Quando
Lena arrivò ai pressi della Luthor Corp, nei parcheggi dove
lasciò
l'auto nel posto riservato a lei, il suo assistente Winn le venne
incontro subito. Appena la vide sbandierò le braccia,
alzando una
cartellina di fogli colorata. «Signori-», gli
mancò il fiato,
«Signorina Luthor». Arrivato al suo fianco
ansimò e continuò: «È
arrivata la signora Gand! Circa sette minuti fa! Mi aveva chiesto di
avvertirla se l'avessi vista e sì, ve-veramente ho provato a
contattarla anche al cellulare ma non ha risposto, e pensando fosse
importante sono rimasto qui fuori ad aspettarla per-per dirglielo il
prima possibile». Dopo averle passato la cartellina,
batté i denti
e si fregò le braccia infreddolite: era rimasto fuori con la
sola
camicia. La vide sfogliare i fogli all'interno della cartellina,
mentre la porta dell'azienda si apriva e li faceva passare.
«Ah,
quasi dimenticavo: la cercava Kara, emh… è
arrivata qui sui dieci
minuti fa e l'ho accompagnata al tavolo degli stuzzichini per
ingannare l'attesa».
«Hai
fatto bene», rispose freddamente, «Adesso vai, a
momenti diamo
inizio all'asta».
«Sì».
Lui annuì e sparì, per poi tornare rapido in
qualche secondo. «Sua
madre mi ha chiesto di lei, è arrivata proprio
poco…»,
assottigliò gli occhi e smise di parlare quando vide lei
ingigantirli.
«Lascia
che se la sbrighi da sola per qualsiasi cosa le venga in mente,
pensiamo all'asta».
«Subito,
signorina».
Non
ebbe il tempo di parlare con Kara all'auditorium, che salutò
distante e la vide andarsi a sedere insieme a sua sorella Alex e
Maggie Sawyer. Nel ritrovare i suoi occhi sentì un peso
enorme
all'altezza della bocca dello stomaco, intuendo che sarebbe rimasto
lì fino al momento in cui le avrebbe detto che, dopotutto,
sarebbe
stato meglio tenere ancora per loro quella relazione perché
non era
pronta a rivelarsi alle loro madri. Era l'unica scappatoia che le
veniva in mente. E poteva funzionare. Come poteva dirle che Lillian
l'aveva presa da parte per chiederle di rivedere le sue precedenti
relazioni in modo che capisse di doverla lasciare? A dispetto di
ciò
che immaginava sua madre, lei ci teneva veramente alla loro nuova
famiglia e non voleva che Kara pensasse tanto male di Lillian. In
fondo, seppure sottovalutasse i suoi sentimenti per lei, in modo poco
ortodosso quella donna sembrava volerla proteggere. La vide entrare
mano nella mano con Eliza e andarsi a sedere accanto ad alcuni
abituali compratori. Forse, pensò Lena, da Luthor sua madre
si
sentiva davvero in colpa per ciò che era successo alla
famiglia di
Kara molti anni prima.
Inquadrò
Rhea Gand in un attimo prima di accostarsi al leggio sul palco e dare
inizio all'asta con il discorso di apertura. Le era venuto bene;
nonostante avesse la voce un poco più bassa del normale, era
riuscita a restare professionale e tutti applaudirono. Vide i
giornalisti scattare foto, riprendere qualche scena, suo fratello Lex
entrare e andarsi a sedere distante da tutti, perfino Maxwell Lord
era presente, bisbigliando e sorridendo accanto a dei conoscenti, e
Rhea Gand, più attenta a fare bella impressione, a mostrarsi
membro
attivo della comunità e a portare in alto il mento, che ai
primi
pezzi dell'asta che venivano presentati dal giudice in microfono,
disposto da un lato accanto a Lena. Con i primi venti minuti di
vendita, pensò che avessero già recuperato una
buona somma per
l'ospedale pediatrico designato, ma aspettava il pezzo forte. Fino a
quel momento, la signora Gand si era fatta immortalare dalle
telecamere mentre alzava la sua paletta con il numero, ma era certa
che a vedere il quadretto, se ciò che aveva detto il profilo
misterioso era vero, si sarebbe finalmente comportata come una vera
acquirente. Ebbe ragione, poiché quando il giudice
presentò il
quadro con le parole scelte con cura da Lena e Winn il giorno prima,
la ragazza la scorse agitarsi, sistemarsi bene sulla sedia come
avesse avuto le puntine e tenere d'occhio il palco con la bava alla
bocca. Gli addetti lo portarono in visione, liberandolo dal panno
nuovo che avevano messo a proteggerlo. La televisione al centro del
palco lo mostrò a tutti e Rhea Gand, con grande
soddisfazione delle
ragazze, fu la prima ad alzare la paletta e a urlare una cifra ancor
prima che il giudice potesse annunciare il prezzo di partenza. L'uomo
guardò Lena per avere un via libera che non si fece
attendere,
vedendola annuire. Altri alzarono le palette e, presto, il quadretto
diventò l'oggetto più richiesto. Il tempo a
disposizione stava per
finire, ma Lena sussurrò al giudice di continuare, in modo
che la
cifra potesse aumentare. Era un azzardo, ma se la donna desiderava
davvero il quadretto come lasciava pensare, non se lo sarebbe
lasciato sfuggire a qualunque prezzo e Lena ne sarebbe stata un po'
più soddisfatta.
«Uh,
glielo sta facendo sudare», bisbigliò Alex in
mezzo a Kara e
Maggie.
La
ragazza diede l'ordine di chiudere e, abbozzando un sorriso, vide
Rhea Gand sospirare e abbassare la paletta, metterla in terra e dire
qualcosa alla vicina di posto, prima di allontanarsi.
L'asta
si concluse una decina di minuti dopo, accorciando il tempo degli
ultimi oggetti in vendita. Pian piano l'auditorium si
svuotò,
lasciando i compratori e pochi altri. I primi si misero in fila per
il pagamento e la consegna e Lena si spostò, godendosi lo
spettacolo
di una Rhea Gand, là in mezzo, con lo sguardo emozionato.
«Bella
asta», suo fratello la sorprese alle spalle e lei si
toccò il
petto. «Un peccato che non sia riuscito ad aggiudicarmi
niente.
Brava. Mi chiedevo solo se avessi un qualche problema con la moglie
del senatore Gand: mi pare di aver notato che l'oggetto fosse ormai
suo già molto prima che lo lasciassi dichiarare
venduto».
«Ha
soldi, se lo può permettere», rispose con voce
roca, senza
guardarlo negli occhi. «I bambini all'ospedale pediatrico ne
hanno
più bisogno di lei. E tu? Credevo fossi tornato a
Metropolis».
«No,
mi sto godendo un po' di meritata vacanza»,
accennò un sorriso.
Notò che era strana, ma non ci diede troppo peso
finché non vide
arrivare Kara in compagnia di Alex e la fidanzata di quest'ultima,
notandola alzare le spalle, muoversi in preda all'ansia come se
avesse voluto scappare e non poterlo fare, e infine grattarsi sotto
la nuca. Era incredibilmente nervosa.
«L'asta
è andata a buon fine», dichiarò Kara
con energia, alzando le mani
a pugno. Le abbassò quando sua sorella la spinse.
«Vo-Voglio dire
che è stata una bellissima asta, la prima… in
effetti… a cui
abbia mai assistito». Scambiò un sorriso con Lena
ma notò che
aveva qualcosa che non andava. «Posso rubarti un
momento?», le
domandò, congiungendo le mani.
Sfortunatamente
lo sguardo di Lena planò dietro Kara, a pochi metri da loro,
dove
Lillian ed Eliza parlavano con alcune persone. Vide sua madre alzarle
gli occhi e si gelò. «Non posso, ho davvero tanto
da fare adesso,
Winn mi sta aspettando» le rivolse lo sguardo appena e si
mosse, per
poi fare un passo indietro e riprovarci: «Ci vediamo dopo, va
bene?».
Kara
annuì lentamente, aggrottando le sopracciglia. Chiese che
cosa le
fosse preso, ma nessuno poteva risponderle. A parte forse Lex, che
seguì lo sguardo di sua sorella. Quando Lillian fu sul punto
di
tornare in villa, andò a recuperare la giacca sua e di Eliza
lasciate in portineria e lui non mancò di seguirla.
«Oh,
sei qui», sorrise lei, avvicinandolo. «Considerando
che sei ancora
a National City, cosa ne pensi se vieni a cena e resti a dormire?
C'è
ancora la tua vecchia camera, non l'ha toccata nessuno, lo
sai».
«Tu
sei…», abbassò gli occhi e
abbozzò un sorriso, prima di
guardarla e farle capire che era davvero serio,
«incredibile».
«Di
cosa parli?».
«Del
fatto che non riesci mai a farti gli affari tuoi», disse a
labbra
strette e la donna attenuò il suo sorriso, capendo a cosa si
riferiva. «Non sei contenta finché non riesci a
mettere bocca a
tutto ciò che ti circonda». Prese passo per
tornare indietro, ma si
affrettò ad aggiungere una cosa importante: «Ah!
Non disturbarti:
ho prenotato in albergo, naturalmente».
Il
profilo misterioso aveva avuto ragione e si era rivelato molto utile
e cruciale nella loro operazione microspia
in casa Gand.
Le ragazze, di nuovo in dormitorio al campus, accesero la
ricetrasmittente e la sentirono, il giorno dopo, parlare con il
marito e appendere il quadretto al muro accanto agli altri della
stessa collezione.
«A
me non piace»,
sentirono parlare Mike Gand, «È
uguale agli altri; solo il colore cambia».
«Ecco
perché non sei un critico d'arte, figlio mio: non capisci
niente.
Adesso vai»,
la sentirono strillare, probabilmente troppo vicina alla microspia.
«Uff,
non so cosa fare… Volevo invitare Kara a passare l'ultimo
dell'anno
insieme ma mi ha detto che è occupata! L'avrei inviata come
amico,
non capisco veramente che cosa devo fare con lei. Questa cosa
dell'amicizia non sta per niente funzionando».
Kara
abbassò gli occhi, imbarazzata, mentre Alex le
passò una mano su
una spalla per appoggiarla e Lena strinse le dita con le sue,
dall'altro lato.
«Lo
so io cosa devi fare: dimenticarla. Quante
volte devo ripeterlo affinché ti entri in testa? Il
mare è pieno di pesci e tu sei un ottimo partito».
«A
te, Kara non è mai piaciuta».
«E
avevo le mie ragioni. Vedi che non è riuscita a fare altro
che
rovinarti».
Tutto
si zittì. Udirono dei passi allontanarsi e solo allora la
voce di
Rhea, ancora tanto vicina alla microspia. Probabilmente doveva stare
ammirando il quadro. «Quella
stupida ragazzina… Lo ha plagiato, non pensa ad altro come
un
babbeo».
«Non
saprei…
probabilmente siamo stati troppo duri in
questa storia»,
parlò il senatore.
«Da
che parte stai?»,
domandò la donna. «Stupida
lei e stupida la Luthor. Ti sei perso il suo spettacolino ieri
all'asta: dovevi vedere come ha dilatato i tempi quando ha capito che
ero interessata al quadro. Chissà poi come sia riuscita ad
averlo da
Lord… almeno una cosa giusta l'ha fatta».
Sembrava
soddisfatta di riavere il quadretto con lei e poco importava che
pensasse che Lena aveva calcato la mano in modo da farle spendere
più
soldi, ora sapevano che era solo questione di tempo perché
riuscissero ad ottenere da lei o da lui informazioni importanti di
qualunque genere, o che magari confessassero. Erano colpevoli e non
c'era alcun dubbio; bastava solo che facessero una mossa sbagliata.
Maggie e Alex si offrirono di tenere la ricetrasmittente per prime,
registrando e salvando le cose più utili che riuscivano ad
ascoltare.
«Ehi»,
Kara si avvicinò a Lena, intanto che le altre due ritiravano
il
materiale e lo conservavano con cura all'interno di una borsa.
«Allora, per stasera? Tutto okay?». Sapeva che Lena
aveva dormito
in albergo con Lex la notte prima, ma non le aveva detto altro.
«Sì,
certo». Le sorrise, prendendole una mano e iniziando a
toccarla
delicatamente. I suoi occhi chiari erano tristi però, e
bassi.
Sfuggenti.
Kara
sollevò la mano sinistra libera per accarezzarle una guancia
fresca,
forzando la ragazza a guardarla. «Ricordi che ti avevo
chiesto di
non tagliarmi fuori dalla tua testa? Che succede? Se qualcosa non va,
puoi parlarmene».
Lena
annuì appena e le regalò un altro sorriso,
più sincero. «Ne
parleremo questa sera, va bene».
«Va
bene». Poggiò le labbra sulle sue che, dietro di
loro, Alex
rumoreggiò con la gola, così si voltarono.
«Noi
ce ne andiamo. Vi avremmo invitate a passare la sera con noi, ma pare
abbiate altri programmi in mente, quindi…».
Era
il trentuno dicembre, l'ultimo dell'anno; una giornata fredda ma poco
nuvolosa, perfetta per i fuochi d'artificio. Lena andò in
villa per
prepararsi per uscire e fu felice di non incrociare Lillian prima che
anche loro uscissero. Mentre Kara si preparava in dormitorio, Megan
le parlava dell'uscita che l'aspettava col signor Jonzz, che sarebbe
passato a breve a prenderla fuori dal cancello per andare al
ristorante. Kara era contenta per lei, ma non riusciva a non pensare
alla strana aria intorno a Lena. Credeva che con il discorso alla
viglia di Natale le cose si sarebbero rasserenate tra loro, invece
nonostante fossero passati dei giorni ricominciava a sentire il senso
pesante di malinconia contro la bocca dello stomaco: stava per
succedere qualcosa.
Uscirono
fuori ai pressi del cancello e si strinsero alle loro giacche: le
temperatura si stava abbassando. A un certo punto, Kara socchiuse gli
occhi e si accigliò, guardandosi intorno. Sentiva che c'era
qualcosa
di strano e diede un'occhiata dove poteva, scorgendo una coppietta
che usciva dal parco davanti al campus.
«Cosa
c'è?», le chiese Megan, iniziando a controllare
anche lei.
«Non
lo so… Sento come se…»,
scrollò le spalle, «Niente, lascia
perdere». Come se qualcuno le stesse osservando.
Jonzz
arrivò a breve e Megan salì in auto, scambiando
un bacio con lui.
Dovevano cercare di non farsi notare, ma in fondo era buio.
«Kara»,
la richiamò l'uomo, «Perché non aspetti
dentro il cancello?».
«Non
si preoccupi, starà arrivando».
Per
fortuna era così, poiché quella strana sensazione
cominciava a
darle realmente fastidio. Probabilmente si sbagliava però,
perché
non c'era nessuno.
Lena
passò a prenderla con un taxi. Era vestita con un lungo
abito da
sera, scollato e con spacco alto fin su una coscia, nero. I capelli
lisci, tenuti da un lato lungo la spalla. Il bracciale immancabile
sul polso. Gli occhi verde acqua risaltati dal mascara; le labbra
rosse e lucide, oh, erano da bacio. Da bacio immediato. Appena Kara
entrò all'interno del taxi e chiuse la portiera,
soffocò il saluto
di Lena con le proprie labbra sulle sue e la vettura partì.
«Scusa,
sei… No, voglio dire, tu mi devi chiedere scusa, sei
troppo…
troppo e», arrossì, parlando piano, «e
non riesco a resisterti».
La vide tirare un sorriso soddisfatto.
«Benissimo,
allora… Obiettivo raggiunto, perché non devi
proprio resistermi».
Si avvicinò e le morse l'orecchio sinistro, lasciandole
l'alito
caldo e un bacio bollente, tanto che Kara trattenne il respiro e
socchiuse gli occhi, sentendo il suo corpo farsi di gelatina e
accaldarsi. «E comunque… potrei dire lo stesso di
te», le sollevò
un boccolo biondo, raggomitolandolo con le dita.
Kara
indossava un abito da sera più corto, le arrivava alle
ginocchia e
aveva una fascia in vita, rosa pesca e aperto sulla schiena. Si era
lasciata i capelli sciolti e aveva dato volume ai boccoli, tenuti
indietro solo da due forcine rosa per lato. Aveva un trucco leggero,
le guance rosate, il rossetto color carne. Il ciondolo della collana
risaltava orgoglioso sulla base del collo. Kara rise, le prese il
viso con una mano e la baciò. Sembrava normale. Lena
sembrava se
stessa ora e la cosa la rendeva felice.
Con
sua sorpresa, il taxi le portò in stazione e salirono,
chiuse bene
nei loro giacconi, nello scomparto privato della metro che le avrebbe
portate a Metropolis entro ora di cena. Erano sole e avevano un po'
di tempo, così Lena le spiegò che avrebbe voluto
tenere ancora per
loro la relazione. Era assurdo se pensava che stavano viaggiando come
coppia verso un'altra città, che non avevano modo di
nascondersi da
sguardi indiscreti qualora ce ne sarebbero stati, e forse proprio
questo non convinse Kara, come se volesse il piede in due scarpe, ma
Lena si attenne a quella versione delle cose. Non poteva certo dire
di non esserne delusa.
«Cominciavo
a pensare che potevamo comportarci come tutte le coppie
normali», le
confidò Kara, abbassando lo sguardo.
«Perché ti sei tirata
indietro adesso?».
Lena
deglutì e anche lei rivolse altrove il suo sguardo, in cerca
di una
risposta. Aveva preparato quella sera settimane fa e pensava che per
allora ne avrebbero già parlato con le loro madri e che
tutto
sarebbe andato bene, e adesso… Di certo l'ultima cosa che
voleva
era chiedere a Kara di comportarsi in pubblico con lei come un'amica,
o una sorella. «Non credo di essere pronta. Pensavo di
esserlo, ma
ora che siamo così vicine…».
Ansimò e Kara le strinse una mano.
«Va
bene», la baciò sul capo, «Possiamo
aspettare».
Lena
le sorrise e la baciò, stavolta sulle labbra. Arrivando a
Metropolis
videro che stavano già lanciando i primi fuochi di prova e
si
incantarono, davanti al grande finestrino.
Non
ci fu bisogno di dirglielo: mossa dalle parole di Lena, Kara si
comportò di conseguenza e da quando lasciarono la metro
cercò di
attenersi al copione delle due amiche che andavano a festeggiare
insieme l'arrivo del nuovo anno. Chiamarono un taxi e si fermarono ai
pressi di un grande ristorante che Kara non conosceva, ma era di
lusso, lo capì presto: era un palazzo alto, adornato di
colonne e
archi, le automobili lasciate ai parcheggiatori costose e i clienti
erano tutti vestiti eleganti. Salirono le scale e Kara si
girò,
fermando anche Lena.
«Hai
visto qualcosa?».
«No»,
mugugnò. «No, non è niente».
Erano seguite? All'improvviso il
dubbio: e se fossero stati dei paparazzi? Avevano scoperto la loro
relazione e stavano scattando delle foto? Kara deglutì e
decise di
proseguire: non avrebbe rovinato quella serata con qualche paranoia.
Una
delle due ragazze fuori dalle tre porte automatiche d'ingresso diede
loro le benvenute. Quando entrarono, ad accoglierle fu un'immensa
sala circolare: in mezzo, come un grosso pilastro, c'era un acquario
alto almeno tre metri fino al soffitto con all'interno pesci
tropicali di ogni colore e forma; c'erano piccoli alberi di Natale
ovunque e addobbi natalizi come cordoni dorati e argentati, vischio;
intorno c'erano piccoli tavolini circondati da divani e poltrone,
tutto pieno. Sia sul soffitto che sul pavimento, lucido, grandi
disegni circolari che incantarono Kara. L'aria era calda, le luci
gialle e le pareti arancio, che davano un'aria accogliente.
Più
avanti c'erano due ascensori e dopo aver lasciato i giacconi a un
ragazzo che li portò dietro una porta e diede loro un
cartellino,
Lena la guidò per andare a prenderne uno. Le chiese se era
mai stata
lì, ma come poteva? Non sapeva neppure della sua esistenza.
Ammise
che lei c'era stata una volta sola, con suo padre quando era bambina
e che le era rimasto impresso. L'ascensore le portò al primo
piano:
lassù l'aria era diversa, le pareti erano bianco panna e
c'era anche
lì un grande acquario, stavolta rettangolare, che occupava
il centro
della sala. Si avvicinarono dai ragazzi che lavoravano dietro al
banco e Kara si perse nel guardarsi attorno, negli gli immensi vetri
invece delle pareti, al grande via vai di clienti, ai tavoli tutti
accanto ai vetri, occupati. Per un attimo si chiese se ci sarebbe
stato un tavolo anche per loro. Ora sapeva perché Lena aveva
scelto
quel posto, se non altro: spararono altri fuochi d'artificio e
attraverso i vetri si videro d'incanto; tutti gli ospiti si
affacciarono e subito applaudirono.
«Dobbiamo
attendere, dieci minuti al massimo», le sussurrò
Lena mentre si
allontanavano dal banco e un ragazzo, vestito elegante con tanto di
papillon dorato, servì loro un vassoio con due bicchieri di
champagne. C'erano altri divani e poltrone, probabilmente adibiti per
le attese, ma anche quelli erano pieni.
«Mi
stupisce una cosa», ridacchiò Kara incuriosita,
sorseggiando poi
dal suo bicchiere a coppa. «Soffri di vertigini e qui
è pieno di
vetri».
«I
vetri non possono aprirsi e fintanto che non ci vado troppo
vicino…».
Risero.
Avrebbero voluto scambiarsi un bacio, ma sapevano di non poterlo
fare.
«Kara?
Kara Danvers?». Quella voce, oh, Kara la conosceva
particolarmente
bene e le salirono i brividi seppure in quel ristorante ci fosse
caldo. Si voltò a destra e si sorprese nel vedere Siobhan
Smythe
seduta su uno di quel divanetti scuri con un gruppo di altri ragazzi
e ragazze, bicchiere di champagne alla mano. Chiese scusa al suo
gruppo e le raggiunse, ma per poco non cascò su una
poltrona,
cercando di non far cadere il contenuto del suo bicchiere.
«Ah, lo
sapevo che quel confetto rosa dovevi essere tu! E c'è anche
Lena
Luthor. Perché la cosa non mi sorprende?».
«Perché
siamo sorelle e passiamo molto tempo insieme?», rispose
prontamente
Kara.
«Sì,
chiamalo come ti pare», buttò un pesante sorso.
«Vi inviterei ad
intrattenervi con me e i miei amici ma…»,
incurvò le labbra,
«Loro sono diversi dal tipo di gente che frequentate. O
meglio che frequenti tu e Lena Luthor è costretta a farlo
per te»,
aggiunse velocemente, spalancando una mano.
Lei
alzò un sopracciglio. «Che sorpresa! Pare abbiano
più di quindici
anni».
Siobhan
sbiancò mentre Kara tratteneva una risata. Fortunatamente,
alcune
risa lontane le permisero di non ribattere, intanto che tutte e tre e
altre persone in sala si voltavano. «Ah, i due generali
insieme».
Il
generale Lane stringeva la mano di un uomo e rideva a voce
così alta
da disturbare le persone in sala. Era rosso, probabilmente
già
brillo. Accanto a lui, una donna in abito elegante.
«Quello
è il generale Lane e al suo fianco sua moglie,
Ella», esclamò Lena
in modo che Kara potesse riconoscerli. L'uomo indossava un completo
militare. «I genitori di Lois Lane».
«L'altro
invece
è
Adrian
Zod, conosciuto
semplicemente come Dru Zod»,
continuò Siobhan, «anche detto il Generale
per i suoi modi di fare autoritari. Se non avesse l'età che
ha,
personalmente, lo troverei un tipo piuttosto affascinante. È
insieme
alla famiglia, come vedo». Intorno all'uomo sui sessanta che
stringeva la mano al generale Lane c'era una donna, di sicuro la
moglie, in compagnia di una ragazza con in braccio un bambino, un
ragazzo e un altro più giovane.
«Lavorava
per la polizia di Metropolis, da qualche mese è il capitano
della
polizia a National City», precisò Lena.
Non
sapeva perché, ma Kara ebbe una brutta sensazione. E,
nondimeno,
quella di essere osservata si era fatta più forte. Si
guardò
indietro: non sapeva cosa pensava di notare, era pieno di gente ma
nessuno badava a loro. Si voltò di nuovo e diede un nuovo
sguardo ai
generali, quando all'improvviso sentì una presenza dietro di
lei e
scattò d'istinto: afferrò un braccio, spinse il
povero cameriere
all'indietro che cadde, facendo volare il vassoio vuoto. Kara lo
acchiappò a un palmo dalla testa di Siobhan, che
iniziò a urlare.
La ragazza deglutì e si accorse che la sala si era
ammutolita, tutti
fermi per assistere alla scena. Anche i due generali.
«Scu…
Scusate».
Lena
formò un sorriso e batté le mani una volta sola.
«Sembrava un
ragno».
Le
persone in sala risero e persero interesse, intanto che Kara dava una
mano al cameriere per aiutarlo ad alzarsi e ridargli il vassoio.
«Per…
Per fortuna era vuoto», sussurrò lei e lui la
guardò duro,
strappandoglielo di mani. Lo vide sfregarsi un braccio mentre si
allontanava, così adocchiò Zod e Lane che la
osservavano. Il
secondo fece un cenno con la testa e Lena ricambiò.
Siobhan
aveva ancora il fiatone. «Per poco non mi uccidevi, cosa»,
starnazzò,
toccandosi il petto. «Ti
credi un ninja, forse? Cos'era quello?
Meglio che me ne torni a sedere, prima che ti venga in mente un'altra
mossa di karate da sfogare su di me». Si allontanò
e ritornò dal
suo gruppo di amici, cominciando a parlottare e indicarla.
Una
donna, anche lei con papillon dorato, chiese alle due di seguirla
poiché il loro tavolo era pronto. Kara tirò un
sospirò di sollievo
poiché, stavolta, sapeva di essere osservata per davvero.
«Che
cos'era quello?», le domandò Lena in un bisbiglio,
raggiungendo un
ascensore a pochi passi dalla donna col papillon.
«Che
cosa?».
«Il
tentato camericidio», abbozzò una risata.
«Ah…
emh. Mi sentivo un po'… sotto pressione».
«Intendi
da Siobhan Smythe?».
Kara
ridacchiò. «Hai visto la faccia quando ha saltato
il vassoio?
Adesso sa che non deve esagerare nel farmi arrabbiare».
Lena
tentò di restare seria, infine rise anche lei. «Si
è messa a
urlare e si sono girati tutti».
Risero
insieme ed entrarono in ascensore. Questo le portò
all'ultimo piano
e, quando le porte si aprirono, Kara non poté credere ai
suoi occhi.
La ragazza col papillon sorrideva soddisfatta davanti alla sua
incredulità. Quella non era una sala come la precedente,
affatto:
c'era un solo tavolino e intorno a esso un vasto giardino, pieno di
fiori, erba, stradine da percorrere, con tanto di laghetto con carpe
koi attraversato da un piccolissimo ponte rosso di legno. A fianco
all'ascensore, c'era anche un tenero Alberello di Natale. Ma
ciò che
stupiva di più Kara era il soffitto: perché se in
quel piano le
finestre erano solo poco più grandi del normale, il soffitto
non
esisteva, era un vetro tenuto da una fine struttura che scendeva sul
muro. Alzò lo sguardo in alto e indicò le stelle,
catturata da
quando fosse meraviglioso ed enorme il cielo. La donna andò
a
spostare le sedie pronte per per loro e lasciò i
menù, ricordando a
Lena che per chiamarla le bastava schiacciare il bottone sul
telecomando lasciato sul tavolino, così riprese l'ascensore.
«È
immenso». Kara alzò le braccia e rise divertita,
iniziando a girare
in tondo tanto da farla sbandare e Lena la accolse tra le sue
braccia.
«Ma
non mi dire, ragazza dallo spazio», sorrise.
Kara
si rimise dritta e l'avvolse al collo con le braccia, catturando le
sue labbra con le proprie. Si separarono solo per riprendere fiato e,
intanto che chiusero gli occhi, si lasciarono andare, premendo
sull'altra il proprio corpo, bocca contro bocca, lingua su lingua.
Kara le portò le mani sui capelli e Lena contro i fianchi,
tastandole la schiena nuda, premendo i polpastrelli con passione.
«A-Andiamo
a mangiare, adesso», le disse poi lei, mettendosi a ridere da
sola,
«Intendo del cibo».
Kara
arrossì e abbassò la testa, portandole via un
altro veloce bacio. E
il cibo, lì, era davvero squisito. Dopo aver letto il
menù,
chiamarono la cameriera col tasto del piccolo telecomando e dopo una
decina di minuti, il tempo concesso alla cucina di preparare i primi,
arrivarono più uomini abbelliti coi papillon dorati coi
carrelli per
la cena. Mangiarono con gusto, parlando delle partite di lacrosse che
sarebbero riprese presto a gennaio, il lavoro di Lena alla Luthor
Corp, quello di Kara che si sarebbe di nuovo ritrovata a dover a che
fare con Siobhan, di Lex che in quei giorni si stava godendo National
City, infine del loro piano, di Rhea Gand, il senatore e il loro
figlio, Mike.
«Se
dovesse confessare…».
«Sapremo
che è stata lei, ma…», Lena scosse la
testa e incurvò le labbra:
Kara sapeva cosa intendeva dire.
«Non
potremo usarlo come prova perché sarebbero registrazioni
prese con
una palese violazione della privacy», si portò le
braccia sul
petto, pensandoci. «Finiremmo in un mare di guai, Maggie ci
ha
avvertito. Lei stessa passerebbe un mare di guai solo perché
ci sta
aiutando».
Lena
annuì, versandosi da bere. «Potremmo usare una
confessione come
un'altra qualsiasi informazione: contro di lei, in un altro modo,
magari spingendola a confessare in altra sede. Quello che
più
dobbiamo sperare di ricevere sono punti deboli».
Kara
prese un bel respiro, ripensando, anche solo per un attimo, a Mike.
«La cosa lo ferirà… So che Mike
è un po' tonto e tutto il resto,
ma non sa davvero chi sono i suoi genitori e non si merita di
ricevere una botta come quella. Non so come potrebbe
reagire».
«Purtroppo
non possiamo fare in altro modo».
Kara
concordò, seppure a malincuore.
«Allora…», riguardò il cielo
e
mal nascose un sorriso alla sua ragazza, coprendosi con la forchetta,
«se già con le finestre dei piani sotto non ti
potevi avvicinare,
cosa ne pensi di questo cielo stellato?».
Lena
ingurgitò un boccone, socchiudendo gli occhi e restando
più
impassibile che riusciva. «Mi concentro sui muri e cerco di
non
pensarci. Il senso di vuoto è un po' come le vertigini e
diciamo che
da piccola me lo ricordavo più divertente».
Kara
rise e così Lena con lei, arricciando il naso.
«Ma
sapevo che a te sarebbe piaciuto».
Kara
arrossì, fissandola.
Si
guardarono per un lungo tempo, mentre Lena ripensava alle parole di
sua madre e queste la ferivano ancora, riportando la sua mente a una
cena con Jack, in un altro ristorante, l'anno in cui morì
suo padre.
Lui che le stringeva una mano, lei che gli sorrideva come se lui
potesse davvero essere tutto il suo mondo. Lo aveva amato davvero e
ora amava Kara. Lo aveva lasciato e non aveva sentito niente. Stava
male per suo padre e il ragazzo con cui pensava avrebbe vissuto
accanto una vita si era rivelato per quello che era: un amore a tempo
determinato. Lo aveva amato, ma si era accorta di stare con lui solo
per abitudine, tanto che stava con altre relazioni a tempo
determinato, con delle ragazze, in cui si sentiva bene. Che sua madre
avesse ragione, in fondo? Le sue precedenti relazioni erano un
cercare un appiglio, un rifugio, un corpo caldo che la facesse
sentire non abbandonata? Capì con la morte di suo padre che
non
aveva bisogno di loro e di un rapporto forzato, che voleva vivere e
farlo amando davvero. Ma se non fosse affatto cambiata? Se la
relazione con Kara fosse la sua ricaduta? Poteva permettersi di
spezzarle il cuore?
I
fuochi d'artificio interruppero i suoi pensieri e vide Kara alzarsi e
guardare il cielo con un sorriso. «Oh, non ci credo,
guarda».
Lena
alzò lo sguardo e vide i lampi luminosi, gli scoppi, il
cielo
coperto da mille luci di ogni colore.
La
ragazza si avvicinò e la prese, portandola con lei sui
ciottoli del
giardino, sdraiandosi a terra. La tenne vicina a sé, con un
braccio
intorno al collo. «In questo modo. Se ti gira la testa, puoi
chiudere gli occhi e stringerti a me». Poi rise da sola.
«Spero non
entri qualcuno proprio ora».
«No,
è perfetto. Anche loro si saranno fermati a guardarli. Buon
anno
nuovo, Kara».
«Buon
anno nuovo anche a te». Si baciarono, illuminate da tanti
colori.
Era
il primo gennaio e le due ragazze pensarono che l'anno era iniziato
nel migliore dei modi, con i loro corpi stretti, i fuochi d'artificio
e la pancia piena. Se non fosse per quell'orribile groviglio
all'altezza della bocca dello stomaco che sentiva Kara, e per
quell'orribile pensiero nella testa di Lena che le diceva di
lasciarla.
I
fuochi durarono oltre un'ora e mezza. Le ragazze si fecero un giro
per il giardino e i camerieri passarono a prendere i piatti sporchi e
poi a portare il dolce. Mentre camminavano a piedi per raggiungere
l'albergo a poco da lì, i fuochi ricominciarono, anche se
non con la
stessa frequenza.
«Sono
bellissimi», disse Kara, di nuovo col naso
all'insù.
«Vero.
Peccato solo che oscurino le stelle: questa notte anche loro sono
bellissime», sorrise, osservandone alcune.
«Si
vedono meglio d'estate», la rassicurò Kara. Era
sul punto di
prenderle la mano, così vicina che sfiorava la sua, ma
all'ultimo
pensò che non sarebbe stato giusto e cambiò idea.
«Alcune si
incontrano solo d'estate».
«Di
cosa parli?».
Kara
le camminò davanti, facendo dei passi all'indietro,
estraendo un
sorriso. «Conosci la storia delle stelle Altair e
Vega?». In
verità, non ascoltò la sua risposta e
continuò a parlare: «Me
l'aveva raccontata…», prese una breve pausa,
bagnandosi il labbro
inferiore e riprendendo il suo sorriso, «mia zia, quando ero
piccola. Secondo un'antica leggenda, sulle sponde del Fiume Celeste,
che rappresenta la Via Lattea, viveva un imperatore del cielo, padre
di Orihime, che rappresenta la stella Vega. Orihime cuciva stoffa e
abiti per le divinità. Poiché lei non faceva che
lavorare e non
aveva tempo per l'amore, suo padre le scelse un marito: Hikoboshi, un
pastore che faceva pascolare i buoi attraverso le sponde del Fiume
Celeste. Rappresenta la stella Altair». Kara
ritornò al suo fianco
e non diede più peso ai fuochi d'artificio nel cielo,
aspettando che
il rumore finisse solo per continuare a raccontare.
Lena
la guardò incantata, anche lei senza dar peso ai fuochi che
ormai
non erano altro che un chiassoso contrattempo.
«I
due si innamorarono a prima vista», sorrise Kara.
«Da quel punto in
avanti, Hikoboshi e Orihime passarono tutto il loro tempo assieme,
dimenticando i reciproci lavori, ogni cosa», la
guardò, annuendo.
«Le divinità non avevano più abiti e i
buoi di Hikoboshi vagavano
per il cielo senza controllo. Il padre di Orihime, che era
l'imperatore, non poteva permettere che i due dimenticassero i loro
doveri per stare insieme, così li
punì». Si fermò quando si
fermò
anche Lena, ai pressi di un palazzo. «Lui li
separò e condannò a
restare ai due lati del Fiume Celeste, in modo che potessero tornare
ai propri compiti. Orihime chiaramente era distrutta e suo padre si
intenerì, concedendo ai due sposi di potersi vedere, ma solo
una
volta all'anno, il settimo giorno del settimo mese».
Arrossì quando
scorse lo sguardo di Lena rapito dal suo.
«Da
allora, il settimo giorno del settimo mese, uno stormo di gazze crea
un ponte con le loro ali e Orihime può raggiungere il suo
amato
Hikoboshi sull'altra sponda del Fiume Celeste».
Arrossì
ancor di più, sentiva le orecchie bollenti.
«Perché non mi hai
fermata se conoscevi la storia?».
«Perché
lo hai raccontato meglio di qualsiasi versione io
ricordassi», le
sorrise, portando le mani sui suoi capelli, disponendoglieli meglio
sulle spalle. «Il settimo giorno del settimo mese lunare del
calendario lunisolare, cade ad agosto».
«Dovremmo
vedere le stelle insieme, in estate».
«Approvo».
Kara
si guardò di nuovo intorno prima di seguire Lena nell'hotel,
con
ancora addosso quella strana sensazione. Non era passata, nonostante
avesse fatto finta di niente. Qualcuno le stava seguendo? Si
sforzò
per non sbuffare, per poi girarsi e guardare Lena, bellissima, che la
aspettava davanti al portone. S'incantò. Era così
affascinante, con
una strana aria stanca sugli occhi, i capelli che si erano fatti un
poco mossi per come si erano sdraiate sui ciottoli, le guance
arrossate, le labbra schiuse, lo spacco vertiginoso del vestito sotto
il giaccone. Quella coscia che sgusciava arrogante dal vestito era
una tentazione.
«Vieni?».
Kara
si voltò ancora solo una volta, poi la seguì.
L'hotel
era enorme e lussuoso e, dopo essersi presentate, le accompagnarono
nella loro camera prenotata. Erano in alto e anche da quel balcone si
vedevano chiaramente i fuochi d'artificio e, a intervallo, le stelle.
Uscirono fuori solo per poco. Lena parve volersi accoccolare tra le
sue braccia ma cambiare idea all'improvviso, rendendo Kara confusa.
«Vorrei
farti una domanda e… vorrei che mi rispondessi
sinceramente»,
propose, osservandola aprire la bocca con sorpresa. «S-Stai
pensando
di lasciarmi?».
La
sua voce era all'improvviso chiusa e Lena deglutì, rimanendo
immobile, poggiandosi al corrimano. Sapeva che ci stava mettendo
troppo a rispondere e più tempo ci impiegava, più
Kara avrebbe
pensato al peggio. Ma cosa poteva dire? La verità qual era?
«I-Io…
Cosa?», abbozzò un sorriso,
«Perché mi fai questa domanda?».
Kara
abbassò gli occhi. «Non hai… Non hai
risposto».
Tornò
dentro e Lena si fece forza, seguendola, chiudendo la portafinestra.
Le prese un braccio e, quando Kara si voltò, questa le si
gettò
addosso, baciandola e togliendole il respiro.
«Kara…».
«Shh»,
scosse la testa, «Non fa niente, era una domanda
stupida». La baciò
ancora. «Non devi rispondere a una domanda
stupida».
La
vide alzare le spalle e delineare un sorriso, prima di baciarla di
nuovo. Eppure era così triste.
Perché
doveva lasciare Kara? Non poteva capire se ciò che provava
era amore
vero stando con lei? Che Kara, a suo modo, la stesse rendendo
dipendente da lei? Dal suo calore, dal suo corpo, dai suoi baci, ma
anche soprattutto dalla sua voce, dal suo sorriso, dai suoi occhi
decisi, dal suo carattere tenero e forte allo stesso tempo. Forse
doveva davvero lasciarla per arrivare a capire se fosse un amore a
tempo determinato o no. Forse doveva davvero lasciarla
perché, se lo
era, più aspettava a farlo e più avrebbe lasciato
una voragine tra
loro impossibile da colmare. E aveva tristemente ragione sua madre:
Kara non se ne sarebbe andata, era di famiglia, e avrebbe vissuto
forzatamente con lei al suo fianco sapendo che qualcosa tra loro era
rotto e impossibile da aggiustare. L'amava e per questo doveva
lasciarla: perché non poteva sopportare l'idea della
possibilità di
farle tanto del male. Ma come poteva farlo? Come poteva, ora, che
tanto si volevano? Perché era così difficile?
Perché, seppure
senza dirle nulla, Kara era riuscita a capirlo?
Le
loro lingue si ritrovarono subito, i loro respiri strozzati, la
frenesia di un'amore, chissà, destinato a spegnersi. Kara si
separò
per prima e, con il fiatone, continuando a fissarla e camminando
all'indietro, si portò fino alla porta del bagno.
Così le fece
cenno di seguirla e Lena obbedì.
Non
dissero più una parola, attente a non rovinare quel momento.
Kara
le passò una mano sulla coscia che l'aveva tentata tanto
ardentemente per tutta la sera, stringendo forte, poi accarezzando
fin su alle natiche, mentre i loro sguardi erano vicini e Lena le
sfilò gli occhiali, poggiandoli su un mobile, per poi
affondare la
bocca nella sua. I loro respiri si fecero pesanti e caldi, intanto
che Kara le stringeva la pelle, attenta a non osare troppo. Lena le
passò le mani sui capelli e si distanziò il tanto
per vederla negli
occhi: brillavano, erano lucidi.
Avrebbe
dovuto interrompere ciò che stava per succedere; doveva,
davvero. Le
ricordò quella notte una settimana prima, alla vigilia di
Natale,
quando era lei quella tanto presa da Kara: allora, lei, aveva fermato
tutto finché non si fossero chiarite. Ma ora, che si
trovavano a
situazioni inverse, lei non ci riusciva. Non sarebbe riuscita a dire
no a Kara, a dire no a quello che stavano per fare, conscia che,
probabilmente, sarebbe stata l'ultima volta.
Kara
riuscì a slacciarle il vestito e le strinse i fianchi,
spogliandola,
alitandole sulla schiena calda, che baciò. Lena
saltò il vestito
sul pavimento e slacciò quello di Kara; le tirò
giù la chiusura e
le baciò il collo, la prima spalla liberata, il braccio, per
poi
salire lo sguardo e cercarla ancora nei suoi occhi, cercare il suo
desiderio, la sua voglia. Si baciarono con impeto e Lena le
tirò il
vestito che era rimasto in vita, portandole poi le mani sul seno, e
la bocca, slacciandole il reggiseno. Le baciò il collo;
immerse il
viso sui suoi capelli e Kara portò indietro la testa,
prendendo
grossi bocconi d'aria. Quest'ultima la circondò con le
braccia, la
strinse a sé; con la mano destra le carezzò il
collo e con la
sinistra i capelli disordinati.
Sentirono
di nuovo i fuochi d'artificio, ma erano ormai solo un sottofondo
lontano da ciò che stavano vivendo nei corpi e nella mente.
Si
sfiorarono, si accarezzarono, si baciarono e leccarono con bramosia,
finendo di spogliarsi ed entrando sotto la doccia. Lena aprì
l'acqua
e Kara si tirò indietro i capelli, lasciando che l'acqua le
scivolasse addosso. Lena fu subito su di lei, portando la bocca sui
suoi seni, facendola gemere piano e appoggiare alla parete di vetro
fredda. Portò le mani sui suoi polsi e glieli strinse,
alzandole le
braccia, aprendole le gambe con una coscia, sfiorarle il suo punto
più sensibile. Lena la lasciò andare appena Kara
si mosse,
prendendole il viso in una carezza e baciandola, e con l'altra mano
stringerle i capelli. Fu allora Kara a spingerla alla parete opposta,
così ghiacciata che Lena ansimò, ma si
lasciò guidare da lei tanto
sicura e ferma, mentre esplorava il suo corpo con le mani e con la
bocca, inchinandosi lentamente, spalancandole le gambe e poggiando la
sua lingua laddove Lena era bollente. Kara sentì il suo
corpo
vibrare sopra di lei e le strinse le cosce; era sua.
Come
doveva essersi sentito l'imperatore a dividere due cuori tanto
innamorati? Orihime era sua figlia e la stava strappando alla sua
felicità.
Lillian
era convinta di aver fatto la cosa giusta a parlarne con Lena in modo
che potesse pensare alla sua relazione con Kara e romperla ora, prima
che fosse troppo tardi. Così come l'imperatore aveva dovuto
pensare
agli Déi che non avevano più abiti e ai buoi di
Hikoboshi lasciati
al loro destino, anche Lillian aveva pensato a tante cose, da quel
giorno di Natale quando aveva scoperto che le due avevano una
relazione: che fossero sorellastre era importante, non voleva che le
ragazze, dopo una brutta rottura, minassero l'armonia familiare; ma
ciò che la tormentava davvero era molto altro. Kara era
ancora
quella bambina che, tanti anni fa, era il centro di discorsi e litigi
durati giorni tra lei e Lionel, tra loro e il resto del gruppo, con
Rhea Gand che batteva pugni sul tavolo e incitava il resto di loro a
rapirla per farla pagare alla madre. Kara era ancora quella bambina
per cui la zia, che era diventata una di loro, aveva rischiato la
libertà solo per salvarla da persone come lei. Kara era
ancora
quella bambina per cui Lionel aveva messo in discussione tutto e in
pericolo la sua vita, che alla fine aveva perso. Seppure lei e Lionel
avevano deciso di andarsene, lasciando ciò che avevano
aiutato a
costruire in mano ad altri, nessuno poteva correggere il passato e i
Luthor sarebbero sempre stati colpevoli. E gli El le vittime. Lillian
non riusciva ad accettare che una Luthor, sangue del sangue di
Lionel, del padre di Lionel, uno dei tre fondatori
dell'organizzazione, potesse intrattenere una relazione sentimentale
e sessuale con una delle loro vittime. C'era qualcosa di
profondamente sbagliato. Da Luthor, da colpevoli, avrebbero dovuto
avere il dovere di proteggere quella ragazza. Lena, che non era
capace di avere relazioni durature, le avrebbe solo fatto del male e,
da Luthor, sarebbe stata di nuovo colpevole. Non poteva permettere
che accadesse.
Ancora
non sapeva per qualche scherzo del destino si fosse innamorata di
Eliza che aveva adottato quella bambina, ma era perlomeno chiaro che
avrebbe dovuto vegliare su di lei. Lionel lo avrebbe voluto.
L'imperatore
voleva solo fare la cosa più giusta per un fine
più grande.
Non
aveva messo in conto che Lena, già adesso, si sentiva
carnefice
invece di vittima, colpevole, perché lasciare ora Kara era
probabilmente già troppo tardi. Il peso della voragine che
avrebbe
creato tra loro le stava premendo il petto come un pesante masso,
quello stesso petto che ospitava il cuore che, impazzito, batteva ora
di felicità.
Si
asciugarono e Lena la spinse sul letto. Kara era lì, per
lei, nuda e
perfetta. I suoi capelli erano spighe di grano bagnate, spettinate,
le scendevano sulle spalle e sul lenzuolo color arancio, come i raggi
del sole. Il suo sguardo era attento e la scrutava con attenzione, la
voleva. Le sue braccia erano tese, forti, che reggevano il peso del
busto orientato verso lei. I suoi seni ancora turgidi, le gambe
semiaperte, che l'aspettavano. Lena si chinò sul materasso e
salì a
gattoni disponendosi in mezzo alle sue cosce, accarezzandole,
così
si baciarono. Un fuoco d'artificio illuminò la stanza di
blu, poi di
verde, ma loro non si lasciarono neanche per un attimo, invece si
baciarono ancora, si guardarono e, nel momento in cui una mano di
Lena andò a stuzzicarle il punto desiderato tra le gambe,
Kara la
accolse, prendendo fiato.
«Rhea
Gand è rimasta a parlare al telefono come una vecchia comare
dell'asta alla Luthor Corp per ben due ore, Kara. Il primo dell'anno.
Due ore. Renditi conto di questa persona che a Capodanno, invece
di…
non so, fare qualsiasi cosa, si ritrova a pensare a Lena e all'asta.
Non ha davvero altri pensieri per la testa?».
Kara
era al cellulare sdraiata sul suo lettino del campus, ascoltando gli
aggiornamenti di Alex sulla microspia. Era passato qualche giorno da
Capodanno e a quanto sembrava, mentre loro passavano la giornata
facendo festa con amici e relazioni, Rhea Gand parlava al telefono
con un'amica del più e del meno. Rise. «Chiediti
se era messa
peggio lei che parlava al telefono o tu e Maggie che ascoltavate lei
al telefono invece di divertirvi».
Alex
ridacchiò. «Sempre lei, sorellina: Maggie ed io ci
stavamo
divertendo un mondo a sentire come minacciava Lena inventando parole
sempre nuove. Ne aveva qualcuna anche per Maxwell Lord. È
stato
istruttivo. Intanto Jamie giocava con gli altri bambini, non che
avessimo molto altro da fare. Mai
accettare inviti da altri genitori».
Alex la sentì ridere e la lasciò, dicendole che
presto si sarebbero
riviste per scrivere al profilo misterioso e ringraziarlo per la
dritta. Chiuse la chiamata e nascose il cellulare in tasca, cambiando
totalmente espressione. Accigliandosi, si spostò dal
corridoio ed
entrò nella sala più grande della sede del
D.A.O., dove tre uomini
stavano l'uno a fianco all'altro, aspettando il suo arrivo. Dispose
le mani sui fianchi e guardò con affronto quegli agenti uno
per uno.
«Mia sorella-poteva-scoprirvi»,
esclamò con cadenza e loro non mossero ciglio.
«Lei si accorge di
queste cose, potevate renderla sospettosa e se è sospettosa
trae
conclusioni affrettate e parte in quarta verso chissà dove.
Seguirla
è stata un'incoscienza. Chi vi ha autorizzati a
farlo?». Neanche il
tempo di porre la domanda che una voce roca interruppe
l'interrogatorio, affermando di essere stato lui. Alex
guardò John
Jonzz con un misto di delusione e incredulità.
«Perché mi fa
questo? Eravamo d'accordo che io avrei controllato Kara, questi
uomini-».
Lui
la interruppe: «Questi uomini», con un gesto del
capo li congedò e
si dispose accanto a lei, prendendola per le spalle in modo che lo
seguisse fuori dalla sala, «stavano provando a vegliare su
tua
sorella. Le cose sono cambiate adesso che avete messo una microspia
in casa di quella donna. Non basta più tenerla sott'occhio
come una
brava sorella maggiore, bisogna agire e tenerla sotto stretta
sorveglianza in modo che, se quella donna dovesse trovare la
microspia, non provi a farle del male».
Alex
si passò le mani sul viso, provando a ragionare.
«Lei se ne
accorge, John; sono pronta a giurare che se ne sia accorta! Non me ne
ha parlato, ma so com'è fatta. Cosa pensi che
farà quando capirà
che qualcuno la pedina?».
«Per
ora non lo so e non mi interessa, è della sua
incolumità che
parlo», aggrottò la fronte, fermo nella sua
decisione.
«Va
bene, allora…», bisbigliò scuotendo un
poco la testa, con fare
stanco e decisamente sconfitto, «Posso almeno decidere io chi
la
seguirà e come? Devo… Devo poter stare tranquilla
che non faccia
pazzie senza che io lo sappia».
Lui
annuì un poco, acconsentendo. «Va bene. Ma comportati
da agente,
non da sorella», le consigliò indicandola, intanto
che si
allontanava.
Alex
sospirò e scosse la testa; poi prese di nuovo il cellulare,
sentendolo vibrare. «Lena?», rispose al telefono.
«Sì,
organizziamo. Ci ritroviamo al dormitorio del campus di Kara, Megan
è
fuori».
Si
ritrovarono lì il giorno dopo, come avevano deciso. Lena
tirò fuori
dalla borsa il portatile e se lo portò sulle gambe, sedendo
sul
letto di Kara, intanto che le altre due si mettevano al suo fianco.
Così cliccò sull'ara messaggi nera e
sospirò, prima di scrivere
una risposta.
«Ricorda:
lo verifichiamo come fonte affidabile, non per questo realmente degno
di fiducia», precisò Alex sul suo lato destro.
«Decisamente
non mi fido di lui», ingigantì gli occhi Kara, dal
suo lato
sinistro.
Z:
Sei una fonte utile, volevo ringraziarti per la soffiata.
La
risposta arrivò a breve. X:
Ho i miei assi nella manica. Allora ho guadagnato la tua fiducia?
Z:
Andiamo
per gradi.
X:
In
fondo sono io che faccio un favore a te, cosa vuoi che ci guadagni?
Scrivimi se hai deciso.
Le
ragazze ci pensarono un po', non proprio convinte che in fondo non ci
guadagnasse nulla, non avendo proprio idea di chi fosse. Una brava
persona senza secondi fini, d'altronde, avrebbe parlato con la
polizia anni fa, se avesse voluto aiutare veramente. Ci avrebbero
pensato a lungo prima di scrivergli ancora.
Alex
decise di andarsene presto, doveva passare a prendere Jamie dalla
babysitter dato che Maggie ne avrebbe avute per le lunghe a lavoro,
così le salutò e le due restarono a fissare il
portatile per un
po', in completo silenzio.
«Sembra
come che se la sia presa», Lena parlò per prima e
alzò un
sopracciglio, spegnendo il laptop.
«Alex?».
«Il
profilo misterioso». Sistemò il portatile in borsa
e Kara aggrottò
la fronte.
«Non
m'importa», brontolò quest'ultima. «Ci
ha aiutato con il quadro,
ma non sappiamo niente di lui. O lei. Vedi?».
Scrollò le spalle e
la fece sorridere, ma il qualcosa che non andava era ancora
lì,
pendeva sulle loro teste come la spada di Damocle.
«Allora… adesso
me ne parlerai?», disse dopo aver preso fiato. L'avrebbe
lasciata.
Lena l'avrebbe lasciata e Kara lo sapeva che era solo questione di
tempo. Lo sapeva da un po' ed era arrivato il momento di affrontarlo.
Lena
restò seria e non mosse un muscolo. Era il momento. Era il
momento e
tutto di lei non era pronto.
«Io
pensavo…», iniziò, quasi senza voce,
«se non fosse il caso di
prenderci una pausa». Era riuscita a dirlo e si sentiva
ferita lei
per prima, non osava pensare a come stesse Kara, quando già
spalancò
gli occhi e si portò un po' indietro.
«…
pausa?».
«Ho
bisogno di pensare ad alcune cose e-».
Lei
la interruppe: «E-E non puoi farlo stando insieme? N-Non
riesco a
capire cosa-». Deglutì e sapeva di avere gli occhi
lucidi, mentre
il cuore le batteva furioso, tanto forte da faticare a tenere alta la
concentrazione su cosa le stava dicendo Lena. «Lo sapevo. Lo
sapevo
che… che… che mi avresti lasciata»,
sussurrò con la voce
strozzata. Lena tentò di avvicinarsi e lei si
tirò indietro. «Ma…».
No. No. Non riusciva ad affrontarlo, no. La gola le si era asciugata
e le gambe, oh, le gambe stavano per cederle. Forse tremava. No. Era
orribile. Perché glielo stava facendo dopo tutto quello che
c'era
stato tra loro? Eppure… Accidenti, eppure quella era davvero
la
risposta a tutto: dal groviglio alla bocca dello stomaco, alla
malinconia e le lacrime, e infine all'averci ripensato e non volerlo
dire alle loro madri. Lena si stava tirando indietro; magari era
stata bene, e forse… no, era sicura che lei l'aveva amata
davvero,
ma si era resa conto che erano sorellastre, che presto ci sarebbe
stato il matrimonio, che le loro vite sarebbero state complicate.
Troppo complicate. Oppure, come si era ritrovata a pensare altre
volte, si era semplicemente stancata di lei. Stancata di lei dopo
tutto ciò che era successo, perfino dopo la notte che
avevano
trascorso all'ultimo dell'anno.
«No!»,
si affrettò a dire Lena. Oh, no, no, no, no, non sarebbe
riuscita a
lasciarla davvero.
Non
voleva lasciarla. Ora lo capiva più che mai. «Vorrei
del tempo, questo non significa che-».
«Mi
ami». Kara si tirò indietro ancora un altro po',
trattenendo a
stento le lacrime.
Lena
lo vide, lo vide allora il momento in cui il cuore di Kara si
spezzò.
Capì di aver sbagliato, che era davvero già
troppo tardi. Aveva
sbagliato i conti e forse li aveva sbagliati da sempre, flirtando con
lei per gioco e lasciando che si avvicinassero tanto. Le fece del
male e, con il suo cuore che si spezzava, anche il suo non resse
più.
Il petto le faceva male, come un mostro che la graffiava dall'interno
e faticava a respirare.
«Perché
hai lasciato che succedesse?», le chiese allora, quando la
prima
lacrima le solcò una guancia. «Ti ho chiesto se
volevi lasciarmi
e-e tu non hai risposto, non hai obiettato quando ti ho detto che era
una domanda stupida e hai lasciato… hai lasciato che mi
perdessi
ancora in te, che andassimo a letto insieme, tu-», si morse
un
labbro e Lena spalancò gli occhi terrorizzati.
«No!
Ti giuro, Kara, non è come stai pensando, non lo farei
mai».
«Lo
hai fatto!», le gridò, «Però
lo hai fatto».
«Voglio
capire di più della nostra relazione, non- ti prego, Kara,
non
pensare che non ti ami veramente, non voglio lascia-».
Fu
allora Kara a interromperla, con sguardo duro. «Allora sono
io a
volerti lasciare».
«Cosa?».
«Mi
s-sento presa in giro in questo momento e… voglio essere
lasciata
sola». Strinse gli occhi chiusi e Lena restò
pietrificata davanti a
lei, senza sapere cosa fare.
«Kara…»,
le sussurrò, «Ti prego, devi
ascoltarmi».
«Ho
detto sola».
«Ti
prego…».
«Vattene!»,
gridò e spalancò gli occhi, tanto azzurri e
freddi che Lena
s'intimorì.
Lei
deglutì forzando la gola che le bruciava e, trattenendo gli
occhi
pesanti di lacrime aprì la porta, guardò per
l'ultima volta Kara,
ma lei non si mosse, non le disse di tornare indietro, non le disse
di fermarsi, non le chiese di raggiungerla, così richiuse
dietro di
lei e la sentì piangere.
Aveva
sbagliato fin da subito e creato un danno irreparabile tra loro. Si
irrigidì e strinse forte i pugni e gli occhi, rigando il
viso di
grosse lacrime. Singhiozzò e si portò una mano
contro la bocca,
appoggiandosi alla porta, cercando di reggersi e ignorare le ragazze
che passavano per il corridoio e avevano iniziato a guardarla. Il suo
corpo si stava contraendo dal dolore, non riusciva a resistergli, era
troppo forte.
Ora
lo sapeva. Sapeva come si era sentita Orihime sull'altra sponda del
fiume.
Cosa
odono le mie orecchie? Riesco a sentirlo, è un rumore
lontano. Sono…
applausi? No, forse… cuori che si spezzano. Ops.
Eeeemh,
il mio dovere mi impone di chiedervi come vi è sembrato
questo
capitolo, ma ho sinceramente un po' paura delle vostre risposte :P
Continuerò come se niente fosse, divento seria: vi
aspettavate che
sarebbe andata a finire in questo modo? Le motivazioni di Lillian, il
racconto delle stelle Altair/Hikoboshi e Vega/Orihime e il loro
paragone, Capodanno?
E,
oltre alla loro… rottura, c'è
dell'altro! La microspia è
finalmente in casa Gand insieme al quadretto: riusciranno a scoprire
qualcosa di importante? Cosa ne faranno delle informazioni? A quanto
pare John, prevedendo la pericolosità della microspia in
quella
casa, ha fatto pedinare Kara. Anche se ad Alex l'idea non è
piaciuta. Nel locale a Metropolis, Kara e Lena non hanno incontrato
solo Siobhan: ci sono due generali in città! È
finalmente svelata
l'identità del Generale nominato da Rhea
Gand capitoli
addietro? Ve lo aspettavate?
Riguardo
quest'ultimo ho piccole note da fare:
-
Ho cambiato il suo nome per forza di cose: Dru
diventa un
soprannome, mentre Adrian, che mi sembrava il
più adatto, il
suo nome di battesimo
-
Conosco poco questo personaggio, quindi l'ho caratterizzato con le
informazioni in mio possesso e delle ricerche al pc; spero possiate
comunque gradire questa mia versione di Dru Zod
-
Cercando in rete, ho capito che il Generale aveva famiglia, ma non ho
trovato nomi né quanti parenti avesse, quindi me li sono
inventata,
ahah
E
ora vi saluto, ma prima vi dico una cosa (e spero nessuno abbia
gettato il pc fuori dalla finestra: mi riferisco a te, Celian ;)):
non amo l'amaro, opto sempre per il dolce. Questa è una
rottura ma
ehi, la fan fiction non è finita!
Il
prossimo capitolo, puntuale come un orologio svizzero qui
lunedì 22,
si intitola Dipendenza da lei. Sarà uno
dei capitoli più
lunghi che abbia mai scritto ma a dispetto di questo e lo scorso non
era possibile tagliarlo. Alla prossima :)
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