Sei
persone trasportarono la grandissima torta nuziale a tre piani
nell'enorme salone del ricevimento. Panna, rose in pasta di zucchero
e dei disegni su tutta la superficie. La wedding planner, Janine, era
davanti che dettava disposizioni come un vigile, mentre tutti
applaudivano. C'erano i Luthor, c'erano i Danvers e tanti bambini che
esultavano alla vista di quel dolce gigantesco, la troupe televisiva
che aveva seguito attentamente l'ingresso fin dal furgone che lo
aveva trasportato, la troupe della CatCo che scattava foto agli
invitati e alla famiglia, e gli innumerevoli invitati, appunto, che
continuavano ad arrivare in quell'hotel in centro a National City,
prenotato completamente solo per loro per due giorni interi. Felipe
lo stilista le aveva raggiunte scusandosi per essersi perso i voti,
dicendo che in ogni caso si sarebbe commosso; Maggie aveva dovuto
trascinare via Jamie quando la bambina lo aveva indicato scambiandolo
per un pony arcobaleno della tv. C'era Cat Grant, vestita con estrema
eleganza. Marielle che si sentiva un pesce fuor d'acqua. Il sindaco,
che era arrivato con la scorta e probabilmente già un po'
brillo,
per come rideva. Dipendenti della Luthor Corp e amici. Erano presenti
diverse famiglie di spicco della città, perfino la padrona
di
Proiettile con lui in borsetta. C'erano diversi volti noti per la
televisione e alcuni della radio locale, alcuni giornalisti non per
lavoro, e perfino qualche campione in discipline sportive. Eliza per
prima era rimasta spiazzata dalla mole di persone che si stavano
presentando per festeggiare il suo matrimonio; ricordava gli inviti,
ma mai avrebbe pensato che avrebbero realmente partecipato. Quel
ricevimento era un vero e proprio evento; non ricordava così
tante
facce importanti nemmeno alla festa del loro fidanzamento e, per un
attimo, si sentì come se avesse dovuto sostenere un duro
esame, dato
che molti di loro la guardavano.
«Quando
abbiamo… Beh, quando mi hai detto che avremmo dovuto
invitare anche
loro», indicò Eliza, stringendo Lillian vicino a
lei, «e loro,
oppure loro, oh, e lui, lei è… non fa
scherma?».
«È
la campionessa in carica».
«Sì.
Ecco, dicevo… quando mi hai detto che avremmo dovuto
invitarli, una
parte di me era convinta che non si sarebbero davvero precipitati
qui, andiamo», rise, «Credevo fosse una
formalità. Che si usasse
nel tuo mondo».
«Il
mio mondo?!», Lillian sorrise, adocchiandola. «Ti
svelo un segreto,
mia cara», bisbigliò, «Partecipare
è la vera formalità. Alla
maggior parte dei nostri invitati interessa mostrarsi, farsi
riprendere e lasciarsi intervistare su quale vestito indossiamo
preferisce. È una nota da spuntare in un'agenda. Non sono
qui per
noi, sono qui per loro», sorrise, quando la signora le
mostrò
Proiettile nella borsetta. «Non lasciarti incantare da questo
mondo»,
sottolineò, carezzandole una guancia,
«Poiché è come un
bell'incarto su una scatola vuota».
Eliza
le baciò la mano che le aveva lasciato sul viso, trattenendo
un
sorriso. «Pensi che non lo sappia? Questo non mi
impedirà di andare
a farmi rilasciare un autografo». La vide sghignazzare e le
scivolò
via, dopo averle regalato un bacio.
Lillian
la tenne d'occhio mentre si divincolava tra i tavoli tondi e le
sedie, andando a infilarsi in discussioni già iniziate in un
gruppo
di invitati. La vide scambiarsi un bacio con loro, ridere mentre le
davano gli auguri. Era certa che, se esistesse qualcuno in grado di
rompere il duro muro che divideva quel mondo di facciate dal suo,
più
umano, quella era proprio la sua neo moglie. Forse lei, davvero, non
si sarebbe lasciata comprare.
«Lillian!
Eccoti, finalmente! Dove ti eri nascosta?», per poco, Lionel
non le
aveva urlato, pur conservando un tiepido sorriso.
Vestito
verde che esaltava gli smeraldi sulla collana, i capelli appena
lavati e ancora umidicci sulle punte, tenuti su da uno chignon, le
scarpe nere e ora lucidate; Lillian si era passata le mani sull'abito
e lo aveva lisciato, in special modo sul ventre ancora piccolo,
sperando di camuffarlo. «Sono andata a cambiarmi per essere
più
comoda, mio sposo». Si era alzata sulle punte dei piedi per
baciarlo
e lui aveva ricambiato, stringendola.
«Avresti
dovuto avvertirmi, qui tutti ti aspettavano». Lillian non
aveva
notato, prima di quel momento, quante persone fossero lì al
loro
ricevimento; quanti volti famosi dell'epoca, importanti; volti che
con lei, prima di allora, non c'entravano niente. Era davvero un
altro mondo; o così le era parso subito. Lionel le aveva
preso un
braccetto, invitandola a seguirlo in modo che facesse la conoscenza
di qualcuno di loro prima del pranzo.
Eliza
non era l'unica a meravigliarsi della quantità di persone
importanti
presenti in quell'hotel insieme a loro: i parenti Danvers, dal primo
all'ultimo, avevano iniziato a comportarsi in modo strano. Se
già in
presenza della troupe televisiva, in molti avevano iniziato ad
atteggiarsi sventolando mani, a fare facce concentrate e fingere di
guardare punti lontani, a sistemarsi gli abiti convulsamente e a
rinnovarsi il trucco ogni quindici minuti, ora si concentravano per
avere un aspetto più signorile, ridendo a battute in
discorsi altrui
e riprendendo i figli che, come ogni bambino avrebbe fatto, giocavano
a rincorrersi tra i tavoli. Odiavano l'idea di fare brutta figura,
ora, a confronto con i più pacati Luthor. Invece, Maggie
aveva
concesso a Jamie di andare a correre con gli altri bambini e giocare,
ma a un patto.
«Chi
è Rainbow Dash?», domandò Alex, alzando
le sopracciglia.
«Un
amico di Jamie», ridacchiò lei, andando a
rifugiarsi tra le sue
braccia e, alzando il mento, indicando lo stilista.
«Ooh,
Felipe», sorrise, mentre l'altra le insisteva di fare
silenzio,
battendole
una spalla.
Lo tennero d'occhio mentre, con concentrazione quasi maniacale, si
rimetteva da un lato il ciuffo di capelli arcobaleno riflettendosi su
uno specchietto da borsetta.
«Basta
che gli stia lontano. Non voglio che finisca sui giornali come la
bambina molesta che importunava lo stilista di una delle
spose».
Alex
ridacchiò. «Tu
ci credi che tutta questa gente stia
respirando la nostra stessa aria?».
Maggie
le sorrise. «So che avevano invitato anche il capitano Zod,
ma a
quanto pare ha declinato». Alex si fece più seria
e sospirò, tanto
che la ragazza si staccò da lei, guardandola negli occhi.
«Se Zod
fosse colpevole, pensi che Lillian lo avrebbe invitato?».
«Dubito
che Lillian conosca tutto di tutti».
«E
dai, Alex… Dai il beneficio del dubbio, per una volta.
Sappiamo dei
Gand e, se fosse uno di loro, il nome salterà fuori con la
microspia, prima o poi».
La
ragazza si appoggiò contro una sedia, sospirando
rumorosamente.
«Dovremo ascoltare due giorni di audio, da domani, a
proposito».
«Io
farò doppio turno, domani».
«Tu»,
la indicò, «sei davvero furba. Vorrà
dire che mi farò aiutare da
una delle due piccioncine sfortunate».
Maggie
intercettò il suo sguardo e sorrise, osservandole poco
lontano dalla
torta, in piedi e vicino al muro, che parlavano e sorridevano,
lontano da tutto e tutti, in un mondo a parte solo per loro. Si
chiesero entrambe di cosa stessero parlando. «Quanto ci
metteranno
per rimettersi insieme, secondo te?».
Alex
mise le braccia a conserte. «Lena le tiene nascosto qualcosa
e Kara
è su di giri, non le piace che le si nascondano le cose.
D'altro
canto, le sbava sopra da quando è arrivata e l'ha vista
vestita da
damigella, stamattina. Lena le ha praticamente detto che le
salterebbe addosso. Dunque…», ci pensò,
assottigliando i suoi
occhi, «do loro pochi giorni. Il tempo di parlarsi e
metabolizzare
la parentela».
«Stanotte»,
decise invece Maggie, mentre l'altra sgranava gli occhi. «Do
loro
fino a stanotte, credimi».
«Ma
no».
«Siamo
in hotel, si beve, farà caldo tra un po', si ride, si stanno
studiando con gli occhi, si vogliono. Stanotte»,
ribadì, «Vuoi
scommettere?».
«Ci
sto». Si strinsero le mani, riguardando verso le due.
«È troppo
presto».
«Vedrai,
Danvers».
Lena
non riusciva a staccare lo sguardo dalle sue labbra. Brillavano con
quel lucidalabbra. Si domandava a che gusto fosse. A che gusto
fossero le sue labbra, la sua bocca, la sua lingua. Doveva smetterla,
lo sapeva, ma non riusciva a fare a meno di guardarla e pensarla su
di lei. Doveva essere l'effetto del matrimonio.
«E
allora cammino lungo questo corridoio, sembrava deserto»,
Kara prese
una pausa, guardandola negli occhi, che lei rialzò,
«prendo la
racchetta del lacrosse per colpire quello che penso sia un ladro, i
rumori non smettono un attimo. Mi affaccio alla porta aperta, alzo la
racchetta e gliela sbatto in faccia», gesticolò,
facendo sorridere
Lena. «Ma era solo Mike».
«Mike?
Il tuo ex ragazzo?».
«Quel
Mike», annuì, roteando gli occhi. «Gli
ho fatto il naso rosso,
avevo paura che gli uscisse sangue e volevo portarlo da un medico, ma
quando mi giro per aiutarlo, lui è sparito o-o meglio, non
è
sparito, è ancora lì e lo trascino per andare
fuori, ma non era
Mike! Per me lo era, sapevo che era lui, ma in realtà era
solo un
enorme e gelatinoso orsetto gommoso».
Lena
rise ancora. «Non lo avrai mangiato?».
«No.
Per me era Mike e poi era rosso proprio come il suo naso, quindi era
per forza lui», scrollò le spalle.
«Fammi
capire, Kara Danvers: questa notte sono rimasta al tuo fianco con la
paura che potessi sentirti male, e non ho quasi dormito, mentre tu
sognavi di essere in compagnia del tuo ex ragazzo sotto forma di
orsetto gommoso?».
Lei
trattenne il fiato, per poi annuire.
«Precisamente», arrossì,
puntando altrove il suo sguardo. «Oh, ora si
mangia». Indicò i
camerieri e la gente che si preparava per andare ognuno al proprio
posto, segnati su un tabellone. Salvata dal pranzo, o almeno credeva:
la discussione era finita in un attimo imbarazzante, ma Lena era al
suo stesso tavolo e, sedendosi, scoprì che le era proprio
accanto.
Sentiva il suo cuore battere così velocemente. Accidenti,
voleva di
nuovo Lena con sé più di ogni altra cosa, e da
come la guardava e
le parlava, sapeva che per lei era lo stesso, ma erano al matrimonio
delle loro madri e dovevano stare attente a come si comportavano,
oltre al fatto che quel segreto pendeva ancora sulle loro teste
tenendo sotto scacco la loro relazione. Alex le si sedette dall'altro
lato e le sorrise, portando avanti la sedia. Anche Maggie le sorrise,
sistemandosi dopo Jamie, che aveva già morso un pezzo di
pane preso
nel cesto in mezzo alla tavola. Dopo entrambe sorrisero a Lena che,
accorgendosi dei loro sguardi, le aveva ricambiate in modo perplesso.
«Allora,
ragazze». Eliza prese la loro attenzione, mentre la
telecamera
girava intorno al loro tavolo. «Siete pronte per cantare e
suonare?».
Lena
e Kara si scambiarono uno sguardo, sentendo con una lieve dose di
ansia che la telecamera le stava riprendendo.
«S-Sì», annuì la
seconda, seppur con titubanza.
«Certo»,
disse anche Lena, più calma, mentre una cameriera serviva il
tavolo.
«Abbiamo fatto diverse prove, ormai ci verrà
naturale».
Lillian
era tra Eliza e Lex, quest'ultimo accanto a Lena. Le lanciò
un'occhiata. «Ma non vi siete ancora esibite davanti a tutte
queste
persone», fece notare. «È normale se vi
sentiste sotto pressione».
Lena
schiuse le labbra, fingendo di dover ancora ingoiare e così
prendendo tempo: non poteva di certo mostrare le sue antipatie verso
la madre sotto telecamera. Avrebbe tanto voluto che, invece di darsi
il cambio per mangiare, la troupe fosse andata tutta a pranzo e farsi
così gli affari propri. «Forse all'inizio
sarà strano, ma… Io
non mi esibisco con pubblico da tempo, come sai, ma sarà
come andare
in bicicletta e Kara dovrà solo guardare me». Le
scoccò
un'occhiata. «Le verrà bene». Lillian
spense il sorriso.
Lex
guardò una e poi l'altra, decidendo di porre fine a quel
discorso.
«Eliza, il tuo ex marito non si unirà a
noi?».
Lei
guardava ancora Lillian e alla domanda bevve un sorso di acqua.
«Sì,
ma sul tardi. Purtroppo doveva lavorare, altrimenti non sarebbe mai
mancato». Era sempre grata del fatto che, anche dopo il
divorzio,
fossero rimasti in buoni rapporti. Certamente non si sentivano tutti
i giorni e poteva capitare che non avessero contatti per mesi, ma lui
restava il suo migliore amico e questo non sarebbe mai cambiato: lo
erano prima di mettersi insieme da giovani, lo erano quando si erano
sposati da adulti e lo erano da divorziati. Mezza vita insieme e due
figlie meravigliose: non poteva essere diversamente. Eliza
rialzò lo
sguardo e, in un attimo, lo vide.
«Cosa
c'è? Ti senti bene?». Jeremiah l'aveva vista
sofferente e le aveva
stretto una spalla. «Forse dovresti saltare certe
pietanze», le
aveva fatto notare mentre lei, stringendo i denti, si era coccolata
il pancione.
«Abbiamo
scelto un menù apposta che io potessi mangiare. La dietologa
è
stata molto chiara, Jeremiah: forse Alex vuole solo farmi i
dispetti». Si era stretta di nuovo e lui aveva aggrottato lo
sguardo.
«E
se andassi a sdraiarti?».
«Oh,
certo», aveva ridacchiato lei, «Mi faccio
accompagnare a casa, una
mezz'oretta e torno subito al mio matrimonio».
«Lo
so», le aveva sorriso lui, accarezzandole il pancione.
«È il
nostro matrimonio, ma sei incinta e niente viene prima di
questo».
Lei aveva voluto sorridere di rimando, ma un dolore fortissimo
l'aveva fatta piegare e trattenere il fiato, spaventando tanto suo
marito che si era alzato bruscamente dalla sedia e l'aveva fatta
cadere a terra, attirando l'attenzione della sala nel locale.
«Chiamate il nove
uno uno»,
aveva urlato allora, soccorrendo Eliza.
Si
fregò la pancia, ora magra. Con la coda dell'occhio
guardò Alex che
convinceva Jamie a mangiare le verdure sul piatto. Non le aveva mai
raccontato di quando, al suo matrimonio, aveva avuto paura di
perderla.
Avevano
quasi finito di mangiare che Lex si alzò dalla sedia con un
bicchiere in mano e lo fece tintinnare, attirando l'attenzione di
tutti, in special modo dei giornalisti della CatCo e della troupe
televisiva. «Ed eccoci tutti qui, in questa giornata di
festa, di
risate e di commozione», scoccò un'occhiata a
Felipe in lacrime, in
un tavolo vicino. «Dovete sapere che non ero affatto convinto
che
questo giorno sarebbe arrivato. Quando mio padre, il mio amato padre
venuto a mancare un anno e mezzo fa, mi disse che mia madre aveva
un'altra relazione, io restai… non sconvolto come potete
pensare,
ma piuttosto disorientato. Mia madre non è mai stata una di
quelle
persone a cui basta guardarle per capire tutto di loro; è
riservata,
non ama le dimostrazioni d'affetto, in special modo se in pubblico.
È
una persona… particolare. Loro erano separati in casa da
anni, non
è che mi aspettassi un loro per sempre felici e contenti, al
contrario», si sforzò per osservarla, ferma ad
ascoltarlo, «Ma se
mi avessero detto che uno dei due avrebbe cominciato ad avere una
relazione, avrei puntato su mio padre», disse seriamente,
eppure
qualcuno rise. «Eliza è la persona più
buona che io abbia mai
conosciuto. Una vera e propria onda di positività nella
nostra
famiglia; una boccata d'aria fresca. Con lei vicino è tutto
nuovo,
più bello», la scorse con la coda dell'occhio
ringraziarlo, «Con
Eliza accanto, anche mia madre è una persona nuova. La rende
felice
e non c'è niente che conti di più»,
sorrise, alzando il bicchiere.
«Sono contento che una persona come lei, ora, sia come una
madre,
per me. Per noi». Inquadrò Lena e
ringraziò tutti per l'ascolto.
«Beh, il pranzo non è ancora finito, non lasciate
che si freddi.
Buon appetito e grazie a tutti per essere qui a condividere con noi
questo splendido giorno». Buttò giù un
sorso del bicchiere e tutti
fecero lo stesso, per poi applaudire. Anche zia Lorna diede loro un
lungo sguardo, mentre applaudiva.
Alla
Lord Technologies, intanto, la pausa pranzo stava quasi per finire.
La sala mensa era ancora piena di dipendenti. Alcuni finivano la
frutta e altri liberavano il tavolino dagli avanzi e dai piatti
sporchi, lasciando pulito. Max Lord era comodamente seduto davanti a
uno di quei tavolini, in centro alla sala, da solo. Leggeva un
giornale mentre sorseggiava caffè dalla tazzina. Il piatto
davanti
con le sole briciole, il vassoio della frutta quasi pieno, la
bottiglia dell'acqua a metà. Un uomo gli si
avvicinò chiedendogli
scusa per l'intrusione, poi Max lo congedò e, finendo di
bere il
caffè, aspettò l'arrivo di altri due uomini e una
donna: Roulette
era arrivata, finalmente, e aveva l'aria lievemente seccata.
«Un
attimo solo», le disse lui alzando un dito indice, in modo
che
aspettasse di finire di leggere un trafiletto.
«Sì», bofonchiò
dopo, «Spiacevole
avventura per la nuova apertura a Gotham…
sì… Ragazzi
del posto,
di
strada,
ah, i
lavori procedono spediti e speriamo che, questa volta, Maxwell Lord
spenda di più in sicurezza».
Lord scosse la testa, ripiegando il giornale. «Mi occupo di
sicurezza da anni e mi vogliono insegnare a fare il mio
lavoro»,
delineò un forzato sorriso.
«Quei
ragazzi sono spuntati dal nulla, hanno colpito l'omone all'ingresso
di soppiatto, cosa pensavi che sarebbe successo? Io di certo non
voglio mettermi in fila per insegnarti a fare il tuo lavoro, bello
mio, ma è chiaro che qualche allarme ci avrebbe fatto
comodo, là
dentro», gli fece notare la ragazza e lui alzò gli
occhi,
guardandola con attenzione e, infine, poggiandosi con la schiena
contro lo schienale.
«Non
pensi che se avessi voluto qualcosa di specifico, lo avrei installato
di persona?».
Lei
scrollò le spalle. «E perché non lo hai
fatto?».
«Perché
non lo volevo: la risposta era già nella domanda».
Si alzò,
intanto che lei ruotava gli occhi con fare nervoso.
«Mi
hai fatto venire fin qui per giocare? Pensavo che avrei coordinato i
lavori, in tua assenza», bofonchiò, «I
tuoi uomini mi hanno fatto
saltare il pranzo, a proposito. La cosa mi rende
suscettibile».
Maxwell
prese una mela rossa dal suo vassoio e gliela consegnò tra
le mani,
senza trattenere un sorriso. «Vieni con me,
seguimi». Fece un cenno
ai suoi uomini di attendere e con lei dietro, che masticava la mela,
uscì dalla mensa, percorrendo un corridoio, salendo due
scalini,
entrando in un altro corridoio con le luci più soffuse che
si
affacciavano a diversi laboratori divisi da enormi vetrate,
così
dopo entrarono in un ascensore che li portò a qualche piano
più
giù, sotterraneo. Un altro stretto e freddo corridoio li
portò
allora dinanzi a una massiccia porta, che Maxwell aprì
scansionando
la sua mano destra e dopo immettendo una password. Veronica Sinclair
si guardò intorno più volte per rendersi conto di
quanti schermi
collegati a delle telecamere di videosorveglianza avesse lì
dentro.
«Vedi, il motivo per cui non ho installato determinati
allarmi, a
parte quelli silenziosi, è che sarebbero andati contro i
miei stessi
interessi».
«Ami
che le persone ti sfascino il locale?», scrollò le
spalle,
adocchiando diverse immagini che non provenivano dalla Green
Caravel,
ma dall'esterno, affacciavano sulle strade.
«No»
ridacchiò, «Ma è sfortunatamente un
danno collaterale: voglio
assicurarmi che la mia clientela, dopo la pillola, abbia a
disposizione un luogo sicuro dove sfogarsi. Un allarme non farebbe
che creare il panico e porterebbe la polizia sul luogo prima del
tempo. L'importante è che io tenga tutto sotto controllo da
qui, da
questi schermi», ne toccò uno, battendolo con le
nocche. «Mi
aspettavo incidenti, anche se non di questo tipo».
«Li
avrà pagati Lex. Ci scommetto».
Lui
sorrise, sistemandosi la cravatta. «Sì, beh,
naturalmente il
pensiero mi aveva sfiorato».
«Non
per farmi gli affari tuoi e via discorrendo, ma», lei si
morse un
labbro, «non è illegale tenere tutte queste
telecamere? Sei fuori
molto oltre il locale».
«Capisco
le perplessità». Si sedette su una sedia,
guardando con una certa
fierezza gli schermi. «Ho i permessi accordati dal comune di
Gotham:
ricevono la loro percentuale sulle pillole, non hanno avuto motivo
per negarmi l'installazione. Fa parte del progetto, no? Devo tenere
sotto sorveglianza i soggetti finché posso, come ti avevo
spiegato.
Piuttosto…», sospirò, mettendosi a
scrivere sulla tastiera, «Non
sei qui per i ragazzi che hanno sfasciato il locale». Una
volta
finito di digitare, guardò in alto, verso uno schermo alla
sua
destra: Kara Danvers era lì con le sue amiche, si scontrava
con un
ragazzo che camminava con altri ragazzi, lo chiamava, lui si
avvicinava, Ivy si metteva in mezzo. «Perché non
mi hai detto che
stavi testando Kara Danvers? Avrei voluto essere informato».
Lei
aprì bocca, quando lui la interruppe: «E
risparmiami i tuoi non
sapevo chi fosse,
Veronica».
Lei
sorrise quasi orgogliosa, ingoiando un boccone. Lasciò una
mano sul
suo schienale, appoggiandosi con eleganza. «Naturalmente
sapevo chi
fosse: la sua faccia è apparsa su tutti i giornali
più volte per
via del matrimonio di sua madre con Lillian Luthor», disse
con
sufficienza. «Era lì, sul bancone, come un cane
bastonato. Volevo
conoscerla, era così sconfitta dalla vita che volevo darle
qualcosa
per tirarsi su», esclamò, stringendo le labbra.
«La
pillola rossa cadeva piuttosto a proposito».
Lei
annuì. «Quello che non mi aspettavo era la
velocità con cui ha
fatto effetto». Smise di parlare, incantandosi nel vederla
picchiare
quel ragazzo per strada e dare inizio alla rissa. «E che
violenza…».
«Il
suo corpo ha rigettato la pillola», le fece sapere Maxwell,
digitando ancora, mostrandole nelle strade successive il suo
comportamento, tra sbandamenti e stanchezza. «Hai i tuoi
appunti?».
Lei annuì, aprendo la borsetta e togliendo un bloc notes,
così il
giovane uomo sorrise. «Ottimo lavoro», lo
aprì, sfogliandolo.
«Sono felice dei risultati raggiunti, ma sfortunatamente le
pillole
rosse non sono ancora pronte», strinse le labbra con
disappunto. La
scorse ridere e a un certo punto si fece curioso.
«Non
vuoi sapere come sia riuscita a entrare nella sua testa?».
Veronica
lasciò lo schienale e si appoggiò al banco
accanto alla tastiera,
incrociando le gambe e sorridendo con malizia, tenendo il torsolo con
due dita. «La nostra ragazza è
innamorata… di Lena Luthor».
Maxwell
Lord sgranò gli occhi, abbozzando appena un sorriso.
«Cosa?»,
aggrottò la fronte, per poi restare senza fiato un momento.
«Questo
spiega qualcosa… Ha senso», sorrise,
«Hanno deciso di rendere
ancora più forti i legami familiari. Cosa ne pensi? Sapevo
che tu e
Lena aveste dei trascorsi».
Gettò
il torsolo in un cestino e incrociò le braccia al petto.
«Lena ed
io avremo sempre un legame. E comunque non sono fatti che ti
riguardano».
Lui
annuì e rise, incassando il colpo.
Lena
le sorrise, sedendo sullo sgabello davanti al piano.
Kara
ricambiò, sistemando il supporto del microfono.
Oh,
c'era davvero troppa
gente. Dopo il taglio della torta e altre foto, si erano convinte che
la mole di gente fosse misteriosamente lievitata. E ora toccava a
loro rendere quell'evento ancora più speciale.
Maggie
diede un colpetto a un braccio di Alex e le due si scambiarono
un'occhiata divertita. «Allora quanto scommettiamo,
Danvers?».
«Mamma?».
«Mmh,
vediamo… se vinci tu, ogni volta che siamo insieme cucino
io»,
Alex le scoccò un'occhiata, regalandole un largo sorriso.
«Ci
stai?».
«Mamma?».
Maggie
s'imbrunì. «Questo è se dovessi vincere
tu, tesoro, sarebbe come
una punizione».
«Mamma?».
Alex
scrollò le spalle. «Non mi hai fatto finire,
Sawyer: nuda. Cucinerò
nuda».
Maggie
spalancò gli occhi, diventando rossa.
«Mamma?».
«Accetto»,
annuì, «Ma solo se la bambina è fuori:
non me la traumatizzerai in
età prescolare».
«Mamma?».
«Andata»,
allungò la mano destra per stringere la sua. «Se
dovessi vincere
io, sarai tu a cucinare nuda per me».
«Mamma?».
«Con
il grembiule da cucina», aggiunse velocemente Maggie.
«Da te fa più
freddo».
«Mamma?».
Alex
sorrise a trentadue denti, per poi sussurrare: «E
sarò io a
slacciartelo quando farà più caldo».
Maggie
allungò la mano per stringergliela a sua volta.
«Andata anche per
m-».
«Mamma?».
«Cosa
c'è?», Maggie si voltò dietro di loro
con scatto, trovando la
bambina dall'altro lato del tavolo che le scrutava con occhi grandi.
«Tesoro
mio»,
aggiunse una volta calmata, forzando un sorriso.
La
piccola aprì bocca e a più riprese
cercò di parlare, riportando il
discorso al punto di partenza. «Ma lo shai che…
Ma-Ma lo shai che…
Ma lo shai che…». Le due la guardavano con
tenerezza. «Ma lo shai
che… che io… Ma lo shai che io… riesco
a gonfiare la teshta?
Allora, lo shai?». All'improvviso si tappò il naso
stringendolo con
una manina e trattenne il respiro, diventando immediatamente rossa;
così aprì gli occhietti che aveva chiuso prima
della performance,
aspettando la loro reazione.
«Wow,
è… sei bravissima, amore mio»,
annuì, guardando Alex con
complicità.
«Sì,
è vero. L'ho vista proprio gonfiarsi, è
stata… Tu l'hai vista
gonfiarsi?».
«Altroché»,
accarezzò il volto di Jamie, che sorrideva con orgoglio, le
fossette
bene in vista. «Ma non farlo troppo spesso, mongolfiera, o
resterai
troppo gonfia per giocare». La piccola annuì e
corse all'indietro,
sbattendo contro una sedia per un capogiro, e poi correndo di nuovo,
raggiungendo gli altri bambini dietro un tavolo. «Ho una
figlia
mongolfiera».
Kara
tremò, guardando il pubblico. Era tardi per tirarsi
indietro. Sapeva
le parole, conosceva la musica, doveva solo concentrarsi: poteva
farcela. Corse per un bicchiere di champagne,
bevendo
quasi tutto in un sorso.
Se non altro aveva avuto del tempo per prepararsi, stavolta. Oh, e
Lena. Beveva anche lei e appoggiava il bicchiere sul piano. Lena era
così bella… Si era sistemata i capelli lisci da
un lato, gli occhi
chiarissimi erano concentrati sullo spartito, le labbra rosse appena
schiuse. E la scollatura… No.
Non avrebbe dovuto guardarle la scollatura, accidenti. Doveva
concentrarsi sulla canzone, non sulle sue tette. Ma perché
finiva
sempre per guardargliele? Che si fosse messa i push up? Ma non voleva
tornare ancora con lei, non avrebbe avuto senso stuzzicarla…
No,
no, non aveva i push up. Deglutì. Forse doveva bere un altro
sorso.
«Psst»,
Maggie ridacchiò. «Guarda tua sorella».
Alex
spalancò gli occhi e si alzò dalla sedia per
muovere le mani e
disperatamente attirare la sua attenzione: «La testa di
Lena»,
mormorò, le avrebbe letto le labbra, «è
più su». Vide Kara
diventare paonazza fin alle punte delle orecchie e così
abbassare
gli occhi verso il microfono, imbarazzata.
«Ho
praticamente già vinto, Danvers»,
cantilenò.
«Ma
no», scrollò le spalle, «Kara si
è solo distratta. Ed
è pieno di giornalisti e lo sa, l'incosciente».
Le
luci del salone si attenuarono fino a diventare soffuse, con un
chiarore via via più luminoso verso le ragazze. C'era un
brusio in
sottofondo, ma nemmeno più i bambini alzavano la voce. Cat
Grant
fece avvicinare al suo tavolo una ragazza della troupe della CatCo e
all'orecchio le diede alcuni suggerimenti, accompagnati da
indicazioni; quando la ragazza si allontanò,
iniziò ad applaudire e
tutti seguirono.
«Ehi»,
Lena si mise al suo fianco, «Tutto bene? Basta che guardi me,
se
tutte queste facce dovessero metterti soggezione».
«Lo
farò».
Stava
per tornare alla sua postazione, ma si fermò all'improvviso,
avvicinandosi ancora, furtiva, stringendole un braccio. Poteva
sembrare che si stessero solo scambiando gli ultimi appunti,
invece…
«Ah, Kara: con guarda
me,
intendo il mio viso, non le mie tette».
L'altra
spalancò gli occhi, arrossendo ancora, vedendola
allontanarsi con un
sorrisetto malizioso stampato in faccia.
Quando
la musica partì, non volò più una sola
mosca in tutto il salone.
Lena era concentrata, Kara deglutì, ascoltando e, infine,
socchiuse
gli occhi insieme a lei, iniziando a cantare, lasciandosi
trasportare.
Alla
destra di Eliza, Marielle emise un verso emozionato, battendo un poco
le mani. Il gesto aveva subito suscitato un altro applauso ed Eliza
sorrise raggiante, fiera di loro. Aveva probabilmente gli occhi
lucidi. «Sono bellissime», sussurrò e
Lillian, alla sua sinistra,
guardò lei e poi loro.
Kara
staccò il microfono dal supporto e, con un sorriso, si
avvicinò a
Lena che le sorrise a sua volta. Non erano due ragazze che
ritrovandosi a far parte della stessa famiglia si esibivano per le
loro madri. Erano complici; come se entrambe stessero suonando ed
entrambe cantando, e non esisteva nessun altro, al di fuori di loro,
in quel momento. Erano insieme e sole. Kara la guardava e Lena lo
sentiva. Non si toccavano, eppure erano un unico corpo.
Lillian
le fissò. Non poteva farne a meno. Ascoltava la musica e le
parole,
ma non sentiva altro, nella sua testa, che la voce di sua figlia che
le diceva di amare Kara. Era vero. Vedeva anche lei la
verità,
adesso, ma una parte di sé non riusciva ad accettarlo. Per
Lena, con
Kara era diverso. Ma era sempre diverso.
«Sei
diversa», le aveva detto Lionel a un orecchio, quando erano
seduti a
tavola; l'unica tavolata al centro della sala, mentre gli invitati
sedevano in quelle davanti. «Ti trovo
più… felice», le aveva
accarezzato il viso e lei aveva socchiuso gli occhi e sorriso,
lasciandosi coccolare. «È perché siamo
marito e moglie? Abbiamo
davanti una lunga vita insieme, Lillian».
La
festa era continuata sulla pista da ballo. I Luthor avevano sempre
amato sfoggiare le proprie doti da ballerini e Lillian aveva riso
divertita, vedendo Lorna ballare con un cugino più piccolo,
alzando
il mento e sculettando come meglio riusciva, solo per poi voltarsi
verso di lei e farle la linguaccia. Il signor Luthor l'aveva sgridata
poco dopo, però, così entrambe erano tornate
serie. C'erano i
fotografi, dopotutto. Lionel le avrebbe chiesto di ballare non appena
sarebbe tornato dal parlare con alcune persone che non conosceva, non
ancora, in fondo alla sala, così se n'era rimasta seduta ad
aspettare. E avrebbe continuato se sua madre non l'avesse presa per
un braccio e alzata dalla sedia con la forza, lasciandole il segno.
«Mi
fai male», si era dimenata, «Smettila! Non
qui». Si era guardata
intorno, ma erano tutti intenti a ballare e nessuno badava a loro.
La
donna le aveva alzato una mano, facendole cenno di tacere.
«Anche se
ti sei sposata, sei ancora mia figlia e devi rispettarmi. Volevo
dirti che c'è qualcuno alla porta per te». Alla
porta?
«Hai visto tua cugina Bernadette? Non la trova
nessuno».
Non
aveva risposto ed era corsa fuori, alzando il vestito per non
inciampare. Si era guardata una volta sola indietro, poiché
non la
seguissero i giornalisti o qualcuno dei Luthor, e aveva aperto la
porta con una spinta. Era illuminato dai caldi raggi del sole, fermo
vicino a un'aiuola fiorita. Vedendola, era subito corso verso di lei.
«Credevo
di trovarti in abito bianco».
«Perché
sei qui? Ti avevo chiesto di non venire». Lillian era
arrabbiata e,
tesa, continuava a guardarsi intorno con la paura che qualcuno li
vedesse.
«È
vero che sei incinta? Così dice in giro
Bernadette». Il ragazzo
aveva provato a toccarle la pancia, ma lei si era tirata indietro.
«Ho visto la chiesa gremita, prima. Non potevo entrare
nemmeno
volendo, le guardie dei Luthor sono ovunque», anche lui si
era
guardato indietro, per un attimo. «Non dovevi sposarti con
lui».
«Lionel
mi ama e tu devi stare lontano da me», aveva digrignato i
denti.
«Lui
ti ha sposata solo perché gli ha detto di farlo suo padre,
lo sai
meglio di me. Tra noi almeno c'era qualcosa di vero», si era
toccato
il petto e poi aveva passato la mano sui capelli lunghi, mostrando
nervosismo.
«Non
vuoi proprio capire», aveva scosso la testa, «Era
finita ancora
prima che lui mi chiedesse di sposarlo».
«Non
è così! Uscivi con lui, ma tornavi da me e
adesso… hai deciso di
restare con lui solo perché è ricco e
può darti la vita che
desideri. E ti ha profanato prima delle nozze».
«Smettila!
Tra me e Lionel è diverso, non come credi».
Il
ragazzo aveva fatto un passo indietro, abbassando lo sguardo.
«Anche
tra noi lo era…».
Lillian
stava per lasciarlo lì, che un uomo aveva svoltato un angolo
del
locale accanto a un'aiuola e, guardando il ragazzo, si era piazzato
accanto a lei. «È tutto a posto, signora
Luthor?».
«…
Luthor?»,
aveva biascicato, sbiancando, guardandola ferito.
«Ti
stupisci? Sono una Luthor, adesso». Fu l'ultima volta che lo
vide.
Seppe che aveva lasciato National City, ma non lo cercò mai.
Lui
faceva parte del passato, di una vita che aveva ripudiato.
Si
era toccata il grembo e si era girata per tornare dentro. Le faceva
male, ma pensava che poteva essere per aver rivisto lui. Aveva
passato il corridoio del locale con quell'uomo al suo fianco ed era
tornata nella sala, ma la musica era bassa e solo i bambini ancora
ballavano. Sua madre le si era di nuovo scagliata addosso e le aveva
stretto con forza un braccio.
«Sei
stata tu l'ultima a vedere Bernadette! Perché non lo dici?
Nemmeno
al tuo matrimonio riesci a comportarti da adulta». L'aveva
lasciata
andare solo quando l'uomo, come una guardia del corpo, si era
ulteriormente avvicinato. «Dov'è tua
cugina?».
Lionel
era occorso in suo aiuto, spalleggiandola e cercando di far calmare
la donna, ma non era la sola, a quel punto, a essere su di giri:
tutti i parenti dalla parte di Lillian si chiedevano che fine avesse
fatto la ragazza e li avevano accerchiati. La donna si era calmata
solo quando era stato Levi Luthor, padre di Lionel e capofamiglia,
avvicinandosi, a chiederglielo con cortesia.
Quelle
persone erano una bomba pronta a esplodere alla minima offesa.
Odiavano che una di loro stesse sposando un Luthor; erano troppo
diversi e molti si erano chiesti spesso quanto avesse potuto durare
la loro vicinanza.
Bernadette.
Oh, l'ultima volta che l'aveva vista aveva smesso di ghignare. Era
piena di sangue. Le proprie mani erano piene di sangue. Si era fatta
una doccia, le avevano portato abiti puliti e le avevano rifatto il
trucco e i capelli. Bernadette era arrivata in ospedale senza
conoscenza. I Luthor conoscevano dei medici, lì. Loro si
sarebbero
presi cura di lei. Bernadette era viva, ma aveva smesso di ghignare.
Lillian aveva preso un bel respiro e poi deglutito, guardando sua
madre negli occhi. «Non so dove sia».
La
donna aveva urlato ma non era riuscita a colpirla, Levi Luthor
l'aveva fermata. Altri erano andati in escandescenza e avevano deciso
di lasciare il locale e la festa. La madre di sua cugina era in
lacrime, dicendo di volerla andare a cercare, dando la colpa ai
Luthor.
«Voi
le avete fatto qualcosa», la madre di Lillian aveva puntato
il
signor Luthor, che la guardava immobile. «La vostra famiglia
è
veleno e avvelena tutto ciò che tocca».
Aveva
chiesto a sua figlia di andare via con loro. Di allontanarsi da
Lionel. Di disintossicarsi, una volta per tutte. Ma era tardi:
Lillian era una di loro. Se n'erano andati e poche altre volte, da
allora, li aveva rivisti, prima di prendere totale distanza.
Lillian
si era tenuta stretta a Lionel, la sua nuova famiglia, e il dolore
alla pancia si era fatto più forte, costringendola a
piegarsi in
due. «Lionel…», gli aveva stretto un
braccio per cercare aiuto.
Il dolore, a quel punto, era diventato atroce. Lo sposo aveva gridato
a tutti di andare a prendere una macchina.
Lillian
si toccò il grembo e ansimò, ritrovando nella sua
testa le parole
della canzone. Kara era alle spalle di Lena, adesso. Capì in
quel
momento che, anche se non accettava il loro rapporto, non sarebbe
riuscita a tenerle davvero separate. Intravide Marielle che, faccia
in avanti, mimava con la bocca le parole della canzone. Ed Eliza che,
invece, era totalmente presa. Le strinse una mano e lei
ricambiò,
baciandola e riguardando le loro figlie.
La
canzone finì. Kara mantenne il microfono con entrambe le
mani vicino
alla bocca e lasciò gli occhi chiusi finché anche
la musica non si
affievolì. Anche Lena aveva gli occhi chiusi e tutte e due
li
riaprirono nello stesso momento. Erano rimaste un'unica cosa fino
all'ultima nota e, da quel momento, partirono gli applausi. Le due
sorrisero e si misero più vicine. Le telecamere ripresero
tutto e
più volte gli sguardi incantanti degli invitati, perfino dei
bambini. Le involsero le luci dei flash e Cat Grant applaudì
più
forte, piacevolmente sorpresa. Marielle si alzò in piedi per
applaudire.
«Sono
davvero, davvero bellissime», esclamò Eliza, per
poi passarsi le
dita sugli occhi e asciugarli dall'emozione. Le riguardò,
mentre a
entrambe, imbarazzate, veniva fatta qualche domanda davanti al piano.
Si sorridevano e si ricercavano di continuo.
«Allora», a un certo
punto guardò Lillian, disponendo la mano libera sulle loro
unite.
«Posso cogliere il momento per chiederti come stai vivendo
questa
cosa?».
Lillian
spalancò gli occhi, incerta su cosa si riferisse.
«Parlo
di Kara e Lena. Quelle due si sono innamorate sotto i nostri occhi,
eh?», sorrise, riguardandole solo un momento.
«Tu
lo sapevi?».
Eliza
ridacchiò, roteando gli occhi. «Tu mi sottovaluti,
mia sposa. E,
non di meno, le ho viste baciarsi, a Natale», strinse le
labbra,
annuendo. «Ero in cucina, sono uscita un attimo in giardino e
loro
erano in corridoio, le ho viste dalla finestra. Credevo di aver visto
male, all'inizio», rise, scrollando le spalle. «Ma
va bene», le
scoccò un'occhiata. «Non sapevo come prenderla, ma
poi loro non
hanno detto nulla e così ci ho pensato un po'… Tanto
po'. Meritano di essere felici anche loro, non pensi? Sono due brave
ragazze; sono le nostre
due brave ragazze».
A
Lillian si strinse lo stomaco. Si erano lasciate a causa sua e ora
veniva a sapere che non solo Eliza sapeva della loro relazione, ma
che perfino l'approvava. Ma nemmeno Eliza sapeva cosa avevano fatto i
Luthor a Kara. «Non so se siano adatte per stare
insieme».
«Ce
lo hanno fatto sentire ora», la corresse, riguardandole.
«Sono le
nostre figlie e anch'io penso che sia strano, ma è la loro
vita e
devono viverla come facciamo noi con la nostra».
Ancora
furiosa, Rhea Gand aveva setacciato il loro salotto a fondo nella
ricerca di qualsiasi cosa che Kara doveva aver lasciato quando era
andata a trovarli. Una piccola microspia, sicuramente. Era un bene
che la loro domestica, Joyce, stesse pulendo il piano di sopra in
quel momento, perché nessuno avrebbe voluto starle vicino.
Più
furbo era stato suo marito, a uscire proprio quando gli disse che
aveva intenzione di mettere a soqquadro quella stanza e il corridoio
fino al portone; tutto ciò che Kara aveva toccato o sfiorato
doveva
essere controllato. Quella stupida ragazzina… Dove l'aveva
messa?
Doveva esserci. A quel punto, le mancava solo la scrivania di Lar.
Sollevò i portapenne, dei documenti, delle cartelline,
aprì i
cassetti. Uno non voleva aprirsi. A quel punto era certa che avrebbe
dovuto escludere i cassetti dalla ricerca, però non amava i
segreti.
Lo forzò e riuscì a scassinarlo, presa dalla
foga. Portò il
cassetto sulla scrivania senza curarsi che potesse rovinare qualcosa
e iniziò a frugarci dentro. Non trovò microspie
di nessun genere,
ma qualcos'altro di equamente interessante: dei foglietti. Lar stava
preparando un discorso e Rhea gridò di rabbia,
accartocciando e
strappando tutto ciò che riuscì a trovare
all'interno del cassetto,
gettandolo sul tappeto. Quella ragazzina era entrata nella testa di
suo marito e lo stava tentando a fare passi falsi. Lo aveva messo
contro di lei. Kara Zor El lo aveva messo contro di lei.
Un
momento… Prese un bel respiro e cercò di
calmarsi, colta da
un'illuminazione improvvisa: all'asta di inizio anno, Lena Luthor
l'aveva fatta sudare per ottenere il quadretto, un quadretto che
aveva perso anni prima con Maxwell Lord, che non glielo avrebbe mai
consegnato per un'asta poiché aveva troppo valore. Lena
Luthor
sapeva che lei avrebbe partecipato all'asta, sempre lei faceva
domande su suo padre alla cena mesi prima e, sempre lei, era
diventata sorellastra di Kara Zor El. Come aveva fatto a non pensarci
prima…? Così presa dalla magnificenza del suo
quadretto… La
serratura di casa scattò intanto che Rhea lo adocchiava,
affisso
sulla parete.
In
sala risuonava nell'aria una musica allegra, portata dagli
altoparlanti.
Tutti
gli invitati si riversarono al centro per ballare, dopo che i tavoli
erano stati sgomberati ai lati e riempiti di stuzzichini e champagne,
vini e olive. La tenera zia Lara provò a scatenarsi ma zia
Lorna le
prese il braccetto per riportarla a sedere e così, dopo
qualche
attimo, si avvicinò Kara per chiederle di ballare. Zia
Lorna, che in
quel momento ballava col marito, aprì bocca contrariata ma
non osò
dire niente. E non osò dire niente nemmeno quando Lillian si
sganciò
la collana in oro bianco e smeraldi per passarla al collo di Eliza.
Era una Luthor anche lei, adesso, anche se avevano deciso entrambe di
mantenere ambi i cognomi. Era una decisione che la donna non riusciva
del tutto ad accettare, ma dopo la morte di Lionel, era Lillian la
capofamiglia dei Luthor e non sarebbe riuscita ed esprimerle i suoi
pensieri. D'altronde, non erano più le ragazzine di quando
si erano
conosciute; si erano allontanate negli anni e ognuna aveva preso in
mano la propria vita. Tutto era cambiato, da allora.
Intanto
arrivò Jeremiah ed Eliza lo accolse a braccia aperte.
Parlarono a
lungo loro due e Lillian. Lex chiese di poter fare un ballo con Alex
e Lena ballò con Jamie, mentre Maggie scattava loro qualche
foto con
il cellulare. Cat Grant fu intervistata dalla troupe televisiva e
dopo Felipe, ancora in lacrime.
«Keira».
La ragazza si mise sull'attenti quando, dopo aver lasciato zia Lara,
si era vista arrivare Cat Grant. Le portò le mani sui
capelli,
cercando di sistemarle un piccolo ciuffo ribelle che continuava a
lanciarsi verso l'alto. «Hai una voce meravigliosa, hai
qualche
altro talento nascosto?».
«Beh,
no… non credo». Si lasciò sistemare con
attenzione, notando che
non le rivolse un'altra sola parola fino a che non ebbe finito:
«Ora
vai bene», si toccò il mento, osservandola
dall'alto al basso. «Sei
pronta. Credo che qualcuna voglia ballare con te».
La
signora Grant lanciò uno sguardo e Kara la seguì,
scoprendo Lena
che, lasciando Jamie a Maggie e Alex, le sorrise. Arrossì,
girandosi. «Signora Grant, lei…».
Si
portò un dito contro la bocca, facendole cenno di tacere e
poi
sorrise. «Bella canzone».
Lena
le arrivò vicino mentre la donna si allontanava per dare
nuove
direttive ai suoi dipendenti. «Cosa voleva Cat
Grant?».
«Emh…
s-sistemarmi i capelli, credo». Le guance si colorarono di
rosa,
osservandola: era così bella, delicata. «Vuoi
ballare?». Le porse
una mano e l'altra trattenne un sorriso.
«Kara…».
«Ho
ballato con zia Lara appena due minuti fa, non dirmi che sarebbe
strano».
Lena
rise e così anche lei, prendendole la mano. «Solo
un ballo».
«Solo
un ballo».
Solo
un ballo, era vero; un ballo fatto da sguardi, da parole non dette,
da risate e sorrisi maliziosi. Solo un ballo. E poi aprirono la porta
del bagno, sbattendo all'interno, chiudendola con un calcio mentre
Kara spingeva Lena al muro, bocca contro bocca, mani sui fianchi una
e mani sul sedere l'altra.
«A-Aspetta,
aspetta», Lena si staccò e prese fiato,
assicurandosi che il bagno
fosse vuoto.
Kara
passò a controllare tutti gli scomparti, ma le porte erano
aperte ed
erano vuoti. Si precipitò di nuovo addosso a lei che la
strinse con
forza, scompigliandole di nuovo i capelli. Kara le baciò il
collo e
Lena trattenne il fiato, chiudendo gli occhi e mordendosi il labbro
inferiore.
«Aspetta,
aspetta», ci ripensò, respirando a pieni polmoni e
allontanandola
un attimo. «Non possiamo, Kara… Non-».
La baciò di nuovo e Lena
cambiò idea, stringendole il vestito, attirandola con forza
su di
sé.
«No,
aspetta… Ha-Hai ragione», fu Kara a tirarsi
indietro ma, appena
guardò il viso di Lena pieno di desiderio, che respirava con
affanno, i suoi propositi svanirono all'istante. La baciò,
si
separarono solo per prendere aria e si ripresero ancora. Kara le
toccò il sedere e Lena aprì le gambe,
così la prese in braccio,
portandola sul lavandino. Lena la chiuse con i piedi sulle cosce e
continuarono a baciarsi, a sentirsi, accarezzandosi con le mani e con
la lingua, assaggiandosi.
Si
erano così mancate che non riuscivano a controllarsi. Ma la
porta
del bagno scattò e le due si destarono dall'incantesimo:
Lena scese
dal banco e Kara aprì l'acqua; intanto che la prima si
controllava
un tacco con cui aveva rischiato di scivolare, la seconda si guardava
allo specchio, sistemandosi i capelli di nuovo imbizzarriti.
«Questi
tacchi…», mormorò Lena, «Oggi
non riesco a sopportarli».
Scambiò un sorriso con la ragazza entrata che si dirigeva
verso un
altro lavandino. Le vide sul collo il cartellino della CatCo.
«Kara!
Ma lo sai che hai davvero una bellissima voce? Siete state entrambe
bravissime, wow. Dovresti cantare più spesso comunque,
verrei a
sentirti! Magari potessi farlo alla CatCo, se ci facessero fare il
karaoke. Sarebbe bello, no?».
Kara
rise imbarazzata e si girò per avere supporto, ma Lena non
c'era già
più.
«Lillian
sembra tranquilla», mormorò Jeremiah, dopo che la
donna si era
allontanata per un'intervista veloce. Diede un'occhiata a Eliza, che
si toccava la collana, e ansimò quasi infastidito.
«Da vera Luthor.
Sei una Luthor, adesso?».
Lei
bisbigliò, guardandolo appena: «Non
ricominciare».
«Avrei
voluto che mi parlassi di Lillian Luthor quando avevate iniziato a
frequentarvi, non dopo il vostro fidanzamento e i giochi erano fatti.
Hai almeno un po' pensato a quello che ti dissi?».
Eliza
scosse la testa lentamente, sospirando. «Nulla di
più a cose che
già da me avevo pensato».
«Dunque
ci sei passata sopra?», lui la guardò con aria
dura,
all'improvviso. «I Luthor hanno avuto molto potere in
passato,
potrebbero perfino aver avuto a che fare con la morte dei genitori di
Kara! Nostra figlia! Io conoscevo quelle persone, Eliza».
«Le
conoscevo anch'io. Ti ostini a voler vedere solo il marcio
dappertutto, per questo abbiamo divorziato»,
ribatté lei. «Se
fosse così, Lillian me lo direbbe. In ogni caso, adesso i
Luthor non
sono più quelli di un tempo e devi accettarlo!
Guarda», indicò zia
Lara che, seduta davanti a un tavolo, passava dei dolcetti a due
bambini della famiglia Danvers, «Sarebbe capace di fare del
male?».
Lui
grugnì. «Ora no. Lara Luthor, sorella maggiore di
Levi Luthor. Suo
fratello costruisse un impero sopra quello che era già un
regno con
il loro nome dorato sopra. O così si dice».
«Si
sono dette tante cose e molte se ne dicono ancora».
«Voci
sì», sospirò, «E prove
nessuna».
Eliza
a quel punto strinse le labbra, corrucciandosi ma cercando di non
dare nell'occhio. «È il tuo lavoro, lo capisco, ma
non puoi
parlarmi di queste cose al mio matrimonio», lo
guardò con
gravosità. «Cosa pensavi di ottenere venendo qui a
parlarmi di
nuovo di questo? Già quando andai a lavorare per la Luthor
Corp
conoscevo le voci che circolavano su di loro e non è
cambiato
niente, Jeremiah. Niente. In passato, la sua famiglia poteva essere
stata coinvolta in brutte cose, non l'ho mai messo in dubbio, ma
è
passato. Amo Lillian. Sta cercando di rifarsi una vita e tu le remi
contro. Cerca di accettare che ora sono sua moglie».
Lui
strinse le labbra e si voltò, ritrovando Lillian che parlava
davanti
alla telecamera. «Lo sai che non riuscirò mai a
fidarmi di loro
completamente. Ho accettato che stiate insieme, ora sei sua moglie,
va bene, vi ho fatto anche gli auguri, e… vi ho fatto il
regalo di
nozze, lo hai visto? Sono delle posate, lo sai che non sono bravo con
queste tipo di cose», si grattò la nuca
imbarazzato, «Ma non
chiedermi di fidarmi. Proprio perché nel mio lavoro ne ho
sentite
troppe… non posso. Non mi metterò in mezzo, ma
non posso fidarmi.
Cercherò sempre di proteggerti e proteggere le nostre
bambine».
Lo
aveva fatto da sempre. Avevano portato Eliza in ospedale con
un'ambulanza e lui e altri invitati erano rimasti in sala d'aspetto.
Jeremiah era stato in preda all'ansia più nera, camminando
da una
parte all'altra con il cuore in gola, incapace di rilassarsi. Si
erano appena sposati e stava succedendo questo… Mille dubbi
e
perplessità avevano toccato la sua mente, in quel momento:
perché
non avevano aspettato a fare il grande passo, se aveva mangiato
qualcosa che le aveva fatto male, se il bambino stava rischiando la
vita.
Anche
Lionel Luthor, distante nel tempo, si era trovato in una sala
d'attesa. Avevano portato Lillian in ospedale e dopo un'ora ancora
non si sapeva niente. Lorna gli era stata vicino, seduti e in
silenzio, mentre Levi Luthor e sua moglie insistevano per avere
notizie.
E
dopo un certo punto, finalmente, un medico li raggiunse. Entrambi in
luoghi e in tempi diversi. Jeremiah si era gettato addosso a lui,
reggendosi le mani. Lionel si era alzato dalla sedia lentamente.
«Signor
Danvers», il medico sorrise, «Sua moglie sta bene,
la stiamo
dimettendo e può continuare a festeggiare, pur con
moderazione. Lei
e la bambina erano solo un po' stanche».
Lui
aveva tirato un sospiro di sollievo e la famiglia gli si era stretta
intorno, mentre continuava a sussurrare, con un sorriso, la parola
bambina.
Dopo pochi mesi dal loro matrimonio, Eliza mise al mondo Alexandra.
«Signori
Luthor», il medico li aveva richiamati vicini e Lionel si era
incamminato tremante. «Sono addolorato di dovervi dare una
brutta
notizia: la neosposa ha perso il bambino. Aborto spontaneo. Le cause
potrebbero essere molteplici».
Il
dottore parlava ma Lionel non sentiva. Si era estraniato. Tutti si
agitavano, Lorna forse gli aveva detto qualcosa, ma lui si era
chiuso. Lillian stessa si era chiusa, una volta saputo cos'era
successo. Solo quel giorno aveva gridato impotente. Non era
più
incinta e non lo era più stata per molto tempo, dopo tanti
tentativi
di avere di nuovo un figlio, fino all'arrivo di Lex dopo anni dal
matrimonio.
Entrambe
le spose si erano cambiate con altri abiti per stare più
comode e la
maggior parte degli invitati non erano rimasti per la cena, nemmeno
molti Luthor e Jeremiah, che doveva tornare a Metropolis. La festa si
protrasse oltre la cena per tutti gli altri, con ancora bibite e
dolci. La troupe inviata dalla CatCo li lasciarono poco prima della
mezzanotte e quella televisiva verso l'una, inquadrando per ultimi i
bimbi addormentati con la testa sui tavoli e i bicchieri di plastica
vuoti in mano. Anche Jamie era una di loro e Maggie era sicura di
averla sentita russare.
«Dobbiamo
portare la piccola mongolfiera di sopra», sussurrò
Alex,
spostandole i capelli sul viso da un lato.
Pian
piano, la famiglia e qualche ospite rimasto cominciarono a rifugiarsi
nelle camere dell'hotel assegnate, mentre, in sala, gli addetti
ripulivano un tavolo dopo l'altro.
Alex
e Maggie misero la bambina ancora addormentata sul suo lettino e le
rimboccarono le coperte, quando la seconda si accorse di aver
lasciato il cellulare in salone. Era molto stanca e uscì
dalla
camera sbadigliando, incrociando Kara nel corridoio. La vide
diventare subito paonazza.
«Devo…
Devo… Ho dimenticato di dire a Lena una cosa».
La
ragazza sbadigliò ancora e sorrise soddisfatta, considerando
di aver
già vinto la scommessa.
Kara
si portò una mano sul petto: le era venuto un coccolone
vedendo
Maggie in corridoio, considerando
che,
se fosse stato qualcun altro, non aveva una scusa pronta.
Sospirò e
ripensò a Lena. Accidenti, non si erano più
parlate dopo il loro
incontro nei bagni. Ogni volta che aveva tentato di avvicinarsi, la
trovava a parlare con qualcun altro. Doveva essersi pentita di averlo
fatto, considerando che avevano deciso di riprovare quel
discorso
dopo che le aveva detto quella
cosa.
Ma dopotutto era fortunata, pensò Kara, poiché il
matrimonio era
passato già da qualche ora e poteva finalmente parlare con
lei. E
forse non solo parlare. Oh, doveva smettere di ripensare alla sua
scollatura.
Kara
bussò con decisione e Lena le aprì dopo pochi
attimi. Era in
vestaglia, aveva lo sguardo assonnato, no,
e così tutti i suoi propositi sarebbero
svaniti via
con quegli occh-
Lena
le strinse il colletto del pigiama e la attirò verso di
sé,
all'improvviso, togliendole il fiato con le proprie labbra sulle sue,
insinuando la lingua, lasciandole addosso l'alito caldo. Kara chiuse
la porta con un calcio e si spinse dentro, ricambiando al bacio,
stringendola sui fianchi.
«M-Mi
aspettavi?», si guardò intorno: la camera era
identica alla sua, il
lettone già smosso, la televisione accesa.
«Ti
speravo».
Kara
arrossì, tirando in su gli occhiali. «V-Va
bene… emh, devi aver
bevuto troppo, questa sera».
«No,
no», scosse la testa, per poi reggersela un momento.
«Non sono
ubriaca, Kara, è che volevo parlarti. Ti stavo pensando:
devo darti
le mie scuse», sibilò con voce troppo calma, in
effetti, per essere
stata ubriaca. Le prese le mani con le proprie e la
accompagnò sul
letto, facendola sedere. «Quando ci siamo lasciate,
io…», si
portò le mani sui capelli, «Ti ho parlato di Jack.
Avevo rovinato
le cose con lui e non volevo rovinarle con te, temevo…
temevo di
non essere capace di avere con te la relazione che meritavi».
Kara
deglutì, vedendola girare un po' e dopo inchinarsi davanti a
lei.
«Ho
commesso un grave errore: ti amo, ti amo con tutta me stessa e non
voglio tenerti lontana da me», le disse guardandola negli
occhi,
corrucciando le sopracciglia. «Lascia perdere la dipendenza o
qualsiasi altra sciocchezza io abbia detto quella sera: le cose tra
me e Jack non avevano funzionato perché sono gay, e non
perché
incapace di amare».
«Gay?».
«Me
lo ha fatto capire Leslie».
«Leslie
ti ha fatto capire cosa?», aggrottò la fronte e
Lena sorrise.
«Lascia
perdere», rise con sincerità, cercando di tornare
seria, portandosi
una mano sulla bocca. «Sto cercando di dirti una cosa
importante,
Kara: ho avuto paura di non saper amare perché la mia
famiglia non è
mai stata esattamente un esempio in campo affettivo. Temevo di
scoprire di essere come loro. In special modo dopo che-», si
bloccò
e le vennero gli occhi lucidi, ma Kara fece una faccia strana, e
capì
solo in un secondo momento che la televisione la stava distraendo.
«Dopo che una cosa che ho scoperto mi stava-».
«Scusami,
Lena», la fermò con una mano e guardò
la televisione. C'era
un'edizione straordinaria del telegiornale e anche Lena si
alzò in
piedi, spalancando gli occhi, portando una mano contro la bocca e
trattenendo il fiato.
Quello…
Oh
cielo,
non stava succedendo davvero… Rhea era in lacrime, la loro
casa era
stata transennata dalla polizia, il trafiletto recitava la morte del
senatore Lar Gand.
Oh,
la pausa non poteva che cominciare dopo aver interrotto così
la
storia.
Ebbene,
vi aspettavate questo svolgimento? Cosa sarà successo al
senatore?
E, ops, Lena stava finalmente per dire tutto a
Kara: era il
momento giusto, il modo giusto, il discorso giusto, e ora…
la
verità dovrà aspettare!
Intanto
siamo tornati di nuovo indietro nel tempo ai precedenti matrimoni di
Eliza e Lillian per scoprire alcune cose in comune e le tremende
differenze. Il signor Luthor, come lo chiamava
Lillian, ora ha
un nome: Levi. Fratello minore della tenera zia Lara. Non
sono
personaggi di cui dovreste scordarvi, io lo dico.
E
Maxwell Lord: ma cosa fa? A quanto pare non era estraneo ai test
che faceva Roulette, anche se non sapeva di Kara.
Infine:
tra Maggie e Alex, chi si può dire abbia vinto la scommessa?
Piccola
nota: sorpresi che Eliza sapesse della relazione delle ragazze?
“ «Sono
contenta per voi», esclamò Kara ad Eliza,
«Ti meriti questa
felicità».
«Oh,
tesoro», la riabbracciò una seconda volta.
«Anche tu», le disse
con una carezza e un sorriso, per poi lasciarla andare.
Kara
non ebbe il tempo di capire a cosa si riferisse che arrivò
Lillian.
[...] ”
Capitolo
26. L'amore non basta. La donna scoprì di
loro in questo
capitolo e questa parte ne parla, a suo modo, con quel anche
tu,
detto da una Eliza eccitata che ancora non aveva riflettuto sul loro
rapporto, ma era Natale, aveva appena annunciato il suo matrimonio,
era felice e, a suo modo, era felice di vedere che la figlia aveva
trovato anche lei la felicità. Non so se mi avete
seguito con
tutti questi “felici”, mmh…
Okay,
adesso la parte brutta. Per emergenze familiari, non sono riuscita a
scrivere in questi giorni (né a rispondere alle vostre
recensioni e
rimedierò quanto prima), dunque sono rimasta ancora
più indietro e,
davvero, mi secca, ma dovrò fare una pausa piuttosto lunga
per
rimettermi un po' in pari. Spero di riuscire a scrivere bene
nonostante le feste e il resto, così da non farvi attendere
di nuovo
tanto presto. Ma non lo prometto; non posso.
Allora,
da questo capitolo siamo in pausa e il prossimo arriverà
di…
martedì. Martedì 29 gennaio. Impostatelo sul
calendario! Ah, sì,
il titolo. Il prossimo capitolo si intitola Il gioco cattivo.
Non perdetevelo :)
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