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Autore: Ghen    12/11/2018    5 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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32. Colpo e contraccolpo 


Cat Grant guardò uno per uno i suoi dipendenti, richiamati nel suo ufficio per quella riunione straordinaria. Mandò in uno dei suoi schermi su parete il pezzo dello show televisivo dove il senatore Gand annunciava denuncia contro la CatCo e Leslie Willis che aveva scritto su di lui. Finito il video, intrecciò le dita delle mani e poggiò i gomiti sulla scrivania.
«Lo avrete visto già e ma era corretto riproporlo», si tolse gli occhiali e li dispose sulla scrivania, dandosi un'aria più seria. «Il senatore Lar Gand ha deciso di denunciare la CatCo, quindi me», disse toccandosi il petto, «e la vostra collega Willis, che ha pensato di rendere pubbliche le sue malefatte, bla bla. È lunedì mattina già da ore e mi fanno sapere che di denunce neanche l'ombra». Qualcuno iniziò a parlottare a bassa voce e Cat Grant roteò gli occhi. «Silenzio! Solo perché non è ancora arrivato nulla non significa che non sia una cosa seria. È una cosa molto seria. Quando vi minacciano di denuncia per aver fatto il vostro lavoro significa una cosa soltanto: avete fatto un buon lavoro». Le facce di tanti cambiarono, diventando improvvisamente più altezzosi e si sollevò un nuovo chiacchiericcio, rendendo Kara confusa e la signora Grant spazientita, tanto da alzare di nuovo la voce: «Vi ho per caso dato il permesso di poter fare salotto? Aver fatto bene il vostro lavoro non significa anche non doversi prendere le proprie responsabilità e le conseguenze. Leslie ha attaccato duramente il senatore e per questo lei ed io saremo questa sera alla registrazione del dibattito televisivo per chiarire la nostra posizione. Quando ci ha denunciate, il senatore Gand ha fatto una scelta mirata di immagine, prendete nota: invece di procedere per le silenziose vie legali, ha pensato di mostrarsi in televisione e fare sensazionalismo», gesticolò disgustata, alzando le mani. «Questo è molto importante, deve difendere il suo profilo pubblico. È come un cane che nasconde la coda», li guardò di nuovo tutti, per assicurarsi di avere la loro completa attenzione. «È stato colpito e lui lo sa. Farà di tutto per vincere il dibattito perché ne ha bisogno. E mi devo sorbire questa rogna, quindi il mio consiglio è questo: scegliete sempre con cura il vostro nemico. Se non siete in grado di partecipare a un dibattito televisivo, perché è là che si fanno le battaglie adesso, allora state a casa. Ci sono domande?». Kara fu l'unica ad alzare la mano distendendo completamente il braccio destro, ma Cat Grant la vide e la ignorò. «Bene, meglio così perché ho già un principio di mal di testa. Ora tornate al vostro lavoro, chop chop, rendetemi orgogliosa, andate, avanti». Si misero in fila per uscire dall'ufficio che la donna rialzò la voce: «Non voi: Leslie, Keira. Vi voglio qui».
Kara sentì un brivido e il suo corpo si bloccò, guardando Leslie che non sembrava affatto preoccupata. Poi guardò Siobhan, impantanata accanto a lei.
«Ti ho per caso chiesto di restare, Siobhan?».
Lei spalancò gli occhi e indicò Kara. «Oh, pensavo che, siccome sono la sua-».
«Hai pensato male: fuori di qui. Via, via, di fretta», la scacciò e mentre Siobhan Smythe usciva e sbuffava, «E chiudi bene la porta», e chiudeva bene la porta dietro di lei, la signora Grant pensò di alzarsi dalla sua postazione e fare il giro, appoggiandosi contro la sua scrivania, con gambe incrociate. Le squadrò attentamente e così ansimò. «So già che mi pentirò per averlo chiesto, ma devo farlo e quindi non provate a mentirmi che sarebbe inutile per me e molto doloroso per voi. Fin dove volete spingervi contro il senatore?».
Leslie Willis tirò fuori un sorriso e Kara si accigliò, guardando una e poi l'altra. «Signora Grant, c-cosa le fa pensare che io ne sappia qualcosa?».
«Oh, Keira, quei tuoi occhi da cerbiatta non sanno proprio come si mantengono i segreti, perché tu lo sappia. Ti si legge lo sguardo colpevole sotto tutta quella agitazione che non avresti neanche se dovessi fare un provino da X Factor e Simon Cowell ti stesse fissando».
«Non sono agitata». Mh, stava forse sudando? Le bastò un'occhiata per zittirsi. «Fo-Forse, beh… Va bene», deglutì, «Mi sento in colpa per la denuncia, non pensavo si sarebbe arrivati fino a questo punto».
«Non sapevi di essere nel mondo degli adulti?», le domandò Cat Grant.
«Di cosa ti sentiresti in colpa, tu?», le chiese invece Leslie, scrollando le spalle.
«Per te! Per-Per la CatCo», guardò prima Leslie e poi Cat.
«Oh, ma sentila che dolce», ridacchiò Leslie, rivolta al loro capo. «E magari pensa che sia pure la mia prima denuncia», scosse la testa. «Lavorare in questo settore significa essere aperti a rischi del genere. E magari pensi pure che mi abbiate infilato in mezzo, cucciolo, ma non è così: ho accettato, è parte del mio lavoro, mi prendo le conseguenze e di certo non devi sentirtene in colpa tu», la indicò.
Cat Grant le squadrò ancora, cercando di mettere a fuoco cosa stava succedendo. «Avete una fonte?», guardò Kara.
«U-Una specie, signora Grant, ma-».
«Affidabile, ma non legale. Ora si spiega tutto». La ragazza spalancò occhi e bocca pronta per ribattere che lei la fermò: «Shh, ora stai zitta», la sgridò, rivolgendosi di nuovo all'altra. «Tu. Sei sospesa».
«Cosa?».
«Hai sentito benissimo», gesticolò con una mano per aria. «Hai detto bene: prendi le conseguenze».
«Pensavo che le conseguenze fossero partecipare a quello stupido dibattito in televisione», grugnì, stringendo i pugni.
«No, quella è la mia conseguenza. La sospensione sarà la tua conseguenza al fatto che io dovrò partecipare a quel dibattito per i tuoi articoli. E ora fuori».
«Ma-Ma non può farlo».
«Posso e lo farò. La sospensione è da domani quindi ora rimettiti al lavoro. E sorridi, Leslie, sorridi», le fece cenno di uscire e l'altra aprì la porta con uno scatto d'ira.
«Ti odio e odio questo lavoro».
«Lo so. Ora chiudi bene la porta».
Kara strinse i denti quando questa sbatté. Capì con un secondo di ritardo che, essendo l'unica rimasta in ufficio, ora toccava a lei. L'aria si era fatta così tesa… «La prego, signora Grant, non mi licenzi».
Lei strinse gli occhi e la esaminò, per poi passarsi due dita sul mento, mentre la pressione di Kara saliva. «Ti avevo detto che scrivere di loro sarebbe stato un suicidio, quindi tu, e chissà chi altro, hai permesso che fosse Leslie a scrivere perché ha più esperienza, si è fatta le ossa e non ha scrupoli…».
«S-Signora Grant, non è proprio così».
«Geniale».
«Cosa?».
La donna prese passo per tornare dietro la scrivania e da lì esaminarla ancora. «Sia chiaro: non sto dicendo che il senatore Gand abbia qualcosa a che fare con niente, ma lo avete preso di mira e dovrà pur valere qualcosa».
«Lo so che lei mi aveva detto di non farlo, ma-», scosse la testa.
«Oh, no», la fermò, «Io ti avevo detto che il nostro giornale non si occupava di cospirazioni, ma quanto avete fatto col senatore sono fatti reali. E noi ci occupiamo di fatti reali. Questa sera, ad esempio, mostreremo a tutti una copia dei messaggi che il senatore scambiava con la sua segretaria. Basterà? Oh no, certo che no, sento già l'eco delle fandonie di quella donna mentre si arrampica sugli specchi, ma avremo comunque qualcosa di concreto in mano. Sparare a zero e accusare ignoti era pericoloso e controproducente, ma non posso e non voglio tenerti lontana dalla verità, Kara Danvers».
Oh. Kara spalancò gli occhi: Cat Grant l'aveva chiamata col suo nome corretto per la prima volta.
«Siamo giornalisti: il nostro lavoro è trovare la verità», portò le mani sulla scrivania, guardandola attentamente negli occhi. «Sei Supergirl, no?».
«C-Come?».
«Supergirl. In campo è così che ti chiamano, vero? Non cascarmi dal pero, ho visto anch'io i tuoi video. Sii Supergirl, Kara Danvers. Non lasciare che Leslie si prenda tutto il divertimento, per la miseria! Vuoi lavorare qui, no? Comportati professionalmente, trova il tuo nemico, sceglilo con scrupolo e un'ultima cosa», la guardò con attenzione: «accetta di poterne pagare le conseguenze».
Kara strinse le labbra e si accigliò, annuendo. «Sì, signora Grant».
«E ora vai, chiama la mia assistente, che non ho ancora messo nulla sotto i denti e non mi arriva sangue al cervello».
«Sì, signora Grant». Uscì di corsa, non invidiando affatto il lavoro di quella povera ragazza.

Scegliere il suo nemico. Essere professionale. Diede un'occhiata al cellulare. No, nessuna notifica. Nessun messaggio di Lena. Niente di niente. Sbuffò e si piegò con le ginocchia contro il petto, sdraiata sul letto. Era triste, ma per quanto potesse esserlo doveva lasciare a Lena il suo spazio. Ed era davvero difficile farlo. Se solo avesse accettato la pausa che voleva quando la prima volta le aveva accennato qualcosa… Oh, ma non sarebbe cambiato niente; non sarebbero comunque state insieme ed era palese che Lena avesse un problema che si metteva tra loro, che forse la riguardava o forse no, ma che doveva risolvere. E a breve ci sarebbe stato il matrimonio, era giusto che avessero entrambe del tempo per capire se quello che c'era tra loro era destinato a durare, perché veramente non potevano rovinare tutto, a quel punto… Stavano per dirlo alle loro madri, accidenti. Sbuffò di nuovo, distendendo le gambe. Trovare il suo nemico.
«Stai facendo una lista delle cose che pensi di aver sbagliato con Lena?». Megan si andò a sedere sul suo letto, aprendo un libro. «Ti sei persa un grande allenamento. Beh, sì, l'ho pensato io», scrollò le spalle, «In attesa del tuo ritorno, sarò io il capitano».
«Cosa hai detto?».
«Che sarò io il capitano. Voglio fare un buon lavoro, ti prego, non prendertela con me».
«No, prima».
«Lena? Delle cose sbagliate con Lena? Una lista?».
«Lista», puntò in aria il dito indice destro, alzandosi di scatto dal letto e aprendo l'armadio. «Avevo scattato la foto di una lista mesi fa». Uscì la testa dall'armadio con un foglietto spiegazzato e Megan richiuse il suo libro, dando un'occhiata con curiosità. «L'avevo scattata da un vecchio numero del CatCo Magazine: sono le persone arrestate anni fa per concorso in omicidio dei miei genitori, traffico di denaro e altri capi d'accusa», aggrottò lo sguardo e Megan, al suo fianco, fece lo stesso. «Facevano parte di quell'organizzazione criminale. Lena aveva cercato il più possibile su di loro ma non siamo riuscite ad andare avanti, non abbiamo trovato collegamenti se non i Gand. Non volevo andare a trovare le persone agli arresti perché non mi sentivo pronta, ma adesso lo sono, Megan», la guardò, «Ho trovato il punto dove scavare e inizierò dall'uomo che ha dato inizio a tutto questo: il commercialista».
«Un commercialista?».
«Faceva anche lui parte dell'organizzazione. Mia zia», disse, per poi prendere fiato, «l-lei aveva provato a dissuadere mia madre, che era giudice, dal farlo condannare, ma lei non ha ceduto. Il commercialista è finito agli arresti e da lì tutto ha cominciato a crollare. Andrò da lui, domani. Poi seguiranno i nomi della lista», la guardò con attenzione. «Sono Supergirl. Supergirl può farcela».
Lei la guardò stranita, poi decise di annuire.
Quando si svegliò, quella mattina, Kara Danvers si sentiva più carica che mai. Il mal di pancia per l'assenza di Lena stava venendo soffocato dal senso di giustizia e si rese conto che tenersi occupata in quel modo avrebbe aiutato in tutti i sensi il suo corpo e la sua mente. E forse anche il suo cuore. Non disse nulla ad Alex, che aveva di nuovo il turno con la microspia; andò a lezione, fece le sue ore alla CatCo con Siobhan che si lamentava delle brutte giornate di pioggia e, con determinazione dipinta sul volto, dopo mangiato prese l'ombrello e un taxi per dirigersi in prigione. La sensazione di essere seguita era ancora presente, ma era davvero solo una sensazione: non c'era nessuno dietro di lei e la cosa cominciava a mandarla in paranoia e forse ora, che iniziava un'indagine per conto proprio, immaginava che la sensazione sarebbe cresciuta. Decise di ignorarla e andare avanti. Fort Rozz era talmente enorme che imponeva un senso di soggezione a starle tanto vicina; faceva paura. Kara entrò nell'edificio costellato da guardie e lasciò l'ombrello nell'ingresso, perdendosi ad ammirare la grande sala d'accesso, piena di poliziotti in divisa e altre persone; davanti alla guardiola c'era la fila e prese un bel respiro, mettendo in conto di dover attendere un po'. Possibile che ci fosse tanto movimento?
«Kara?».
Al sentire quella voce si gelò, voltandosi di scatto. «S-Signor Gand?!». Lui si avvicinava lentamente con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, lasciando dietro di lui un gruppo di uomini in giacca e cravatta che parlottavano tra loro. Lei si tirò in su gli occhiali, deglutendo.
«Cosa fai qui? È la prima volta che vieni?».
Non era sorpresa del suo interessamento. «Sto vagliando alcune piste per un articolo».
«Lavoro intenso, non è vero?», la fissò con attenzione. «Sei amica di Leslie Willis?».
«Diciamo che la conosco».
L'uomo annuì, spostando il suo sguardo altrove solo per un momento. «Mentre Willis cerca di calunniarmi, il mio lavoro continua: sono qui con alcuni colleghi per valutare le condizioni dei detenuti. Passeremo per la sezione maschile e ci sposteremo in quella femminile. Beh», diede un'occhiata alla guardiola dove due agenti stavano trafficando al pc, «sarebbe più veloce se non avessero problemi con i database».
Anche Kara lanciò laggiù uno sguardo, accorgendosi subito, con la coda dell'occhio, che lui aveva di nuovo posato i suoi occhi su di lei.
«Kara».
Si voltò, scoprendo Lois Lane che le veniva incontro spensierata. Si abbracciarono e la ragazza passò un rapido sguardo al senatore, così diede la mano anche a lui e si salutarono; a Kara sembrò che decisamente si conoscessero. «Senatore. Come sta la sua segretaria?».
Lui ci mise qualche secondo di troppo a rispondere. «Si sta godendo la vacanza lontano dai reporter».
«Capisco. Lontano dai reporter che fanno domande, lontano da sua moglie…», strinse i denti e lui le labbra, «Deve aver preso il primo aereo».
Doveva essersi sentito grato di non avere il tempo per l'impaccio di rispondere: un uomo lo richiamò con un colpetto su una spalla e gli disse qualcosa a un orecchio, così si scusò dicendo che il lavoro lo chiamava. Dovevano aver sistemato il problema al computer e lo videro passare per una porta alle sbarre, circondato da uomini in divisa e uomini in completo. Non si girò a osservarle un'ultima volta.
«Ho come la netta sensazione che sia stato lui a farla sparire sul primo aereo», esclamò Kara.
Lois non nascose un sorrisetto. «Beh, o quello, o se la poveretta conosce almeno un po' Rhea, sarà scappata a gambe levate prima che la avesse a portata di mani».
Si misero in fila per la guardiola, parlando di come il senatore sembrasse sulle strette dopo i recenti scoop di Leslie Willis, concordando con la signora Grant dicendo che annunciare la denuncia in televisione era stato un mirato atto a salvaguardare la sua immagine.
«Sto ultimando un articolo su questa soap tra il senatore, la moglie, la segretaria e Leslie Willis della CatCo. Chissà se denuncerà anche a me», si chiese, corrucciando le labbra. «Cambiando argomento, come mai sei qui? Io devo intervistare un uomo per un caso di omicidio in cui si dichiara innocente, è per il mio prossimo articolo. È senza dubbi innocente, se vuoi il mio parere», le fece sapere subito, a bassa voce. «È solo l'ennesima vittima della nuova politica del capitano Zod. Si è sempre dichiarato innocente, non ha mai ceduto, ma le prove puntano a lui e non importa se non avesse collegamenti con la vittima di alcun genere. Prove tutto sommato superficiali, che posso smontare perfino io», concluse scuotendo la testa e Kara aggrottò la fronte, ripensando al Generale Zod, così com'era chiamato. Quell'uomo le aveva fatto venire i brividi quando lo aveva visto quell'unica volta.
«Tuo padre e Zod si conoscono, lo sapevi? Si stringevano la mano l'ultimo dell'anno, in un locale a Metropolis».
«Ah, non lo metto in dubbio. Mio padre conosce un sacco di persone, ma non significa che gli piacciano», accennò una risata. «Quelle si contano sulle dita di una mano: mia sorella, il nostro cane, il suo lavoro».
Risero e passarono avanti, quasi pronte per la guardiola.
«Io sono venuta a trovare un uomo che mia madre fece condannare undici anni fa».
«Tua madre era una giudice, è vero», annuì, «Di quelle forti».
«Sì», sorrise, arrossendo. «Lei era brava nel suo lavoro. Era un commercialista prima di finire in carcere, vorrei fargli qualche domanda».
Lois sembrò apprezzare e quando fu il loro turno la fece passare avanti. Kara espose il motivo della visita e i suoi dati ma, quando la guardia cercò il nome del detenuto sul database, sembrò cambiare espressione.
«Non posso? Perché non posso parlare con lui?».
«Mi spiace, signorina Danvers, ma è deceduto».
Lei e Lois spalancarono gli occhi, guardandosi un momento. «Come deceduto? Quando?».
Lui fece una smorfia dispiaciuta. «Lo ha mancato di pochi mesi, signorina: si è suicidato in cella la notte di Halloween, il trentuno ottobre passato».
La ragazza rimase immobile per qualche istante, soprappensiero. La notte di Halloween, quando tutti festeggiavano, quell'uomo si era tolto la vita? Perché? Se voleva togliersi la vita, perché aspettare tanti anni? Guardò Lois e il suo sguardo sembrò rispecchiare i suoi stessi interrogativi. Deglutì e le mancò il respiro fosse solo per un attimo, e quelle parole le uscirono spontanee, riaffacciandosi sulla guardiola: «Deve cercarmi un altro detenuto, nella sezione femminile».
Sentire che sua zia Astra stava bene e non le era capitato alcun tipo di incidente le fece mettere il cuore in pace. Le fecero passare, Lois la portò con sé e una guardia le scortò all'interno.
«Dovresti andarla a trovare, Kara», le sussurrò vicinissima, camminando in un corridoio tra le celle, a un metro dalla guardia. «Ormai sei qui e, se non ci vai, te ne potresti pentire», cercò di convincerla ma Kara era scettica, avanzando con disagio là in mezzo.
«Non so… È passato tanto tempo», scosse brevemente la testa. Appena si ricordava la sua voce e, l'unico motivo per cui non era riuscita a dimenticare il suo aspetto, era perché era identico a quello di sua madre.
«Se decidi di andare da lei, ti farò compagnia io», le assicurò, «Non dovrai andar da sola».

Nel frattempo, nei parcheggi sotterranei della CatCo, Leslie Willis usciva dall'ascensore borbottando i primi insulti che le venivano in mente. Verso Cat Grant, naturalmente. Appena udì il rumore inconfondibile di tacchi, in tutto quel silenzio, roteò gli occhi. «Dovrai trovarti un'altra vittima sacrificale per i prossimi giorni, principessa: io ho già dato». Si tirò un ciuffo platino indietro e le lanciò uno sguardo svogliato.
«Cosa è successo?», domandò Lena, fermandosi e attendendo che si avvicinasse.
«La vecchia stronza mi ha sospeso. Due settimane di vacanza, le ha chiamate. Niente sui Gand per un po'», sbuffò, «Proprio ora che iniziavo a divertirmi».
«Non ti ha denunciata?».
«Appunto», rise scuotendo la testa. «Ho messo il nostro gran senatore con le spalle al muro. E comunque mi ha denunciata solo a parole, per il momento. Codardo».
Lena ansimò, fissando per un attimo un punto distante, mantenendosi stretta con le spalle. «Troveremo un altro modo», sussurrò poi, più rivolta a se stessa che a Leslie.
La reporter annuì. «Sì, beh, come ti pare». Le passò avanti ma qualunque cosa avesse in mente parve cambiare idea poiché si bloccò all'improvviso, girandosi verso di lei ancora una volta. «Dai, vieni», le fece un cenno con la mano, «Offrimi da bere».
Lena sbuffò, raggiungendola. «Per una volta potresti pagare tu».
«Sei tu quella che ha soldi. Io ho i debiti».
Non le chiese se Kara se ne fosse già andata. Quando si stava dirigendo alla CatCo, in fondo, sperava di vederla con la scusa di andare a parlare con Leslie. Di incrociare anche solo uno sguardo con lei, per sapere se stava bene. Da quando si erano lasciate al Martedì Grasso, non le aveva inviato nemmeno un messaggio. Dopotutto, non lo aveva fatto neanche lei. La verità era che non sapeva cosa scriverle perché si sentiva in colpa. Ed era in colpa, accidenti; era tutta colpa sua. La cosa più assurda di tutte era che non sapeva neppure da che parte iniziare per rimediare.
Si sedettero davanti al bancone di un bar quasi vuoto, a quell'ora di tardo pomeriggio. Avevano chiesto da bere e Leslie Willis non aveva fatto altro, da quando si era seduta, che lamentarsi di Cat Grant. «Vedrai che lo lascio questo lavoro».
«Lo dici ogni volta».
«Un giorno lo farò sul serio, vedrai. E me ne andrò in vacanza alle isole Cayman», aggiunse, buttando giù un altro sorso. «Quelle sì che saranno vacanze e me le passerò tutte a inviare maledizioni a Cat Grant mentre mi abbronzo sotto il sole», ridacchiò, chiedendo al barista un altro bicchiere. «Prima ciancia di denunce e buon lavoro svolto, poi mi dà la lieta novella. Odio quella donna». Considerato che Lena aveva smesso di commentare alle sue esternazioni, le lanciò un'occhiata, scorgendola con sguardo basso e bicchiere in mano, ancora poggiato al bancone e quasi intatto. «Non sei di compagnia, Luthor».
«Come?», si destò e poi abbozzò un debole sorriso. «Fammi indovinare: Cat Grant è cattiva, odio il mio lavoro, odio lei, un giorno me ne andrò, vedrai».
Lei assottigliò i suoi occhi. «Sai, è per questo che non hai amici».
Lena sorrise con più gusto, scuotendo la testa e mandando giù un piccolo sorso.
«Va bene, mi arrendo», Leslie gridò, svegliando un anziano signore poggiato al bancone a pochi metri da loro. «Cosa turba la tua raffinata testolina, quest'oggi? Ah, ma che dico: lo so! Ti sei lasciata con il cucciolo, sei tanto triste, non sai più chi coccolare e sei tutta sola chiusa nella tua lussuosa villetta».
«Sai, Willis?», le scoccò un'occhiata. «È per questo che non hai amici».
«Touché».
Mandarono giù insieme i contenuti dei loro bicchieri, poggiandoli vuoti sul bancone.
A volte odiava davvero l'intuito di Leslie: riusciva spesso a cogliere cose che lei non voleva rivelare, o sfumature di qualcosa di cui neppure era a conoscenza. La odiava, eppure era utile. Forse per questo, per la prima volta, Lena decise di confidarsi con lei: le raccontò di come si erano separate, delle sue precedenti relazioni, in special modo di quella con Jack, che credeva l'amore della sua vita. Non pensava certo che Leslie potesse aiutarla in campo sentimentale, né che potesse supportarla, ma quella rispostaccia…
«Sì, abbiamo capito, sei gay. C'è altro?».
«Non sono gay», fece una smorfia con le labbra, tirando in su il naso.
Leslie in quel momento rise, battendo un pugno sul bancone. Si rese conto solo poco più tardi che l'altra non rideva con lei. «Aspetta, stai dicendo sul serio? Oh, ciccia, lo hai detto tu: il sentimento c'era, ma a letto ti faceva schifo».
«Non ho detto questo».
«Sei andata a letto con altri uomini?».
«Beh, no, perché…», si fermò e, dopo un po', spalancò gli occhi, cominciando a sussurrare: «Sono gay». Scorse Leslie alzare lo sguardo al soffitto. «Non sono mai stata attratta dai ragazzi, ma Jack…».
«Era un ragazzo, ti sei presa una sbandata e capita, dolcezza: sei cresciuta sotto la guida di Miss Scultura di Ghiaccio Luthor. Pensavi fosse il tuo grande amore, lo credo, forse eri convinta di non avere altra scelta». Si sporse di nuovo verso il barista, urlando di potere avere altri due bicchieri per festeggiare, facendo spaventare l'anziano al bancone. «E poi sei andata a consolarti da altre donne. Voglio dire: il sentimento è bello e caro, ma devono esserci entrambe le cose. Perché se lui alza la band-».
«Sono gay», ripeté, interrompendola, «Come ho fatto a essere così stupida?».
«Stupida?», Leslie la guardò torva, «Ti prego, mi stai facendo passare per quella brava ragazza che non sono, ma… tu non sei stupida. Sei una delle persone più intelligenti che conosco, diamine, non devo dirtelo io. Sai cosa? È solo che hai avuto rapporti disfunzionali a causa della tua madre stronza», scrollò le spalle e poi bevve tutto il contenuto del suo bicchiere in un sorso.
Secondo Leslie Willis, tutti i suoi problemi sociali erano imputabili alla fredda educazione impartita da Lillian Luthor. Una parte di lei, seppure non volesse darle tanto potere sulla sua vita, era convinta che avesse ragione. Sembrava facile, tuttavia, gettare tutte le colpe su di lei: Jack era il suo porto sicuro e lasciarlo era un salto nel vuoto, non sapeva che cosa l'avrebbe attesa ed era questa, la dipendenza che aveva di lui, la cosa che davvero l'aveva bloccata in quel periodo e che le aveva proibito di scoprirsi gay. Oh, se pensava che aveva usato la relazione con lui come scusa per allontanarsi da Kara…
«Allora?». Leslie riprese la sua attenzione, appoggiando un gomito al bancone e fissandola con occhi stanchi. «Ti sei incantata, bella. Non pensare di provarci perché sono dell'altra sponda, te lo dico subito. Anzi», aveva scrollato le spalle e alzato il suo bicchiere, di nuovo magicamente pieno, «Se conoscessi Hector, il tipo che rifornisce la macchinetta del caffè alla CatCo, oggi saresti etero anche tu».
«Scoperto perché bevi tanto caffè», rispose senza guardarla.
«Quello e perché sono dipendente dalla caffeina. Dai, parlamene», alzò di nuovo il bicchiere. «Sarà che questi cominciano a fare effetto, ma mi sento caritatevole e voglio aiutarti con il cucciolo: cosa vi ha spinto a lasciarvi, seriamente?».
Il barista si avvicinò e mentre Leslie si fece versare ancora un po' di scotch, Lena rifiutò, lasciando il bicchiere da una parte e appoggiandosi meglio al bancone anche lei, con stanchezza più emotiva che fisica. Aspettò che l'uomo si allontanasse per dirglielo, a bassa voce e senza guardarla negli occhi. «Lo sai. I miei genitori erano implicati nell'omicidio dei suoi. Non gliel'ho ancora detto».
«Tutto qui?», sbraitò lei e l'uomo anziano saltò sullo sgabello, decidendo di pagare il conto e andarsene. «Allora la soluzione è semplice, bella mia», si avvicinò di più, scrutandola negli occhi chiari, «Ti avvicini e glielo dici. E dopo, com'è giusto che sia, paghi il conto». Alzò le spalle e anche le mani, allontanandosi di nuovo.
Lena scosse la testa, irrigidendo le labbra. «Sembra facile. Le nostre famiglie sono una sola, adesso. La ferirò. E la ferirò per non averglielo detto prima e questo-», si fermò, mordendosi un labbro, «è per questo che ci siamo lasciate: perché non riesco a essere sincera».
«Intendevo questo con paghi il conto, Luthor. Cosa ti aspettavi? Devi prenderti le tue dannate responsabilità». Si fermò anche lei e spalancò gli occhi, portandosi lentamente una mano sul cuore. «Che qualcuno mi fulmini, comincio a parlare come Cat Grant». Lena si alzò e aprì la borsa e il portafogli, lasciando soldi sul bancone. Leslie dovette seguirla per il bar e riuscì appena in tempo a bloccarla prima che uscisse. «Che cazzo fai? Nemmeno mi saluti? Dannazione, ora che cominciavo a sentire», allungò e accorciò un braccio, indicando se stessa e Lena, «una connessione tra noi».
«Sei ubriaca, Willis. Ti chiamo un taxi».
«Va bene, io sono ubriaca. Ma tu sei idiota. Sei l'idiota più intelligente di sempre perché ti fermi per paura alle cose», scosse la testa. «Per questo non hai lasciato Jack e per questo ti sei lasciata scappare Kara. Adesso so che farai: ti chiuderai a riccio, farai finta di niente finché questo senso pesante», si toccò il petto, «che hai, quella-quella roba, quel segreto che ti porti dietro come se stessi espiando chissà quale peccato non diventerà di nuovo pesante come… un cazzo di mammut», rise. «E allora, sarà allora, che ti sentirai al punto di partenza e sarai di nuovo al bivio: dirglielo o non dirglielo? La seconda opzione ti farà ripartire da zero, un loop di merda; ti renderà infelice per tutto il resto della tua ricca vita. Anche la prima opzione ti farà soffrire», annuì, mentre Lena la fissava con le lacrime agli occhi e un'espressione dura. «Ti farà soffrire eccome ma ti renderà libera. E lei ce l'avrà con te, mi pare ovvio, ma sai qual è la cosa bella? Che siete sorellastre, Lena, dove cazzo vuoi che vada, dovrà affrontarti! E forse», puntò in alto un dito, reggendosi a una sedia del bar per non cadere, «Forse lei ti perdonerà. Per me la scelta è facile, eh. Per me, ma per fortuna… io non sono te», rise di nuovo e la ragazza scosse la testa, uscendo dal locale.
Le chiamò un taxi e dopo sparì, lasciando Leslie al suo sorriso compiaciuto.

Kara restò con Lois per tutto il tempo all'incontro con il detenuto protagonista del suo prossimo articolo. L'aveva tenuta d'occhio mentre prendeva appunti, ascoltava con attenzione le parole dell'uomo in lacrime, quasi non batteva ciglio data la concentrazione e la risolutezza, spiegando anche a lei, che era al suo fianco, cosa stava succedendo e dove avrebbe cominciato il suo lavoro. Con un solo sguardo, Kara riusciva a percepire tutta la disperazione di quel carcerato, chiedendosi se davvero fosse là a causa del Generale Zod. Una giuria lo aveva condannato, ma ad averlo portato davanti a loro era stato lui. Non riusciva a togliersi dalla testa il commercialista che si era suicidato ad Halloween e quel brutto presentimento che non fosse un vero suicidio e che Zod era arrivato a lui prima di lei. D'altronde, lui era al comando da qualche mese. Piuttosto grande come coincidenza. Se Zod faceva parte della stessa organizzazione criminale, allora forse stava saldando qualche conto rimasto aperto e la voglia di andare a trovare sua zia si faceva ancora più forte.
Lasciarono la stanza quando riportarono l'uomo nella sua cella e Lois scosse la testa, appoggiandosi al muro con fare esausto. Sentiva lo sguardo di Kara sul suo. «So cosa stai pensando… Perché è quello che sto pensando anch'io».
«Stanno tentando di riprendere potere, non è vero?», le chiese, aggrottando le sopracciglia. «Sai di chi parlo».
Si zittirono quando una guardia le venne a prendere, così ripresero a camminare dietro la donna in divisa. «Clark non vuole che te ne parli», sibilò.
«Clark non è qui», irrigidì i denti, chiamando per la prima volta suo cugino col suo nome per intero. «Se sai qualcosa, devi dirmelo. Comunque non mi fermerò e questo lo sa anche lui».
Lois richiamò la guardia e le chiese di dare loro un momento, così si fermarono per il corridoio e si misero vicine, accostandosi a un muro. «Per intenderci: io ero contraria ma lui… sai com'è fatto! Siamo venuti a trovare tua zia, tempo fa. Abbiamo provato a parlare con lei ma è stata lei a non volere parlare con noi: vuole solo te. Ma lasciando perdere questo, ho continuato a fare ricerche per conto mio, sai, profilo basso, mi tengo impegnata con altro e nessuno sospetta, anche quando Clark ha deciso di lasciar perdere».
«Ha deciso di lasciar perdere?». In fondo lo sapeva, eppure sentirlo dire in un certo senso la ferì.
Lois mise su una faccia dispiaciuta. «Lui non ricorda tutto, lo sai. Si è sforzato, ma questa ricerca avrebbe finito per divorarlo, ho continuato io per lui. E lui lo sa, anche se non vuole che gliene parli: teme che mi succederà qualcosa se lo faccio, per questo mi ha chiesto di non dire niente anche a te. Vorrebbe che ne stia fuori», prese fiato, guardando la guardia con la coda dell'occhio che, appoggiata contro un muro anche lei, controllava il suo cellulare. «Ma devi saperlo: sto stilando una lista di nomi, chi faceva parte dell'organizzazione che teneva in pugno National City e allora non era stato arrestato. Inserisco in lista chiunque mi sembri sospetto».
«Zod ne fa parte».
«Non c'è parte del mio corpo che mi sussurri il contrario», astrasse un sorriso. «Lavorava a Metropolis, prima. Lo tenevo d'occhio da allora, sapevo che aveva avuto dei trascorsi a National City. Poi è stato trasferito con tanto di promozione e la cosa ha cominciato a puzzare…».
«Il commercialista potrebbe essere stato spinto al suicidio», sussurrò Kara. «Devo avere quella lista».
«No», rispose prontamente, allontanandosi da lei e mettendo le braccia a conserte. «Non ho prove concrete sui quei nomi e non farei altro che influenzarti. Tua zia, d'altro canto…».
Kara sbuffò. «Lei saprà di certo chi è coinvolto…».
«E parlerà solo con te», le ricordò.
Così Kara chiamò la guardia e le disse, svelta, di accompagnarla nella sezione femminile.

Lena guidò fino ai pressi di un parco, così parcheggiò in mezzo alle altre macchine e si rilassò sul posto di guida, osservando lo scrosciare della pioggia sui finestrini. Riconosceva il parco: c'era stata con Kara quando ancora non stavano insieme, quando avevano deciso di esserci l'una per l'altra, quando lei per prima le aveva detto che voleva che fossero sincere. Si sentiva così stupida, adesso. Deglutì e batté una mano sul volante, prendendo fiato. Sapeva cosa doveva fare: riprendere terreno con Kara e avere così modo di dirle la verità. Non poteva chiudersi a riccio come le aveva detto Leslie: era arrivato il momento di essere coraggiose e affrontare ciò che le faceva paura. Sarebbe stato difficile, ma non poteva nascondere la testa sotto alla sabbia per sempre e arrancare scuse.
Guardò sul lato del passeggero la borsa con all'interno il suo laptop, decidendo che era arrivato il momento di affrontare anche qualcos'altro. Tirò fuori il portatile e si sedette sul lato del passeggero, aprendolo e accendendolo. Ritrovò con un click la chat del profilo misterioso e rilesse attentamente i messaggi, poi pensò a cosa scrivere, restando con le mani in aria. Stava per fare la sua mossa che un'altra notifica prese la tua attenzione e aprì la chat: era uno dei suoi informatori.
X: Compagn*, mi rivolgo a te che scavavi sul passato di Lionel Luthor: stanno sparendo i dati. Ne sai qualcosa?
Il cuore di Lena prese a battere più velocemente, sentendo il sangue ritirarsi. Come sparendo? Scrisse di getto una risposta e l'informatore controbatté a breve:
X: Sì, mi stanno informando più persone che ciò che era libero ieri, oggi non c'è più. Tutto ciò che riguarda il passato di quell'uomo su internet sta svanendo. Com'è possibile?
Lena irrigidì i denti e chiuse la chat, rileggendo i messaggi del profilo misterioso. Iniziò a digitare, cambiando completamente natura del messaggio che avrebbe inviato solo pochi secondi prima.
Z: Lo stai facendo tu?
X: Che cosa?
Z: Sai di cosa parlo.
X: Sì. È vero. Lo sto facendo io. Per te.
Lena tremò e aprì solo un poco il finestrino, facendo in modo che le arrivasse aria poiché all'improvviso si sentì soffocare. Guardò con espressione dura l'inquietante messaggio e riportò le mani sulla tastiera.
Z: Per me?
X: Ciò che ha fatto quell'uomo resterà nel passato. Per il resto, per qualsiasi cosa avrai bisogno di me.
Z: Sai chi sono?
X: Sì.
Prese un bel respiro, tenendo d'occhio il cerchio in basso a destra della chat che girava, segno che stava ancora scrivendo.
X: Lena.
Con uno scatto spinse indietro il portatile che per poco non le cadeva dalle gambe e prese fiato a più riprese, con un principio di tachicardia. Loro non erano riusciti a scoprire chi era, ma il profilo misterioso era più in gamba e capace, tanto da non solo sapere la sua reale identità, ma di essere anche in grado di cancellare tutto ciò che di Lionel Luthor si sapeva nel web. Avevano a che fare con un professionista. Con un hacker professionista. Deglutì e chiuse la chat, aprendo Google. Le serviva trovare hacker bravi, i più bravi della zona o limitrofi. Iniziò a dare un'occhiata ad alcuni profili che le squillò il telefono, mettendo in vivavoce e appoggiandolo sul cruscotto.
«Alex. Sa chi sono», le fece sapere subito. «Il profilo misterioso sa chi sono e sta cancellando dal web ogni traccia di mio padre per…», prese fiato, «presumibilmente essere considerato da me. Oppure per fare piazza pulita».
«È più probabile che sia la seconda», le rispose dopo un breve attimo. «Mi ha appena chiamato Kara: è alla prigione di Fort Rozz e-».
«Fort Rozz?», Lena impallidì, spalancando gli occhi.
«Sì. Ha saputo che il commercialista è morto, quello che aveva condannato sua madre e che sua zia aveva tentato di salvare dalla prigione. Era uno di loro. È morto nella notte di Halloween, suicidio. Kara pensa che di mezzo ci sia il nuovo capitano della polizia, Zod. Crede che faccia parte anche lui dell'organizzazione e che stiano tentando ora di riprendere il controllo. Ne parlerò con Maggie».
Lena deglutì, mentre la tachicardia saliva. «E ora? Cosa vuole fare Kara?».
«Credo voglia andare da sua zia, così mi ha detto. Mi è parsa piuttosto nervosa di andare da lei, comunque».
Lena si lasciò andare di peso contro lo schienale, ricominciando a tremare. La zia glielo avrebbe detto. Sarebbe stato tutto inutile, il suo piano per riconquistare la fiducia di Kara e dirle la verità, se sarebbe stata lei a dirgliela.
«Lena? Hai il fiatone, tutto bene?».
«Sì. Sì, sto bene».
«Se pensi di non essere al sicuro, farò andare da te una scorta che ti protegga. Se ciò che ha detto Kara è vero, seguendo ciò che hai scoperto, con la cancellatura del materiale su tuo padre, il profilo misterioso fa parte di quelle persone, Lena. Dobbiamo andarci caute».
Oh, non era affatto sicura che fosse così. Non che scartasse a priori che ne facesse parte, ma da come le aveva risposto, sembrava che avesse cancellato quelle cose per fare in modo che avesse bisogno di contattarlo. E un hacker, se bravo come si lasciava intuire, poteva aver scoperto la verità online. Arrivare ovunque dalla rete. Passò il pollice destro sul nastro nero sopra la fotocamera del pc: poteva davvero osservarla, dopotutto. «N-No… No, lascia stare. Non mi sento minacciata fino a quel punto».
«Forse dovresti», replicò. «Intanto, ho assistito poco fa a un'interessante discussione dalla nostra trasmissione preferita: la microspia».
«Come stanno i nostri vip?».
Alex non si lasciò attendere: «Uniti in tv, separati in casa. Ho sentito solo un pezzo della loro discussione, si erano allontanati, ma se ho ben capito il nostro caro senatore non parteciperà al dibattito e questa sera, a registrare, ci andrà solo la tenera mogliettina. Lui ha incrociato Kara a Fort Rozz e Rhea è andata su tutte le furie, hanno litigato e… quella donna odia davvero tanto Kara, credo abbia pensato che fosse lì per incontrare lui. Sta diventando paranoica».
«Pericolosa», aggiunse Lena. «Lo hai detto a Kara?».
«Sì. Sì, certo, ne è al corrente. Non se ne preoccupa, sai com'è fatta». Si stette zitta e lo stesso fece Lena, indugiando a lungo sulla pioggia che si faceva via via meno forte. «Lena…», attirò di nuovo la sua attenzione, «Volevo che tu avessi le mie scuse. Kara ed io ne abbiamo parlato e-».
«Va bene», rispose lentamente, quasi senza espressione.
«No, sono stata un po' dura. Kara ti ama e tu la ami, quindi… risolvi ciò che devi, lei ti aspetta. E poi siate felici». Chiuse la telefonata e una calda lacrima rigò il viso di Lena: se Kara avesse scoperto tutto da Astra, non ci sarebbe più stata alcuna possibilità con lei. Aveva perso la sua occasione. Aveva perso e l'avrebbe pagata cara.

«Sei… ubriaca?», starnazzò Cat Grant, spalancando gli occhi. Si era appena presentata sul set del programma televisivo per registrare il dibattito e aveva sorpreso Leslie Willis già lì, seduta nel camerino per gli ospiti che canticchiava davanti allo specchio, facendo girare e rigirare la sedia a ruote su cui era seduta.
«Rilassati, meringa», ridacchiò, ironizzando sul suo completo bianco, «Do il meglio di me da ubriaca. E di certo non potevo restare lucida sapendo di dover avere a che fare con Rhea Gand».
«Mi metterai in imbarazzo», si recò sulla sua sedia, poi, scuotendo i capelli davanti allo specchio su parete. «Ma d'altronde non sarebbe la prima volta».
Leslie rise, facendo un'altra giravolta con la sedia. «Tanto saremo in due contro uno. Non l'hai saputo?», si fermò e cercò di riprendersi un attimo dal capogiro prima di continuare. «Lei è già qui ed è sola: dicono che lui è troppo impegnato. Alla faccia del voler vincere il dibattito a ogni costo».
Cat Grant assottigliò i suoi occhi e infine si appoggiò meglio sullo schienale della sedia, mettendo le gambe una sopra l'altra. «Avranno litigato… La coppia modello sta naufragando più veloce di quanto mi aspettassi», si voltò poi a lei. «Abbiamo un vantaggio, cerca di non sprecarlo».
«Signorsì, capitano», rise e girò di nuovo; Cat Grant si portò una mano sulla fronte, prendendo un bel respiro.

La guardia era davanti a una porta e, non distante, c'era Lois Lane che aspettava solo lei, in quello stretto corridoio. Erano arrivate nella sezione femminile del carcere e Kara si era allontanata solo un attimo per telefonare Alex e aggiornarla, il tempo per andare a chiamare sua zia Astra. Era la visita che la donna aspettava da quel giorno a scuola, quando le avevano separate ed era stata arrestata. Da quel giorno non la rivedeva. Le aveva sempre inviato delle lettere, una ogni giorno, ma non ne aveva mai letta nessuna. Sua zia aveva tradito sua madre e suo padre e aveva tradito la sua fiducia; loro erano morti anche per causa sua. Il cuore le batteva così forte e si sentiva così leggera, camminando verso di loro, che pensava di svenire. Sarebbe riuscita a guardarla negli occhi e ascoltare la sua voce dopo tanti anni? A rivedere nel suo volto sua madre e allo stesso tempo chi era in parte responsabile di averla portata via da lei?
«Eccoti», le sorrise Lois, accogliendola con una mano stretta su un braccio. «Lei è già qui».
A Kara mancò l'aria. Si avvicinò al vetro del corridoio e si affacciò alla stanza adiacente, dove i vetri separavano le detenute dai visitatori. Alcune donne erano già sedute e parlavano attraverso la cornetta ai loro cari, ma una sola stava aspettando. Era seduta e si guardava intorno come se si sentisse a disagio; i capelli sciolti sulle spalle, spettinati e rovinati, il naso un po' rosso, gli occhi incavati, un viso che, malgrado gli anni passati, le ricordava casa e il dolore per averla persa.
«Kara», la chiamò Lois, appoggiandole con delicatezza una mano sulla spalla destra. «Il tempo che vuoi. Quando sei pronta, ci facciamo avanti».
Accidenti, faticava a pensare che ci sarebbe stato un momento in cui sarebbe stata pronta. Tuttavia, non sapeva per quanto ancora sarebbe stato orario di visite e non poteva restare in quello stato per sempre. Oh. Kara spalancò gli occhi azzurri quando la donna, quella zia che ormai non riconosceva più, alzò lo sguardo e incrociò il suo. Dopo tanto tempo si erano guardate e la ragazza si sentì gelare, facendo mezzo passo indietro. Astra si alzò dalla sedia e iniziò a battere sul vetro, gridando il suo nome. Kara vide che due guardie la intimarono di calmarsi e poi cercarono di metterla di nuovo a sedere con la forza, ma stentavano a farcela, lei era forte e continuava a battere e a chiamarla. Lois provò a dirle qualcosa ma Kara increspò i suoi occhi e si voltò, correndo via. Sentiva ancora le grida di sua zia. Le sentiva nella testa. Diede un pugno contro il muro, spaventando una guardia, e se ne andò.


***


Paradossalmente, se a National City la giornata era grigia e pioveva, a Gotham c'era il sole, seppur pallido. In ogni caso, di certo Bruce Wayne non era là fuori a godersi quel tempo inusuale: era stato oberato di lavoro e non usciva dal suo ufficio da troppe ore. E aveva come la sensazione, anche se non osava dirlo a nessuno, che alla Wayne Enterprises stessero cercando di tenerlo occupato il più possibile, e magari lontano da quello che i soci sembravano avere in mente. Perché era certo che nascondessero qualcosa. Quando cominciò a farsi buio, qualcuno entrò nel suo ufficio per dirgli di tornare a casa e rilassarsi, che anche loro stavano staccando, e Bruce concordò, stirando la schiena e sbadigliando. O almeno finché non si chiuse di nuovo la porta. Finse di essersene andato e chiuse a chiave il suo ufficio, nascondendosi in uno dei bagni del piano. Seguì il suo lavoro da cellulare e giocò a Candy Crush per un po', forse un'oretta, il tempo che sperava fosse sufficiente per uscire e dare un'occhiata a ciò che i suoi colleghi stavano lavorando in sua assenza. Il corridoio era buio e tutti gli uffici erano chiusi e spenti. Camminò comunque più piano che riusciva, muovendosi furtivo. Si fermò solo quando intravide una bassa luce provenire dalla sala conferenze: non poteva credere che qualcuno era ancora lì nonostante si stesse facendo notte. Si affacciò, restando nascosto dall'ombra.
Lei parlava al telefono e accennò una risata, coprendola con una mano per non fare troppo rumore. «Sei carino. Te l'avevo mai detto?». Soffocò un'altra risata e Bruce alzò gli occhi al cielo, incredulo che stesse ancora lì solo per scroccare qualche telefonata. «Oh, mi stanno chiamando, ti devio lasciare. Ma no, sciocchino, è per lavoro. Ti richiamo». Staccò la telefonata e cliccò un pulsante sulla tastierina numerica, restando in attesa. «Allora. Posso dirle dire che è tutto pronto, mancano solo le nostre firme». Bruce la scorse annuire e giocare con una penna. «Ho i documenti qui davanti a me, possiamo procedere. No, non ne sa niente. Intende il giovane Wayne, no?». Si alzò dalla sedia e prese in mano il cordless, camminando verso i vetri a muro del palazzo. «Il poverino pensa che sia dei nostri perché una volta diventato maggiorenne ha iniziato a lavorare qui a tempo pieno, ma non è a capo delle cose, non vedo perché debba preoccuparsi. Ah, se non è preoccupato allora tanto meglio», la vide scrollare le spalle e poggiare la mano libera su un fianco. «Dopo questa il nostro lavoro in comune è concluso, giusto? Tanto per mettere in chiaro le cose, le dovevamo solo questo», disse, gesticolando come se avesse potuto vederla. «Perfetto. È stato un piacere fare affari con lei».
Chiuse la chiamata e Bruce tornò qualche passo indietro, aprendo e chiudendo una porta: quel rumore, nel silenzio che c'era, fece spaventare anche lui.
«Chi è?», chiese lei, mettendosi in allarme.
Non ci volle molto per vederla uscire dalla sala conferenze e guardarsi a destra e sinistra in attesa di vedere qualcuno. Ma non vide nessuno: Bruce fu veloce a entrare dietro di lei mentre era impegnata a cercarlo all'esterno. Con passo felpato si divincolò tra tavolo e sedie, allungando lo sguardo verso la postazione giusta.
«Nessuno?», chiamò di nuovo. Tornò indietro di corsa e riaprì un'anta della porta a vetri che si era chiusa. Controllò che non ci fosse davvero nessuno e allora tornò alla sua postazione, decidendo di riordinare tutto e andarsene.
Bruce corse per le scale, tentando di non far rumore. Si spaventò solo quando udì il cellulare squillargli in un taschino del giaccone, prendendolo subito e aprendo la chiamata per farlo smettere. «Sì?», rispose in un brusio. «Sto tornando. No, sto per tornare, davvero. Tornando e per tornare sono sinonimi, in questo caso, Alfred», si sforzò per mantenere bassa la voce, fermandosi su un pianerottolo. «A tra poco». Chiuse la chiamata e guardò verso l'alto, con la paura di essere scoperto. Decise di inviare un messaggio subito, facendosi scudo del buio.
Da Me a Lena Luthor
Non capisco perché si siano premuniti di tenermelo tanto nascosto, ma sono riuscito a scoprire cosa combinano: la Wayne Enterprises ha venduto un vecchio magazzino chiuso da tempo qui a Gotham, poco fuori dal centro. Non so quanto possa interessarti, forse il compratore è di National City, comunque darò uno sguardo appena mi sarà possibile. Buonanotte.
Lena lesse il messaggio e s'imbrunì, poi spense lo schermo del cellulare e si passò una mano tra gli occhi con fare stanco, dando di nuovo completa attenzione alla chat aperta con il profilo misterioso.
Z: Dunque hai cancellato i dati su mio padre per farmi un favore?
X: Sì.
Z: Perché dovrebbe essere un favore?
X: Perché non vuoi che si sappia.
Lena deglutì.
X: So che non vuoi che si sappia, Lena. Puoi fidarti di me, sono qui per aiutarti.
Z: Di cosa stai parlando?
X: Sai di cosa parlo, ma ti piace girarci intorno. Non lo hai ancora detto a Kara, vero?
Lena si tirò più indietro, respirando a pieni polmoni, rumorosamente.
X: Vero?
Iniziò a digitare con le mani che tremavano.
Z: Come lo sai?
X: Io arrivo ovunque.


































***

Ma quanto è inquietante Indigo da 1 a che ansia?
Bentornati a un nuovo capitolo :) Se lo scorso era privo di sviluppi sulla trama, con questo abbiamo recuperato qualcosa.
Cat Grant ha dato una spinta a Kara e, andando a Fort Rozz, il cucciolo (XD) ha incontrato il senatore, poi Lois, e insieme sono andate a conoscere un detenuto che giura di essere stato rinchiuso ingiustamente. Nuove dure politiche del nuovo capitano della polizia, l'uomo che chiamano il Generale Zod? Intanto, il commercialista condannato da Alura è morto suicida pochi mesi fa e, preoccupata per la salute di sua zia da una parte e curiosa di ricevere le informazioni giuste dall'altra, ha pensato di andare a trovarla… peccato che non abbia retto e sia scappata! Le avrebbe detto dei Luthor, altrimenti?
Lena si era seriamente preoccupata, tanto che per un attimo ha smesso di pensare a X e la sua inquietudine. Difatti, pare proprio che X si sia dato da fare per eliminare i dati online su Lionel Luthor. Se non altro, grazie a questo, Lena si è messa in testa di poter scoprire chi è. Stanerà Indigo?
E poi c'è Leslie Willis, che in questo capitolo amo follemente. Il suo discorso a Lena è la parte del capitolo che preferisco, lo ammetto.
Ah! Bruce Wayne ha finalmente scoperto una vendita che tanto avevano cercato di tenergli nascosto. Chi avrà comprato un vecchio magazzino a Gotham?
In tutto questo, la coppia scoppia! Uniti in tv ma separati in casa, dice Alex, sui coniugi Gand. Cosa ne pensate di cosa sta succedendo? Rhea sembra quasi arrivata a un punto di rottura…

Scrivetemi cosa ne pensate del capitolo e se vi è piaciuto, io passo e chiudo ;)
Il prossimo capitolo si intitola Addio al secondo nubilato e sarà pubblicato lunedì!

   
 
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