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Autore: Terre_del_Nord    16/07/2009    16 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Mirzam - MS.003 - Bellatrix Black

MS.003


Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giugno 1965

Eravamo in biblioteca, numerose Serpi di vari anni, tutti impegnati a completare le ultime ricerche del corso di Pozioni: io, conclusa la mia relazione sugli “Usi dell’Artiglio di Drago nelle Pozioni Rinforzanti”, mi ero fermato ad aiutare le sorelle Black, facendo sfoggio delle mie conoscenze extra scolastiche e ottenendo la loro totale ammirazione. Quella “Cruciatus” contro il Sangue Sporco era stata liberatoria, aveva fatto bene a me ma anche ai miei amici: da giorni mi lasciavano in pace, ai loro occhi avevo dato prova della mia vera natura. Inoltre, l’opera perfetta di Lestrange su Matheson, aveva fatto sì che non ci fossero state conseguenze dannose per me, per la mia carriera scolastica e per la mia reputazione. Agli occhi di tutti, ero sempre il solito, irreprensibile, Mirzam Alshain Sherton. Tranne che nei sotterranei, dove le leggende su di me già superavano ampiamente la realtà dei fatti. La mia calma, in realtà, era solo apparente, dentro di me si agitavano inquietudini inconfessabili: la prima, naturalmente, era il pensiero di mio padre. Se certe storie fossero arrivate a lui, me l’avrebbe fatta pagare cara, già mi vedevo intento a spalare neve a Durmstrang; o, meglio ancora, dato che stavolta ero andato ben oltre quello che mi aveva sempre vietato di fare, mi avrebbe consegnato di persona alle guardie di Azkaban.

    E poi c’è lei… Bellatrix Black...

Non mi aveva più parlato per settimane, dopo quel giorno, ed io non avevo più avuto il coraggio di avvicinarla. Se ripensavo a quanto era successo nel bosco, quando realizzavo di averlo fatto davvero, non riuscivo a capire se me ne vergognavo o invece ne fossi fiero. Quella vicenda mi aveva dato l’illusione di essere il più forte, di poter piegare il prossimo ai miei capricci, ma a volte, quando intercettavo gli occhi di Bella su di me, balenava nella mia mente una verità ben diversa: mi sentivo un burattino nelle sue mani e questo non mi piaceva per niente. A volte arrivavo a chiedermi se avrei agito diversamente se non avessi dovuto dimostrare ai miei amici di non essere come mio padre. Se pensavo a tutto questo, non potevo dirmi tranquillo e sereno. Perciò mi sottraevo spesso agli altri, andando a riflettere per conto mio in riva al lago: una parte di me sapeva che se mi ero fatto condizionare da loro com’ero stato manipolato da mio padre, dovevo allontanarmi per essere libero e davvero forte, d’altra parte sapevo che non sarei mai riuscito a vivere senza di lei.
Quel pomeriggio, stranamente, mi aveva rivolto la parola chiedendomi di aiutarle: sapevo che non ne avevano alcun bisogno, ma forse voleva darmi l’opportunità di rimediare a quanto avevo fatto, senza infliggermi l’umiliazione di doverle chiedere scusa, prima che la partenza da Hogwarts, per l’estate, ci tenesse divisi per oltre due mesi. Avevo accettato di buon grado, anche perché apprezzavo la compagnia di Meda, una ragazzina dolce e gentile, che m’ispirava sentimenti di protezione al pari di Meissa. Ero affascinato dalla calma che irradiava attorno a sé, ne avevo bisogno, avevo bisogno di quegli occhi che trasmettevano pace e serenità. Mi chiedevo che magia fosse la sua, perché di solito, quando incontravo delle ragazze studiose, calme e gentili come lei, mi trattenevo a stento dal prenderle pesantemente in giro. Lei invece mi guardava come fossi il cavaliere dalla brillante armatura, suscitando il mio orgoglio, non la mia vanità: nei suoi occhi c’era ammirazione sana, sincera, senza doppi fini… era compiaciuta e felice della mia amicizia e del mio interesse, forse anche del fatto che un giorno saremmo potuti diventare parenti, se avessi sposato sua sorella. O forse questo lo immaginavo io...
In effetti, nonostante alcuni dubbi e timori, nonostante iniziassi a percepire la pericolosità di Bella, continuavo ad aspettare con ansia di compiere diciassette anni per concretizzare i miei sogni di adolescente: non esisteva forse altra famiglia come la loro, erano fieri Slytherin Purosangue, una delle famiglie più stimate d’Inghilterra. Ma non era solo per quello che l’avrei desiderata in moglie: lei era già molto attraente e interessante, ed io la desideravo, tanto da star male e aver paura di impazzire, di non riuscire a controllarmi. Non capivo cosa mi stesse succedendo, sentivo ogni singola cellula del mio corpo urlare delirante, se solo le posavo gli occhi addosso per più di un secondo. A volte bastava anche solo pensarla. E i miei sogni diventavano notte dopo notte più realistici e sconvolgenti, al punto che prima o poi sarei crollato preso tra la mia confusione mentale e il desiderio fisico che provavo solo per lei. Ero così sconcertato da questi contrasti, che pur volendola, ero il primo a rifuggirla. Speravo che standole lontano perdesse il suo potere su di me e tornassi più lucido e razionale. Invano.
Mi resi conto di quanto fosse grave la mia debolezza quando rimasi turbato all’idea delle vacanze estive: non l’avrei vista per mesi, sarei rimasto in Scozia, lasciandola probabilmente in compagnia di altri, che al contrario di me avevano occasioni per incontrarla nello Wiltshire. Era ridicolo, lei tornava a casa dai suoi familiari… ma io stavo perdendo di vista la realtà: ero geloso. E tutto questo non faceva che renderla sempre più forte nei miei confronti.

    “Mirzam…”

Mi voltai verso di lei, mi ero fatto carico dei loro libri, di ritorno dalla biblioteca.

    “Tra poco torniamo a casa e forse non avrò altre occasioni per chiedertelo in tempo… ti andrebbe di passare qualche settimana con noi nel Galles? Siamo ospiti nel maniero di zio Alphard e…”

Sapevo di non poter andare, avevo molto da fare quell’estate, ma mi si era allargato il cuore, alla sola idea di passare l’estate con lei… Ed era stata lei a chiedermelo… voleva stare con me…

    “Ti ringrazio dell’invito... Black… purtroppo, quest’estate devo restare a Herrengton per prepararmi alle rune del prossimo anno… mi dispiace…”
    “E’ un vero peccato… sarebbe stato divertente…”

Mi guardò piena di promesse, mentre prendendomi la mano accarezzava le rune che avevo sulle dita: sentii il cuore mancare un colpo, un brivido di desiderio mi percorse tutta la schiena, sembrava che la pelle toccata da lei prendesse fuoco. La guardai, il suo sguardo dimostrava che sapeva bene cosa stava facendo. Le rune erano porte aperte sul nostro io, sui nostri istinti più incontrollabili. Come faceva a saperlo? Sapeva che presto sarei crollato, dilaniato dal desiderio feroce e una gelosia assurda e assoluta, che mi bruciava anima e corpo, rendendomi schiavo e pazzo di lei.

*

Ero avvolto da un caldo afoso, da luci strane, da un oppressivo senso di torpore: uscii a finirmi l’ultima Burrobirra sul terrazzino, apprezzando appieno il fresco della notte sulla pelle, la camicia sbottonata e il cravattino allentato. Non si era accorto nessuno che ero uscito. Quando percepii il suono leggero dei passi sulla pietra, mi voltai: era ancora più bella del solito quella sera. Si avvicinò, leggera e sinuosa, proprio come un felino, i capelli corvini sciolti sulle spalle nude, il corpo minuto e irresistibile avvolto in un bell’abito leggero, del colore del corallo. Nemmeno una parola, solo la sua mano pallida sulla mia, guardai le dita intrecciarsi, senza riuscire a dire niente, trattenendo il respiro quando iniziò a ricalcare il profilo delle rune: toccandomi in quel modo mi entrava da sotto la pelle direttamente al cervello, mi morsi le labbra per non sospirare, quando salì in punta di piedi e appoggiò quelle labbra rosse sul mio collo, proprio sulla runa.

    Com’è dolce il tuo veleno, mia piccola serpe...

Chiusi gli occhi, sentivo i suoi continuare a fissarmi: mi trovai a immergermi nel corvino dei suoi riccioli, le sollevai il viso e come un affamato mi dissetai nei suoi baci. La strinsi a me. Il suo corpo sembra vibrare come quello di un gatto che fa le fusa, attaccato al mio. E quando sospirò al mio orecchio una frase inequivocabile, tutto il resto non contò più: le afferrai la mano e la portai via con me, tra ombre, corridoi, scale, fino a raggiungere il silenzio dei sotterranei, fino alle ombre più cupe del nostro mondo, fino a quella stanza che da mesi ospitava solo i miei sogni solitari. Si guardò attorno, io rimasi appoggiato alla porta, per impedire che uno di noi potesse fuggire, pur consapevole, dal suo sguardo, che nemmeno lei aveva intenzione di tirarsi indietro… Si avvicinò per riprendere da dove avevamo sospeso. La punta delle dita risalì fino alla base del mio collo, per ascoltare il mio sangue puro scorrere e pompare velocemente a causa sua.

    Chi è preda e chi predatore?

L’afferrai per i polsi portandoglieli dietro alla schiena, la strinsi a me, chiudendola tra la parete e la mia stretta, indifesa e ancor più pericolosa, incredibilmente irresistibile. La mente si perse completamente in quel momento, lontano, mentre scendevo su quel collo esile soffuso del rosa della passione che la bruciava, mi bastò mordere quella pelle tenera per inebriarmi del suo tremore: aveva paura ma al tempo stesso si fidava di me. Lei, che tutti incantava, era creta nelle mie mani.

    Chi è preda e chi predatore?

Sussurrai un leggero incantesimo al suo orecchio e fragili fili dorati andarono a intrappolarle le mani in quella deliziosa posizione lasciando le mie di nuovo libere di scoprirla; una luce carica di domande e aspettative la pervase, quando la lasciai così, a pochi centimetri da me, indifesa, accarezzando la sua figura con gli occhi e seguendo il profilo del suo viso con la punta delle dita, sostituendo poi le dita con le mie labbra. Piacevole, il mio nome nel suo sospiro, andò a conficcarsi profondo nella mente…

Aprii gli occhi… Attorno a me c’era solo la fredda pietra antica del patio di Herrengton, il sogno si ritrasse nella mia mente. Sul mio corpo, malinconiche, restavano solo le mie mani.

***

Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - luglio 1965

    “Ora lo dico a tutti, ora lo dico a tutti!”
    “Vieni qua, brutta spia intrigante!”

Afferrai la bacchetta, sicuro di spaventarlo, invece quel piccolo demonio riprese a sbeffeggiarmi.

    “Oh Bella! Bella!”

Si voltò ridendo, ma per sfuggirmi, inciampò e andò a sbattere contro il tavolinetto del salone: il vaso di nonna Sophie rovinò a terra rimbombando il suono delle schegge in tutta la torre.

    “Guarda che cosa hai fatto! Sei il solito idiota!”
    “Si può sapere che cosa sta succedendo?”

Mi voltai verso la porta, spaventato, nostro padre, veste da camera e capelli legati, era appoggiato allo stipite, innervosito. Le scaramucce tra me e Rigel avvenivano sempre in quel momento della giornata, quando restavamo soli: i miei avevano l’abitudine, se mio padre era in casa, di ritirarsi in camera nel primo pomeriggio per un po’ e ora che ero cresciuto, mi era ben chiara la ragione.

    “Chi dei due ha rotto il vaso della nonna?”

La mamma entrò nel salone come una furia e con un colpo di bacchetta rimise tutto in ordine.

    “Mirzam m’inseguiva… voleva farmi male… aveva pure la bacchetta…”

Guardai mio fratello con odio, con quella vocetta noiosa e cantilenante, era sempre pronto ad arruffianarsi la mamma: nemmeno nei sotterranei di Hogwarts c’erano spie più infide di lui. Mio padre mi squadrava perplesso, non potevo negare l’evidenza: reggevo ancora la bacchetta.

    “Faceva i dispetti a Meissa, gli ho detto di smetterla e ho preso la bacchetta per spaventarlo, se davvero volessi fargli qualcosa, non avrei bisogno di questa… lo sapete pure voi…”
    “Io non facevo i dispetti a Meissa! Eri tu che stavi mezzo nudo nel patio e chissà cosa facevi e ripetevi il nome di Bellatrix… e quando ti sei accorto di me, ti sei arrabbiato e mi hai inseguito…”

Diventai rosso porpora. L’aveva detto davvero! Questa me l’avrebbe pagata…

    “Rigel fila in camera tua, sei in punizione per il resto della giornata…”
    “Ma come? Io? Mamma...”
    “… e anche tutto domani, se non la smetti di fare storie… vai subito in camera tua …”

Mio fratello sparì per le scale, arrabbiato, ma l’ultima occhiata che mi lanciò aveva il solito tono soddisfatto: gliel’avrei volentieri strappato via dalla faccia a suon di schiaffi. Ora toccava a me. Li guardai: mio padre in piedi, alla finestra, ammirava il cortile, mia madre seduta sulla poltrona preferita, mi guardava delusa. Non potei fare a meno di chinare il capo.

    “Rigel è un bugiardo… avevo appena fatto una nuotata, è normale che non fossi vestito…”
    “Quello che facevi nel patio è l’ultimo dei problemi, Mirzam…”

Mio padre m’interruppe, senza staccare gli occhi dal suo roseto: mi trattava in modo strano, da quando ero ritornato, forse aveva intuito qualcosa, per questo stavo facendo di tutto per evitarlo.

    “…parleremo di quello, dopo… a quattro occhi…”

Perfetto! Non solo avrei dovuto parlare con mio padre, ma per colpa di quella vipera, il tema sarebbe stato la mia “condotta sessuale”… Merlino solo sapeva se questa non me l’avrebbe pagata cara, quel piccolo traditore infame. Non mi sarei limitato a qualche scherzo innocente, stavolta.

    “Mi preme di più che mi hai disobbedito di nuovo … lo sai che non devi prendertela con chi non sa difendersi!”

Mi squadrò, severo. Strinsi i pugni… Proprio lui parlava… lui… Avevo voglia di dirgli tutto quello che pensavo della sua ipocrisia, delle sue dannate bugie... Volevo dirgli, fiero di me, quello che avevo fatto e che lui, serpe indegna di quel nome, non aveva osato mai.

    “… perciò non verrai con me e i Warrington a vedere la partita del Puddlemere, dopodomani…”
    “Per quello che me ne importa, del tuo dannato Quidditch! Non sono più un bambino!”

Sorpresi persino me stesso, quando mi resi conto di averlo detto ad alta voce… Pur sconcertata, mia madre provò a chiudere la porta con la magia per impedirmi di uscire, ma mio padre la bloccò.

    “Mirzam, vieni subito qua!”
    “Lascialo andare… ci parlo dopo…”

Io avevo già dato loro le spalle e correvo per le scale, fino in camera mia, dove mi barricai con un paio d’incantesimi di mia invenzione, pur dubbioso che con i miei avessero qualche efficacia. Mi gettai sul letto e tirai le tende. Mi sentivo in gabbia, non vedevo l’ora di tornare a Hogwarts, di stare il più possibile lontano da lui, raggiungere Rodolphus e i miei amici… Non ne potevo più di quelle lagne, nemmeno lui credeva nelle baggianate che mi ripeteva da anni.

    “Mirzam fammi entrare…”

Il sole filtrava appena attraverso le tende verdi alle finestre, la mia stanza era pervasa dallo stesso senso di calore claustrofobico del dormitorio di Serpeverde. Guardai ostile verso la porta, tempestata da colpi secchi e irati… Mia madre…

    “Mirzam… Fammi entrare…”

Riuscì a forzare la porta, si avvicinò, scostò appena le tende e si sedette sul mio letto, appoggiò la mano sulla mia, abbandonata sul cuscino, fui invaso dal suo solito profumo di rose. La guardai. Non era più arrabbiata, sembrava che la sua ira fosse evaporata via. Mi prese una tensione allo stomaco, sapevo che i fantasmi furiosi nella mia testa si sarebbero dileguati per un po’ se avessi pianto. Ma non ero più un bambino e lei non poteva più consolarmi. Distolsi lo sguardo dalla sua mano e lo lasciai vagare sul soffitto.

    “Che cos’hai? E’ successo qualcosa a Hogwarts che non ci hai detto?”
    “Non ho nulla, voglio solo restarmene per i fatti miei… senza quella piattola sempre tra i piedi!”
    “Non parlare così di tuo fratello! Lui non c’entra…c’è qualcosa che ti consuma e ti rende infelice…”
    “Te lo ripeto… vorrei solo stare in pace qualche volta… non chiedo molto…”
    “Hai ragione, sei grande… tuo fratello ti lascerà i tuoi spazi, promesso… ma tu… non hai mai detto di no, al Quidditch…”
    “Non m’interessa più il Quidditch… Non mi è interessato mai…”
    “Lo sappiamo entrambi che non è vero…”

Mi scostò i capelli dal viso, io mi sottrassi, innervosito. In realtà, tuffarmi nel suo abbraccio era l’unica cosa che desideravo, l’unica capace di placarmi un po’… Le puntai addosso il mio sguardo duro, deciso a ferire. Non ci riuscii…

    “Sono giorni che sei strano, ho lasciato correre, pensando che fossi stanco per la scuola o avessi qualche problema con i tuoi amici su cui riflettere, ma ora… perché ti sei rivolto così a tuo padre? E guardami quando ti parlo… non voglio usare mezzi che non mi si convengono …”
    “E allora usali! Una dannata volta! Usali!”

Mi diede uno schiaffo, non l’aveva mai fatto in quindici anni. Rimasi sconcertato, ma in un certo senso soddisfatto, era come se il dolore fisico stemperasse quella marea di pensieri confusi che mi si agitavano dentro. Anche lei rimase turbata, forse dal suo gesto, forse dalla mia insolenza.

    “Perché ne fai a meno? Te ne vergogni? O annulli persino te stessa e la tua natura per lui?”

Non si aspettava che criticassi così apertamente quello che fino a pochi mesi prima era il mio eroe, il mio punto di riferimento, il mio idolo: sentiva il risentimento che si agitava nella mia anima.

    “Alla tua età è normale scontrarsi con i propri genitori… ci sono passata anch’io: e so che spesso diamo peso a stupidaggini che ci rovinano la vita per anni senza un perché …”
    “Non sono stupidaggini!”

Strinsi i pugni, non mi avrebbe creduto, le aveva fatto il lavaggio del cervello, come a tutti noi.

    “Lui ha mentito… a te, a me… ha mentito a tutti!  Ma tanto tu sei sempre dalla sua parte…”
    “Io sono dalla parte della nostra famiglia, Mirzam… e se permetti, conosco tuo padre da più tempo e meglio di te, so che non mente mai… di qualunque cosa si tratti, non può che essere un malinteso!”
    “Davvero? Ero io il rumore che avete sentito per le scale, la notte che avete litigato per Orion Black…”

Divenne ancora più pallida, mi prese uno strano compiacimento nel vederla sorpresa e indifesa. Si alzò, andò a osservare il cortile dalla finestra poi si voltò di nuovo verso di me, serena.

    “No, non è stata una buona idea cercare di risolvere a casa nostra i problemi di Orion, lo so…”
    “I problemi di Orion? Li chiami problemi? Mio padre l’ha aiutato a uccidere una donna! Lui, l’eroe senza macchia, se l’è presa persino con una bambina! E non provare a difenderlo perché vi ho sentito… è solo un bugiardo!”
    “Tuo padre ha seguito Orion in quella casa, non lo nego, ma solo per evitare che uccidesse anche la bambina… è questo che voleva fare ed è riuscito a farlo… se adesso è al sicuro, è solo grazie a lui!”
    “E la madre? Perché il nobile Alshain Sherton non ha impedito che uccidesse anche lei? Dove è la sua morale? Lui e tutte le sue panzane: “Ti puoi vendicare solo su chi ti ha fatto del male”… lui è stato per quella bambina quello che quei babbani stavano per essere per me… lei è orfana per colpa sua!”
    “O no… questo no… non ti permetterò questo paragone… non priverai tuo padre del tuo affetto a causa di quella donna, Elizabeth McKinnon era una poco di buono ed era coinvolta nell’aggressione che abbiamo subito… per questo tuo padre non ha mosso un dito per salvarla!”

Ero già pronto a ribattere alle considerazioni morali che stava esprimendo su quella donna, quando sentii quelle ultime parole. Non fiatai oltre, confuso, sconvolto, pieno di domande. Abbassai lo sguardo… Non avevo mai pensato che ci fosse un valido motivo se mio padre aveva fatto quello di cui l’accusavo… Eppure più volte aveva detto che, pur riluttante, se fosse stato necessario per il nostro bene, avrebbe rispettato regole che considerava barbariche… Perché non avevo voluto ascoltare quella voce dentro di me che conosceva la verità? Senza indagare oltre, avevo preso la palla al balzo per giudicarlo e sentirmi libero di concedermi mesi e mesi di violenze e aggressioni: avevo aspettato solo una scusa, per liberare quello che avevo dentro, dando la colpa di ciò che ero alla sua presunta incoerenza.

    “Perché non l’ha fatto con le sue mani?”
    “Tuo padre non uccide i nemici, lui li rovina… inoltre da quella donna cercava delle conferme su presunti complici… per Orion era diverso… ma di questo non voglio e non posso dirti di più…”
    “Chi sono gli altri? E che cosa vogliono da noi? E perché mio padre ha portato qui la ragazzina col rischio di farvi sbattere entrambi ad Azkaban?”
    “Che cosa doveva fare? Lasciarla morire accanto al corpo della madre? O nelle mani dei Black?”

Stavo per dirle di sì, era solo una mezzosangue, ma di colpo mi si rivelò la verità: era solo una bambina indifesa, com’ero stato io quel giorno, eravamo identici, pur con un sangue diverso… Se ci fossi stato io, al posto di mio padre, non sarei riuscito ad abbandonarla. Questa consapevolezza mi spezzò definitivamente.

    “Ora sei confuso e arrabbiato, Mirzam, lo capisco… e capisco i tuoi strani comportamenti… ma questa rabbia e questa paura dimostrano anche quanto ami tuo padre… altrimenti, non t’importerebbe nulla e non soffriresti in questo modo per i dubbi che ti tormentano…”

Mi prese la mano, seguì con le sue dita le rune impostami dalla lama di mio nonno…

    “… e Merlino solo sa quali dubbi ti sono stati inculcati quando eri troppo piccolo per difenderti…”
    “Quello che provo io non importa… è mio padre che sembra non tenere a tutti noi…”
    “Tu porti la verità dentro di te, Mirzam, guarda indietro e capirai se tuo padre ti ama oppure no… E chiediti perché ho deciso di vivere al suo fianco… Tuo padre ama la sua famiglia sopra ogni cosa ed è pronto a tutto per noi. Io lo conosco e ho completa fiducia in lui…”
    “Ma come fanno a non turbarti le sue idee sui babbani? C’eri anche tu con me quel giorno…”
    “Tuo padre non va in giro a dar la caccia ai babbani, vero, ma non esiste al mondo un Serpeverde più convinto di lui: ha un profondo senso dell’onore e della giustizia, non ha bisogno di sangue né di gloria personale… C’è solo una cosa che vuole e per questa lotta: rinsaldare la Confraternita, risollevarla dal declino in cui è scivolata da decenni. Questo farà il vero bene dei Purosangue, ci consentirà di riprenderci il Ministero e tornare al nostro posto… Non saranno gli atti criminali, ma l’arte della persuasione… una delle migliori arti di Salazar … a ridare il mondo alla Magia…”

Ero rimasto senza parole… Non avevo capito niente: mi ero fatto manipolare da mio nonno, dalle mie paure, dai miei amici, come uno stupido. Non avevo mai considerato le Terre del Nord e la loro magia come una soluzione… per me erano solo un’abilità in più da sfruttare contro gli altri.

    “Voi, i suoi figli, sareste l’esempio perfetto… Attraverso voi, gli altri capirebbero che è vero… se la Confraternita fosse convinta e coesa, sarebbe una potente guida anche per gli altri maghi…”

    Salazar… ho rovinato tutto… ho mandato a monte tutto…

Mio padre aveva un piano ambizioso ed io non avrei potuto farne parte perché non riuscivo a dominare le mie passioni. Mia madre mi offriva il suo aiuto, ma se avesse saputo la verità… non sarei sopravvissuto alla delusione stampata nel suo sguardo.

    “Scendi di sotto appena te la senti… parla con lui… ti aspetta in cortile…”

Mi baciò sulla fronte e se ne andò. Odiavo me stesso: mi sentivo una merda, molto più di quanto mi fossi mai sentito. Avevo fatto cose orribili e non me n’ero mai pentito, anzi ero rimasto affascinato nel vedere la paura negli altri; ero stato bene, mi ero sentito me stesso… E ora avevo paura, perché non sarei mai riuscito ad affrontare mio padre, celandogli ancora la mia verità.

***

Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - agosto 1965

La discussione che temevo, alla fine, era stata, per così dire, sorprendente. Dopo quella scenata non ero stato punito, né sottoposto a interrogatori o a una delle solite terrificanti lezioni morali: mio padre mi aveva solo trascinato nei sotterranei per tre settimane, spiegandomi, come se niente fosse, quello che serviva per le rune dell’anno seguente e insegnandomi delle pozioni che il Ministero non voleva fossero trattate a scuola. Alla fine, stravolto e allucinato, avevo chiesto pietà suggerendo di uscire da quella stanza intrisa di miasmi nauseabondi e andare a farci una partita di Quidditch all’aperto. Sogghignò.

    “Credevo non t’interessasse più, il Quidditch…”
    “Ho mentito…”
    “Certo… è più facile che dire la verità…”
    “Ti prego… non potresti essere qualche volta meno saggio e arrabbiarti come tutti? Merlino… tutta questa perfezione è più soffocante di una gabbia minuscola per un drago…”

Scoppiò a ridere, mentre si versava il suo classico whisky babbano, che io finsi di non vedere, e mi offrì una burrobirra. Poi mi mise una mano sulla spalla e mi condusse nella biblioteca, prese da un ripiano una vecchia cartellina ammuffita e malconcia e tutto orgoglioso e divertito me la mise in mano. Senza staccarmi gli occhi da dosso.

    “Ammira quanta perfezione c’era in me alla tua età: con me la violenza di mio padre non faceva effetto, per questo invece di arrabbiarmi cerco di parlarti…”
    “Magari non funzionava con te, ma con altri fa effetto…”
    “Non mi pare che sul tuo Lestrange la violenza faccia effetto…”

No, in realtà non facevano effetto tutte le frustate che prendeva. Lessi e più leggevo quelle vecchie pagine, più restavo a bocca aperta, mi si apriva un mondo: era il resoconto più ricco di monelleria, zuffe, pestaggi, scherzi più o meno pesanti che avessi mai letto. Non potevo credere che si trattasse di mio padre, pensavo fosse stato sempre “strano”, fin da ragazzo.

    “Ma queste sono…”
    “… le cartelle che il custode teneva sugli studenti: ho salvato le mie, a memoria della mia bravura, prima di appiccare il fuoco agli schedari…”
    “Hai davvero incendiato gli schedari del custode?”
    “Oh si… è stato un pomeriggio molto divertente… e ricco di conseguenze…”

Si aprì la camicia e mi mostrò, tutto fiero, un paio di lunghe cicatrici perlacee in mezzo alla schiena, medaglie di guerra lasciate da suo padre quando la scuola l’aveva informato. Rabbrividii.

    “…tra un paio di pagine dovrebbe esserci il resoconto del falò che io e Orion Black appiccammo anche nell’aula di Trasfigurazione: il vecchio Dumbledore non si è mai incazzato tanto in vita sua… al punto che non si accorse che il fuoco stava per attecchire anche sulla sua barba…”

Era vero: aveva anche appiccato un incendio che aveva quasi coinvolto il mio attuale preside. Immaginavo che quella volta il nonno l’avesse premiato, non punito, visto lo stato di sangue di Dumbledore e altri screzi. Mi veniva da ridere, ma non era il caso: dovevo capire.

    “Perché mi fai leggere queste cose?”
    “Come hai detto tu, anche la saggezza, se eccessiva, può far danno: non sono infallibile, Mirzam… ho sbagliato e sbaglio come tutti… ma gli errori che ho commesso non cambiano quello che provo per te, per i tuoi fratelli e tua madre… avrei dovuto parlarti di alcune cose molto prima…”
    “Perché?”
    “Perché sento che c’è qualcosa che ti turba e voglio aiutarti a liberartene…”
    “Non puoi… ho fatto cose ben peggiori di queste…”
    “Tu dici? Sai, ero abbastanza bravo e fortunato da non farmi beccare: questa è la punta di un enorme iceberg… evidentemente sei bravo e fortunato anche tu… visto che non ne ho saputo niente…”
    “Tu non capisci… io dovrei finire i miei giorni nella torre… non è solo quello che ho fatto… io ho tradito te, ho approfittato di un tuo presunto errore per rinnegare quello che mi hai sempre insegnato!”
    “Mirzam, la nostra vita è tutta una lotta, contro quello che ci sta intorno e quello che portiamo dentro, a volte si vince, altre no… e a quindici anni non è facile dominare quello che abbiamo nel cuore, non è una giustificazione, sia chiaro... ma spesso, la nostra volontà non è sufficiente…”
    “Ma io ho lanciato una “Cruciatus” contro un ragazzo che mi dava le spalle, solo per dimostrare che non sono come te!”

Non parlò per qualche istante: non mi guardava in faccia come suo solito, ero convinto che sarebbe stato capace di incenerirmi col solo pensiero.

    “… E in questo modo invece hai finito col dimostrare di essere proprio mio figlio… Io sono stato un ragazzo violento per buona parte della mia vita a Hogwarts, Mirzam: non c’era bassezza o vigliaccata che non mi vantassi a ragione di aver fatto… Agivo così per essere all’altezza di mio fratello, perché era quello che ci si aspettava da uno col nostro nome: in genere era la noia o la vanità a spingermi… Mi son reso conto dopo anni che non era mai stato per odio… Solo quando ho conosciuto tua madre le cose importanti, per me, son diventate altre… e sono andato a vivere tra i babbani anche per questo, per sfregio contro le regole di mio padre, che tra l’altro non voleva riconoscere Deidra come mia moglie… Quando sei nato, ho sentito la necessità di chiedergli scusa solo perché tu, come me, sei tutt’uno con questa terra… Non perché mi fossi pentito… Al contrario di te io non ho mai provato vergogna o colpa, se non dopo anni… e con la testa, per mera valutazione delle conseguenze… mai col cuore… Sei migliore di me, Mirzam, perché senti col cuore i tuoi errori e te ne penti…”
    “… Ma io non me ne pento, era così piacevole sentire e vedere la paura negli altri, io… ti ho tradito… alla fine ho fatto l’opposto di quanto mi hai insegnato.”
    “Se non fossi pentito, non saresti qui: io non ne sapevo niente, potevi passarla liscia, invece hai sentito la necessità di parlarmene… E non mi hai tradito: io volevo che agissi con equilibrio e saggezza, solo per evitarti alcuni errori che avevo già commesso, accorciarti la strada… ma ognuno di noi arriva alle proprie conclusioni con la propria esperienza, non con i dettami di un qualcun altro… dovevo lasciarti libero di scegliere la tua strada …”
    “La mamma, però, mi ha parlato del tuo progetto con la Confraternita… ora non potrò più aiutarti, per quello che ho fatto… mi dispiace, ho rovinato tutto... ”
    “No, non hai rovinato niente e se un giorno lo vorrai, sarò ben felice di averti al mio fianco… ma devi volerlo per te stesso, non per me o per fare ammenda di presunti tradimenti… tu hai solo commesso un errore, come ne abbiamo commessi tutti…”
    “Davvero? Allora lo farò… applicherò le mie energie a qualcosa di buono… avrò uno scopo e…”
    “Dovresti pensare alle ragazze, al Quidditch e a divertirti, per ora, non alla politica: questi interessi sono molto utili a placare le energie in eccesso…”

Mi sorrise, il pensiero di Bella si era affacciato prepotente in me, annullando qualsiasi cenno di razionalità. Presi immediatamente fuoco e chinai lo sguardo.

    “Ti mette a disagio, parlare di ragazze con me, lo so: di solito i padri lasciano i figli davanti a un bel matrimonio combinato che sistemi tutto… ma noi siamo diversi… Sei già “uscito” con qualcuna?”
    “Merlino… è proprio necessario parlarne?”
    “No, non è obbligatorio, ma potrei darti qualche suggerimento utile se vuoi…”
    “Ti prego… So già tutto…”
    “Lo so… ti ho spiegato tutto quando avevi otto o nove anni, ma c’è altro di cui devo parlarti… Pozioni…”
    “Pozioni?”
    “Ai miei tempi mi furono molto utili, soprattutto l’anno dei MAGO e dei GUFO, per riposare sereno e non farmi distrarre… A Hogsmeade c’è gente che ti offrirà di tutto: filtri d’amore, antidoti, pozioni per l’audacia, filtri contro le gravidanze… Capisci da solo che se non ti affidi a gente seria, può finire male… perciò, prima di fare brutte esperienze, finché non saprai fartele da solo, puoi scegliere… puoi chiederle a me… di qualsiasi cosa si tratti, non ti farò domande… oppure puoi andare da questo signore, che è l’unico serio che io conosca, forse appena un po’ più caro degli altri, ma assolutamente affidabile…”
    “A me non serve niente, al massimo qualcosa per concentrarmi quando studio…”
    “Beh... ma quando passi del tempo con una ragazza è meglio non avere pensieri, non trovi? Non devi vergognarti, ci siamo passati tutti…”

Mi porse un foglio recante l’indirizzo di un vecchio alchimista che risiedeva nella parte alta della cittadina di Hogsmeade, un po’ più lontano del corso principale in cui passavano i nostri pomeriggi liberi noi studenti.

    “Ora vai a cambiarti, o la scopa finirà con l’ammuffirsi abbandonata e triste com’è…”

Sorrise, anch’io: erano settimane che sognavo di saltare di nuovo su quel manico…

    “Per quanto riguarda la punizione, perché una penitenza come sai devi scontarla per forza… Mi seguirai nel viaggio che devo fare nei prossimi giorni e passerai il resto dell’estate a preparare con me Pozioni… dopo la partita di oggi, niente Quidditch per il resto dell’estate… e al tuo ritorno a Hogwarts non indulgerai come tuo solito con i tuoi amici …”
    “Ma non mi hanno costretto loro a fare quelle cose…”
    “Non è per quello… Se vuoi entrare nella Confraternita, devi abituarti a sacrificare parte di ciò che ami a questa terra…”

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - aprile 1966

L’autunno scorse rapido, trascinato via da giornate cariche di compiti e di pioggia. L’inverno lo seguì a ruota, annullandosi in un mare di neve e nel terrore per gli esami che si avvicinavano. Non avevo mai capito, finché non mi ci ero trovato in mezzo, quanto sarebbe stato impegnativo l’anno dei GUFO, con in più l’aggravante, per me e Jarvis, delle famose rune dei sedici anni. Rodolphus, da parte sua, era impegnato con la preparazione dei MAGO: fu così che per buona parte dell’anno non mi fu difficile soddisfare le condizioni di mio padre, condussi una vita ritirata, al sicuro da qualsiasi occasione di follia, anche grazie agli effetti delle sue pozioni “rilassanti”. Sopravviveva solo l’amore per il Quidditch, nel quale sfogavo l’eccesso di energie represse che accumulavo dentro di me, e la fissazione per Bellatrix, che non riusciva a placarsi, nonostante le occasioni per stare insieme si fossero drasticamente ridotte. Mio padre, abile com’era, aveva trovato facilmente il mio punto debole e mi aveva di nuovo messo nelle condizioni di dipendere da lui; io approfittai della sua complicità e del suo aiuto contro quelle passioni che spesso mi dominavano, affidandomi a lui, per far tacere dubbi e ribellioni. Ma sapevo che era sempre tutto lì: come una belva che una volta conosciuto il sapore del sangue continua a bramarlo, sebbene sazia, il mio lato oscuro era pronto a rialzare la testa appena gli avessi fornito un motivo valido. Potevo fingere di non vedere e non sentire, ma sapevo che quella parte di me non era sparita: c’erano parole che mi risuonavano in testa, a volte mi svegliavano nel cuore della notte, trascinandomi nei soliti dubbi. Così dovevo aggrapparmi sempre più saldamente ai miei progetti futuri per non affogare…
Quella mattina il vento tiepido della primavera mi accarezzava il viso, portando con se l’odore di terra umida, mescolato al consueto profumo di fiori che più di ogni cosa placava la mia anima. Stavo sdraiato in riva al lago, sul plaid, sonnecchiando in un raro momento di relax, Meda e Bella leggevano tranquille ai piedi dell’albero di fronte a me; Sile e Jarvis bisticciavano poco lontano sulla reale composizione di una vecchia pozione spiegata alcuni mesi prima; i grandi, capitanati da Rodolphus, sembravano infischiarsene degli esami e chiacchieravano di politica e di tutti quegli argomenti che a me gelavano il sangue, tanto ero sensibile a certi richiami. Aprii gli occhi e vidi che Bella seguiva quei discorsi con interesse, una strana inquietudine mi prese allo stomaco, così mi alzai e decisi di rientrare nel castello.

    “Te ne vai già?”

Bella mi fissava addosso il suo sguardo magnetico, io guardai verso le montagne, riconobbi dal colore delle nuvole l’arrivo del temporale, compresi il perché della mia strana inquietudine e sorridendo della fortunata coincidenza, cercai di mascherare il reale motivo delle mie inquietudini. Black mi si affiancò sinuosa, seguita da Meda, che manteneva sempre il solito atteggiamento gentile e riservato…

    “Signore delle Nuvole… cos’è? Non ti piacciono più i discorsi dei tuoi amici?”
    “Che cosa vuoi dire?”
    “Tuo padre deve averti fustigato a sangue per l’anno scorso e ora ti tieni lontano dai guai, non è così? Ti ho osservato a lungo, ho visto che eviti sempre certe situazioni e certi discorsi che l’anno scorso apprezzavi tanto…”
    “Ti sbagli Black… Ho troppi impegni quest’anno: GUFO, rune, Quidditch, non resta molto tempo per tutto il resto…”

Mi prese la mano tra le sue, sotto gli occhi sbigottiti e attenti di Meda tracciò il profilo delle Rune con la punta delle dita: per fortuna mio padre mi aveva detto come evitare certe sensazioni e quel tocco non aveva più gli effetti dirompenti dell’anno precedente, ma non riuscii a non arrossire.

    “Quanto sono importanti queste Rune? Sai che non l’ho mai capito?”

Il suo sguardo mi mozzava il fiato… dovevo concentrarmi o l’avrei stretta a me e soffocata con la voracità dei miei baci.

    “Queste Rune sono il futuro del mondo magico, Black… Con queste Rune riprenderemo il mondo, senza versare nemmeno una singola goccia di sangue…”

Bella si staccò da me ridendo, mi precedette e si allontanò rapida di qualche passo, tenendo per mano sua sorella, poi si voltò e mi gridò:

    “Illuso…”

Restai turbato, non capivo se mi stesse prendendo in giro o, in qualche modo, minacciando: da quando avevo parlato delle mie inquietudini con mio padre e lui mi aveva raccontato la sua storia, pensavo di poter essere salvato anch’io da quello che avevo nel cuore, solo grazie all’amore di una donna. Ma ero troppo pazzo di Bella per ascoltare i dubbi che avevo su di lei, quelli che cercavano di dirmi che Bellatrix non era della stessa pasta di mia madre. O per rendermi conto dell’attenzione piena di speranza che le mie parole avevano suscitato in Andromeda Black.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - maggio 1966

    “Hai finito di ammirarti allo specchio? Stai diventando una femmina!”

Rodolphus era davanti a me, tutto acconciato per la festa in onore della vittoria sui Corvonero e la conquista della Coppa con una partita di anticipo, pronto a far danni, come diceva lui, con una Tassorosso provocante del sesto anno.

    “Smettila di fare l’idiota… Sei sicuro che questa chiave non serva a te?”
    “E’ una Corvonero, non la farò mai entrare qua sotto… userò la Stanza delle Necessità o i Bagni dei Prefetti come sempre… questa chiave è tutta tua: mi raccomando, fai onore alla stanza del Caposcuola Lestrange… E non dimenticarti… voglio tutti i dettagli domani!”
    “Quelli te li puoi scordare…”
    “Prometto che non ti prenderò in giro…”
    “Vai al diavolo, Lestrange…”

Presi la chiave e gli diedi le spalle: era un anonimo giorno di metà maggio, a breve avrei compiuto sedici anni, diventando un adulto per la Confraternita del Nord, ma quell’anonima sera se, come pensavo, tutto fosse andato come volevo e sognavo, sarebbe stata la notte più bella della mia vita. Quell’anno il comportamento delle Serpi si era mantenendo sempre irreprensibile e questo aveva convinto il vecchio Dumbledore a concederci, per la nostra festa, una vecchia ampia aula in disuso su al settimo piano, con accesso diretto sul Cortile della Torre dell’Orologio. Avevamo invitato tutta la scuola, si sarebbero aggiunti i Tassorosso e i Corvonero: a me all’inizio sembrava strano, ma quell’anno anche solo giocare con loro, non solo batterli, era stato piacevole. I Grifoni, al solito, sarebbero rimasti nella loro torre a rimuginare vendetta. Ed io godevo ancora a ripensare alle loro facce sconfitte quando proprio i Tassorosso li avevano massacrati senza pietà. Prima di salire fino all’ultimo piano, sarei passato in biblioteca: avevo preso dei libri indispensabili per l’ultima pozione di Slughorn, e visto che quell’anno ero davvero stato un modello di virtù, la vecchia acida bibliotecaria non aveva avuto problemi a farmeli portare in camera… Forse avrei fatto persino in tempo a prendere un altro libro, prima di salire alla festa…
Ero euforico. Quella sera sarei “stato” con Bella, nelle ultime settimane, dopo quella scaramuccia vicino al lago, la tensione tra noi era aumentata e i suoi sguardi erano diventati inequivocabili: sapevo che mi avrebbe seguito nella stanza di Lestrange volentieri, ma di sicuro non poteva immaginare quali fossero tutte le mie reali intenzioni. Quella sarebbe stata la “prima volta” anche per me, e pur l’ovvio stato di paura ed emozione in cui mi trovavo, avrei fatto di tutto perché fosse indimenticabile per entrambi. Ero stato a Londra con Rodolphus, giorni prima, avevo detto a mio padre che l’avrei fatto e lui mi aveva accordato il permesso, forse perché per il resto dell’anno ero stato irreprensibile. Eravamo andati con la materializzazione congiunta, potenziata dalla mia magia per coprire quella distanza enorme in poco tempo; l’avevo accompagnato da Sinister, doveva comprare un vecchio schifoso oggetto osceno per la collezione di suo padre che compiva gli anni a giorni. In attesa di essere ascoltati, io mi ero guardato intorno ricordando gli inviti di mio padre a tenermi sempre alla larga, là dentro, da oggetti molto belli ma assolutamente letali: ero così arrivato a una teca contenente un anello bellissimo. Chiesi al negoziante che origine avesse e lui mi liquidò sostenendo che era troppo costoso per un moccioso come me…

    “Questo è il primogenito di Alshain Sherton, vecchia capra, dovremmo affatturarti le chiappe solo per quanto sei cieco e stolto…”

Il vecchio si prostrò in mille scuse alle minacce di Lestrange e mi ricoprì da quel momento di ogni attenzione possibile:  seppi così  che l’anello era stato per secoli proprietà del ramo cadetto dei McMillan fino a che non si erano ritrovati in difficoltà economiche tanto da essere costretti a cederlo, all’inizio del secolo. Per molti anni era rimasto invenduto perché, pur avido, Sinister aveva promesso alla bella Susan McMillan, che doveva avere una qualche parentela con mia nonna, di tenerglielo da parte. Quell’inverno, però, una brutta polmonite aveva portato via la vecchia strega senza che avesse mai avuto la reale possibilità di riprenderselo e liberando così Sinister dalle promesse fatte…  La storia era affascinante, anche perché dal viaggio estivo con mio padre, mi ero fatto coinvolgere nella sua ricerca delle vestigia del nostro passato e pensavo con orrore alla possibilità che un anello appartenente a una famiglia purosangue di così alto lignaggio potesse finire in mani indegne. Osservandolo con attenzione capii che non era solo la sua storia e la sua bellezza ad attrarmi: quel rubino, incastonato in una serie di ossidiane nere, mi ricordava le labbra di Bellatrix, circondate dal corvino dei suoi capelli, mossi dal vento… Impegnai tutti i soldi che avevo con me, quelli che avevo messo da parte quell’anno per una nuova scopa, e assicurai che mio padre avrebbe coperto l’enorme differenza quanto prima, poi, sotto lo sguardo carico di domande di Rodolphus, ripartii fiero e soddisfatto, diretto a scuola.
Per giorni Rodolphus mi aveva tampinato, avendo intuito che quell’anello tanto esoso mi serviva per dichiararmi a qualcuna, di cui però non riusciva a indovinare l’identità. Riuscii a restare impassibile, nonostante i suoi numerosi tranelli: avrei portato il segreto nella tomba, o meglio, l’avrei mantenuto fino a quando Bella non sarebbe uscita dal nostro nido d’amore, al mio fianco, con il mio anello al dito e in mano la mia lettera per Cygnus Pollux Black. Probabilmente mio padre all’inizio sarebbe rimasto stranito, perché da sempre mi ripeteva di non correre, ma io ero più che sicuro delle mie intenzioni e sapevo che vedendomi felice, i miei sarebbero stati felici per me. Non c’era alcun bisogno di attendere oltre…

***

Mirzam Sherton
Hogsmeade, Highlands - giugno 1966

    “Non puoi averci ripensato così, Sherton… di chiunque si tratti non puoi averci ripensato così… Non senza un valido motivo… Quel giorno ti ho offerto la mia stanza e non ti ho mai visto più entusiasta, nemmeno quando prendi un boccino sei felice come lo eri quel dannato giorno... Ed ero con te quando hai comprato quell’anello, quindi non dirmi che non è successo niente…”

Rodolphus mi aveva invitato a bere una burrobirra a Hogsmeade con lui, per cercare di distrarmi e farmi parlare: era ormai da due settimane che mi comportavo in modo strano, da quando era rientrato nella sua stanza, la mattina seguente la festa per la vittoria, ritrovandomi in stato catatonico, mezzo nudo, le mani ferite a sangue con le schegge di legno e vetro del suo specchio, in mezzo ai ruderi di quello che un tempo era stata la camera del caposcuola, il suo santuario… Da allora non avevo più aperto un libro, avevo saltato numerose lezioni, passavo la maggior parte del mio tempo nel mio letto… Qualcuno alla fine aveva fatto la spia, forse proprio Rod, e mio padre era arrivato con il nostro medimago personale per visitarmi, ma nemmeno a lui avevo detto niente. Continuavo a non starci con la testa, a vivere in un mondo oscuro tutto mio, fatti di pensieri di sangue e di vendetta: lo sentivo blaterare, ma non c’era nulla che trattenesse la mia attenzione. Non c’era bisogno nemmeno di chiudere gli occhi, rivedevo in maniera vivida ogni singolo, schifoso dettaglio di quella scena.

    La teneva stretta a sé. E lei sospirava il suo nome. Come una sgualdrina qualsiasi.

Non potevo ancora crederci. Non potevo credere a quello che avevo visto. Come dei flash, la mente si squarciava sotto l’immagine di Bella avvinghiata a Jarvis, dietro alla libreria più nascosta della biblioteca, le mani e la bocca di lui che non risparmiavano un solo centimetro della sua pelle. Mi veniva da vomitare. Bellatrix, la MIA Bellatrix, avvinghiata mezzanuda a Warrington… No, non potevo crederci…

    “Lasciami in pace, Lestrange…”
    “Andiamo, Mir… Abbiamo vinto il campionato anche quest’anno e, per Merlino, il merito è soprattutto tuo… Cosa vuoi che sia? Se non è andata bene una volta, non è morto nessuno… Su dai… Un po’ di sano entusiasmo!”
    “Pensa a divertirti Lestrange… questo è il tuo ultimo anno, no? Io ne ho ancora diversi cui pensare…”

Come faceva a farsi toccare da quella bestia? Merlino, da giorni trattenevo a stento i conati di vomito…

    “Il tuo problema con le donne è che sei troppo gentile… Sei ancora troppo legato alle sottane di tua madre, Sherton! Merlino… Certo, ci starei pure io, bella com’è…”

Senza pensarci due volte, mi ritrovai a prenderlo per il bavero e, pur più grande e più robusto di me, non ci misi molto a inchiodarlo al muro….

    “Modera le parole quando parli di mia madre!”
    “Lasciami… Che diavolo ti prende, Sherton? Mi stai soffocando… Lasciami… Ho solo detto che tua madre è molto bella…”

Mi serrava le mani con le sue, impedendomi di stringere più forte, ma dal rossore che gli imporporava il viso, mi resi conto che comunque stavo stringendo troppo, allora allentai la presa, in un attimo di parziale lucidità. Mi staccai da lui e iniziai a sistemargli il cravattino, con gli occhi bassi, pieno di vergogna e al tempo stesso di furore.

    “Non devi nemmeno nominarla, mia madre!”
    “Salazar… Si può sapere che cosa è successo quella sera? Non ti sei mai comportato così, sembri completamente pazzo…”
    “Sì sono pazzo e per il tuo bene dovresti starmi alla larga! Mi hai rotto con il tuo modo di fare, Lestrange! Mi hai rotto, hai capito? Che diavolo vuoi da me? Non voglio venire alla tua stupida festa, non m’interessa niente dei tuoi programmi per la serata e non voglio che tu metta in mezzo me o la mia famiglia …”

Glielo dissi fissandolo negli occhi, era ora che si facesse da parte, che mi lasciasse in pace, non ero suo fratello, cui poteva dire tutto quello che doveva o non doveva fare…

    “D’accordo, d’accordo… Ora calmati però… Voglio solo aiutarti… Sono preoccupato per te…”
    “Non c’è bisogno… Non ho nulla…”
    “Non si direbbe… Per favore… Ascoltami… Ti posso aiutare… Se un po’ ti conosco, penso che ti sei innamorato di qualcuna e lei non ci sta, o ha umiliato in qualche altro modo il tuo orgoglio…”
    “Non dire idiozie!”
    “Se vuoi, possiamo spaccare la faccia insieme a quell’idiota di cui è innamorata… oppure, se vuoi, possiamo farla pagare a lei, insieme, nel modo che preferisci… Che cosa ne pensi?”
    “Se tu avessi ragione, Lestrange, io non mi sporcherei ulteriormente le mani con questa persona… Perciò, se davvero mi sei amico e mi vuoi aiutare, non voglio sentirti parlare mai più di questa storia…”

Rodolphus era sempre stato uno che non serbava rancore e dimenticava subito quello che gli si diceva due secondi prima, annuì e riprese a fare l’idiota come suo solito. Io, però, ero al colmo dell’esasperazione.

    “Sai, c’è quella bella biondina di Corvonero che ti fa il filo da mesi… Puoi invitarla e…”
    “Non ho intenzione di invitare nessuna al genere di feste che piacciono a te… Fine della storia…”
    “Cos’è? Ora ti vergogni del tuo vecchio compagno di avventure? Interessante…”
    “Non mi vergogno di niente, Lestrange, solo… dammi aria, d'accordo?  Dammi aria…”

Sbuffai e gli feci capire che ero arrivato al limite. Si mise a ridere… Di sicuro non avrebbe mai capito la verità, dopo quello che era successo nel bosco, un anno prima, gli era passata la fantasia che fossi innamorato di Bella, ed io mi vergognavo troppo per dire che invece per me non era mai cambiato niente e che le mie recenti pazzie erano dovute ancora una volta a lei. Non gli avrei mai rivelato, nemmeno sotto tortura con chi avrei voluto sfruttare la sua preziosa stanza da Caposcuola, né tantomeno a chi era destinato l’anello.

    “D’accordo, cambiamo discorso e parliamo delle mie disgrazie, allora… Sai la novità? Mio padre sta pensando di rifilarmi Viollett Bullstrode, ti rendi conto?  Io spero di riuscire a sfuggirla in qualche modo: hai visto che razza di naso ha? Merlino, speriamo proprio che ci ripensi…”
    “Lo spero proprio per te, amico mio… a meno che tu non abbia le palle di fuggire da casa… ”

Mi veniva da sorridere al pensiero di quel damerino di Lestrange che trovava il coraggio di mandare al diavolo suo padre, ma continuavo a rivedermi Bellatrix e Warrington insieme quindi il mio sostegno morale a Rod non riusciva a essere convincete come avrei voluto.

    “Lo sai chi mi piacerebbe?”

Non poteva importarmene di meno, ma ero lì e finsi di essere interessato alla conversazione: in realtà da qualche tempo Rod non era più un compagno stimolante, per me. E i suoi gusti in fatto di donne erano talmente scontati, che già mi aspettavo di sentir indicare il nome di qualche ragazzotta di dubbia morale, che però aveva un bel fondo schiena e un magnifico conto alla Gringott.

    “Chi, stavolta? Ormai mi hai rivelato di volerti sposare mezza fauna femminile di Hogwarts”.

Rise, annuendo e scolandosi un’altra burrobirra, poi mi guardò serio negli occhi, forse per studiare le mie reazioni.
 
    “Bellatrix Black… pur Purosangue non è una monaca come tutte… certo per alcuni, come moglie, non sarebbe un granché, ma vuoi mettere? Con una così, non ci si annoierebbe di sicuro…”
 
Strinsi i pugni sotto il tavolo, cercando la forza di non saltargli addosso e picchiarlo a sangue. Scolai una burrobirra a mia volta e con tutto il coraggio e la calma che riuscii a mettere insieme, lo guardai a mia volta, gelido e impassibile, a parte la punta d’insana arroganza che tiravo fuori sempre quando parlavamo delle sue fissazioni.

    “Che cosa vorresti dire? Non crederai che una ragazza di buona famiglia come quella, possa comportarsi in modo indecoroso…”
    “Salazar, ma come parli? Sembri un’educanda! T’illudi davvero che le ragazze di buona famiglia siano migliori di quelle che lavorano nella casetta in fondo alla strada? Svegliati Sherton! E ringrazia Merlino, hai avuto occhio a mollarla, nel bosco, un anno fa… Circolano voci, su quello che Bellatrix Black ha combinato in giro per tutto l’anno… non so se sia vero che si baciava con Augustus vicino alle mense, o con Amycus non ricordo dove, ma di certo l’hanno vista uscire tutta scarmigliata dal sottoscala con Sullivan, la settimana scorsa… lui ha ammesso tutto e ha detto di non essere nemmeno stato il primo…”

A quel punto vidi rosso, sentivo che presto sarei esploso ma non potevo cedere, fosse rabbia o disperazione, non potevo farlo davanti a testimoni: mi lasciai andare a una serie di volgarità con lui, finsi di tirare un sospiro di sollievo, di essere felice di essermela scampata, di avere ben altri pensieri in testa… e Lestrange ci cadde in pieno, non sospettò niente. Presi con indifferenza la burrobirra che avevo di fronte a me e la scolai senza alcuna remora, poi sotto lo sguardo ilare di un Rod alticcio almeno quanto me, ne buttai giù un’altra e un’altra ancora, e poi un’altra ancora…

    “A Bellatrix Black…”

    E al  "tabula rasa" che hai fatto della mia vita...

***

Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - giugno 1966

Quando mio padre mi parlò in dettaglio della prova, capii che non ci sarei mai riuscito: non potevo raggiungere l’isola e trascorrervi la notte, non in compagnia di Jarvis. L’isola, come qualsiasi altra parte delle Terre del Nord, di notte, sollecitava gli istinti più profondi, le paure, i desideri, le passioni più sfrenate… La notte delle Rune, la notte che precedeva il solstizio, serviva a metterci alla prova e a liberarci delle nostre debolezze.

    “Non è possibile affrontare la prova da soli?”
    “Perché dovresti? Vi siete preparati insieme tutto l’anno, è un prezioso aiuto che la Confraternita vi dà, singolarmente potreste non farcela, in due, se si mette male, potete aiutarvi…”
    “Preferirei fare la prova da solo… se un giorno davvero dovrò aiutarti alla guida di questa Confraternita… devo sapermela cavare da solo…”
    “E lo farai da solo, ma a ventuno anni… E’ troppo pericoloso, ancora…”
    “Potrebbe essere pericoloso anche così…”

Mi guardò dubbioso, poi mi fece capire che dovevo mettermi il cuore in pace: da secoli quella prova si affrontava in due. I giorni che precedettero il solstizio ero nervoso e irascibile, a Hogwarts, io e Jarvis avevamo dovuto affrontare le prove dei GUFO in tempi più stretti rispetto agli altri, così tutti giustificarono il mio nervosismo e i miei recenti malesseri con lo stress di tutte quelle prove. Io non aggiunsi niente, mi limitavo a non parlare e guardare di sbieco Jarvis, del tutto inconsapevole dell’odio che nutrivo nei suoi confronti. Da quando Lestrange aveva parlato di vendetta, non dormivo la notte, cercando di trovare il sistema di fargliela pagare senza espormi troppo: i piani che prevedevano la mia sicurezza finivano immancabilmente col lasciare spazio a ben altri disegni, in cui sottoponevo a torture indicibili il mio ex amico d’infanzia e, scoperto, finivo in carcere ad Azkaban, ma almeno mi ero tolto le mie soddisfazioni.
La notte della partenza per l’isola, mio padre ci accompagnò fino alla spiaggia dandoci gli ultimi consigli, insieme al decano della Confraternita. Il mio cervello, mentre l’occhio scivolava sulla linea morbida di quella strana barca, si compiaceva del piano finale: Jarvis non sarebbe mai arrivato sull’isola, sarebbe misteriosamente sparito tra le onde durante la traversata, io sarei stato ritrovato incosciente alla deriva il mattino seguente, incapace di spiegare cosa fosse successo. Sarebbe stata considerata una delle classiche disgrazie che potevano accadere in quel genere di situazione e, come voleva la tradizione, per confermare la mia assoluta innocenza, avrei risarcito la famiglia Warrington nei modi che avrebbero trovato più soddisfacenti. Con uno strano compiacimento che non sfuggì a mio padre, salii sulla barca e senza rivolgere né una parola né uno sguardo a Jarvis ci avviammo in mare aperto: seduto a poppa, era preda della solita loquacità, favorita ulteriormente dalla tensione normale in quelle circostanze, io, al contrario, mi ero rifugiato a prua, avvolto nel mio mantello, sprofondato nel più assoluto mutismo. Le leggende narravano che i giovani maghi dovevano affrontare tre pericolose creature del mare: una avrebbe cercato di farci desistere, una di farci sbagliare e l’ultima avrebbe provato a ucciderci. Ci misi poco a capire che le uniche creature di cui dovevamo avere paura in realtà eravamo noi stessi: Jarvis fu il primo a manifestare La Differenza. Tanto era timido e riservato nella vita di tutti i giorni, tanto irascibile e sfrenato apparve durante il viaggio: dalla sua bocca uscirono gli apprezzamenti più volgari e le maledizioni più terrificanti che avessi mai ascoltato, non c’era più niente in lui del ragazzo mite che consideravo, anni prima, a torto, adatto solo a Corvonero. Mi chiedevo quale sarebbe stata la mia trasformazione, anche se immaginavo sarebbe uscito il lato Oscuro che conoscevo già fin troppo bene. Arrivati a metà del viaggio, iniziai a sentirmi strano, persi le forze e mi addormentai, rendendo così vani tutti i propositi di vendetta che avevo studiato nei giorni precedenti; quando riaprii gli occhi, la barca aveva appena toccato il fondo sabbioso, arenandosi sull’isola. L’imbarcazione sarebbe sparita in pochi istanti, perciò mi caricai addosso Jarvis e lo trascinai sulla spiaggia fino al capanno in cui avremmo passato la notte: si agitava, mi minacciava, cercò di sferrarmi dei pugni, faceva dei discorsi farneticanti in cui si lamentava del fatto che per colpa mia lui non sarebbe mai stato il cercatore di Serpeverde. Rabbrividii al pensiero che, appena fosse successo anche a me, io avrei finito con rivelargli che lo odiavo perché si era fatto Bella, insieme a chissà quanti altri, molto prima di me.
Come temevo, il pensiero di Bella fu una specie di fuoco che mi avvolse dal cervello fino alle terminazioni più estreme: lo scaricai a terra senza tante cerimonie e iniziai a dargli dei calci, quasi fosse un sacco di patate, Jarvis, grosso almeno quanto me, ripresosi dallo stupore iniziale, tornò parzialmente lucido e oltre a difendersi mi attaccò con tutta la sua forza. Ci azzuffammo e pestammo, usando mani per picchiare e denti per mordere, non avendo la possibilità di usare la bacchetta: all’inizio lottammo come degli sporchi babbani, poi i sentimenti repressi, oscuri, che si agitavano in tutti e due, portarono la magia a sgorgare dalle nostre dita com’era naturale in quelli della nostra stirpe. Sapevo “dominare” la natura fin da piccolo, in maniera più o meno raffazzonata, ma non l’avevo mai usata come un’arma, Jarvis era incredulo almeno quanto me all’inizio, ma presto entrambi scoprimmo qual era l’elemento a noi più congeniale: Warrington riuscì a sollevarmi e schiantarmi più volte contro la parte di legno, che vibrò pericolosamente sotto i ripetuti urti, io, come già sospettavo da certi sogni che facevo, avevo una notevole familiarità con il fuoco… Lo circondai e lo catturai in esso; mentre Jarvis faceva di tutto per riuscire a liberarsi e fuggire, io lo guardavo trasognato, beandomi all’idea di poter dire:

    “Mi dispiace, non sono stato capace di dominarlo, ho perso il controllo, ho cercato di salvarlo ma è stato tutto inutile…”

Warrington m’implorava di smetterla, il cerchio di fuoco in cui l’avevo chiuso ormai si stringeva sempre più attorno a lui, presto avrebbe attecchito sulle sue vesti e il suo corpo, quando l’aria ferma e soffocante, impregnata dei suoi pianti e delle sue invocazioni e delle sue maledizioni, fu squarciata da un grido potente.

    “FINITEM INCANTATEM!”

Mi voltai smarrito e irato, mentre il fuoco di colpo evaporava con la stessa rapidità con cui si era formato e Jarvis sveniva, dalla paura e dal caldo, in mezzo alla cenere, unica testimonianza dell’inferno che avevo scatenato. Mio padre corse a soccorrerlo, si avvicinò per assicurarsi che non fosse ferito, poi vidi che gli diceva all’orecchio qualcosa che non sentii: io rimasi impietrito a osservare la scena, non capivo, non doveva essere lì... come tutti gli altri, non doveva arrivare prima del mattino…

    “Che cosa ci fai qui? Che cosa vuoi? Lasciami finire!”
    “ Calmati Mirzam… per favore calmati!”

Si avvicinava a me lentamente, guardandomi con la stessa calma con cui incantava le belve quando andavamo a caccia…

    “Non ci provare… Non ti avvicinare… tu non capisci… lui… Bellatrix… Io devo farlo…”

Alzai la mano, pronto a investire di nuovo tutto ciò che mi circondava con la mia ira, ma mio padre lanciò un incantesimo silenzioso contro di me ed io mi ritrovai steso a terra, incapace di muovermi. Mi fu addosso, mi strinse a sé, nel suo abbraccio, sentii sulla pelle riarsa del mio viso le sue lacrime… Non l’avevo mai visto piangere, se non il giorno del funerale di mio nonno…

    “Avevo promesso che non l’avrei mai fatto, ma non posso lasciare che ti rovini la vita così…”
    “Bella…”

Non avevo quasi più forze, la sua magia stava facendo effetto su di me, ma la belva che avevo nell’anima non smetteva di lottare.

    “… Ho rischiato di perderti già una volta, per la pazzia di quella famiglia… perdonami…”

Sentii le sue labbra sul mio orecchio… sentii le forze lasciarmi, mentre quell’unica parola che non mi sarei mai aspettato pronunciata da lui, andò a sopire il mio mondo…

    “IMPERIUS…”



*continua*




NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti, recensito ecc ecc.

Valeria



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