That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Mirzam - MS.003
- Bellatrix Black
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giugno 1965
Eravamo in biblioteca, numerose Serpi di vari
anni, tutti impegnati a completare le ultime ricerche del corso di
Pozioni: io, conclusa la mia relazione sugli “Usi
dell’Artiglio di Drago nelle Pozioni Rinforzanti”,
mi ero fermato ad aiutare le sorelle Black, facendo sfoggio delle mie
conoscenze extra scolastiche e ottenendo la loro totale ammirazione.
Quella “Cruciatus” contro il Sangue Sporco era
stata liberatoria, aveva fatto bene a me ma anche ai miei amici: da
giorni mi lasciavano in pace, ai loro occhi avevo dato prova della mia
vera natura. Inoltre, l’opera perfetta di Lestrange
su Matheson, aveva fatto sì che non ci fossero state
conseguenze dannose per me, per la mia carriera scolastica e per la mia
reputazione. Agli occhi di tutti, ero sempre il solito, irreprensibile,
Mirzam Alshain Sherton. Tranne che nei sotterranei, dove le leggende su
di me già superavano ampiamente la realtà dei
fatti. La mia calma, in realtà, era solo apparente, dentro
di me si agitavano inquietudini inconfessabili: la prima, naturalmente,
era il pensiero di mio padre. Se certe storie fossero arrivate a lui,
me l’avrebbe fatta pagare cara, già mi vedevo
intento a spalare neve a Durmstrang; o, meglio ancora, dato che
stavolta ero andato ben oltre quello che mi aveva sempre vietato di
fare, mi avrebbe consegnato di persona alle guardie di Azkaban.
E poi c’è lei… Bellatrix Black...
Non mi aveva più parlato per settimane, dopo quel giorno, ed
io non avevo più avuto il coraggio di avvicinarla. Se
ripensavo a quanto era successo nel bosco, quando realizzavo di averlo
fatto davvero, non riuscivo a capire se me ne vergognavo o invece ne
fossi fiero. Quella vicenda mi aveva dato l’illusione di
essere il più forte, di poter piegare il prossimo ai miei
capricci, ma a volte, quando intercettavo gli occhi di Bella su di me,
balenava nella mia mente una verità ben diversa: mi sentivo
un burattino nelle sue mani e questo non mi piaceva per niente. A volte
arrivavo a chiedermi se avrei agito diversamente se non avessi dovuto
dimostrare ai miei amici di non essere come mio padre. Se pensavo a
tutto questo, non potevo dirmi tranquillo e sereno. Perciò
mi sottraevo spesso agli altri, andando a riflettere per conto mio in
riva al lago: una parte di me sapeva che se mi ero fatto condizionare
da loro com’ero stato manipolato da mio padre, dovevo
allontanarmi per essere libero e davvero forte, d’altra parte
sapevo che non sarei mai riuscito a vivere senza di lei.
Quel pomeriggio, stranamente, mi aveva rivolto la parola chiedendomi di
aiutarle: sapevo che non ne avevano alcun bisogno, ma forse voleva
darmi l’opportunità di rimediare a quanto avevo
fatto, senza infliggermi l’umiliazione di doverle chiedere
scusa, prima che la partenza da Hogwarts, per l’estate, ci
tenesse divisi per oltre due mesi. Avevo accettato di buon grado, anche
perché apprezzavo la compagnia di Meda, una ragazzina dolce
e gentile, che m’ispirava sentimenti di protezione al pari di
Meissa. Ero affascinato dalla calma che irradiava attorno a
sé, ne avevo bisogno, avevo bisogno di quegli occhi che
trasmettevano pace e serenità. Mi chiedevo che magia fosse
la sua, perché di solito, quando incontravo delle ragazze
studiose, calme e gentili come lei, mi trattenevo a stento dal
prenderle pesantemente in giro. Lei invece mi guardava come fossi il
cavaliere dalla brillante armatura, suscitando il mio orgoglio, non la
mia vanità: nei suoi occhi c’era ammirazione sana,
sincera, senza doppi fini… era compiaciuta e felice della
mia amicizia e del mio interesse, forse anche del fatto che un giorno
saremmo potuti diventare parenti, se avessi sposato sua
sorella. O forse questo lo immaginavo io...
In effetti, nonostante alcuni dubbi e timori, nonostante iniziassi a
percepire la pericolosità di Bella, continuavo ad aspettare
con ansia di compiere diciassette anni per concretizzare i miei sogni
di adolescente: non esisteva forse altra famiglia come la loro, erano
fieri Slytherin Purosangue, una delle famiglie più stimate
d’Inghilterra. Ma non era solo per quello che
l’avrei desiderata in moglie: lei era già molto
attraente e interessante, ed io la desideravo, tanto da star male e
aver paura di impazzire, di non riuscire a controllarmi. Non capivo
cosa mi stesse succedendo, sentivo ogni singola cellula del mio corpo
urlare delirante, se solo le posavo gli occhi addosso per
più di un secondo. A volte bastava anche solo pensarla. E i
miei sogni diventavano notte dopo notte più realistici e
sconvolgenti, al punto che prima o poi sarei crollato preso tra la mia
confusione mentale e il desiderio fisico che provavo solo per lei. Ero
così sconcertato da questi contrasti, che pur volendola, ero
il primo a rifuggirla. Speravo che standole lontano perdesse il suo
potere su di me e tornassi più lucido e
razionale. Invano.
Mi resi conto di quanto fosse grave la mia debolezza quando rimasi
turbato all’idea delle vacanze estive: non l’avrei
vista per mesi, sarei rimasto in Scozia, lasciandola probabilmente in
compagnia di altri, che al contrario di me avevano occasioni per
incontrarla nello Wiltshire. Era ridicolo, lei tornava a casa
dai suoi familiari… ma io stavo perdendo di vista la
realtà: ero geloso. E tutto questo non faceva che renderla
sempre più forte nei miei confronti.
“Mirzam…”
Mi voltai verso di lei, mi ero fatto carico dei loro libri, di ritorno
dalla biblioteca.
“Tra poco torniamo a casa e
forse non avrò altre occasioni per chiedertelo in
tempo… ti andrebbe di passare qualche settimana con noi nel
Galles? Siamo ospiti nel maniero di zio Alphard e…”
Sapevo di non poter andare, avevo molto da fare quell’estate,
ma mi si era allargato il cuore, alla sola idea di passare
l’estate con lei… Ed era stata lei a
chiedermelo… voleva stare con me…
“Ti ringrazio
dell’invito... Black… purtroppo,
quest’estate devo restare a Herrengton per prepararmi alle
rune del prossimo anno… mi dispiace…”
“E’ un vero
peccato… sarebbe stato divertente…”
Mi guardò piena di promesse, mentre prendendomi la mano
accarezzava le rune che avevo sulle dita: sentii il cuore mancare un
colpo, un brivido di desiderio mi percorse tutta la schiena, sembrava
che la pelle toccata da lei prendesse fuoco. La guardai, il suo sguardo
dimostrava che sapeva bene cosa stava facendo. Le rune erano porte
aperte sul nostro io, sui nostri istinti più
incontrollabili. Come faceva a saperlo? Sapeva che presto sarei
crollato, dilaniato dal desiderio feroce e una gelosia assurda e
assoluta, che mi bruciava anima e corpo, rendendomi schiavo e pazzo di
lei.
*
Ero avvolto da un caldo afoso, da luci strane, da un oppressivo senso
di torpore: uscii a finirmi l’ultima Burrobirra sul
terrazzino, apprezzando appieno il fresco della notte sulla pelle, la
camicia sbottonata e il cravattino allentato. Non si era accorto
nessuno che ero uscito. Quando percepii il suono leggero dei passi
sulla pietra, mi voltai: era ancora più bella del solito
quella sera. Si avvicinò, leggera e sinuosa, proprio come un
felino, i capelli corvini sciolti sulle spalle nude, il corpo minuto e
irresistibile avvolto in un bell’abito leggero, del colore
del corallo. Nemmeno una parola, solo la sua mano pallida sulla mia,
guardai le dita intrecciarsi, senza riuscire a dire niente, trattenendo
il respiro quando iniziò a ricalcare il profilo delle rune:
toccandomi in quel modo mi entrava da sotto la pelle direttamente al
cervello, mi morsi le labbra per non sospirare, quando salì
in punta di piedi e appoggiò quelle labbra rosse sul mio
collo, proprio sulla runa.
Com’è dolce il tuo veleno, mia piccola serpe...
Chiusi gli occhi, sentivo i suoi continuare a fissarmi: mi trovai a
immergermi nel corvino dei suoi riccioli, le sollevai il viso e come un
affamato mi dissetai nei suoi baci. La strinsi a me. Il suo corpo
sembra vibrare come quello di un gatto che fa le fusa, attaccato al
mio. E quando sospirò al mio orecchio una frase
inequivocabile, tutto il resto non contò più: le
afferrai la mano e la portai via con me, tra ombre, corridoi, scale,
fino a raggiungere il silenzio dei sotterranei, fino alle ombre
più cupe del nostro mondo, fino a quella stanza che da mesi
ospitava solo i miei sogni solitari. Si guardò attorno, io
rimasi appoggiato alla porta, per impedire che uno di noi potesse
fuggire, pur consapevole, dal suo sguardo, che nemmeno lei aveva
intenzione di tirarsi indietro… Si avvicinò per
riprendere da dove avevamo sospeso. La punta delle dita
risalì fino alla base del mio collo, per ascoltare il mio
sangue puro scorrere e pompare velocemente a causa sua.
Chi è preda e chi predatore?
L’afferrai per i polsi portandoglieli dietro alla schiena, la
strinsi a me, chiudendola tra la parete e la mia stretta, indifesa e
ancor più pericolosa, incredibilmente irresistibile. La
mente si perse completamente in quel momento, lontano, mentre scendevo
su quel collo esile soffuso del rosa della passione che la bruciava, mi
bastò mordere quella pelle tenera per inebriarmi del suo
tremore: aveva paura ma al tempo stesso si fidava di me. Lei, che tutti
incantava, era creta nelle mie mani.
Chi è preda e chi predatore?
Sussurrai un leggero incantesimo al suo orecchio e fragili fili dorati
andarono a intrappolarle le mani in quella deliziosa posizione
lasciando le mie di nuovo libere di scoprirla; una luce carica di
domande e aspettative la pervase, quando la lasciai così, a
pochi centimetri da me, indifesa, accarezzando la sua figura con gli
occhi e seguendo il profilo del suo viso con la punta delle dita,
sostituendo poi le dita con le mie labbra. Piacevole, il mio nome nel
suo sospiro, andò a conficcarsi profondo nella
mente…
Aprii gli occhi… Attorno a me c’era solo la fredda
pietra antica del patio di Herrengton, il sogno si ritrasse nella mia
mente. Sul mio corpo, malinconiche, restavano solo le mie mani.
***
Mirzam
Sherton
Herrengton Hill, Highlands - luglio 1965
“Ora lo dico a tutti, ora lo
dico a tutti!”
“Vieni qua, brutta spia
intrigante!”
Afferrai la bacchetta, sicuro di spaventarlo, invece quel piccolo
demonio riprese a sbeffeggiarmi.
“Oh Bella! Bella!”
Si voltò ridendo, ma per sfuggirmi, inciampò e
andò a sbattere contro il tavolinetto del salone: il vaso di
nonna Sophie rovinò a terra rimbombando il suono delle
schegge in tutta la torre.
“Guarda che cosa hai fatto!
Sei il solito idiota!”
“Si può sapere che
cosa sta succedendo?”
Mi voltai verso la porta, spaventato, nostro padre, veste da camera e
capelli legati, era appoggiato allo stipite, innervosito. Le scaramucce
tra me e Rigel avvenivano sempre in quel momento della giornata, quando
restavamo soli: i miei avevano l’abitudine, se mio padre era
in casa, di ritirarsi in camera nel primo pomeriggio per un
po’ e ora che ero cresciuto, mi era ben chiara la ragione.
“Chi dei due ha rotto il vaso
della nonna?”
La mamma entrò nel salone come una furia e con un colpo di
bacchetta rimise tutto in ordine.
“Mirzam
m’inseguiva… voleva farmi male… aveva
pure la bacchetta…”
Guardai mio fratello con odio, con quella vocetta noiosa e
cantilenante, era sempre pronto ad arruffianarsi la mamma: nemmeno nei
sotterranei di Hogwarts c’erano spie più infide di
lui. Mio padre mi squadrava perplesso, non potevo negare
l’evidenza: reggevo ancora la bacchetta.
“Faceva i dispetti a Meissa,
gli ho detto di smetterla e ho preso la bacchetta per spaventarlo, se
davvero volessi fargli qualcosa, non avrei bisogno di
questa… lo sapete pure voi…”
“Io non facevo i dispetti a
Meissa! Eri tu che stavi mezzo nudo nel patio e chissà cosa
facevi e ripetevi il nome di Bellatrix… e quando ti sei
accorto di me, ti sei arrabbiato e mi hai
inseguito…”
Diventai rosso porpora. L’aveva detto davvero! Questa me
l’avrebbe pagata…
“Rigel fila in camera tua, sei
in punizione per il resto della giornata…”
“Ma come? Io?
Mamma...”
“… e anche tutto
domani, se non la smetti di fare storie… vai subito in
camera tua …”
Mio fratello sparì per le scale, arrabbiato, ma
l’ultima occhiata che mi lanciò aveva il solito
tono soddisfatto: gliel’avrei volentieri strappato via dalla
faccia a suon di schiaffi. Ora toccava a me. Li guardai: mio padre in
piedi, alla finestra, ammirava il cortile, mia madre seduta sulla
poltrona preferita, mi guardava delusa. Non potei fare a meno di
chinare il capo.
“Rigel è un
bugiardo… avevo appena fatto una nuotata, è
normale che non fossi vestito…”
“Quello che facevi nel patio
è l’ultimo dei problemi,
Mirzam…”
Mio padre m’interruppe, senza staccare gli occhi dal suo
roseto: mi trattava in modo strano, da quando ero ritornato, forse
aveva intuito qualcosa, per questo stavo facendo di tutto per evitarlo.
“…parleremo di
quello, dopo… a quattro occhi…”
Perfetto! Non solo avrei dovuto parlare con mio padre, ma per colpa di
quella vipera, il tema sarebbe stato la mia “condotta
sessuale”… Merlino solo sapeva se questa non me
l’avrebbe pagata cara, quel piccolo traditore infame. Non mi
sarei limitato a qualche scherzo innocente, stavolta.
“Mi preme di più
che mi hai disobbedito di nuovo … lo sai che non devi
prendertela con chi non sa difendersi!”
Mi squadrò, severo. Strinsi i pugni… Proprio lui
parlava… lui… Avevo voglia di dirgli tutto quello
che pensavo della sua ipocrisia, delle sue dannate bugie... Volevo
dirgli, fiero di me, quello che avevo fatto e che lui, serpe indegna di
quel nome, non aveva osato mai.
“…
perciò non verrai con me e i Warrington a vedere la partita
del Puddlemere, dopodomani…”
“Per quello che me ne importa,
del tuo dannato Quidditch! Non sono più un
bambino!”
Sorpresi persino me stesso, quando mi resi conto di averlo detto ad
alta voce… Pur sconcertata, mia madre provò a
chiudere la porta con la magia per impedirmi di uscire, ma mio padre la
bloccò.
“Mirzam, vieni subito
qua!”
“Lascialo andare…
ci parlo dopo…”
Io avevo già dato loro le spalle e correvo per le scale,
fino in camera mia, dove mi barricai con un paio
d’incantesimi di mia invenzione, pur dubbioso che con i miei
avessero qualche efficacia. Mi gettai sul letto e tirai le tende. Mi
sentivo in gabbia, non vedevo l’ora di tornare a Hogwarts, di
stare il più possibile lontano da lui, raggiungere Rodolphus
e i miei amici… Non ne potevo più di quelle
lagne, nemmeno lui credeva nelle baggianate che mi ripeteva da anni.
“Mirzam fammi
entrare…”
Il sole filtrava appena attraverso le tende verdi alle finestre, la mia
stanza era pervasa dallo stesso senso di calore claustrofobico del
dormitorio di Serpeverde. Guardai ostile verso la porta, tempestata da
colpi secchi e irati… Mia madre…
“Mirzam… Fammi
entrare…”
Riuscì a forzare la porta, si avvicinò,
scostò appena le tende e si sedette sul mio letto,
appoggiò la mano sulla mia, abbandonata sul cuscino, fui
invaso dal suo solito profumo di rose. La guardai. Non era
più arrabbiata, sembrava che la sua ira fosse evaporata via.
Mi prese una tensione allo stomaco, sapevo che i fantasmi furiosi nella
mia testa si sarebbero dileguati per un po’ se avessi pianto.
Ma non ero più un bambino e lei non poteva più
consolarmi. Distolsi lo sguardo dalla sua mano e lo lasciai vagare sul
soffitto.
“Che cos’hai?
E’ successo qualcosa a Hogwarts che non ci hai
detto?”
“Non ho nulla, voglio solo
restarmene per i fatti miei… senza quella piattola sempre
tra i piedi!”
“Non parlare così
di tuo fratello! Lui non
c’entra…c’è qualcosa che ti
consuma e ti rende infelice…”
“Te lo ripeto…
vorrei solo stare in pace qualche volta… non chiedo
molto…”
“Hai ragione, sei
grande… tuo fratello ti lascerà i tuoi spazi,
promesso… ma tu… non hai mai detto di no, al
Quidditch…”
“Non m’interessa
più il Quidditch… Non mi è interessato
mai…”
“Lo sappiamo entrambi che non
è vero…”
Mi scostò i capelli dal viso, io mi sottrassi, innervosito.
In realtà, tuffarmi nel suo abbraccio era l’unica
cosa che desideravo, l’unica capace di placarmi un
po’… Le puntai addosso il mio sguardo duro, deciso
a ferire. Non ci riuscii…
“Sono giorni che sei strano,
ho lasciato correre, pensando che fossi stanco per la scuola o avessi
qualche problema con i tuoi amici su cui riflettere, ma ora…
perché ti sei rivolto così a tuo padre? E
guardami quando ti parlo… non voglio usare mezzi che non mi
si convengono …”
“E allora usali! Una dannata
volta! Usali!”
Mi diede uno schiaffo, non l’aveva mai fatto in quindici
anni. Rimasi sconcertato, ma in un certo senso soddisfatto, era come se
il dolore fisico stemperasse quella marea di pensieri confusi che mi si
agitavano dentro. Anche lei rimase turbata, forse dal suo gesto, forse
dalla mia insolenza.
“Perché ne fai a
meno? Te ne vergogni? O annulli persino te stessa e la tua natura per
lui?”
Non si aspettava che criticassi così apertamente quello che
fino a pochi mesi prima era il mio eroe, il mio punto di riferimento,
il mio idolo: sentiva il risentimento che si agitava nella mia anima.
“Alla tua età
è normale scontrarsi con i propri genitori… ci
sono passata anch’io: e so che spesso diamo peso a
stupidaggini che ci rovinano la vita per anni senza un
perché …”
“Non sono
stupidaggini!”
Strinsi i pugni, non mi avrebbe creduto, le aveva fatto il lavaggio del
cervello, come a tutti noi.
“Lui ha mentito… a
te, a me… ha mentito a tutti! Ma tanto tu sei
sempre dalla sua parte…”
“Io sono dalla parte della
nostra famiglia, Mirzam… e se permetti, conosco tuo padre da
più tempo e meglio di te, so che non mente mai…
di qualunque cosa si tratti, non può che essere un
malinteso!”
“Davvero? Ero io il rumore che
avete sentito per le scale, la notte che avete litigato per Orion
Black…”
Divenne ancora più pallida, mi prese uno strano
compiacimento nel vederla sorpresa e indifesa. Si alzò,
andò a osservare il cortile dalla finestra poi si
voltò di nuovo verso di me, serena.
“No, non è stata
una buona idea cercare di risolvere a casa nostra i problemi di Orion,
lo so…”
“I problemi di Orion? Li
chiami problemi? Mio padre l’ha aiutato a uccidere una donna!
Lui, l’eroe senza macchia, se l’è presa
persino con una bambina! E non provare a difenderlo perché
vi ho sentito… è solo un bugiardo!”
“Tuo padre ha seguito Orion in
quella casa, non lo nego, ma solo per evitare che uccidesse anche la
bambina… è questo che voleva fare ed è
riuscito a farlo… se adesso è al sicuro,
è solo grazie a lui!”
“E la madre? Perché
il nobile Alshain Sherton non ha impedito che uccidesse anche lei? Dove
è la sua morale? Lui e tutte le sue panzane: “Ti
puoi vendicare solo su chi ti ha fatto del male”…
lui è stato per quella bambina quello che quei babbani
stavano per essere per me… lei è orfana per colpa
sua!”
“O no… questo
no… non ti permetterò questo paragone…
non priverai tuo padre del tuo affetto a causa di quella donna,
Elizabeth McKinnon era una poco di buono ed era coinvolta
nell’aggressione che abbiamo subito… per questo
tuo padre non ha mosso un dito per salvarla!”
Ero già pronto a ribattere alle considerazioni morali che
stava esprimendo su quella donna, quando sentii quelle ultime parole.
Non fiatai oltre, confuso, sconvolto, pieno di domande. Abbassai lo
sguardo… Non avevo mai pensato che ci fosse un valido motivo
se mio padre aveva fatto quello di cui l’accusavo…
Eppure più volte aveva detto che, pur riluttante, se fosse
stato necessario per il nostro bene, avrebbe rispettato regole che
considerava barbariche… Perché non avevo voluto
ascoltare quella voce dentro di me che conosceva la verità?
Senza indagare oltre, avevo preso la palla al balzo per giudicarlo e
sentirmi libero di concedermi mesi e mesi di violenze e aggressioni:
avevo aspettato solo una scusa, per liberare quello che avevo dentro,
dando la colpa di ciò che ero alla sua presunta incoerenza.
“Perché non
l’ha fatto con le sue mani?”
“Tuo padre non uccide i
nemici, lui li rovina… inoltre da quella donna cercava delle
conferme su presunti complici… per Orion era
diverso… ma di questo non voglio e non posso dirti di
più…”
“Chi sono gli altri? E che
cosa vogliono da noi? E perché mio padre ha portato qui la
ragazzina col rischio di farvi sbattere entrambi ad Azkaban?”
“Che cosa doveva fare?
Lasciarla morire accanto al corpo della madre? O nelle mani dei
Black?”
Stavo per dirle di sì, era solo una mezzosangue, ma di colpo
mi si rivelò la verità: era solo una bambina
indifesa, com’ero stato io quel giorno, eravamo identici, pur
con un sangue diverso… Se ci fossi stato io, al posto di mio
padre, non sarei riuscito ad abbandonarla. Questa consapevolezza mi
spezzò definitivamente.
“Ora sei confuso e arrabbiato,
Mirzam, lo capisco… e capisco i tuoi strani
comportamenti… ma questa rabbia e questa paura dimostrano
anche quanto ami tuo padre… altrimenti, non
t’importerebbe nulla e non soffriresti in questo modo per i
dubbi che ti tormentano…”
Mi prese la mano, seguì con le sue dita le rune impostami
dalla lama di mio nonno…
“… e Merlino solo
sa quali dubbi ti sono stati inculcati quando eri troppo piccolo per
difenderti…”
“Quello che provo io non
importa… è mio padre che sembra non tenere a
tutti noi…”
“Tu porti la verità
dentro di te, Mirzam, guarda indietro e capirai se tuo padre ti ama
oppure no… E chiediti perché ho deciso di vivere
al suo fianco… Tuo padre ama la sua famiglia sopra ogni cosa
ed è pronto a tutto per noi. Io lo conosco e ho completa
fiducia in lui…”
“Ma come fanno a non turbarti
le sue idee sui babbani? C’eri anche tu con me quel
giorno…”
“Tuo padre non va in giro a
dar la caccia ai babbani, vero, ma non esiste al mondo un Serpeverde
più convinto di lui: ha un profondo senso
dell’onore e della giustizia, non ha bisogno di sangue
né di gloria personale… C’è
solo una cosa che vuole e per questa lotta: rinsaldare la
Confraternita, risollevarla dal declino in cui è scivolata
da decenni. Questo farà il vero bene dei Purosangue, ci
consentirà di riprenderci il Ministero e tornare al nostro
posto… Non saranno gli atti criminali, ma l’arte
della persuasione… una delle migliori arti di Salazar
… a ridare il mondo alla Magia…”
Ero rimasto senza parole… Non avevo capito niente: mi ero
fatto manipolare da mio nonno, dalle mie paure, dai miei amici, come
uno stupido. Non avevo mai considerato le Terre del Nord e la loro
magia come una soluzione… per me erano solo
un’abilità in più da sfruttare contro
gli altri.
“Voi, i suoi figli, sareste
l’esempio perfetto… Attraverso voi, gli altri
capirebbero che è vero… se la Confraternita fosse
convinta e coesa, sarebbe una potente guida anche per gli altri
maghi…”
Salazar…
ho rovinato tutto… ho mandato a monte tutto…
Mio padre aveva un piano ambizioso ed io non avrei potuto farne parte
perché non riuscivo a dominare le mie passioni. Mia madre mi
offriva il suo aiuto, ma se avesse saputo la
verità… non sarei sopravvissuto alla delusione
stampata nel suo sguardo.
“Scendi di sotto appena te la
senti… parla con lui… ti aspetta in
cortile…”
Mi baciò sulla fronte e se ne andò. Odiavo me
stesso: mi sentivo una merda, molto più di quanto mi fossi
mai sentito. Avevo fatto cose orribili e non me n’ero mai
pentito, anzi ero rimasto affascinato nel vedere la paura negli altri;
ero stato bene, mi ero sentito me stesso… E ora avevo paura,
perché non sarei mai riuscito ad affrontare mio padre,
celandogli ancora la mia verità.
***
Mirzam
Sherton
Herrengton Hill, Highlands - agosto 1965
La discussione che temevo, alla fine, era stata, per così
dire, sorprendente. Dopo quella scenata non ero stato punito,
né sottoposto a interrogatori o a una delle solite
terrificanti lezioni morali: mio padre mi aveva solo trascinato nei
sotterranei per tre settimane, spiegandomi, come se niente fosse,
quello che serviva per le rune dell’anno seguente e
insegnandomi delle pozioni che il Ministero non voleva fossero trattate
a scuola. Alla fine, stravolto e allucinato, avevo chiesto
pietà suggerendo di uscire da quella stanza intrisa di
miasmi nauseabondi e andare a farci una partita di Quidditch
all’aperto. Sogghignò.
“Credevo non
t’interessasse più, il
Quidditch…”
“Ho
mentito…”
“Certo…
è più facile che dire la
verità…”
“Ti prego… non
potresti essere qualche volta meno saggio e arrabbiarti come tutti?
Merlino… tutta questa perfezione è più
soffocante di una gabbia minuscola per un drago…”
Scoppiò a ridere, mentre si versava il suo classico whisky
babbano, che io finsi di non vedere, e mi offrì una
burrobirra. Poi mi mise una mano sulla spalla e mi condusse nella
biblioteca, prese da un ripiano una vecchia cartellina ammuffita e
malconcia e tutto orgoglioso e divertito me la mise in mano. Senza
staccarmi gli occhi da dosso.
“Ammira quanta perfezione
c’era in me alla tua età: con me la violenza di
mio padre non faceva effetto, per questo invece di arrabbiarmi cerco di
parlarti…”
“Magari non funzionava con te,
ma con altri fa effetto…”
“Non mi pare che sul tuo
Lestrange la violenza faccia effetto…”
No, in realtà non facevano effetto tutte le frustate che
prendeva. Lessi e più leggevo quelle vecchie pagine,
più restavo a bocca aperta, mi si apriva un mondo: era il
resoconto più ricco di monelleria, zuffe, pestaggi, scherzi
più o meno pesanti che avessi mai letto. Non potevo credere
che si trattasse di mio padre, pensavo fosse stato sempre
“strano”, fin da ragazzo.
“Ma queste
sono…”
“… le cartelle che
il custode teneva sugli studenti: ho salvato le mie, a memoria della
mia bravura, prima di appiccare il fuoco agli
schedari…”
“Hai davvero incendiato gli
schedari del custode?”
“Oh si…
è stato un pomeriggio molto divertente… e ricco
di conseguenze…”
Si aprì la camicia e mi mostrò, tutto fiero, un
paio di lunghe cicatrici perlacee in mezzo alla schiena, medaglie di
guerra lasciate da suo padre quando la scuola l’aveva
informato. Rabbrividii.
“…tra un paio di
pagine dovrebbe esserci il resoconto del falò che io e Orion
Black appiccammo anche nell’aula di Trasfigurazione: il
vecchio Dumbledore non si è mai incazzato tanto in vita
sua… al punto che non si accorse che il fuoco stava per
attecchire anche sulla sua barba…”
Era vero: aveva anche appiccato un incendio che aveva quasi coinvolto
il mio attuale preside. Immaginavo che quella volta il nonno
l’avesse premiato, non punito, visto lo stato di sangue di
Dumbledore e altri screzi. Mi veniva da ridere, ma non era il caso:
dovevo capire.
“Perché mi fai
leggere queste cose?”
“Come hai detto tu, anche la
saggezza, se eccessiva, può far danno: non sono infallibile,
Mirzam… ho sbagliato e sbaglio come tutti… ma gli
errori che ho commesso non cambiano quello che provo per te, per i tuoi
fratelli e tua madre… avrei dovuto parlarti di alcune cose
molto prima…”
“Perché?”
“Perché sento che
c’è qualcosa che ti turba e voglio aiutarti a
liberartene…”
“Non puoi… ho fatto
cose ben peggiori di queste…”
“Tu dici? Sai, ero abbastanza
bravo e fortunato da non farmi beccare: questa è la punta di
un enorme iceberg… evidentemente sei bravo e fortunato anche
tu… visto che non ne ho saputo niente…”
“Tu non capisci… io
dovrei finire i miei giorni nella torre… non è
solo quello che ho fatto… io ho tradito te, ho approfittato
di un tuo presunto errore per rinnegare quello che mi hai sempre
insegnato!”
“Mirzam, la nostra vita
è tutta una lotta, contro quello che ci sta intorno e quello
che portiamo dentro, a volte si vince, altre no… e a
quindici anni non è facile dominare quello che abbiamo nel
cuore, non è una giustificazione, sia chiaro... ma spesso,
la nostra volontà non è
sufficiente…”
“Ma io ho lanciato una
“Cruciatus” contro un ragazzo che mi dava le
spalle, solo per dimostrare che non sono come te!”
Non parlò per qualche istante: non mi guardava in faccia
come suo solito, ero convinto che sarebbe stato capace di incenerirmi
col solo pensiero.
“… E in questo modo
invece hai finito col dimostrare di essere proprio mio
figlio… Io sono stato un ragazzo violento per buona parte
della mia vita a Hogwarts, Mirzam: non c’era bassezza o
vigliaccata che non mi vantassi a ragione di aver fatto…
Agivo così per essere all’altezza di mio fratello,
perché era quello che ci si aspettava da uno col nostro
nome: in genere era la noia o la vanità a
spingermi… Mi son reso conto dopo anni che non era mai stato
per odio… Solo quando ho conosciuto tua madre le cose
importanti, per me, son diventate altre… e sono andato a
vivere tra i babbani anche per questo, per sfregio contro le regole di
mio padre, che tra l’altro non voleva riconoscere Deidra come
mia moglie… Quando sei nato, ho sentito la
necessità di chiedergli scusa solo perché tu,
come me, sei tutt’uno con questa terra… Non
perché mi fossi pentito… Al contrario di te io
non ho mai provato vergogna o colpa, se non dopo anni… e con
la testa, per mera valutazione delle conseguenze… mai col
cuore… Sei migliore di me, Mirzam, perché senti
col cuore i tuoi errori e te ne penti…”
“… Ma io non me ne
pento, era così piacevole sentire e vedere la paura negli
altri, io… ti ho tradito… alla fine ho fatto
l’opposto di quanto mi hai insegnato.”
“Se non fossi pentito, non
saresti qui: io non ne sapevo niente, potevi passarla liscia, invece
hai sentito la necessità di parlarmene… E non mi
hai tradito: io volevo che agissi con equilibrio e saggezza, solo per
evitarti alcuni errori che avevo già commesso, accorciarti
la strada… ma ognuno di noi arriva alle proprie conclusioni
con la propria esperienza, non con i dettami di un qualcun
altro… dovevo lasciarti libero di scegliere la tua strada
…”
“La mamma, però, mi
ha parlato del tuo progetto con la Confraternita… ora non
potrò più aiutarti, per quello che ho
fatto… mi dispiace, ho rovinato tutto... ”
“No, non hai rovinato niente e
se un giorno lo vorrai, sarò ben felice di averti al mio
fianco… ma devi volerlo per te stesso, non per me o per fare
ammenda di presunti tradimenti… tu hai solo commesso un
errore, come ne abbiamo commessi tutti…”
“Davvero? Allora lo
farò… applicherò le mie energie a
qualcosa di buono… avrò uno scopo
e…”
“Dovresti pensare alle
ragazze, al Quidditch e a divertirti, per ora, non alla politica:
questi interessi sono molto utili a placare le energie in
eccesso…”
Mi sorrise, il pensiero di Bella si era affacciato prepotente in me,
annullando qualsiasi cenno di razionalità. Presi
immediatamente fuoco e chinai lo sguardo.
“Ti mette a disagio, parlare
di ragazze con me, lo so: di solito i padri lasciano i figli davanti a
un bel matrimonio combinato che sistemi tutto… ma noi siamo
diversi… Sei già “uscito” con
qualcuna?”
“Merlino…
è proprio necessario parlarne?”
“No, non è
obbligatorio, ma potrei darti qualche suggerimento utile se
vuoi…”
“Ti prego… So
già tutto…”
“Lo so… ti ho
spiegato tutto quando avevi otto o nove anni, ma
c’è altro di cui devo parlarti…
Pozioni…”
“Pozioni?”
“Ai miei tempi mi furono molto
utili, soprattutto l’anno dei MAGO e dei GUFO, per riposare
sereno e non farmi distrarre… A Hogsmeade
c’è gente che ti offrirà di tutto:
filtri d’amore, antidoti, pozioni per l’audacia,
filtri contro le gravidanze… Capisci da solo che se non ti
affidi a gente seria, può finire male…
perciò, prima di fare brutte esperienze, finché
non saprai fartele da solo, puoi scegliere… puoi chiederle a
me… di qualsiasi cosa si tratti, non ti farò
domande… oppure puoi andare da questo signore, che
è l’unico serio che io conosca, forse appena un
po’ più caro degli altri, ma assolutamente
affidabile…”
“A me non serve niente, al
massimo qualcosa per concentrarmi quando studio…”
“Beh... ma quando passi del
tempo con una ragazza è meglio non avere pensieri, non
trovi? Non devi vergognarti, ci siamo passati
tutti…”
Mi porse un foglio recante l’indirizzo di un vecchio
alchimista che risiedeva nella parte alta della cittadina di Hogsmeade,
un po’ più lontano del corso principale in cui
passavano i nostri pomeriggi liberi noi studenti.
“Ora vai a cambiarti, o la
scopa finirà con l’ammuffirsi abbandonata e triste
com’è…”
Sorrise, anch’io: erano settimane che sognavo di saltare di
nuovo su quel manico…
“Per quanto riguarda la
punizione, perché una penitenza come sai devi scontarla per
forza… Mi seguirai nel viaggio che devo fare nei prossimi
giorni e passerai il resto dell’estate a preparare con me
Pozioni… dopo la partita di oggi, niente Quidditch per il
resto dell’estate… e al tuo ritorno a Hogwarts non
indulgerai come tuo solito con i tuoi amici …”
“Ma non mi hanno costretto
loro a fare quelle cose…”
“Non è per
quello… Se vuoi entrare nella Confraternita, devi abituarti
a sacrificare parte di ciò che ami a questa
terra…”
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - aprile 1966
L’autunno scorse rapido, trascinato via da giornate cariche
di compiti e di pioggia. L’inverno lo seguì a
ruota, annullandosi in un mare di neve e nel terrore per gli esami che
si avvicinavano. Non avevo mai capito, finché non mi ci ero
trovato in mezzo, quanto sarebbe stato impegnativo l’anno dei
GUFO, con in più l’aggravante, per me e Jarvis,
delle famose rune dei sedici anni. Rodolphus, da parte sua,
era impegnato con la preparazione dei MAGO: fu così che per
buona parte dell’anno non mi fu difficile soddisfare le
condizioni di mio padre, condussi una vita ritirata, al sicuro da
qualsiasi occasione di follia, anche grazie agli effetti delle sue
pozioni “rilassanti”. Sopravviveva solo
l’amore per il Quidditch, nel quale sfogavo
l’eccesso di energie represse che accumulavo dentro di me, e
la fissazione per Bellatrix, che non riusciva a placarsi, nonostante le
occasioni per stare insieme si fossero drasticamente
ridotte. Mio padre, abile com’era, aveva trovato
facilmente il mio punto debole e mi aveva di nuovo messo nelle
condizioni di dipendere da lui; io approfittai della sua
complicità e del suo aiuto contro quelle passioni che spesso
mi dominavano, affidandomi a lui, per far tacere dubbi e ribellioni. Ma
sapevo che era sempre tutto lì: come una belva che una volta
conosciuto il sapore del sangue continua a bramarlo, sebbene sazia, il
mio lato oscuro era pronto a rialzare la testa appena gli avessi
fornito un motivo valido. Potevo fingere di non vedere e non sentire,
ma sapevo che quella parte di me non era sparita: c’erano
parole che mi risuonavano in testa, a volte mi svegliavano nel cuore
della notte, trascinandomi nei soliti dubbi. Così dovevo
aggrapparmi sempre più saldamente ai miei progetti futuri
per non affogare…
Quella mattina il vento tiepido della primavera mi accarezzava il viso,
portando con se l’odore di terra umida, mescolato al consueto
profumo di fiori che più di ogni cosa placava la mia anima.
Stavo sdraiato in riva al lago, sul plaid, sonnecchiando in un raro
momento di relax, Meda e Bella leggevano tranquille ai piedi
dell’albero di fronte a me; Sile e Jarvis bisticciavano poco
lontano sulla reale composizione di una vecchia pozione spiegata alcuni
mesi prima; i grandi, capitanati da Rodolphus, sembravano
infischiarsene degli esami e chiacchieravano di politica e di tutti
quegli argomenti che a me gelavano il sangue, tanto ero sensibile a
certi richiami. Aprii gli occhi e vidi che Bella seguiva quei discorsi
con interesse, una strana inquietudine mi prese allo stomaco,
così mi alzai e decisi di rientrare nel castello.
“Te ne vai
già?”
Bella mi fissava addosso il suo sguardo magnetico, io guardai verso le
montagne, riconobbi dal colore delle nuvole l’arrivo del
temporale, compresi il perché della mia strana inquietudine
e sorridendo della fortunata coincidenza, cercai di mascherare il reale
motivo delle mie inquietudini. Black mi si affiancò sinuosa,
seguita da Meda, che manteneva sempre il solito atteggiamento gentile e
riservato…
“Signore delle
Nuvole… cos’è? Non ti piacciono
più i discorsi dei tuoi amici?”
“Che cosa vuoi dire?”
“Tuo padre deve averti
fustigato a sangue per l’anno scorso e ora ti tieni lontano
dai guai, non è così? Ti ho osservato a lungo, ho
visto che eviti sempre certe situazioni e certi discorsi che
l’anno scorso apprezzavi tanto…”
“Ti sbagli Black…
Ho troppi impegni quest’anno: GUFO, rune, Quidditch, non
resta molto tempo per tutto il resto…”
Mi prese la mano tra le sue, sotto gli occhi sbigottiti e attenti di
Meda tracciò il profilo delle Rune con la punta delle dita:
per fortuna mio padre mi aveva detto come evitare certe sensazioni e
quel tocco non aveva più gli effetti dirompenti
dell’anno precedente, ma non riuscii a non arrossire.
“Quanto sono importanti queste
Rune? Sai che non l’ho mai capito?”
Il suo sguardo mi mozzava il fiato… dovevo concentrarmi o
l’avrei stretta a me e soffocata con la voracità
dei miei baci.
“Queste Rune sono il futuro
del mondo magico, Black… Con queste Rune riprenderemo il
mondo, senza versare nemmeno una singola goccia di
sangue…”
Bella si staccò da me ridendo, mi precedette e si
allontanò rapida di qualche passo, tenendo per mano sua
sorella, poi si voltò e mi gridò:
“Illuso…”
Restai turbato, non capivo se mi stesse prendendo in giro o, in qualche
modo, minacciando: da quando avevo parlato delle mie inquietudini con
mio padre e lui mi aveva raccontato la sua storia, pensavo di poter
essere salvato anch’io da quello che avevo nel cuore, solo
grazie all’amore di una donna. Ma ero troppo pazzo di Bella
per ascoltare i dubbi che avevo su di lei, quelli che cercavano di
dirmi che Bellatrix non era della stessa pasta di mia madre. O per
rendermi conto dell’attenzione piena di speranza che le mie
parole avevano suscitato in Andromeda Black.
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - maggio 1966
“Hai finito di ammirarti allo
specchio? Stai diventando una femmina!”
Rodolphus era davanti a me, tutto acconciato per la festa in onore
della vittoria sui Corvonero e la conquista della Coppa con una partita
di anticipo, pronto a far danni, come diceva lui, con una Tassorosso
provocante del sesto anno.
“Smettila di fare
l’idiota… Sei sicuro che questa chiave non serva a
te?”
“E’ una Corvonero,
non la farò mai entrare qua sotto…
userò la Stanza delle Necessità o i Bagni dei
Prefetti come sempre… questa chiave è tutta tua:
mi raccomando, fai onore alla stanza del Caposcuola
Lestrange… E non dimenticarti… voglio tutti i
dettagli domani!”
“Quelli te li puoi
scordare…”
“Prometto che non ti
prenderò in giro…”
“Vai al diavolo,
Lestrange…”
Presi la chiave e gli diedi le spalle: era un anonimo giorno di
metà maggio, a breve avrei compiuto sedici anni, diventando
un adulto per la Confraternita del Nord, ma quell’anonima
sera se, come pensavo, tutto fosse andato come volevo e sognavo,
sarebbe stata la notte più bella della mia vita.
Quell’anno il comportamento delle Serpi si era mantenendo
sempre irreprensibile e questo aveva convinto il vecchio Dumbledore a
concederci, per la nostra festa, una vecchia ampia aula in disuso su al
settimo piano, con accesso diretto sul Cortile della Torre
dell’Orologio. Avevamo invitato tutta la scuola, si sarebbero
aggiunti i Tassorosso e i Corvonero: a me all’inizio sembrava
strano, ma quell’anno anche solo giocare con loro, non solo
batterli, era stato piacevole. I Grifoni, al solito, sarebbero rimasti
nella loro torre a rimuginare vendetta. Ed io godevo ancora a ripensare
alle loro facce sconfitte quando proprio i Tassorosso li avevano
massacrati senza pietà. Prima di salire fino
all’ultimo piano, sarei passato in biblioteca: avevo preso
dei libri indispensabili per l’ultima pozione di Slughorn, e
visto che quell’anno ero davvero stato un modello di
virtù, la vecchia acida bibliotecaria non aveva avuto
problemi a farmeli portare in camera… Forse avrei fatto
persino in tempo a prendere un altro libro, prima di salire alla
festa…
Ero euforico. Quella sera sarei “stato” con Bella,
nelle ultime settimane, dopo quella scaramuccia vicino al lago, la
tensione tra noi era aumentata e i suoi sguardi erano diventati
inequivocabili: sapevo che mi avrebbe seguito nella stanza di Lestrange
volentieri, ma di sicuro non poteva immaginare quali fossero tutte le
mie reali intenzioni. Quella sarebbe stata la “prima
volta” anche per me, e pur l’ovvio stato di paura
ed emozione in cui mi trovavo, avrei fatto di tutto perché
fosse indimenticabile per entrambi. Ero stato a Londra con Rodolphus,
giorni prima, avevo detto a mio padre che l’avrei fatto e lui
mi aveva accordato il permesso, forse perché per il resto
dell’anno ero stato irreprensibile. Eravamo andati
con la materializzazione congiunta, potenziata dalla mia magia per
coprire quella distanza enorme in poco tempo; l’avevo
accompagnato da Sinister, doveva comprare un vecchio schifoso oggetto
osceno per la collezione di suo padre che compiva gli anni a giorni. In
attesa di essere ascoltati, io mi ero guardato intorno ricordando gli
inviti di mio padre a tenermi sempre alla larga, là dentro,
da oggetti molto belli ma assolutamente letali: ero così
arrivato a una teca contenente un anello bellissimo. Chiesi al
negoziante che origine avesse e lui mi liquidò sostenendo
che era troppo costoso per un moccioso come me…
“Questo è il
primogenito di Alshain Sherton, vecchia capra, dovremmo affatturarti le
chiappe solo per quanto sei cieco e stolto…”
Il vecchio si prostrò in mille scuse alle minacce di
Lestrange e mi ricoprì da quel momento di ogni attenzione
possibile: seppi così che
l’anello era stato per secoli proprietà del ramo
cadetto dei McMillan fino a che non si erano ritrovati in
difficoltà economiche tanto da essere costretti a cederlo,
all’inizio del secolo. Per molti anni era rimasto invenduto
perché, pur avido, Sinister aveva promesso alla bella Susan
McMillan, che doveva avere una qualche parentela con mia nonna, di
tenerglielo da parte. Quell’inverno, però, una
brutta polmonite aveva portato via la vecchia strega senza che avesse
mai avuto la reale possibilità di riprenderselo e liberando
così Sinister dalle promesse fatte… La
storia era affascinante, anche perché dal viaggio estivo con
mio padre, mi ero fatto coinvolgere nella sua ricerca delle vestigia
del nostro passato e pensavo con orrore alla possibilità che
un anello appartenente a una famiglia purosangue di così
alto lignaggio potesse finire in mani indegne. Osservandolo con
attenzione capii che non era solo la sua storia e la sua bellezza ad
attrarmi: quel rubino, incastonato in una serie di ossidiane nere, mi
ricordava le labbra di Bellatrix, circondate dal corvino dei suoi
capelli, mossi dal vento… Impegnai tutti i soldi che avevo
con me, quelli che avevo messo da parte quell’anno per una
nuova scopa, e assicurai che mio padre avrebbe coperto
l’enorme differenza quanto prima, poi, sotto lo sguardo
carico di domande di Rodolphus, ripartii fiero e soddisfatto, diretto a
scuola.
Per giorni Rodolphus mi aveva tampinato, avendo intuito che
quell’anello tanto esoso mi serviva per dichiararmi a
qualcuna, di cui però non riusciva a indovinare
l’identità. Riuscii a restare impassibile,
nonostante i suoi numerosi tranelli: avrei portato il segreto nella
tomba, o meglio, l’avrei mantenuto fino a quando Bella non
sarebbe uscita dal nostro nido d’amore, al mio fianco, con il
mio anello al dito e in mano la mia lettera per Cygnus Pollux Black.
Probabilmente mio padre all’inizio sarebbe rimasto stranito,
perché da sempre mi ripeteva di non correre, ma io ero
più che sicuro delle mie intenzioni e sapevo che vedendomi
felice, i miei sarebbero stati felici per me. Non c’era alcun
bisogno di attendere oltre…
***
Mirzam
Sherton
Hogsmeade, Highlands - giugno 1966
“Non puoi averci ripensato
così, Sherton… di chiunque si tratti non puoi
averci ripensato così… Non senza un valido
motivo… Quel giorno ti ho offerto la mia stanza e non ti ho
mai visto più entusiasta, nemmeno quando prendi un boccino
sei felice come lo eri quel dannato giorno... Ed ero con te quando hai
comprato quell’anello, quindi non dirmi che non è
successo niente…”
Rodolphus mi aveva invitato a bere una burrobirra a Hogsmeade con lui,
per cercare di distrarmi e farmi parlare: era ormai da due settimane
che mi comportavo in modo strano, da quando era rientrato nella sua
stanza, la mattina seguente la festa per la vittoria, ritrovandomi in
stato catatonico, mezzo nudo, le mani ferite a sangue con le schegge di
legno e vetro del suo specchio, in mezzo ai ruderi di quello che un
tempo era stata la camera del caposcuola, il suo santuario…
Da allora non avevo più aperto un libro, avevo saltato
numerose lezioni, passavo la maggior parte del mio tempo nel mio
letto… Qualcuno alla fine aveva fatto la spia, forse proprio
Rod, e mio padre era arrivato con il nostro medimago personale per
visitarmi, ma nemmeno a lui avevo detto niente. Continuavo a non starci
con la testa, a vivere in un mondo oscuro tutto mio, fatti di pensieri
di sangue e di vendetta: lo sentivo blaterare, ma non c’era
nulla che trattenesse la mia attenzione. Non c’era bisogno
nemmeno di chiudere gli occhi, rivedevo in maniera vivida ogni singolo,
schifoso dettaglio di quella scena.
La
teneva stretta a sé. E lei sospirava il suo nome.
Come una sgualdrina qualsiasi.
Non potevo ancora crederci. Non potevo credere a quello che avevo
visto. Come dei flash, la mente si squarciava sotto
l’immagine di Bella avvinghiata a Jarvis, dietro alla
libreria più nascosta della biblioteca, le mani e la bocca
di lui che non risparmiavano un solo centimetro della sua pelle. Mi
veniva da vomitare. Bellatrix, la MIA Bellatrix, avvinghiata mezzanuda
a Warrington… No, non potevo crederci…
“Lasciami in pace,
Lestrange…”
“Andiamo, Mir…
Abbiamo vinto il campionato anche quest’anno e, per Merlino,
il merito è soprattutto tuo… Cosa vuoi che sia?
Se non è andata bene una volta, non è morto
nessuno… Su dai… Un po’ di sano
entusiasmo!”
“Pensa a divertirti
Lestrange… questo è il tuo ultimo anno, no? Io ne
ho ancora diversi cui pensare…”
Come faceva a farsi toccare da quella bestia? Merlino, da giorni
trattenevo a stento i conati di vomito…
“Il tuo problema con le donne
è che sei troppo gentile… Sei ancora troppo
legato alle sottane di tua madre, Sherton! Merlino… Certo,
ci starei pure io, bella
com’è…”
Senza pensarci due volte, mi ritrovai a prenderlo per il bavero e, pur
più grande e più robusto di me, non ci misi molto
a inchiodarlo al muro….
“Modera le parole quando parli
di mia madre!”
“Lasciami… Che
diavolo ti prende, Sherton? Mi stai soffocando…
Lasciami… Ho solo detto che tua madre è molto
bella…”
Mi serrava le mani con le sue, impedendomi di stringere più
forte, ma dal rossore che gli imporporava il viso, mi resi conto che
comunque stavo stringendo troppo, allora allentai la presa, in un
attimo di parziale lucidità. Mi staccai da lui e iniziai a
sistemargli il cravattino, con gli occhi bassi, pieno di vergogna e al
tempo stesso di furore.
“Non devi nemmeno nominarla,
mia madre!”
“Salazar… Si
può sapere che cosa è successo quella sera? Non
ti sei mai comportato così, sembri completamente
pazzo…”
“Sì sono pazzo e
per il tuo bene dovresti starmi alla larga! Mi hai rotto con il tuo
modo di fare, Lestrange! Mi hai rotto, hai capito? Che diavolo vuoi da
me? Non voglio venire alla tua stupida festa, non m’interessa
niente dei tuoi programmi per la serata e non voglio che tu metta in
mezzo me o la mia famiglia …”
Glielo dissi fissandolo negli occhi, era ora che si facesse da parte,
che mi lasciasse in pace, non ero suo fratello, cui poteva dire tutto
quello che doveva o non doveva fare…
“D’accordo,
d’accordo… Ora calmati però…
Voglio solo aiutarti… Sono preoccupato per
te…”
“Non c’è
bisogno… Non ho nulla…”
“Non si direbbe…
Per favore… Ascoltami… Ti posso
aiutare… Se un po’ ti conosco, penso che ti sei
innamorato di qualcuna e lei non ci sta, o ha umiliato in qualche altro
modo il tuo orgoglio…”
“Non dire idiozie!”
“Se vuoi, possiamo spaccare la
faccia insieme a quell’idiota di cui è
innamorata… oppure, se vuoi, possiamo farla pagare a lei,
insieme, nel modo che preferisci… Che cosa ne
pensi?”
“Se tu avessi ragione,
Lestrange, io non mi sporcherei ulteriormente le mani con questa
persona… Perciò, se davvero mi sei amico e mi
vuoi aiutare, non voglio sentirti parlare mai più di questa
storia…”
Rodolphus era sempre stato uno che non serbava rancore e dimenticava
subito quello che gli si diceva due secondi prima, annuì e
riprese a fare l’idiota come suo solito. Io, però,
ero al colmo dell’esasperazione.
“Sai, c’è
quella bella biondina di Corvonero che ti fa il filo da
mesi… Puoi invitarla e…”
“Non ho intenzione di invitare
nessuna al genere di feste che piacciono a te… Fine della
storia…”
“Cos’è?
Ora ti vergogni del tuo vecchio compagno di avventure?
Interessante…”
“Non mi vergogno di niente,
Lestrange, solo… dammi aria, d'accordo? Dammi
aria…”
Sbuffai e gli feci capire che ero arrivato al limite. Si mise a
ridere… Di sicuro non avrebbe mai capito la
verità, dopo quello che era successo nel bosco, un anno
prima, gli era passata la fantasia che fossi innamorato di Bella, ed io
mi vergognavo troppo per dire che invece per me non era mai cambiato
niente e che le mie recenti pazzie erano dovute ancora una volta a lei.
Non gli avrei mai rivelato, nemmeno sotto tortura con chi avrei voluto
sfruttare la sua preziosa stanza da Caposcuola, né tantomeno
a chi era destinato l’anello.
“D’accordo, cambiamo
discorso e parliamo delle mie disgrazie, allora… Sai la
novità? Mio padre sta pensando di rifilarmi Viollett
Bullstrode, ti rendi conto? Io spero di riuscire a sfuggirla
in qualche modo: hai visto che razza di naso ha? Merlino, speriamo
proprio che ci ripensi…”
“Lo spero proprio per te,
amico mio… a meno che tu non abbia le palle di fuggire da
casa… ”
Mi veniva da sorridere al pensiero di quel damerino di Lestrange che
trovava il coraggio di mandare al diavolo suo padre, ma continuavo a
rivedermi Bellatrix e Warrington insieme quindi il mio sostegno morale
a Rod non riusciva a essere convincete come avrei voluto.
“Lo sai chi mi
piacerebbe?”
Non poteva importarmene di meno, ma ero lì e finsi di essere
interessato alla conversazione: in realtà da qualche tempo
Rod non era più un compagno stimolante, per me. E i suoi
gusti in fatto di donne erano talmente scontati, che già mi
aspettavo di sentir indicare il nome di qualche ragazzotta di dubbia
morale, che però aveva un bel fondo schiena e un magnifico
conto alla Gringott.
“Chi, stavolta? Ormai mi hai
rivelato di volerti sposare mezza fauna femminile di
Hogwarts”.
Rise, annuendo e scolandosi un’altra burrobirra, poi mi
guardò serio negli occhi, forse per studiare le mie reazioni.
“Bellatrix Black…
pur Purosangue non è una monaca come tutte… certo
per alcuni, come moglie, non sarebbe un granché, ma vuoi
mettere? Con una così, non ci si annoierebbe di
sicuro…”
Strinsi i pugni sotto il tavolo, cercando la forza di non saltargli
addosso e picchiarlo a sangue. Scolai una burrobirra a mia volta e con
tutto il coraggio e la calma che riuscii a mettere insieme, lo guardai
a mia volta, gelido e impassibile, a parte la punta d’insana
arroganza che tiravo fuori sempre quando parlavamo delle sue fissazioni.
“Che cosa vorresti dire? Non
crederai che una ragazza di buona famiglia come quella, possa
comportarsi in modo indecoroso…”
“Salazar, ma come parli?
Sembri un’educanda! T’illudi davvero che le ragazze
di buona famiglia siano migliori di quelle che lavorano nella casetta
in fondo alla strada? Svegliati Sherton! E ringrazia Merlino, hai avuto
occhio a mollarla, nel bosco, un anno fa… Circolano voci, su
quello che Bellatrix Black ha combinato in giro per tutto
l’anno… non so se sia vero che si baciava con
Augustus vicino alle mense, o con Amycus non ricordo dove, ma di certo
l’hanno vista uscire tutta scarmigliata dal sottoscala con
Sullivan, la settimana scorsa… lui ha ammesso tutto e ha
detto di non essere nemmeno stato il primo…”
A quel punto vidi rosso, sentivo che presto sarei esploso ma non potevo
cedere, fosse rabbia o disperazione, non potevo farlo davanti a
testimoni: mi lasciai andare a una serie di volgarità con
lui, finsi di tirare un sospiro di sollievo, di essere felice di
essermela scampata, di avere ben altri pensieri in testa… e
Lestrange ci cadde in pieno, non sospettò niente. Presi con
indifferenza la burrobirra che avevo di fronte a me e la scolai senza
alcuna remora, poi sotto lo sguardo ilare di un Rod alticcio almeno
quanto me, ne buttai giù un’altra e
un’altra ancora, e poi un’altra ancora…
“A Bellatrix
Black…”
E
al "tabula rasa" che hai fatto della mia vita...
***
Mirzam
Sherton
Herrengton Hill, Highlands - giugno 1966
Quando mio padre mi parlò in dettaglio della prova, capii
che non ci sarei mai riuscito: non potevo raggiungere l’isola
e trascorrervi la notte, non in compagnia di Jarvis. L’isola,
come qualsiasi altra parte delle Terre del Nord, di notte, sollecitava
gli istinti più profondi, le paure, i desideri, le passioni
più sfrenate… La notte delle Rune, la notte che
precedeva il solstizio, serviva a metterci alla prova e a liberarci
delle nostre debolezze.
“Non è possibile
affrontare la prova da soli?”
“Perché dovresti?
Vi siete preparati insieme tutto l’anno, è un
prezioso aiuto che la Confraternita vi dà, singolarmente
potreste non farcela, in due, se si mette male, potete
aiutarvi…”
“Preferirei fare la prova da
solo… se un giorno davvero dovrò aiutarti alla
guida di questa Confraternita… devo sapermela cavare da
solo…”
“E lo farai da solo, ma a
ventuno anni… E’ troppo pericoloso,
ancora…”
“Potrebbe essere pericoloso
anche così…”
Mi guardò dubbioso, poi mi fece capire che dovevo mettermi
il cuore in pace: da secoli quella prova si affrontava in due. I giorni
che precedettero il solstizio ero nervoso e irascibile, a Hogwarts, io
e Jarvis avevamo dovuto affrontare le prove dei GUFO in tempi
più stretti rispetto agli altri, così tutti
giustificarono il mio nervosismo e i miei recenti malesseri con lo
stress di tutte quelle prove. Io non aggiunsi niente, mi
limitavo a non parlare e guardare di sbieco Jarvis, del tutto
inconsapevole dell’odio che nutrivo nei suoi confronti. Da
quando Lestrange aveva parlato di vendetta, non dormivo la notte,
cercando di trovare il sistema di fargliela pagare senza espormi
troppo: i piani che prevedevano la mia sicurezza finivano
immancabilmente col lasciare spazio a ben altri disegni, in cui
sottoponevo a torture indicibili il mio ex amico d’infanzia
e, scoperto, finivo in carcere ad Azkaban, ma almeno mi ero tolto le
mie soddisfazioni.
La notte della partenza per l’isola, mio padre ci
accompagnò fino alla spiaggia dandoci gli ultimi consigli,
insieme al decano della Confraternita. Il mio cervello, mentre
l’occhio scivolava sulla linea morbida di quella strana
barca, si compiaceva del piano finale: Jarvis non sarebbe mai arrivato
sull’isola, sarebbe misteriosamente sparito tra le onde
durante la traversata, io sarei stato ritrovato incosciente alla deriva
il mattino seguente, incapace di spiegare cosa fosse successo. Sarebbe
stata considerata una delle classiche disgrazie che potevano accadere
in quel genere di situazione e, come voleva la tradizione, per
confermare la mia assoluta innocenza, avrei risarcito la famiglia
Warrington nei modi che avrebbero trovato più soddisfacenti.
Con uno strano compiacimento che non sfuggì a mio padre,
salii sulla barca e senza rivolgere né una parola
né uno sguardo a Jarvis ci avviammo in mare aperto: seduto a
poppa, era preda della solita loquacità, favorita
ulteriormente dalla tensione normale in quelle circostanze, io, al
contrario, mi ero rifugiato a prua, avvolto nel mio mantello,
sprofondato nel più assoluto mutismo. Le leggende narravano
che i giovani maghi dovevano affrontare tre pericolose creature del
mare: una avrebbe cercato di farci desistere, una di farci sbagliare e
l’ultima avrebbe provato a ucciderci. Ci misi poco a capire
che le uniche creature di cui dovevamo avere paura in realtà
eravamo noi stessi: Jarvis fu il primo a manifestare La Differenza.
Tanto era timido e riservato nella vita di tutti i giorni, tanto
irascibile e sfrenato apparve durante il viaggio: dalla sua bocca
uscirono gli apprezzamenti più volgari e le maledizioni
più terrificanti che avessi mai ascoltato, non
c’era più niente in lui del ragazzo mite che
consideravo, anni prima, a torto, adatto solo a Corvonero. Mi chiedevo
quale sarebbe stata la mia trasformazione, anche se immaginavo sarebbe
uscito il lato Oscuro che conoscevo già fin troppo bene.
Arrivati a metà del viaggio, iniziai a sentirmi strano,
persi le forze e mi addormentai, rendendo così vani tutti i
propositi di vendetta che avevo studiato nei giorni precedenti; quando
riaprii gli occhi, la barca aveva appena toccato il fondo sabbioso,
arenandosi sull’isola. L’imbarcazione sarebbe
sparita in pochi istanti, perciò mi caricai addosso Jarvis e
lo trascinai sulla spiaggia fino al capanno in cui avremmo passato la
notte: si agitava, mi minacciava, cercò di sferrarmi dei
pugni, faceva dei discorsi farneticanti in cui si lamentava del fatto
che per colpa mia lui non sarebbe mai stato il cercatore di Serpeverde.
Rabbrividii al pensiero che, appena fosse successo anche a me, io avrei
finito con rivelargli che lo odiavo perché si era fatto
Bella, insieme a chissà quanti altri, molto prima di me.
Come temevo, il pensiero di Bella fu una specie di fuoco che mi avvolse
dal cervello fino alle terminazioni più estreme: lo scaricai
a terra senza tante cerimonie e iniziai a dargli dei calci, quasi fosse
un sacco di patate, Jarvis, grosso almeno quanto me, ripresosi dallo
stupore iniziale, tornò parzialmente lucido e oltre a
difendersi mi attaccò con tutta la sua forza. Ci azzuffammo
e pestammo, usando mani per picchiare e denti per mordere, non avendo
la possibilità di usare la bacchetta: all’inizio
lottammo come degli sporchi babbani, poi i sentimenti repressi, oscuri,
che si agitavano in tutti e due, portarono la magia a sgorgare dalle
nostre dita com’era naturale in quelli della nostra stirpe.
Sapevo “dominare” la natura fin da piccolo, in
maniera più o meno raffazzonata, ma non l’avevo
mai usata come un’arma, Jarvis era incredulo almeno quanto me
all’inizio, ma presto entrambi scoprimmo qual era
l’elemento a noi più congeniale: Warrington
riuscì a sollevarmi e schiantarmi più volte
contro la parte di legno, che vibrò pericolosamente sotto i
ripetuti urti, io, come già sospettavo da certi sogni che
facevo, avevo una notevole familiarità con il
fuoco… Lo circondai e lo catturai in esso; mentre
Jarvis faceva di tutto per riuscire a liberarsi e fuggire, io lo
guardavo trasognato, beandomi all’idea di poter dire:
“Mi dispiace, non sono stato
capace di dominarlo, ho perso il controllo, ho cercato di salvarlo ma
è stato tutto inutile…”
Warrington m’implorava di smetterla, il cerchio di fuoco in
cui l’avevo chiuso ormai si stringeva sempre più
attorno a lui, presto avrebbe attecchito sulle sue vesti e il suo
corpo, quando l’aria ferma e soffocante, impregnata dei suoi
pianti e delle sue invocazioni e delle sue maledizioni, fu squarciata
da un grido potente.
“FINITEM INCANTATEM!”
Mi voltai smarrito e irato, mentre il fuoco di colpo evaporava con la
stessa rapidità con cui si era formato e Jarvis sveniva,
dalla paura e dal caldo, in mezzo alla cenere, unica testimonianza
dell’inferno che avevo scatenato. Mio padre corse a
soccorrerlo, si avvicinò per assicurarsi che non fosse
ferito, poi vidi che gli diceva all’orecchio qualcosa che non
sentii: io rimasi impietrito a osservare la scena, non capivo, non
doveva essere lì... come tutti gli altri, non doveva
arrivare prima del mattino…
“Che cosa ci fai qui? Che cosa
vuoi? Lasciami finire!”
“ Calmati Mirzam…
per favore calmati!”
Si avvicinava a me lentamente, guardandomi con la stessa calma con cui
incantava le belve quando andavamo a caccia…
“Non ci provare…
Non ti avvicinare… tu non capisci…
lui… Bellatrix… Io devo
farlo…”
Alzai la mano, pronto a investire di nuovo tutto ciò che mi
circondava con la mia ira, ma mio padre lanciò un
incantesimo silenzioso contro di me ed io mi ritrovai steso a terra,
incapace di muovermi. Mi fu addosso, mi strinse a sé, nel
suo abbraccio, sentii sulla pelle riarsa del mio viso le sue
lacrime… Non l’avevo mai visto piangere, se non il
giorno del funerale di mio nonno…
“Avevo promesso che non
l’avrei mai fatto, ma non posso lasciare che ti rovini la
vita così…”
“Bella…”
Non avevo quasi più forze, la sua magia stava facendo
effetto su di me, ma la belva che avevo nell’anima non
smetteva di lottare.
“… Ho rischiato di
perderti già una volta, per la pazzia di quella
famiglia… perdonami…”
Sentii le sue labbra sul mio orecchio… sentii le forze
lasciarmi, mentre quell’unica parola che non mi sarei mai
aspettato pronunciata da lui, andò a sopire il mio
mondo…
“IMPERIUS…”
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti,
recensito ecc ecc.
Valeria
Scheda
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