Cat
Grant guardò uno per uno i suoi dipendenti, richiamati nel
suo
ufficio per quella riunione straordinaria. Mandò
in uno dei suoi schermi su
parete il
pezzo dello show televisivo dove il senatore Gand annunciava denuncia
contro la CatCo e Leslie Willis che aveva scritto su di lui. Finito
il video, intrecciò le dita delle mani e poggiò i
gomiti sulla
scrivania.
«Lo
avrete visto già e ma era corretto riproporlo», si
tolse gli
occhiali e li dispose sulla scrivania, dandosi un'aria più
seria.
«Il senatore Lar Gand ha deciso di denunciare la CatCo,
quindi me»,
disse toccandosi il petto, «e la vostra collega Willis, che
ha
pensato di rendere pubbliche le sue malefatte, bla
bla.
È lunedì mattina già
da ore e
mi fanno sapere che di denunce neanche l'ombra». Qualcuno
iniziò a
parlottare a bassa voce e Cat Grant roteò gli occhi.
«Silenzio!
Solo perché non è ancora
arrivato nulla non significa che non sia una cosa seria. È
una cosa
molto seria. Quando vi minacciano di denuncia per aver fatto il
vostro lavoro significa una cosa soltanto: avete fatto un buon
lavoro». Le facce di tanti cambiarono, diventando
improvvisamente
più altezzosi e si sollevò un nuovo
chiacchiericcio, rendendo Kara
confusa e la signora Grant spazientita, tanto da alzare di nuovo la
voce: «Vi ho per caso dato il permesso di poter fare salotto?
Aver
fatto bene il vostro lavoro non significa anche non doversi prendere
le proprie responsabilità e le conseguenze. Leslie ha
attaccato
duramente il senatore e per questo lei ed io saremo questa sera alla
registrazione del dibattito televisivo per chiarire la nostra
posizione. Quando ci ha denunciate, il senatore Gand ha fatto una
scelta mirata di immagine, prendete nota: invece di procedere per le
silenziose vie legali, ha pensato di mostrarsi in televisione e fare
sensazionalismo», gesticolò disgustata, alzando le
mani. «Questo è
molto importante, deve difendere il suo profilo pubblico. È
come un
cane che nasconde la coda», li guardò di nuovo
tutti, per
assicurarsi di avere la loro completa attenzione.
«È stato colpito
e lui lo sa. Farà di tutto per vincere il dibattito
perché ne ha
bisogno. E
mi devo sorbire questa rogna,
quindi il mio consiglio è questo: scegliete sempre con cura
il
vostro nemico. Se non siete in grado di partecipare a un dibattito
televisivo, perché è là che si fanno
le battaglie adesso, allora
state a casa. Ci sono domande?». Kara fu l'unica ad alzare la
mano
distendendo completamente il braccio destro, ma Cat Grant la vide e
la ignorò. «Bene, meglio così
perché ho già un principio di mal
di testa. Ora tornate al vostro lavoro, chop
chop,
rendetemi orgogliosa, andate,
avanti».
Si misero in fila per uscire dall'ufficio che la donna
rialzò la
voce: «Non voi: Leslie, Keira. Vi voglio qui».
Kara
sentì un brivido e il suo corpo si bloccò,
guardando Leslie che non
sembrava affatto preoccupata. Poi guardò Siobhan,
impantanata
accanto a lei.
«Ti
ho per caso chiesto di restare, Siobhan?».
Lei
spalancò gli occhi e indicò Kara. «Oh,
pensavo che, siccome sono
la sua-».
«Hai
pensato male: fuori di qui. Via,
via, di fretta»,
la scacciò e mentre Siobhan Smythe usciva e sbuffava, «E
chiudi bene la porta»,
e chiudeva bene la porta dietro di lei, la signora Grant
pensò di
alzarsi dalla sua postazione e fare il giro, appoggiandosi contro la
sua scrivania, con gambe incrociate. Le squadrò attentamente
e così
ansimò. «So già che mi
pentirò per averlo chiesto, ma devo farlo
e quindi non provate a mentirmi che sarebbe inutile per me e molto
doloroso per voi. Fin dove volete spingervi contro il
senatore?».
Leslie
Willis tirò fuori un sorriso e Kara si accigliò,
guardando una e
poi l'altra. «Signora Grant, c-cosa le fa pensare che io ne
sappia
qualcosa?».
«Oh,
Keira, quei tuoi occhi da cerbiatta non sanno proprio come si
mantengono i segreti, perché tu lo sappia. Ti si legge lo
sguardo
colpevole sotto tutta
quella
agitazione che
non avresti neanche se
dovessi fare un provino da X
Factor e
Simon Cowell ti stesse fissando».
«Non
sono agitata». Mh,
stava forse sudando? Le bastò un'occhiata per zittirsi.
«Fo-Forse,
beh… Va bene», deglutì, «Mi
sento in colpa per la denuncia, non
pensavo si sarebbe arrivati fino a questo punto».
«Non
sapevi di essere nel mondo degli adulti?», le
domandò Cat Grant.
«Di
cosa ti sentiresti in colpa, tu?», le chiese invece Leslie,
scrollando le spalle.
«Per
te! Per-Per la CatCo», guardò prima Leslie e poi
Cat.
«Oh,
ma sentila che dolce», ridacchiò Leslie, rivolta
al loro capo. «E
magari pensa che sia pure la mia prima denuncia», scosse la
testa.
«Lavorare in questo settore significa essere aperti a rischi
del
genere. E magari pensi pure che mi abbiate infilato in mezzo,
cucciolo, ma non è così: ho accettato,
è parte del mio lavoro, mi
prendo le conseguenze e di certo non devi sentirtene in colpa tu»,
la indicò.
Cat
Grant le squadrò ancora, cercando di mettere a fuoco cosa
stava
succedendo. «Avete una fonte?», guardò
Kara.
«U-Una
specie, signora Grant, ma-».
«Affidabile,
ma non legale. Ora si spiega tutto». La ragazza
spalancò occhi e
bocca pronta per ribattere che lei la fermò: «Shh,
ora stai zitta», la sgridò, rivolgendosi di nuovo
all'altra. «Tu.
Sei sospesa».
«Cosa?».
«Hai
sentito benissimo», gesticolò con una mano per
aria. «Hai detto
bene: prendi le conseguenze».
«Pensavo
che le conseguenze fossero partecipare a quello stupido dibattito in
televisione», grugnì, stringendo i pugni.
«No,
quella è la mia conseguenza. La sospensione sarà
la tua
conseguenza al fatto che io
dovrò partecipare a quel dibattito per i tuoi articoli. E
ora
fuori».
«Ma-Ma
non può farlo».
«Posso
e lo farò. La sospensione è da domani quindi ora
rimettiti al
lavoro. E sorridi, Leslie, sorridi», le fece cenno di uscire
e
l'altra aprì la porta con uno scatto d'ira.
«Ti
odio e odio questo lavoro».
«Lo
so. Ora chiudi bene la porta».
Kara
strinse i denti quando questa sbatté. Capì con un
secondo di
ritardo che, essendo l'unica rimasta in ufficio, ora toccava a lei.
L'aria si era fatta così tesa… «La
prego, signora Grant, non mi
licenzi».
Lei
strinse gli occhi e la esaminò, per poi passarsi due dita
sul mento,
mentre la pressione di Kara saliva. «Ti avevo detto che
scrivere di
loro sarebbe stato un suicidio, quindi tu, e chissà chi
altro, hai
permesso che fosse Leslie a scrivere perché ha
più esperienza, si è
fatta le ossa e non ha scrupoli…».
«S-Signora
Grant, non è proprio così».
«Geniale».
«Cosa?».
La
donna prese passo per tornare dietro la scrivania e da lì
esaminarla
ancora. «Sia chiaro: non sto dicendo che il senatore Gand
abbia
qualcosa a che fare con niente, ma lo avete preso di mira e
dovrà
pur valere qualcosa».
«Lo
so che lei mi aveva detto di non farlo, ma-», scosse la
testa.
«Oh,
no», la fermò, «Io ti avevo detto che il
nostro giornale non si
occupava di cospirazioni, ma quanto avete fatto col senatore sono
fatti reali. E noi ci occupiamo di fatti reali. Questa sera, ad
esempio, mostreremo a tutti una copia dei messaggi che il senatore
scambiava con la sua segretaria. Basterà? Oh no, certo che
no, sento
già l'eco delle fandonie di quella donna mentre si arrampica
sugli
specchi, ma avremo comunque qualcosa di concreto in mano. Sparare a
zero e accusare ignoti era pericoloso e controproducente, ma non
posso e non voglio tenerti lontana dalla verità, Kara
Danvers».
Oh.
Kara spalancò gli occhi: Cat Grant l'aveva chiamata col suo
nome
corretto per la prima volta.
«Siamo
giornalisti: il nostro lavoro è trovare la
verità», portò le mani
sulla scrivania, guardandola attentamente negli occhi. «Sei
Supergirl, no?».
«C-Come?».
«Supergirl.
In campo è così che ti chiamano, vero? Non
cascarmi dal pero, ho
visto anch'io i tuoi video. Sii Supergirl, Kara Danvers. Non lasciare
che Leslie si prenda tutto il divertimento, per la miseria! Vuoi
lavorare qui, no? Comportati professionalmente, trova il tuo nemico,
sceglilo con scrupolo e un'ultima cosa», la guardò
con attenzione:
«accetta di poterne pagare le conseguenze».
Kara
strinse le labbra e si accigliò, annuendo.
«Sì, signora Grant».
«E
ora vai, chiama la mia assistente, che non ho ancora messo nulla
sotto i denti e non mi arriva sangue al cervello».
«Sì,
signora Grant». Uscì di corsa, non invidiando
affatto il lavoro di
quella povera ragazza.
Scegliere
il suo nemico. Essere professionale. Diede un'occhiata al cellulare.
No, nessuna notifica. Nessun messaggio di Lena. Niente di niente.
Sbuffò e si piegò con le ginocchia contro il
petto, sdraiata sul
letto. Era triste, ma per quanto potesse esserlo doveva lasciare a
Lena il suo spazio. Ed era davvero difficile farlo. Se solo avesse
accettato la pausa che voleva quando la prima volta le aveva
accennato qualcosa… Oh, ma non sarebbe cambiato niente; non
sarebbero comunque state insieme ed era palese che Lena avesse un
problema che si metteva tra loro, che forse la riguardava o forse no,
ma che doveva risolvere. E a breve ci sarebbe stato il matrimonio,
era giusto che avessero entrambe del tempo per capire se quello che
c'era tra loro era destinato a durare, perché veramente non
potevano
rovinare tutto, a quel punto… Stavano per dirlo alle loro
madri,
accidenti. Sbuffò di nuovo, distendendo le gambe. Trovare il
suo
nemico.
«Stai
facendo una lista delle cose che pensi di aver sbagliato con
Lena?».
Megan si andò a sedere sul suo letto, aprendo un libro.
«Ti sei
persa un grande allenamento. Beh, sì, l'ho pensato
io», scrollò le
spalle, «In attesa del tuo ritorno, sarò io il
capitano».
«Cosa
hai detto?».
«Che
sarò io il capitano. Voglio fare un buon lavoro, ti prego,
non
prendertela con me».
«No,
prima».
«Lena?
Delle cose sbagliate con Lena? Una lista?».
«Lista»,
puntò in aria il dito indice destro, alzandosi di scatto dal
letto e
aprendo l'armadio. «Avevo scattato la foto di una lista mesi
fa».
Uscì la testa dall'armadio con un foglietto spiegazzato e
Megan
richiuse il suo libro, dando un'occhiata con curiosità.
«L'avevo
scattata da un vecchio numero del CatCo Magazine: sono le persone
arrestate anni fa per concorso in omicidio dei miei genitori,
traffico di denaro e altri capi d'accusa»,
aggrottò lo sguardo e
Megan, al suo fianco, fece lo stesso. «Facevano parte di
quell'organizzazione criminale. Lena aveva cercato il più
possibile
su di loro ma non siamo riuscite ad andare avanti, non abbiamo
trovato collegamenti se non i Gand. Non volevo andare a trovare le
persone agli arresti perché non mi sentivo pronta, ma adesso
lo
sono, Megan», la guardò, «Ho trovato il
punto dove scavare e
inizierò dall'uomo che ha dato inizio a tutto questo: il
commercialista».
«Un
commercialista?».
«Faceva
anche lui parte dell'organizzazione. Mia zia», disse, per poi
prendere fiato, «l-lei aveva provato a dissuadere mia madre,
che era
giudice, dal farlo condannare, ma lei non ha ceduto. Il
commercialista è finito agli arresti e da lì
tutto ha cominciato a
crollare. Andrò da lui, domani. Poi seguiranno i nomi della
lista»,
la guardò con attenzione. «Sono Supergirl.
Supergirl può farcela».
Lei
la guardò stranita, poi decise di annuire.
Quando
si svegliò, quella mattina, Kara Danvers si sentiva
più carica che
mai. Il mal di pancia per l'assenza di Lena stava venendo soffocato
dal senso di giustizia e si rese conto che tenersi occupata in quel
modo avrebbe aiutato in tutti i sensi il suo corpo e la sua mente. E
forse anche il suo cuore. Non disse nulla ad Alex, che aveva di nuovo
il turno con la microspia; andò a lezione, fece le sue ore
alla
CatCo con Siobhan che si lamentava delle brutte giornate di pioggia
e, con determinazione dipinta sul volto, dopo mangiato prese
l'ombrello e un taxi per dirigersi in prigione. La sensazione di
essere seguita era ancora presente, ma era davvero solo una
sensazione: non c'era nessuno dietro di lei e la cosa cominciava a
mandarla in paranoia e forse ora, che iniziava un'indagine per conto
proprio, immaginava che la sensazione sarebbe cresciuta. Decise di
ignorarla e andare avanti. Fort Rozz era talmente enorme che imponeva
un senso di soggezione a starle tanto vicina; faceva paura. Kara
entrò nell'edificio costellato da guardie e
lasciò l'ombrello
nell'ingresso, perdendosi ad ammirare la grande sala d'accesso, piena
di poliziotti in divisa e altre persone; davanti alla guardiola c'era
la fila e prese un bel respiro, mettendo in conto di dover attendere
un po'. Possibile che ci fosse tanto movimento?
«Kara?».
Al
sentire quella voce si gelò, voltandosi di scatto.
«S-Signor
Gand?!». Lui si avvicinava lentamente con le mani infilate
nelle
tasche dei pantaloni, lasciando dietro di lui un gruppo di uomini in
giacca e cravatta che parlottavano tra loro. Lei si tirò in
su gli
occhiali, deglutendo.
«Cosa
fai qui? È la prima volta che vieni?».
Non
era sorpresa del suo interessamento. «Sto vagliando alcune
piste per
un articolo».
«Lavoro
intenso, non è vero?», la fissò con
attenzione. «Sei amica di
Leslie Willis?».
«Diciamo
che la conosco».
L'uomo
annuì, spostando il suo sguardo altrove solo per un momento.
«Mentre
Willis cerca di calunniarmi, il mio lavoro continua: sono qui con
alcuni colleghi per valutare le condizioni dei detenuti. Passeremo
per la sezione maschile e ci sposteremo in quella femminile.
Beh»,
diede un'occhiata alla guardiola dove due agenti stavano trafficando
al pc, «sarebbe più veloce se non avessero
problemi con i
database».
Anche
Kara lanciò laggiù uno sguardo, accorgendosi
subito, con la coda
dell'occhio, che lui aveva di nuovo posato i suoi occhi su di lei.
«Kara».
Si
voltò, scoprendo Lois Lane che le veniva incontro
spensierata. Si
abbracciarono e la ragazza passò un rapido sguardo al
senatore, così
diede la mano anche a lui e si salutarono; a Kara sembrò che
decisamente si conoscessero. «Senatore. Come sta la sua
segretaria?».
Lui
ci mise qualche secondo di troppo a rispondere. «Si sta
godendo la
vacanza lontano dai reporter».
«Capisco.
Lontano dai reporter che fanno domande, lontano da sua
moglie…»,
strinse i denti e lui le labbra, «Deve aver preso il primo
aereo».
Doveva
essersi sentito grato di non avere il tempo per l'impaccio di
rispondere: un uomo lo richiamò con un colpetto su una
spalla e gli
disse qualcosa a un orecchio, così si scusò
dicendo che il lavoro
lo chiamava. Dovevano aver sistemato il problema al computer e lo
videro passare per una porta alle sbarre, circondato da uomini in
divisa e uomini in completo. Non si girò a osservarle
un'ultima
volta.
«Ho
come la netta sensazione che sia stato lui a farla sparire sul primo
aereo», esclamò Kara.
Lois
non nascose un sorrisetto. «Beh, o quello, o se la poveretta
conosce
almeno un po' Rhea, sarà scappata a gambe levate prima che
la avesse
a portata di mani».
Si
misero in fila per la guardiola, parlando di come il senatore
sembrasse sulle strette dopo i recenti scoop di Leslie Willis,
concordando con la signora Grant dicendo che annunciare la denuncia
in televisione era stato un mirato atto a salvaguardare la sua
immagine.
«Sto
ultimando un articolo su questa soap tra il senatore, la moglie, la
segretaria e Leslie Willis della CatCo. Chissà se
denuncerà anche a
me», si chiese, corrucciando le labbra. «Cambiando
argomento, come
mai sei qui? Io devo intervistare un uomo per un caso di omicidio in
cui si dichiara innocente, è per il mio prossimo articolo.
È senza
dubbi innocente, se vuoi il mio parere», le fece sapere
subito, a
bassa voce. «È solo l'ennesima vittima della nuova
politica del
capitano Zod. Si è sempre dichiarato innocente, non ha mai
ceduto,
ma le prove puntano a lui e non importa se non avesse collegamenti
con la vittima di alcun genere. Prove tutto sommato superficiali, che
posso smontare perfino io», concluse scuotendo la testa e
Kara
aggrottò la fronte, ripensando al Generale
Zod, così com'era chiamato. Quell'uomo le aveva fatto venire
i
brividi quando lo aveva visto quell'unica volta.
«Tuo
padre e Zod si conoscono, lo sapevi? Si stringevano la mano l'ultimo
dell'anno, in un locale a Metropolis».
«Ah,
non lo metto in dubbio. Mio padre conosce un sacco di persone, ma non
significa che gli piacciano», accennò una risata.
«Quelle si
contano sulle dita di una mano: mia sorella, il nostro cane, il suo
lavoro».
Risero
e passarono avanti, quasi pronte per la guardiola.
«Io
sono venuta a trovare un uomo che mia madre fece condannare undici
anni fa».
«Tua
madre era una giudice, è vero», annuì,
«Di quelle forti».
«Sì»,
sorrise, arrossendo. «Lei era brava nel suo lavoro. Era un
commercialista prima di finire in carcere, vorrei fargli qualche
domanda».
Lois
sembrò apprezzare e quando fu il loro turno la fece passare
avanti.
Kara espose il motivo della visita e i suoi dati ma, quando la
guardia cercò il nome del detenuto sul database,
sembrò cambiare
espressione.
«Non
posso? Perché non posso parlare con lui?».
«Mi
spiace, signorina Danvers, ma è deceduto».
Lei
e Lois spalancarono gli occhi, guardandosi un momento. «Come
deceduto? Quando?».
Lui
fece una smorfia dispiaciuta. «Lo ha mancato di pochi mesi,
signorina: si è suicidato in cella la notte di Halloween, il
trentuno ottobre passato».
La
ragazza rimase immobile per qualche istante, soprappensiero. La notte
di Halloween, quando tutti festeggiavano, quell'uomo si era tolto la
vita? Perché? Se voleva togliersi la vita, perché
aspettare tanti
anni? Guardò Lois e il suo sguardo sembrò
rispecchiare i suoi
stessi interrogativi. Deglutì e le mancò il
respiro fosse solo per
un attimo, e quelle parole le uscirono spontanee, riaffacciandosi
sulla guardiola: «Deve cercarmi un altro detenuto, nella
sezione
femminile».
Sentire
che sua zia Astra stava bene e non le era capitato alcun tipo di
incidente le fece mettere il cuore in pace. Le fecero passare, Lois
la portò con sé e una guardia le
scortò all'interno.
«Dovresti
andarla a trovare, Kara», le sussurrò vicinissima,
camminando in un
corridoio tra le celle, a un metro dalla guardia. «Ormai sei
qui e,
se non ci vai, te ne potresti pentire», cercò di
convincerla ma
Kara era scettica, avanzando con disagio là in mezzo.
«Non
so… È passato tanto tempo», scosse
brevemente la testa. Appena si
ricordava la sua voce e, l'unico motivo per cui non era riuscita a
dimenticare il suo aspetto, era perché era identico a quello
di sua
madre.
«Se
decidi di andare da lei, ti farò compagnia io», le
assicurò, «Non
dovrai andar da sola».
Nel
frattempo, nei parcheggi sotterranei della CatCo, Leslie Willis
usciva dall'ascensore borbottando i primi insulti che le venivano in
mente. Verso Cat Grant, naturalmente. Appena udì il rumore
inconfondibile di tacchi, in tutto quel silenzio, roteò gli
occhi.
«Dovrai trovarti un'altra vittima sacrificale per i prossimi
giorni,
principessa: io ho già dato». Si tirò
un ciuffo platino indietro e
le lanciò uno sguardo svogliato.
«Cosa
è successo?», domandò Lena, fermandosi
e attendendo che si
avvicinasse.
«La
vecchia stronza mi ha sospeso. Due settimane di vacanza,
le ha chiamate. Niente sui Gand per un po'»,
sbuffò, «Proprio ora
che iniziavo a divertirmi».
«Non
ti ha denunciata?».
«Appunto»,
rise scuotendo la testa. «Ho messo il nostro gran senatore
con le
spalle al muro. E comunque mi ha denunciata solo a parole, per il
momento. Codardo».
Lena
ansimò, fissando per un attimo un punto distante,
mantenendosi
stretta con le spalle. «Troveremo un altro modo»,
sussurrò poi,
più rivolta a se stessa che a Leslie.
La
reporter annuì. «Sì, beh, come ti
pare». Le passò avanti ma
qualunque cosa avesse in mente parve cambiare idea poiché si
bloccò
all'improvviso, girandosi verso di lei ancora una volta.
«Dai,
vieni», le fece un cenno con la mano, «Offrimi da
bere».
Lena
sbuffò, raggiungendola. «Per una volta potresti
pagare tu».
«Sei
tu quella che ha soldi. Io ho i debiti».
Non
le chiese se Kara se ne fosse già andata. Quando si stava
dirigendo
alla CatCo, in fondo, sperava di vederla con la scusa di andare a
parlare con Leslie. Di incrociare anche solo uno sguardo con lei, per
sapere se stava bene. Da quando si erano lasciate al Martedì
Grasso,
non le aveva inviato nemmeno un messaggio. Dopotutto, non lo aveva
fatto neanche lei. La verità era che non sapeva cosa
scriverle
perché si sentiva in colpa. Ed era in colpa, accidenti; era
tutta
colpa sua. La cosa più assurda di tutte era che non sapeva
neppure
da che parte iniziare per rimediare.
Si
sedettero davanti al bancone di un bar quasi vuoto, a quell'ora di
tardo pomeriggio. Avevano chiesto da bere e Leslie Willis non aveva
fatto altro, da quando si era seduta, che lamentarsi di Cat Grant.
«Vedrai che lo lascio questo lavoro».
«Lo
dici ogni volta».
«Un
giorno lo farò sul serio, vedrai. E me ne andrò
in vacanza alle
isole Cayman», aggiunse, buttando giù un altro
sorso. «Quelle sì
che saranno vacanze e me le passerò tutte a inviare
maledizioni a
Cat Grant mentre mi abbronzo sotto il sole»,
ridacchiò, chiedendo
al barista un altro bicchiere. «Prima ciancia di denunce e
buon
lavoro svolto, poi mi dà la lieta novella. Odio quella
donna».
Considerato che Lena aveva smesso di commentare alle sue
esternazioni, le lanciò un'occhiata, scorgendola con sguardo
basso e
bicchiere in mano, ancora poggiato al bancone e quasi intatto.
«Non
sei di compagnia, Luthor».
«Come?»,
si destò e poi abbozzò un debole sorriso.
«Fammi indovinare: Cat
Grant è cattiva, odio il mio lavoro, odio lei, un giorno me
ne
andrò, vedrai».
Lei
assottigliò i suoi occhi. «Sai, è per
questo che non hai amici».
Lena
sorrise con più gusto, scuotendo la testa e mandando
giù un piccolo
sorso.
«Va
bene, mi arrendo», Leslie gridò, svegliando un
anziano signore
poggiato al bancone a pochi metri da loro. «Cosa turba la tua
raffinata testolina, quest'oggi? Ah, ma che dico: lo so! Ti sei
lasciata con il cucciolo, sei tanto triste, non sai più chi
coccolare e sei tutta sola chiusa nella tua lussuosa
villetta».
«Sai,
Willis?», le scoccò un'occhiata.
«È per questo che non hai
amici».
«Touché».
Mandarono
giù insieme i contenuti dei loro bicchieri, poggiandoli
vuoti sul
bancone.
A
volte odiava davvero l'intuito di Leslie: riusciva spesso a cogliere
cose che lei non voleva rivelare, o sfumature di qualcosa di cui
neppure era a conoscenza. La odiava, eppure era utile. Forse per
questo, per la prima volta, Lena decise di confidarsi con lei: le
raccontò di come si erano separate, delle sue precedenti
relazioni,
in special modo di quella con Jack, che credeva l'amore della sua
vita. Non pensava certo che Leslie potesse aiutarla in campo
sentimentale, né che potesse supportarla, ma quella
rispostaccia…
«Sì,
abbiamo capito, sei gay. C'è altro?».
«Non
sono gay», fece una smorfia con le labbra, tirando in su il
naso.
Leslie
in quel momento rise, battendo un pugno sul bancone. Si rese conto
solo poco più tardi che l'altra non rideva con lei.
«Aspetta, stai
dicendo sul serio? Oh, ciccia, lo hai detto tu: il sentimento c'era,
ma a letto ti faceva schifo».
«Non
ho detto questo».
«Sei
andata a letto con altri uomini?».
«Beh,
no, perché…», si fermò e,
dopo un po', spalancò gli occhi,
cominciando a sussurrare: «Sono gay». Scorse Leslie
alzare lo
sguardo al soffitto. «Non sono mai stata attratta dai
ragazzi, ma
Jack…».
«Era
un ragazzo, ti sei presa una sbandata e capita, dolcezza: sei
cresciuta sotto la guida di Miss Scultura di Ghiaccio Luthor. Pensavi
fosse il tuo grande amore, lo credo, forse eri convinta di non avere
altra scelta». Si sporse di nuovo verso il barista, urlando
di
potere avere altri due bicchieri per festeggiare, facendo spaventare
l'anziano al bancone. «E poi sei andata a consolarti da altre
donne.
Voglio dire: il sentimento è bello e caro, ma devono esserci
entrambe le cose. Perché se lui alza la band-».
«Sono
gay», ripeté, interrompendola, «Come ho
fatto a essere così
stupida?».
«Stupida?»,
Leslie la guardò torva, «Ti prego, mi stai facendo
passare per
quella brava ragazza che non sono, ma… tu non sei stupida.
Sei una
delle persone più intelligenti che conosco, diamine, non
devo
dirtelo io. Sai cosa? È solo che hai avuto rapporti
disfunzionali a
causa della tua madre stronza», scrollò le spalle
e poi bevve tutto
il contenuto del suo bicchiere in un sorso.
Secondo
Leslie Willis, tutti i suoi problemi sociali erano imputabili alla
fredda educazione impartita da Lillian Luthor. Una parte di lei,
seppure non volesse darle tanto potere sulla sua vita, era convinta
che avesse ragione. Sembrava facile, tuttavia, gettare tutte le colpe
su di lei: Jack era il suo porto sicuro e lasciarlo era un salto nel
vuoto, non sapeva che cosa l'avrebbe attesa ed era questa, la
dipendenza che aveva di lui, la cosa che davvero l'aveva bloccata in
quel periodo e che le aveva proibito di scoprirsi gay. Oh, se pensava
che aveva usato la relazione con lui come scusa per allontanarsi da
Kara…
«Allora?».
Leslie riprese la sua attenzione, appoggiando un gomito al bancone e
fissandola con occhi stanchi. «Ti sei incantata, bella. Non
pensare
di provarci perché sono dell'altra sponda, te lo dico
subito. Anzi»,
aveva scrollato le spalle e alzato il suo bicchiere, di nuovo
magicamente pieno, «Se conoscessi Hector, il tipo che
rifornisce la
macchinetta del caffè alla CatCo, oggi saresti etero anche
tu».
«Scoperto
perché bevi tanto caffè», rispose senza
guardarla.
«Quello
e perché sono dipendente dalla caffeina. Dai,
parlamene», alzò di
nuovo il bicchiere. «Sarà che questi cominciano a
fare effetto, ma
mi sento caritatevole e voglio aiutarti con il cucciolo: cosa vi ha
spinto a lasciarvi, seriamente?».
Il
barista si avvicinò e mentre Leslie si fece versare ancora
un po' di
scotch, Lena rifiutò, lasciando il bicchiere da una parte e
appoggiandosi meglio al bancone anche lei, con stanchezza
più
emotiva che fisica. Aspettò che l'uomo si allontanasse per
dirglielo, a bassa voce e senza guardarla negli occhi. «Lo
sai. I
miei genitori erano implicati nell'omicidio dei suoi. Non gliel'ho
ancora detto».
«Tutto
qui?», sbraitò lei e l'uomo anziano
saltò sullo sgabello,
decidendo di pagare il conto e andarsene. «Allora la
soluzione è
semplice, bella mia», si avvicinò di
più, scrutandola negli occhi
chiari, «Ti avvicini e glielo dici. E dopo, com'è
giusto che sia,
paghi il conto». Alzò le spalle e anche le mani,
allontanandosi di
nuovo.
Lena
scosse la testa, irrigidendo le labbra. «Sembra facile. Le
nostre
famiglie sono una sola, adesso. La ferirò. E la
ferirò per non
averglielo detto prima e questo-», si fermò,
mordendosi un labbro,
«è per questo che ci siamo lasciate:
perché non riesco a essere
sincera».
«Intendevo
questo con paghi
il conto,
Luthor. Cosa ti aspettavi? Devi prenderti le tue dannate
responsabilità». Si fermò anche lei e
spalancò gli occhi,
portandosi lentamente una mano sul cuore. «Che qualcuno mi
fulmini,
comincio a parlare come Cat Grant». Lena si alzò e
aprì la borsa e
il portafogli, lasciando soldi sul bancone. Leslie dovette seguirla
per il bar e riuscì appena in tempo a bloccarla prima che
uscisse.
«Che cazzo fai? Nemmeno mi saluti? Dannazione, ora che
cominciavo a
sentire», allungò e accorciò un
braccio, indicando se stessa e
Lena, «una connessione tra noi».
«Sei
ubriaca, Willis. Ti chiamo un taxi».
«Va
bene, io sono ubriaca. Ma tu sei idiota. Sei l'idiota più
intelligente di sempre perché ti fermi per paura alle
cose», scosse
la testa. «Per questo non hai lasciato Jack e per questo ti
sei
lasciata scappare Kara. Adesso so che farai: ti chiuderai a riccio,
farai finta di niente finché questo senso
pesante», si toccò il
petto, «che hai, quella-quella roba, quel segreto che ti
porti
dietro come se stessi espiando chissà quale peccato non
diventerà
di nuovo pesante come… un cazzo di mammut», rise.
«E allora, sarà
allora, che ti sentirai al punto di partenza e sarai di nuovo al
bivio: dirglielo o non dirglielo? La seconda opzione ti farà
ripartire da zero, un loop di merda; ti renderà infelice per
tutto
il resto della tua ricca vita. Anche la prima opzione ti
farà
soffrire», annuì, mentre Lena la fissava con le
lacrime agli occhi
e un'espressione dura. «Ti farà soffrire eccome ma
ti renderà
libera. E lei ce l'avrà con te, mi pare ovvio, ma sai qual
è la
cosa bella? Che siete sorellastre, Lena, dove cazzo vuoi che vada,
dovrà affrontarti! E forse», puntò in
alto un dito, reggendosi a
una sedia del bar per non cadere, «Forse lei ti
perdonerà. Per me
la scelta è facile, eh. Per me, ma per fortuna…
io non sono te»,
rise di nuovo e la ragazza scosse la testa, uscendo dal locale.
Le
chiamò un taxi e dopo sparì, lasciando Leslie al
suo sorriso
compiaciuto.
Kara
restò con Lois per tutto il tempo all'incontro con il
detenuto
protagonista del suo prossimo articolo. L'aveva tenuta d'occhio
mentre prendeva appunti, ascoltava con attenzione le parole dell'uomo
in lacrime, quasi non batteva ciglio data la concentrazione e la
risolutezza, spiegando anche a lei, che era al suo fianco, cosa stava
succedendo e dove avrebbe cominciato il suo lavoro. Con un solo
sguardo, Kara riusciva a percepire tutta la disperazione di quel
carcerato, chiedendosi se davvero fosse là a causa del
Generale Zod.
Una giuria lo aveva condannato, ma ad averlo portato davanti a loro
era stato lui. Non riusciva a togliersi dalla testa il commercialista
che si era suicidato ad Halloween e quel brutto presentimento che non
fosse un vero suicidio e che Zod era arrivato a lui prima di lei.
D'altronde, lui era al comando da qualche mese. Piuttosto grande come
coincidenza. Se Zod faceva parte della stessa organizzazione
criminale, allora forse stava saldando qualche conto rimasto aperto e
la voglia di andare a trovare sua zia si faceva ancora più
forte.
Lasciarono
la stanza quando riportarono l'uomo nella sua cella e Lois scosse la
testa, appoggiandosi al muro con fare esausto. Sentiva lo sguardo di
Kara sul suo. «So cosa stai pensando…
Perché è quello che sto
pensando anch'io».
«Stanno
tentando di riprendere potere, non è vero?», le
chiese, aggrottando
le sopracciglia. «Sai di chi parlo».
Si
zittirono quando una guardia le venne a prendere, così
ripresero a
camminare dietro la donna in divisa. «Clark non vuole che te
ne
parli», sibilò.
«Clark
non è qui», irrigidì i denti, chiamando
per la prima volta suo
cugino col suo nome per intero. «Se sai qualcosa, devi
dirmelo.
Comunque non mi fermerò e questo lo sa anche lui».
Lois
richiamò la guardia e le chiese di dare loro un momento,
così si
fermarono per il corridoio e si misero vicine, accostandosi a un
muro. «Per intenderci: io ero contraria ma lui…
sai com'è fatto!
Siamo venuti a trovare tua zia, tempo fa. Abbiamo provato a parlare
con lei ma è stata lei a non volere parlare con noi: vuole
solo te.
Ma lasciando perdere questo, ho continuato a fare ricerche per conto
mio, sai, profilo basso, mi tengo impegnata con altro e nessuno
sospetta, anche quando Clark ha deciso di lasciar perdere».
«Ha
deciso di lasciar perdere?». In fondo lo sapeva, eppure
sentirlo
dire in un certo senso la ferì.
Lois
mise su una faccia dispiaciuta. «Lui non ricorda tutto, lo
sai. Si è
sforzato, ma questa ricerca avrebbe finito per divorarlo, ho
continuato io per lui. E lui lo sa, anche se non vuole che gliene
parli: teme che mi succederà qualcosa se lo faccio, per
questo mi ha
chiesto di non dire niente anche a te. Vorrebbe che ne stia
fuori»,
prese fiato, guardando la guardia con la coda dell'occhio che,
appoggiata contro un muro anche lei, controllava il suo cellulare.
«Ma devi saperlo: sto stilando una lista di nomi, chi faceva
parte
dell'organizzazione che teneva in pugno National City e allora non
era stato arrestato. Inserisco in lista chiunque mi sembri
sospetto».
«Zod
ne fa parte».
«Non
c'è parte del mio corpo che mi sussurri il
contrario», astrasse un
sorriso. «Lavorava a Metropolis, prima. Lo tenevo d'occhio da
allora, sapevo che aveva avuto dei trascorsi a National City. Poi
è
stato trasferito con tanto di promozione e la cosa ha cominciato a
puzzare…».
«Il
commercialista potrebbe essere stato spinto al suicidio»,
sussurrò
Kara. «Devo avere quella lista».
«No»,
rispose prontamente, allontanandosi da lei e mettendo le braccia a
conserte. «Non ho prove concrete sui quei nomi e non farei
altro che
influenzarti. Tua zia, d'altro canto…».
Kara
sbuffò. «Lei saprà di certo chi
è coinvolto…».
«E
parlerà solo con te», le ricordò.
Così
Kara chiamò la guardia e le disse, svelta, di accompagnarla
nella
sezione femminile.
Lena
guidò fino ai pressi di un parco, così
parcheggiò in mezzo alle
altre macchine e si rilassò sul posto di guida, osservando
lo
scrosciare della pioggia sui finestrini. Riconosceva il parco: c'era
stata con Kara quando ancora non stavano insieme, quando avevano
deciso di esserci l'una per l'altra, quando lei per prima le aveva
detto che voleva che fossero sincere. Si sentiva così
stupida,
adesso. Deglutì e batté una mano sul volante,
prendendo fiato.
Sapeva cosa doveva fare: riprendere terreno con Kara e avere
così
modo di dirle la verità. Non poteva chiudersi a riccio come
le aveva
detto Leslie: era arrivato il momento di essere coraggiose e
affrontare ciò che le faceva paura. Sarebbe stato difficile,
ma non
poteva nascondere la testa sotto alla sabbia per sempre e arrancare
scuse.
Guardò
sul lato del passeggero la borsa con all'interno il suo laptop,
decidendo che era arrivato il momento di affrontare anche
qualcos'altro. Tirò fuori il portatile e si sedette sul lato
del
passeggero, aprendolo e accendendolo. Ritrovò con un click
la chat
del profilo misterioso e rilesse attentamente i messaggi, poi
pensò
a cosa scrivere, restando con le mani in aria. Stava per fare la sua
mossa che un'altra notifica prese la tua attenzione e aprì
la chat:
era uno dei suoi informatori.
X:
Compagn*, mi rivolgo a te che scavavi sul passato di Lionel Luthor:
stanno sparendo i dati. Ne sai qualcosa?
Il
cuore di Lena prese a battere più velocemente, sentendo il
sangue
ritirarsi. Come sparendo?
Scrisse di getto una risposta e l'informatore controbatté a
breve:
X:
Sì, mi stanno informando più persone che
ciò che era libero ieri,
oggi non c'è più. Tutto ciò che
riguarda il passato di quell'uomo
su internet sta svanendo. Com'è possibile?
Lena
irrigidì i denti e chiuse la chat, rileggendo i messaggi del
profilo
misterioso. Iniziò a digitare, cambiando completamente
natura del
messaggio che avrebbe inviato solo pochi secondi prima.
Z:
Lo stai facendo tu?
X:
Che cosa?
Z:
Sai di cosa parlo.
X:
Sì. È vero. Lo sto facendo io. Per te.
Lena
tremò e aprì solo un poco il finestrino, facendo
in modo che le
arrivasse aria poiché all'improvviso si sentì
soffocare. Guardò
con espressione dura l'inquietante messaggio e riportò le
mani sulla
tastiera.
Z:
Per me?
X:
Ciò che ha fatto quell'uomo resterà nel passato.
Per il resto, per
qualsiasi cosa avrai bisogno di me.
Z:
Sai chi sono?
X:
Sì.
Prese
un bel respiro, tenendo d'occhio il cerchio in basso a destra della
chat che girava, segno che stava ancora scrivendo.
X:
Lena.
Con
uno scatto spinse indietro il portatile che per poco non le cadeva
dalle gambe e prese fiato a più riprese, con un principio di
tachicardia. Loro non erano riusciti a scoprire chi era, ma il
profilo misterioso era più in gamba e capace, tanto da non
solo
sapere la sua reale identità, ma di essere anche in grado di
cancellare tutto ciò che di Lionel Luthor si sapeva nel web.
Avevano
a che fare con un professionista. Con un hacker professionista.
Deglutì e chiuse la chat, aprendo Google. Le serviva trovare
hacker
bravi, i più bravi della zona o limitrofi. Iniziò
a dare
un'occhiata ad alcuni profili che le squillò il telefono,
mettendo
in vivavoce e appoggiandolo sul cruscotto.
«Alex.
Sa chi sono», le fece sapere subito. «Il profilo
misterioso sa chi
sono e sta cancellando dal web ogni traccia di mio padre
per…»,
prese fiato, «presumibilmente essere considerato da me.
Oppure per
fare piazza pulita».
«È
più probabile che sia la seconda»,
le rispose dopo un breve attimo. «Mi
ha appena chiamato Kara: è alla prigione di Fort Rozz
e-».
«Fort
Rozz?», Lena impallidì, spalancando gli occhi.
«Sì.
Ha saputo che il commercialista è morto, quello che aveva
condannato
sua madre e che sua zia aveva tentato di salvare dalla prigione. Era
uno di loro. È morto nella notte di Halloween, suicidio.
Kara pensa
che di mezzo ci sia il nuovo capitano della polizia, Zod. Crede che
faccia parte anche lui dell'organizzazione e che stiano tentando ora
di riprendere il controllo. Ne parlerò con Maggie».
Lena
deglutì, mentre la tachicardia saliva. «E ora?
Cosa vuole fare
Kara?».
«Credo
voglia andare da sua zia, così mi ha detto. Mi è
parsa piuttosto
nervosa di andare da lei, comunque».
Lena
si lasciò andare di peso contro lo schienale, ricominciando
a
tremare. La zia glielo avrebbe detto. Sarebbe stato tutto inutile, il
suo piano per riconquistare la fiducia di Kara e dirle la
verità, se
sarebbe stata lei a dirgliela.
«Lena?
Hai il fiatone, tutto bene?».
«Sì.
Sì, sto bene».
«Se
pensi di non essere al sicuro, farò andare da te una scorta
che ti
protegga. Se ciò che ha detto Kara è vero,
seguendo ciò che hai
scoperto, con la cancellatura del materiale su tuo padre, il profilo
misterioso fa parte di quelle persone, Lena. Dobbiamo andarci
caute».
Oh,
non era affatto sicura che fosse così. Non che scartasse a
priori
che ne facesse parte, ma da come le aveva risposto, sembrava che
avesse cancellato quelle cose per fare in modo che avesse bisogno di
contattarlo. E un hacker, se bravo come si lasciava intuire, poteva
aver scoperto la verità online. Arrivare ovunque dalla rete.
Passò
il pollice destro sul nastro nero sopra la fotocamera del pc: poteva
davvero osservarla, dopotutto. «N-No… No, lascia
stare. Non mi
sento minacciata fino a quel punto».
«Forse
dovresti»,
replicò. «Intanto,
ho assistito poco fa a un'interessante discussione dalla nostra
trasmissione preferita: la microspia».
«Come
stanno i nostri vip?».
Alex
non si lasciò attendere: «Uniti
in tv, separati in casa. Ho sentito solo un pezzo della loro
discussione, si erano allontanati, ma se ho ben capito il nostro caro
senatore non parteciperà al dibattito e questa sera, a
registrare,
ci andrà solo la tenera mogliettina. Lui ha incrociato Kara
a Fort
Rozz e Rhea è andata su tutte le furie, hanno litigato
e… quella
donna odia davvero tanto Kara, credo abbia pensato che fosse
lì per
incontrare lui. Sta diventando paranoica».
«Pericolosa»,
aggiunse Lena. «Lo hai detto a Kara?».
«Sì.
Sì, certo, ne è al corrente. Non se ne preoccupa,
sai com'è
fatta».
Si stette zitta e lo stesso fece Lena, indugiando a lungo sulla
pioggia che si faceva via via meno forte. «Lena…»,
attirò di nuovo la sua attenzione, «Volevo
che tu avessi le mie scuse. Kara ed io ne abbiamo parlato e-».
«Va
bene», rispose lentamente, quasi senza espressione.
«No,
sono stata un po' dura. Kara ti ama e tu la ami, quindi…
risolvi
ciò che devi, lei ti aspetta. E poi siate felici».
Chiuse la telefonata e una calda lacrima rigò il viso di
Lena: se
Kara avesse scoperto tutto da Astra, non ci sarebbe più
stata alcuna
possibilità con lei. Aveva perso la sua occasione. Aveva
perso e
l'avrebbe pagata cara.
«Sei…
ubriaca?»,
starnazzò Cat Grant, spalancando gli occhi. Si era appena
presentata
sul set del programma televisivo per registrare il dibattito e aveva
sorpreso Leslie Willis già lì, seduta nel
camerino per gli ospiti
che canticchiava davanti allo specchio, facendo girare e rigirare la
sedia a ruote su cui era seduta.
«Rilassati,
meringa», ridacchiò, ironizzando sul suo completo
bianco, «Do il
meglio di me da ubriaca. E di certo non potevo restare lucida sapendo
di dover avere a che fare con Rhea Gand».
«Mi
metterai in imbarazzo», si recò sulla sua sedia,
poi, scuotendo i
capelli davanti allo specchio su parete. «Ma d'altronde non
sarebbe
la prima volta».
Leslie
rise, facendo un'altra giravolta con la sedia. «Tanto saremo
in due
contro uno. Non l'hai saputo?», si fermò e
cercò di riprendersi un
attimo dal capogiro prima di continuare. «Lei è
già qui ed è
sola: dicono che lui è troppo impegnato. Alla faccia del
voler
vincere il dibattito a ogni costo».
Cat
Grant assottigliò i suoi occhi e infine si
appoggiò meglio sullo
schienale della sedia, mettendo le gambe una sopra l'altra.
«Avranno
litigato… La coppia modello sta naufragando più
veloce di quanto
mi aspettassi», si voltò poi a lei.
«Abbiamo un vantaggio, cerca
di non sprecarlo».
«Signorsì,
capitano», rise e girò di nuovo; Cat Grant si
portò una mano sulla
fronte, prendendo un bel respiro.
La
guardia era davanti a una porta e, non distante, c'era Lois Lane che
aspettava solo lei, in quello stretto corridoio. Erano arrivate nella
sezione femminile del carcere e Kara si era allontanata solo un
attimo per telefonare Alex e aggiornarla, il tempo per andare a
chiamare sua zia Astra. Era la visita che la donna aspettava da quel
giorno a scuola, quando le avevano separate ed era stata arrestata.
Da quel giorno non la rivedeva. Le aveva sempre inviato delle
lettere, una ogni giorno, ma non ne aveva mai letta nessuna. Sua zia
aveva tradito sua madre e suo padre e aveva tradito la sua fiducia;
loro erano morti anche per causa sua. Il cuore le batteva
così forte
e si sentiva così leggera, camminando verso di loro, che
pensava di
svenire. Sarebbe riuscita a guardarla negli occhi e ascoltare la sua
voce dopo tanti anni? A rivedere nel suo volto sua madre e allo
stesso tempo chi era in parte responsabile di averla portata via da
lei?
«Eccoti»,
le sorrise Lois, accogliendola con una mano stretta su un braccio.
«Lei è già qui».
A
Kara mancò l'aria. Si avvicinò al vetro del
corridoio e si affacciò
alla stanza adiacente, dove i vetri separavano le detenute dai
visitatori. Alcune donne erano già sedute e parlavano
attraverso la
cornetta ai loro cari, ma una sola stava aspettando. Era seduta e si
guardava intorno come se si sentisse a disagio; i capelli sciolti
sulle spalle, spettinati e rovinati, il naso un po' rosso, gli occhi
incavati, un viso che, malgrado gli anni passati, le ricordava casa e
il dolore per averla persa.
«Kara»,
la chiamò Lois, appoggiandole con delicatezza una mano sulla
spalla
destra. «Il tempo che vuoi. Quando sei pronta, ci facciamo
avanti».
Accidenti,
faticava a pensare che ci sarebbe stato un momento in cui sarebbe
stata pronta. Tuttavia, non sapeva per quanto ancora sarebbe stato
orario di visite e non poteva restare in
quello stato
per sempre. Oh.
Kara spalancò gli occhi azzurri quando la donna, quella zia
che
ormai non riconosceva più, alzò lo sguardo e
incrociò il suo. Dopo
tanto tempo si erano guardate e la ragazza si sentì gelare,
facendo
mezzo passo indietro. Astra si alzò dalla sedia e
iniziò a battere
sul vetro, gridando il suo nome. Kara vide che due guardie la
intimarono di calmarsi e poi cercarono di metterla di nuovo a sedere
con la forza, ma stentavano a farcela, lei era forte e continuava a
battere e a chiamarla. Lois provò a dirle qualcosa ma Kara
increspò
i suoi occhi e si voltò, correndo via. Sentiva ancora le
grida di
sua zia. Le sentiva nella testa. Diede un pugno contro il muro,
spaventando una guardia, e se ne andò.
Paradossalmente,
se a National City la giornata era grigia e pioveva, a Gotham c'era
il sole, seppur pallido. In ogni caso, di certo Bruce Wayne non era
là fuori a godersi quel tempo inusuale: era stato oberato di
lavoro
e non usciva dal suo ufficio da troppe ore. E aveva come la
sensazione, anche se non osava dirlo a nessuno, che alla Wayne
Enterprises stessero cercando di tenerlo occupato il più
possibile,
e magari lontano da quello che i soci sembravano avere in mente.
Perché era certo che nascondessero qualcosa. Quando
cominciò a
farsi buio, qualcuno entrò nel suo ufficio per dirgli di
tornare a
casa e rilassarsi, che anche loro stavano staccando, e Bruce
concordò, stirando la schiena e sbadigliando. O almeno
finché non
si chiuse di nuovo la porta. Finse di essersene andato e chiuse a
chiave il suo ufficio, nascondendosi in uno dei bagni del piano.
Seguì il suo lavoro da cellulare e giocò a Candy
Crush per un po',
forse un'oretta, il tempo che sperava fosse sufficiente per uscire e
dare un'occhiata a ciò che i suoi colleghi stavano lavorando
in sua
assenza. Il corridoio era buio e tutti gli uffici erano chiusi e
spenti. Camminò comunque più piano che riusciva,
muovendosi
furtivo. Si fermò solo quando intravide una bassa luce
provenire
dalla sala conferenze: non poteva credere che qualcuno era ancora
lì
nonostante si stesse facendo notte. Si affacciò, restando
nascosto
dall'ombra.
Lei
parlava al telefono e accennò una risata, coprendola
con una mano per non fare troppo rumore. «Sei carino. Te
l'avevo mai
detto?». Soffocò un'altra risata e Bruce
alzò gli occhi al cielo,
incredulo che stesse ancora lì solo per scroccare qualche
telefonata. «Oh, mi stanno chiamando, ti devio lasciare. Ma
no,
sciocchino, è per lavoro. Ti richiamo».
Staccò la telefonata e
cliccò un pulsante sulla tastierina numerica, restando in
attesa.
«Allora. Posso dirle dire che è tutto pronto,
mancano solo le
nostre firme». Bruce la scorse annuire e giocare con una
penna. «Ho
i documenti qui davanti a me, possiamo procedere. No, non ne sa
niente. Intende il giovane Wayne, no?». Si alzò
dalla sedia e prese
in mano il cordless, camminando verso i vetri a muro del palazzo.
«Il
poverino pensa che sia dei nostri perché una volta diventato
maggiorenne ha iniziato a lavorare qui a tempo pieno, ma non
è a
capo delle cose, non vedo perché debba preoccuparsi. Ah, se
non è
preoccupato allora tanto meglio», la vide scrollare le spalle
e
poggiare la mano libera su un fianco. «Dopo questa il nostro
lavoro
in comune è concluso, giusto? Tanto per mettere in chiaro le
cose,
le dovevamo solo questo»,
disse, gesticolando come se avesse potuto vederla. «Perfetto.
È
stato un piacere fare affari con lei».
Chiuse
la chiamata e Bruce tornò qualche passo indietro, aprendo e
chiudendo una porta: quel rumore, nel silenzio che c'era, fece
spaventare anche lui.
«Chi
è?», chiese lei, mettendosi in allarme.
Non
ci volle molto per vederla uscire dalla sala conferenze e guardarsi a
destra e sinistra in attesa di vedere qualcuno. Ma non vide nessuno:
Bruce fu veloce a entrare dietro di lei mentre era impegnata a
cercarlo all'esterno. Con passo felpato si divincolò tra
tavolo e
sedie, allungando lo sguardo verso la postazione giusta.
«Nessuno?»,
chiamò di nuovo. Tornò indietro di corsa e
riaprì un'anta della
porta a vetri che si era chiusa. Controllò che non ci fosse
davvero
nessuno e allora tornò alla sua postazione, decidendo di
riordinare
tutto e andarsene.
Bruce
corse per le scale, tentando di non far rumore. Si spaventò
solo
quando udì il cellulare squillargli in un taschino del
giaccone,
prendendolo subito e aprendo la chiamata per farlo smettere.
«Sì?»,
rispose in un brusio. «Sto tornando. No, sto per tornare,
davvero.
Tornando
e per
tornare
sono sinonimi, in questo caso, Alfred», si sforzò
per mantenere
bassa la voce, fermandosi su un pianerottolo. «A tra
poco». Chiuse
la chiamata e guardò verso l'alto, con la paura di essere
scoperto.
Decise di inviare un messaggio subito, facendosi scudo del buio.
Da
Me a Lena Luthor
Non
capisco perché si siano premuniti di tenermelo tanto
nascosto, ma
sono riuscito a scoprire cosa combinano: la Wayne Enterprises ha
venduto un vecchio magazzino chiuso da tempo qui a Gotham, poco fuori
dal centro. Non so quanto possa interessarti, forse il compratore
è
di National City, comunque darò uno sguardo appena mi
sarà
possibile. Buonanotte.
Lena
lesse il messaggio e s'imbrunì, poi spense lo schermo del
cellulare
e si passò una mano tra gli occhi con fare stanco, dando di
nuovo
completa attenzione alla chat aperta con il profilo misterioso.
Z:
Dunque hai cancellato i dati su mio padre per farmi un favore?
X:
Sì.
Z:
Perché dovrebbe essere un favore?
X:
Perché non vuoi che si sappia.
Lena
deglutì.
X:
So che non vuoi che si sappia, Lena. Puoi fidarti di me, sono qui per
aiutarti.
Z:
Di cosa stai parlando?
X:
Sai di cosa parlo, ma ti piace girarci intorno. Non lo hai ancora
detto a Kara, vero?
Lena
si tirò più indietro, respirando a pieni polmoni,
rumorosamente.
X:
Vero?
Iniziò
a digitare con le mani che tremavano.
Z:
Come lo sai?
X:
Io arrivo ovunque.
Ma
quanto è inquietante Indigo da 1 a che ansia?
Bentornati
a un nuovo capitolo :) Se lo scorso era privo di sviluppi sulla
trama, con questo abbiamo recuperato qualcosa.
Cat
Grant ha dato una spinta a Kara e, andando a Fort Rozz, il
cucciolo (XD) ha incontrato il senatore, poi Lois, e insieme
sono
andate a conoscere un detenuto che giura di essere stato rinchiuso
ingiustamente. Nuove dure politiche del nuovo capitano della polizia,
l'uomo che chiamano il Generale Zod? Intanto, il commercialista
condannato da Alura è morto suicida pochi mesi fa e,
preoccupata
per la salute di sua zia da una parte e curiosa di ricevere le
informazioni giuste dall'altra, ha pensato di andare a
trovarla…
peccato che non abbia retto e sia scappata! Le avrebbe detto dei
Luthor, altrimenti?
Lena
si era seriamente preoccupata, tanto che per un attimo ha smesso di
pensare a X e la sua inquietudine. Difatti, pare proprio che X si sia
dato da fare per eliminare i dati online su Lionel Luthor. Se non
altro, grazie a questo, Lena si è messa in testa di poter
scoprire
chi è. Stanerà Indigo?
E
poi c'è Leslie Willis, che in questo capitolo amo
follemente. Il suo
discorso a Lena è la parte del capitolo che preferisco, lo
ammetto.
Ah!
Bruce Wayne ha finalmente scoperto una vendita che tanto avevano
cercato di tenergli nascosto. Chi avrà comprato un vecchio
magazzino
a Gotham?
In
tutto questo, la coppia scoppia! Uniti in tv ma separati in casa,
dice Alex, sui coniugi Gand. Cosa ne pensate di cosa sta succedendo?
Rhea sembra quasi arrivata a un punto di rottura…
Scrivetemi
cosa ne pensate del capitolo e se vi è piaciuto, io passo e
chiudo
;)
Il
prossimo capitolo si intitola Addio al secondo nubilato
e sarà
pubblicato lunedì!
|