Autore: ellephedre
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Nella lunaria successiva allo svelamento del suo volto, Sian
di Aven si alzò e cominciò a
camminare. Con le
guance ancora deturpate dalle ferite, superò le stele di
marmo che stavano limando insieme e procedette verso l'interno dei
giardini, senza indugiare.
Serenity posò gli strumenti di lavoro e lo
seguì a
distanza, domandandosi se in lui vi fosse desiderio di esplorazione o
fuga. Senza saperlo il suo ospite si stava dirigendo verso il cuore del
territorio che lei aveva riservato a se stessa sul pianeta
- una
larga e vasta area che custodiva ricordi pregnanti per la sua
stirpe.
Sian avanzava incurante dell'ambiente che lo circondava, come
se il suo unico fine
fosse quello di far lavorare le gambe.
Serenity lo accompagnò nel suo viaggio fuori dal
palazzo,
all'interno della Valle Eterna. L'orizzonte era sgombro di monti o
rilievi. I prati sterminati ondeggiavano alla brezza del vento,
accogliendo il
calore della fase eliosa del pianeta. Serenity non pensava nemmeno
più al fenomeno che aveva dovuto imparare a controllare:
ormai il rilascio delle particelle di luce solare concentrata,
raccolta durante il viaggio della Luna nel cosmo, avveniva in maniera
indipendente dalla sua volontà, come il semplice atto di
respirare.
Sian procedeva nella sua scoperta della Luna al medesimo
ritmo,
senza perdersi nella contemplazione di un albero, di un fiore, di un
masso. Solo
qualche animale catturava la sua attenzione, guadagnandosi un
movimento della sua testa, non sufficientemente deciso
perché il
resto del corpo lo seguisse.
Dopo una lunga camminata giunsero in vista della Depressione
di
Reitan, un cratere profondo quanto cento esseri umani nella sua parte
iniziale. Secondo le sue antenate, gli effetti della battaglia che si
era combattuta in quel luogo lo avevano reso oscuro per cento
generazioni. In seguito, lentamente, la vita era tornata anche in
quello
scampolo di Luna. Ora, nel suo punto più profondo, vi era un
vasto lago in cui abitavano minuscole creature estranee al
loro intero
sistema stellare. Serenity proteggeva quell'ecosistema con una cupola
di potere atta a preservarne l'unicità.
Era l'impronta di una lontana galassia, nel centro della sua
amata Luna.
Dal bordo del cratere Sian non poteva vedere il lago.
Immobile, non avanzava più.
Serenity era sicura che avesse la tentazione di farlo. Con un
solo passo
sarebbe caduto nel vuoto, ponendo fine alle proprie sofferenze.
All'orizzonte comparve una lunga striscia azzurra, il primo
segno del loro satellite madre.
L'esplosione di colori distolse l'attenzione di Sian dal
cratere.
Lentamente, Serenity lo raggiunse. Pronunciò due
sillabe.
«Luna.» Con un braccio indicò la
vastità del
mondo su cui posavano i piedi. Continuò a disegnare una
curva
con le dita, in direzione del corpo celeste che
li dominava. «Terra.»
L'arco terrestre ebbe il tempo di levarsi alto nel cielo prima
che Sian aprisse bocca.
«Terra» disse. Poi, stremato dalle energie
mentali
profuse nel viaggio, si voltò e tornò indietro,
verso il
palazzo.
Grazie alla sua pazienza e ostinazione, Serenity aveva
convinto il
suo ospite a non protestare più quando lei decideva di
parlargli.
Opporsi alle sue parole non sarebbe servito a Sian per ricevere in dono
il silenzio.
«In principio fu... il caos. Poi esplose l'energia e
vi fu un nuovo ordine.»
Aveva sempre desiderato raccontare ad alta voce quella storia.
Poteva allenarsi con un uomo che non comprendeva ciò che
diceva, in
attesa di narrare dell'inizio dei tempi alla prossima Serenity.
«L'ordine aveva come scopo iniziale la formazione.
Nebulose,
galassie, stelle, pianeti. L'ordine è luce che viaggia - in
attesa di trasformarsi, dopo un tempo infinito, in caos. All'alba del
nostro
universo, la luce lavorò per costruire una struttura. Il suo
consolidarsi in stabilità fu il principio della coscienza.
Con
la coscienza nacque la necessità di vita.»
Disteso sul suo giaciglio, Sian teneva gli occhi fissi sulla
volta
oscura del cielo. Il lieve movimento delle sue palpebre le permetteva
di capire che la stava ascoltando.
«La culla della vita era una fornace che conservava
un'impronta. Essa veniva... neppure io so da dove.» Lo
immaginava, ma non ne aveva la certezza. Per lei non saperlo era
liberatorio, la rendeva una creatura meno assoluta. «Fummo
uno» sussurrò. «Poi due. E per non avere
ricordo
delle nostre origini fummo lanciati in un punto lontano del nostro
nuovo universo, verso la nostra prima casa.»
Gea.
«Arrivando non diventammo subito noi. Ci dividemmo
ulteriormente, espandendoci nell'universo. I semi originali rimasero
qui, alla luce dell'Helios. Col passare delle ere acquisirono la forma
umana a cui eravamo destinati. Non conosco il nome della prima
Serenity, ella non aveva coscienza di sé. Lei e l'uomo che
per
primo nacque come tale insieme a lei diedero origine a una stirpe
comune. All'interno di questa linea sorse alla vita una giovane - Alam
- che portava in sé la conoscenza di ciò che
fummo e di
cosa saremmo diventati. Fu l'inizio della Storia di Gea. E la sua
fine.»
Udendo la reverenza nel suo tono, Sian voltò la
testa.
«Il pianeta non era destinato a durare»
proseguì
con mestizia Serenity. «Per lo scopo che avremmo avuto per
l'universo, dovevamo dividerci. Fu un cataclisma a farlo per noi,
rompendoci in quattro parti. Fu la nostra prima estinzione.»
A quel tempo l'ingranaggio umano era ormai rodato e
conosceva
il suo percorso. Trovò una strada più veloce per
la
propria formazione.
«Quando rinvenimmo, molte e molte ere dopo, la linea
delle
Serenity si era stabilita su questo corpo celeste, la Luna. Gea si era
ridimensionata fino alla metà di ciò che era,
diventando
la Terra. Due parti più piccole di Gea avevano viaggiato
lontano, associandosi ad altri corpi celesti fino ad acquisire massa.
Venere, si fecero chiamare. E Nemesis. Sulla Luna nacque una nuova voce
dell'universo - Teia - che fece incontrare le nostre quattro stirpi. Il
sovrano terrestre fu molto contrariato quando venne a sapere che il
potere originale del Cosmo - che portavamo in noi come primi depositari
della Vita - si era racchiuso unicamente in me, ovvero in Serenity.
Teia spiegò alle quattro stirpi che avevamo tutte una
funzione,
proprio perché un tempo eravamo stati una cosa sola. La
Terra,
Venere e Nemesis erano parti di me. Avevano la capacità di
fermarmi, ci raccontò Teia. Avrebbero protetto l'universo da
ciò che ero destinata a fare - in un tempo troppo lontano
perché ce ne preoccupassimo in quel momento. Teia ci diede
dei
nomi. Così fummo Scudi - il primo, la Terra, il secondo,
Venere
e l'ultimo, Nemesis. Poi ci fui io, a cui il nome non venne assegnato,
bensì rivelato: Cosmo.»
Il sussurro aleggiò nell'aria, vibrando di potenza.
«La Serenity di quel tempo decise di non assumere
Cosmo come
nome, sapendo cosa significava. Se ne diede un altro - il nostro, per
simboleggiare la pace. E il tempo passò, così a
lungo che
questa lunga storia che ho raccontato perse qualunque
significato.»
Fece silenzio mentre Sian la guardava, cercando di capire se
volesse continuare a parlare.
Serenity si sdraiò sulla schiena e rese opaco il
soffitto
della stanza, facendo sparire la vista del cosmo stellato che aveva
fatto da cornice al suo racconto.
«Quando mia madre mi raccontò questa
leggenda»
proseguì infine, «fui molto contrariata. Come mai
a noi
non era spettata la porzione di Gea più grande, la
Terra?»
Sorrise, ricordando l'ingenuità della propria domanda.
«Suppongo che la nostra Luna sia più evoluta.
Quando
riapparimmo qui come specie lo facemmo con grande
difficoltà, in
un ambiente non più grande del cratere della Valle
Eterna.» Quello infatti era il ricordo di un altro
cataclisma,
lontano nelle ere ma molto più recente. «Sulla
Terra noi
esseri umani siamo riapparsi insieme a una vastità di
curiosissime specie. La causa è il clima, il terreno,
l'atmosfera. La Terra è ciò che Gea fu, la casa
originaria della nostra umanità e di tutta la vita che ha
coscienza di sé. Sulla Luna siamo rivissuti artificialmente,
grazie alla Serenity che, separandosi da Gea, non lasciò
morire
la propria chiave vitale. Ordinò al suo potere di
preservarla,
riproducendo l'ambiente di Gea in una piccola cupola che si
impiantò sulla Luna. Suppongo sia accaduto lo stesso su
Venere e
Nemesis. Quando rinacque la prima erede lunare, pensò lei ad
allargare il nostro spazio vitale sul pianeta, conquistandolo nella sua
interezza. Così, un tempo lei e oggi io, regoliamo la
creazione
di acqua e di aria su questa Luna. Ogni cosa dipende da noi. Sulla
Terra» sorrise, «il sovrano ha altri problemi. Oggi
consideriamo il suo pianeta il più rozzo. Il re terrestre
non
crea la vita sulla Terra: la controlla, la doma. Sarebbe nata a
prescindere da lui o da qualunque essere umano che ne avesse deciso
l'apparizione.»
Il concetto la riempieva di meraviglia.
«Avrei voluto vedere cos'era Gea. Ancora di più,
vorrei
sapere dove si trova la fornace di energia che ci formò e da
cui poi
partimmo nell'universo. Prima Alam e poi Teia ne sapevano
più di
me.»
Sempre più spesso ascoltava una paura antica nel
proprio animo.
«La confusione che percepisco nel nostro sistema stellare
significa che stiamo arrivando a un nuovo grande
cambiamento.»
Aveva il terrore che potesse essere quello finale. «Immagino
che
in quel caso arriverà una nuova voce dell'universo a
guidarci.»
Che cos'era quell'entità?
Poiché avevano acquisito
tutte le loro informazioni da lei, non avevamo modo di verificare
quanto vi fosse di vero in ciò che diceva di se stessa.
Serenity
sapeva solo che la forza di quella creatura stava unicamente nella
conoscenza, poiché - sia nella forma di Alam che di Teia -
ella
non aveva avuto in sé un millesimo della potenza di un
sovrano
planetario.
Con la guancia adagiata sul cuscino, Sian la contemplava, muto
e annoiato.
«Comprendi cosa significa ciò che ti ho
raccontato?
Ovunque tu sia nato, discendi da una stirpe successiva alla
nostra. Sei uno di quei semi che dopo essere stati su Gea hanno cercato
una casa nel resto del cosmo, aiutandoci ad occuparlo fino a recessi
che mi sono ignoti.»
Ebbe un'idea. Si sedette sul suo giaciglio e
aprì i palmi delle mani, concentrandosi per la creazione di
un'immagine.
Percepì la tensione di Sian, ma non gli diede
importanza. Lui
aveva imparato ad accettare che non poteva impedirle in toto di usare
il suo potere. Ormai pretendeva solo che non lo usasse su di
lui.
Serenity lo aveva accontentato, ma l'oggetto a cui stava dando
forma
richiedeva un contributo attivo da parte dell'uomo che giaceva a pochi
passi da lei. Forse sarebbe stato un modo per invogliarlo a una
maggiore comunicazione.
Quando ebbe finito, fece aleggiare nel'aria una raffigurazione
stilizzata dell'universo che le era conosciuto.
«Non sono stata ovunque. Questa è
l'immagine che ho del
creato, raffinata dalle informazioni che ci hanno trasmesso Alam e
Teia. Neppure loro sapevano fino a quali estremi si fosse spinto
l'essere umano.» O più probabilmente, non avevano
avuto
interesse a rivelarlo.
Alla base del modello tridimensionale Serenity aveva posto
diverse
manopole di energia, che sarebbero servite ad allargare il modello e a
muoversi al suo interno, sondandolo.
Sian non si era mosso, ma osservava con sospetto e astio il
nuovo
oggetto, sfidandola ad avvicinarlo a lui. Era già pronto a
ribellarsi.
Con cautela, Serenity pronunciò una parola.
«Aven.»
Sian tirò su il torso, sedendosi. Il nome del suo
pianeta lo aveva scosso.
Lei gli indicò la raffigurazione che teneva in una
mano. Con
due dita manovrò velocemente l'immagine, affinchè
si
focalizzasse sul loro sistema stellare.
Un piccolo Helios brillò con prepotenza sopra il
suo palmo, circondato dai pianeti che omaggiava con la propria luce.
Lei ne pronunciò i nomi, allargando la visuale
sulla Luna
appena la chiamò. Terminò la lista e restrinse
precipitosamente le dimensioni dell'Helios, facendolo diventare un
punto sempre più minuscolo, fino a che fu solo un granello
di
luce che si mischiò a mille altri nella coda della galassia
in
cui si risiedevano. Rimpicciolì ulteriormente e
infinitamente il modello, fino a farlo tornare alla sua forma
originaria.
«Aven» ripeté, domandando
silenziosamente la collocazione del pianeta da cui lui era venuto.
Rimirò lei stessa il modello dell'universo,
rendendosi conto
all'improvviso di aver dato vita ad un esercizio sciocco. E se Sian
conosceva solo i dintorni dello spazio che circondava il suo pianeta?
Forse non aveva nemmeno idea di dove si trovasse nell'insieme che lei
gli stava mostrando. Magari era la prima volta che vedeva un'immagine
così raffinata del cosmo.
Di sfuggita, notò una luce di interesse negli occhi
di lui, subito mascherata dall'indifferenza.
Sian si girò su un fianco, dandole le spalle.
Aveva intenzioni di dormire e la loro conversazione a senso
unico era terminata.
Serenity abbassò la luce dell'oggetto, soddisfatta.
Non sapeva quanto tempo ci sarebbe voluto, ma voleva credere
che in futuro il suo ospite avrebbe adoperato quel modello.
A parte il roseto, null'altro lo aveva interessato nello
stesso modo.
In quella lunaria lontana lei avrebbe ricevuto le prime
risposte su Sian di Aven, dipanando il suo mistero.
Dopo un lungo lavoro e molte lunarie, terminarono la loro
opera sul pavimento dei giardini. Nonostante si fosse rifiutata di
tagliare il marmo col potere, Serenity aveva deciso che il riquadro di
terra in cui avrebbe piantato il suo nuovo arbusto non sarebbe stato
meno perfetto degli altri a cui aveva dato vita. Perciò,
insieme a Sian, si era adoperata con alacrità e precisione
per
rendere levigato e liscio il materiale del pavimento. Il lavoro era
stato rallentato da un suo errore nel momento in cui aveva
inavvertitamente aperto una crepa su una lastra. Era stata costretta a
prenderne
una nuova, ricominciando daccapo. In ragione dei molti sforzi e delle
tecniche apprese durante la realizzazione manuale dell'aiuola, vedere i
magnifici fiori lillà dello Lloygan svettare nel suo
giardino la riempì di una soddisfazione
sconosciuta.
Era l'opera più umana che avesse mai creato con le
mani, pregna di sudore e volontà.
Seduto sul pavimento, Sian posò a terra lo
strumento che aveva usato per costruire una dimora alla nuova pianta.
Riposò col mento sulle ginocchia, contemplando i petali.
«Bànsei» mormorò.
Sì, penso Serenity. Era un fiore meraviglioso.
Aveva sperato che Sian acquisisse interesse nel mondo che lo
circondava, una volta terminato il lavoro nei giardini. Invece il suo
ospite si chiuse in se stesso, smettendo persino di uscire dalle loro
stanze. Serenity cercò di essere paziente e di non forzarlo.
Più trascorreva del tempo con lui, maggiormente percepiva il
suo dolore.
La notte, quando dormivano a poca distanza l'uno dall'altra,
udiva il
modo in cui si spezzava il suo respiro. Le sembrava di vedere coi
propri occhi il mondo di cui lui provava nostalgia.
Era peculiare che quella sensazione le permettesse di non
sentirsi
più sola come un tempo.
In sua presenza, iniziò a giocare col modello
tridimensionale del cosmo, muovendosi lontano, verso i confini
dell'universo conosciuto, dove regnava il caos.
Egli veniva da quelle oscurità?
Avrebbe potuto spiegare la sua mancanza di potere e la sua
capacità di opporsi all'energia che era luce.
Se solo lui fosse stato in grado di dirle come era apparso
nel suo palazzo, superando tutte le barriere di protezione.
Ma Sian osservava le immagini del
cosmo
sbattendo a stento le palpebre. Le luci delle stelle si riflettevano
sulle sue pupille blu senza generare reazioni.
Fu la sua apatia a rendere insopportabile il silenzio per
Serenity. Era
stata come lui prima che arrivasse, una morta che sopravviveva.
Vedere riflesso in quell'uomo il proprio atteggiamento, dopo
aver assistito ai suoi lampi di vita e carattere, la portò
all'esasperazione.
Mentre provvedeva alla cura delle altre piante nel suo
giardino, da sola, richiamò a sé il ricordo di un
canto. Lo intrappolò nelle mani e fece viaggiare le onde
sonore nell'aria.
"La mia luna è grande e bianca
e la terra è blu e stanca!"
Per la letizia increspò le labbra ascoltando la
filastrocca di voci infantili, così innocenti e allegre.
"Noi siamo esseri potenti
e i terrestri sono lenti!"
Molto tempo addietro sua madre l'aveva sgridata sentendola
cantare quelle parole. Non era degno di una principessa burlarsi degli
abitanti di un vicino pianeta.
Obbedendo, Serenity non aveva più cantato quelle
strofe ad alta voce in presenza di anima viva, ma la melodia si era
stampata nella sua testa. Era ancora molto popolare tra la sua gente e
le capitava di risentirla di tanto in tanto. Puntualmente doveva
stringere la
bocca per non ridere. Come reazione non sarebbe stata regale.
Di buon umore, si pulì le dita sporche di terra e
portò con sé la musica, tra le pareti delle sue
stanze.
Sian si era seduto sul letto, colpito.
"Siam gelosi di una cosa sola
una tristezza che non ci consola
loro hanno più bambini
molti molti più bambini
ma noi almeno abbiamo questa poesiola!"
Fu straordinario vedere di nuovo un sorriso sul volto del suo
ospite.
Serenity spense la musica con un gesto della mano.
«I piccoli portano sempre un po' di
felicità.»
Sian di Aven fissava lo spazio dietro le sue spalle,
concentrato su un
pensiero lontano.
Serenity creò accanto a sé l'immagine di
un bambino - un minuscolo lunare dalla pelle diafana, già
capace di camminare. Con le dita cercò di domandare al suo
ospite se lui ne avesse mai avuto uno. Pensò di non essersi
fatta capire fino a che lui non scosse piano la testa.
Era una risposta, dopo tanto tempo. Un successo.
«Ci sono molti bambini come lui oltre le mura di
questo palazzo.» Ancora una volta, cercò di
comunicare il concetto con le mani. «Non penso che potrai mai
vederli di persona, ma...»
Lui aveva stretto gli occhi. La indicò.
«Ai.» Spostò l'indice sull'immagine del
bambino. «Tèi.» Posò la mano
su se stesso. «Kon.»
Serenity comprese solo quando lui, con un ampio gesto del
braccio, segnalò lo spazio oltre le mura dietro il palazzo
con sguardo interrogativo.
«Altre persone» gli disse.
«Sì, ci sono.» Contò come
lui, seguendo il suo stesso ordine. «Uno.» Si
riferì a se stessa. «Due.»
Proseguì col bambino. «E tre»
terminò con lui. Dietro di sé creò
altre immagini di persone, riprendendo a contare.
Sian seguì la lezione. Cambiarono l'ordine del
conteggio, per essere certi di intendersi sul fatto che parlavano di
cifre.
Serenity capì dove voleva arrivare lui solo quando
arrivarono al concetto delle decine e poi delle centinaia. Impiegarono
un po' per imparare a vicenda la rispettiva matematica - soprattutto
per il fastidio che lui provava nel vederla disegnare per aria, col
potere, i segni numerici che voleva mostrargli. Serenity
dotò entrambi degli strumenti che venivano assegnati ai
bambini per imparare a scrivere. Questo permise loro di
procedere più spediti.
Infine Sian lui ripeté la sua domanda iniziale,
questa volta a parole.
«Remòn?»
Continuava a segnalare la città che si estendeva
nelle vicinanze del palazzo reale.
Quanti?
Lei gli offrì una stima approssimativa.
«Trecentomila.»
Scrisse il numero e lo vide rasserenarsi di meraviglia al
pensiero delle molte genti che abitavano la città
millenaria, la prima mai sorta sul pianeta.
Serenity disegnò un cerchio, dandogli un nome.
«Luna.» Di fianco si adoperò per creare
l'immagine stilizzata di un piccolo essere umano. Alla sinistra
aggiunse un numero. Ottanta milioni, come le anime su cui regnava come
sovrana.
Sian di Aven assorbì il concetto con un lungo
pensiero.
Serenity su azzardò a chiedere. «E sul
tuo pianeta. Su Aven?»
Vinse la ritrosia di lui premendo ripetutamente col dito
sull'immagine del piccolo essere umano. «Aven?»
Poiché era rapido ad apprendere, per il suo ospite
non fu difficile indicare il numero degli abitanti del pianeta che
aveva abbandonato - o da cui era fuggito.
Duecentocinquanta milioni. Quando lui aggiunse uno zero, sul
finale, Serenity fu certa che si fosse sbagliato.
Ripassò brevemente con lui i propri concetti
matematici per essere sicura che non ci fossero errori. Sian
dimostrò di aver compreso le basi a decine dei loro conteggi
e ribadì la propria stima.
Serenity restò senza fiato.
Due miliardi e mezzo di anime, su un unico corpo celeste.
ll pianeta da cui lui proveniva era peggiore della Terra. Non
c'era un minimo controllo sulle nascite.
Sian fu eloquente nel comunicare che fine avevano fatto quelle
persone. Tracciò un segno deciso sopra l'immagine del
piccolo omino, rimanendo a guardare la striscia nera con cui lo aveva
cancellato.
«Tansir coronè. Carislen
riondàs.» La ferocia entrò nella sua
voce. «Riondàs carismor to Aven.»
Serenity riconobbe due parole in quel discorso.
Riondàs, potere. Caris, morte.
Il potere aveva portato la morte su Aven.
Sian si allontanò dal ripiano su cui avevano
disegnato e con un lungo sospiro si coricò nuovamente sul
proprio giaciglio, devastato dai ricordi.
CONTINUA
NdA: ehm, non picchiatemi, ma alla faccia delle tre parti.
Pensavo di fare di questo il capitolo in cui Serenity e Sian entravano
in maggiore confidenza. È successo, ma alla fine
è stato più il capitolo di uno scambio di
informazioni fondamentale sul mondo di entrambi. In particolare col
racconto di Serenity vi ho fornito tanti dettagli utilissimi a
comprendere l'universo della mia saga.
Li ho sviscerati ulteriormente in questo post sul gruppo
Facebook.
Intendevo accelerare la ripresa di vitalità di
Sian, ma un suo ritorno all'apatia mi è sembrato
più veritiero per ciò che gli è
successo e che non ho ancora raccontato.
Il prossimo sarà il capitolo in cui lui e Serenity
si conosceranno meglio. Uscirà nelle prossime settimane, non
dovrete più aspettare anni, promesso.
È ora di dare un finale a questa storia :)
Oh, se state seguendo tutta la saga, dovreste aver
capito che
Alam e Tèia rappresentano le precedenti incarnazioni di un
certo essere che sta di nuovo per rinascere nell'universo dei miei
protagonisti :) È tutto legato in ciò che invento.
Elle