fatto?” chiese.
 
Alexia si fece pensierosa. Spostò lo sguardo da lui, riflettendo ad alta voce.
 
“Probabilmente volevo lo facessi. Forse hai ragione…forse pensavo davvero di essere così odiata che chiunque avrebbe scelto di uccidermi. D’altra parte, invece desideravo che ti voltassi e puntassi la tua pistola contro di me.”
 
Ammise, piegando dolcemente il viso di lato. “In ogni caso mi avresti uccisa, vedi?”
 
“Perché vuoi così tanto morire?”
 
A quella domanda, Alexia allargò di nuovo le sue morbide labbra in un sorriso stavolta molto diverso dal solito.
Fu un’espressione nuova, sincera, trasmetteva una limpidezza che non aveva mai visto nei suoi occhi cristallini, i quali si fecero improvvisamente umidi palesando quella risposta che non poteva dare.
Un realtà che egli poté leggere nitidamente in quello sguardo languido e distrutto, rinchiuso in un abisso dal quale non poteva scappare.
I loro mondi si fecero distanti in un attimo, mettendoli di fronte quella crudele realtà che li divideva.
Due universi che avevano conosciuto il dolore e la distruzione, sprofondati nella pece più nera ove non v’era ormai più tempo per tornare indietro.
Il soldato non poté far altro che specchiarsi negli occhi di quell’abisso, non potendo in nessun modo raggiungerla.
Posò una mano sul vetro, desiderando stabilire un contatto con lei, ma erano ineluttabilmente separati, ognuno nel proprio destino.
Ella socchiuse gli occhi e poggiò il capo sul vetro, in corrispondenza proprio della sua mano, come immaginando una sua tenue carezza di conforto.
Chris si avvinò maggiormente al vetro, assecondando quel gesto.
Quell’impalpabile abbraccio, separato dal freddo sipario creato dal vetro trasparente, fu come il simbolo tangibile di quei due universi che si erano incontrati ma che mai avrebbero potuto congiungersi; feriti dalle tenebre che avevano finito con l’inghiottire ogni cosa.
Stettero soli, immersi in quel buio e nel completo silenzio, accettando crudelmente quel destino che sembrava non poter essere cambiato.
Dopo un po’ ella si sollevò e lo guardò dritto negli occhi.
 
“La ragazza che hai visto era tua sorella, va’ da lei. Ti apro io le porte.”
 
Stavolta non v’era un’ombra di inganno nelle sue parole. Chris poté leggervi completa sincerità.
Ella si allontanò, muovendosi verso il fondo della stanza.
L’uomo schiuse la bocca, cercando le parole adatte da rivolgerle, ma esse gli si strozzavano in gola.
Batté sul vetro, desiderando che lei si voltasse verso di lui un’ultima volta.
Non sapeva cosa fare o cosa dirle, voleva solo che non se ne andasse.
Udendo quel rintocco, ella si voltò debolmente.
 
“Grazie.” riuscì solo a dirle, sussurrando.
 
Lei sorrise, dopodiché, come un fantasma sparì leggiadra nel buio della notte, tornando a immergersi nell’oscurità dei suoi abissi.
Il faro che prima abbagliava il soldato si spense e lentamente le luci dell’ambiente si normalizzarono, restituendo alla camera il suo ordinario aspetto.
Chris si guardò attorno, frastornato, come risvegliatosi da un lungo sonno.
Riconobbe quelle mura. Si trattava della stessa camera ove era giunto con Alexia molte e molte ore prima; adesso era però palese ai suoi occhi la sua vera natura come stanza di sorveglianza.
Riconobbe il vetro, lo specchio…fra i quadri appesi e i vari decori, individuò le finestre sbarrate adibite proprio alla vigilanza delle segreta nascoste al piano di sotto.
Fu come destarsi da uno stato di cecità, durante il quale aveva vissuto sulla sua pelle cosa significasse veder sparire ogni sua certezza, ogni suo affetto, ogni suo saldo principio…ella era riuscita a creare un mondo metafisico che in poche mosse aveva dimostrato quanto bastasse spegnere le luci per perdere tutto.
Spostò lo sguardo e trovò su un comodino una chiave rugginosa, che usò per liberarsi definitivamente dalle morse ancora arpionate ai suoi polsi; si massaggiò riflettendo a quella curiosa parafrasi che probabilmente Alexia aveva voluto comunicargli: ovvero quanto in realtà le soluzioni fossero a nostra portata di mano.
Restò diversi minuti in silenzio, abbandonato ancora a quel flusso di pensieri che quegli abissi avevano infuso nel suo animo.
Chiuse gli occhi.
In seguito controllò la sua 9mm, disponendosi in posizione di punta, pronto a mettersi in marcia, stavolta davvero per salvare Claire.
 
 
 
[…]
 
 
 
 
Regina della notte…regina del buio…regina di un abisso dal quale nemmeno tu stessa puoi salvarti…
 
Regina crudele…regina triste…
Regina abbandonata da un amore che non puoi più ricambiare…
 
A cosa serve essere regina, se non hai più un regno da governare?
 
Se tutto questo potere dovesse sparire, non sono certa soffrirei…
Per la prima volta mi accorgo che non è solo il vuoto a lacerare la mia anima.
E’ qualcosa di molto più profondo…
…così invadente, così incavato nella mia testa da non poter essere estirpato.
 
Ho compreso che il problema sono io.
 
Sono sempre stata io.
 
Quando l’ho capito, avevo già fatto la mia scelta. Non ho più nulla da temere, non ho rimpianti che lascerò su questa terra.
Son sempre stata sola a risolvere i miei conflitti, questo perché ero l’unica in grado di comprenderli. Dunque è da sola che intraprenderò questo cammino.
Non mi spaventa.
Sono ormai pronta.
 
“Miss Ashford…”
 
Innalzandosi dal buio, chi poteva rivelarsi se non il principe dell’oscurità incarnato?
Albert Wesker salutò la portatrice del T-Alexia Virus con voce canzonatoria, beffandosi di quel delicato momento in cui ella avanzava pensierosa nel suo palazzo.
La contemplata e temuta regina non si voltò neppure; camminò leggiadra scivolando fra la desolazione e la solitudine del suo mondo, sparendo poi silenziosa dopo aver imboccato un angolo.
L’uomo fece un ghigno.
 
“Che tu lo voglia o meno verrai con me, ma tu questo lo sai già…Ah! Ah! Ah! Ah!”
 
Alexia udì alle sue spalle quel rumoroso sogghigno, perfido e arrogante come era sempre stato quell’uomo.
Non se ne curò assolutamente, continuò per la sua strada, indifferente a quella superbia, accompagnata da quella diabolica risata che fece da sfondo al suo ultimo viaggio.
Si disperse così lungo i laboratori, destreggiandosi fra le b.o.w. libere di vagare, dominandole come la degna sovrana di quei luoghi.
Ogni qual volta una di quei fallimenti ripugnanti osava anche solo inebriarsi dell’odore del suo caldo sangue, le bastava sollevare debolmente una mano che questi prendeva fuoco.
Giunse infine di fronte il luogo che aveva definitivamente cambiato il suo destino. Aprì la porta con un passepartout magnetico da lei gelosamente custodito e si mise ai piedi della capsula di ibernazione che per lunghi quindici anni l’aveva ospitata, separandola dal suo unico amore eterno.
Osservò il corpo privo di vita di Alfred Ashford, suo fratello, ed allargò le braccia.
Era in quel luogo che avrebbe abbandonato l’ultimo residuo della sua già evanescente umanità.
 
 
 
[…]
 
 
 
Il freddo e distaccato silenzio di un vuoto ormai incolmabile.
Pesante, insopportabile, impossibile da raggirare.
Aveva abbandonato nel nulla le sue speranze, nessuno avrebbe potuto restituirle quanto le era stato tolto.
Rannicchiata in un angolo della sua prigione, desiderava soltanto soffrire il suo dolore; era giusto che patisse quella punizione.
Non v’era altro che potesse fare. Aveva accettato la sua condanna. Era serena nella sua disperazione, che aveva ben accettato in quanto fautrice del suo destino.
La sua vita non era stata che questo. Perdita, perdita, e ancora perdita.
Era rimasta sola, ma non lo sarebbe stata più per molto. Una parte di sé era persino contenta di disperare, perché sentiva che non mancava tanto al momento in cui quella sofferenza l’avrebbe lasciata.
Eppure i solchi lasciati dalle lacrime ormai asciutte sulla sua pelle, indicavano quanto in realtà quel corpo fosse ancora vivo e palpitante.
I suoi occhi si erano seccati e la sua mente aveva ceduto, ma la sua forza era ancora lì, sebbene assopita.
Quella realtà la faceva stare male, non voleva più sopravvivere.
Voleva finalmente congiungersi a tutte quelle persone incrociate durante il suo percorso, per chiedere loro perdono.
 
“Claire! Claire sei qui?”
 
La ragazza corrucciò il suo viso fino a quel momento assopito. Schiuse debolmente gli occhi, per poi chiuderli nuovamente.
Non aveva alcuna intenzione di svegliarsi. Voleva restare lì, dove era il suo posto, accanto chi aveva amaramente perduto.
Stavolta non sarebbe andata avanti, non avrebbe lasciato indietro nessuno.
 
“Claire!! Claire!”
 
Sentì in lontananza un richiamo insopportabile, che non faceva che dire il suo nome, insistendo con invadenza.
Non voleva sentirlo. Ormai odiava quel nome.
Non voleva più combattere, si era stancata di perdere, di vedere infranti i suoi sogni, di dover continuamente richiamare la sua positività in un mondo che invece non faceva che calpestarla con malignità.
Non voleva più lecitamente soffrire, voleva abbandonarsi a quel lungo stato di apatia, fino a perdere coscienza completamente.
Era stata l’unica sopravvissuta già troppe volte, voleva chiudere quella catena di morte e v’era un unico modo per farlo.
Eppure…eppure l’uomo per natura ha sempre un barlume dentro di sé, che non è in grado di spegnere al cento per cento; almeno fin quando non è finita davvero.
Finché c’è vita c’è speranza; potrebbe sembrare un banale modo di dire, invece è una condizione assolutamente umana, che non possiamo contrastare. E’ una realtà che definisce la nostra appartenenza.
Soltanto la vera a cruda dipartita finale può definitivamente chiudere quella porta per sempre.
La vita è colei che permette la nostra esistenza, siamo quel che siamo proprio perché viviamo. Anche negli attimi più bui e inconsolabili.
Soffriamo anche perché siamo vivi. Nonostante tutto.
Anche quando crediamo che non vi sia più niente per cui combattere, vi è sempre un appiglio a cui essa ci permette di aggrapparci.
Claire Redfield si contorse, consapevole che quel cuore batteva ancora; lo sentiva, la chiamava, voleva che lei si alzasse, che reagisse.
Era il suo naturale istinto.
Si crucciò devastata da quella forza interiore che non voleva abbandonarla, come lei invece desiderava.
Era stanca…davvero stanca…tuttavia la sua anima era in conflitto col suo desiderio di morte.
Questo la fece chiudere in un pianto silenzioso e disperato, che non voleva ascoltare.
 
“Sono io, Chris. Rispondimi, ti prego..!”
 
“Chris…”
 
Quanto era crudele il destino.
Quanto aveva ancora intenzione di dannarla in quel circolo di morte?
Quanto ancora voleva farla rialzare, per farle vedere le tante persone che non ce l’avevano fatta?
Sollevò il viso, asciugandosi.
Quel sadico mondo era stato capace di riportarle addirittura l’unica persona che contasse davvero, l’unica che le fosse ormai rimasta, questo pur di metterla con le spalle al muro e impedirle di fare quel finale gesto estremo.
Che gioco meschino…meschino davvero.
 
“Sì, sono io. Sono qui.”
 
“Chris…non ce la faccio…” bisbigliò, non riuscendo a trattenere l’amarezza di chi è pronto a lasciare la vita. Solo l’umana paura la tratteneva ancora.
Si stava dolorosamente capacitando che stava tuttavia perdendo anche quella partita.
Non era riuscita a vincere la vita…e nemmeno la morte. Non era riuscita a fare nulla.
 
“Claire…” rispose Chris, affranto. Egli era dall’altra parte della porta, sigillata in una robusta struttura di ferro.
 
“Non ce l’ha fatta. Nessuno ce l’ha fatta… né Steve, né Alfred…perché io…invece…”
 
Il soldato rievocò il ricordo di quel corpo ormai spento che aveva intravisto dalla finestrella sbarrata, poco prima.
Era un giovane ragazzo dai capelli castani, così bianco e livido da far paura.
Strinse gli occhi, comprendendo purtroppo bene cosa significasse sopravvivere ai propri compagni. Era desolante dover riconosce in sua sorella quella stessa sofferenza, non avrebbe mai voluto che anche lei dovesse condividere la vita con tale angoscia insuperabile.
Un peso che mai sarebbe stato alleggerito, lo sapeva bene.
Osservò la porta ferrosa davanti a sé, addolorato di dover stare lontano da Claire proprio in un momento come quello.
Strinse i pugni. Non v’erano parole che potesse dirle, non esisteva consolazione.
Doveva ingoiare quel rospo ed essere pronto ad aiutarla, era l’unica cosa potesse fare per lei.
Si avvicinò dunque, attaccandosi alla porta, e con voce dolce cercò di spiegarle cosa avrebbe dovuto fare.
 
“Claire, presto andrò ad attivare il sistema di allarme della struttura. Questo servirà ad aprire tutte le porte. Allora dovrai essere pronta, d’accordo?”
 
Disse pacato e lento. Sentì singhiozzare dall’altra parte e gli si strinse il cuore ancora una volta.
 
“S-sì.”
 
Rispose lei, tremante. Il Redfield annuì a sua volta, consapevole che lei avesse compreso cosa volesse dirle.
Il suo compito era esattamente questo, doveva essere un fratello, doveva portarla via.
 
“Adesso mi allontano, tornerò presto però. Tieni duro. Io sono qui per te, hai capito?”
 
“Chris…”
 
“Dimmi.”
 
Claire inspirò fortemente. Alzò gli occhi al cielo, impedendo alle lacrime di cadere ancora.
Si sentiva scoraggiata, debole, affranta; eppure la vita la chiamava a gran voce.
Ciò le trasmetteva un profondo senso di ingiustizia che non riusciva a contrastare del tutto.
Si sentiva così egoista a voltarsi e andare via…ancora una volta.
 
“Fai attenzione. Vai, non preoccuparti per me. Io ce la farò, te lo prometto.”
 
Stavolta era suo dovere tranquillizzarlo.
Chris era lì per lei, stava mettendo a repentaglio la sua vita, non doveva deludere anche lui.
 
“Lo so.”
 
Rispose lui, infondendole quella sicurezza che solo lui sapeva trasmetterle.
In seguito corse via, pronto a intraprendere quell’ultimo passo e mettere definitivamente la parola fine a quella storia.
Dall’altra parte della porta, Claire si voltò un’ultima volta verso Steve Burnside, sentendo il suo cuore cadere a pezzi ancora una volta.
Chiuse gli occhi, chiedendogli perdono, invocando a sé le energie necessarie per riuscire a compiere anche lei il suo ultimo passo.
In seguito si mise di fronte alla porta, pronta a corre nel momento nel quale avrebbe sentito gli allarmi suonare.
 
 
 
 
***
 
 



 
NdA:
Così siamo giunti alla fine...ammetto di essere emozionata. ><
Grazie per essere rimasti fin qui. Con il prossimo aggiornamento, ci sarà la conclusione di questa storia.
Thanks..!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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