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“Nonna, la tua marmellata é la migliore del
mondo!” Disse, con la bocca ancora piena di residui di biscotti abbondantemente
arricchiti di quella squisita gelatina al sapore di albicocca.
“Sono felice che ti piaccia così tanto.” Rispose
lei, sinceramente rallegrata da quel complimento.
“Oh, ma è finita…” C’era una punta di tristezza
nella sua voce.
“Ne vuoi ancora, tesoro? Credo ce ne siano un
paio di barattoli giù in cantina.”
“In cantina?” Le fece eco.
“Su, aiuta la tua povera nonna e vai a
prenderla. E poi potrai rimpinzarti fino a scoppiare!”
Aveva sempre avuto paura della cantina.
Quel luogo umido, chiuso, infimo e buio gli
incuteva un sincero e sinistro terrore.
“O-ok.” Deglutì.
“Oh Jacey, se vedi tuo nonno digli di portare
dentro altra legna da ardere!” La sentì a malapena.
Non perché fosse troppo lontano, e in quella
casa di campagna le pareti non erano certo delle più spesse, ma la sua mente era
ben salda sul pensiero di ciò che lo aspettava.
Ok. Entri, scendi le scale, prendi la marmellata
dal ripiano in fondo, risali le scale ed esci.
Nulla di più facile. Pensò, ma restò dell’idea
che era più facile a dirsi che a farsi.
Stazionò per qualche istante dinanzi la porta di
quercia della cantina, ed ebbe il tempo di notare che era piuttosto robusta.
Con la porta chiusa sarebbe stato ben più che
improbabile, che qualcuno lo sentisse chiamare dal resto della casa.
Ci metterai meno di un minuto.
Si fece forza, e con la mano minuta spinse la
maniglia verso il basso.
La porta della cantina si aprì cigolando; non ci
diede troppo peso, in fondo era una vecchia porta, e la maggior parte delle
porte di quella casa produceva un rumore simile.
La prima vera preoccupazione, la ebbe scendendo
i gradini di legno.
Crick crick crick.
I gradini scricchiolavano al suo passaggio.
Si chiese perché suo nonno non si fosse ancora
deciso a farne dei nuovi.
Screek.
Più in basso scendeva, più si faceva forte la
sensazione che prima o poi il gradino successivo su cui avesse poggiato i piedi
avrebbe ceduto, trascinandolo nel vuoto sotto di sé.
Gli ultimi cinque gradini li fece di corsa.
L’aria della cantina sapeva di stantio, e per
quanto cercasse di respirarne il meno possibile essa si faceva strada a forza
nelle sue narici, come a volergli ricordare quanto odiasse quel posto.
Da dove si trovava poteva vedere un paio di
scaffali e vecchie tavole da lavoro, probabilmente di suo nonno, con ancora
sopra alcuni attrezzi del mestiere ormai arrugginiti, svariate casse sparse per
il pavimento terroso, ed una porta rudimentale con due assi sbarrate alla sua
sinistra.
Il ripiano della marmellata era qualche metro di
fronte a sé.
Raccolse tutto il suo coraggio, attraversò
quell’antro maleodorante a passo svelto, e in un batter d’occhio si ritrovò con
il barattolo di marmellata tra le mani.
Ce l’hai fatta.
Si complimentò.
Girò sulle punte, fece per tornare in direzione
delle scale e battersela alla velocità della luce, ma qualcosa lo trattene,
angosciosamente ancora per un po’.
Jaceeeey~
Il suo nome riecheggiò tra quelle mura ricolme di spifferi con il tono di una
cantilena.
“Nonno, sei tu?” Si voltò.
Non ricevette risposta.
“Nonno?” Chiamò ancora.
Jaaaceeyy~
Rabbrividì.
Per qualche affannoso secondo perse l’uso degli
arti inferiori. Per qualche affannoso secondo ebbe l’impressione che avessero
messo le radici nelle fondamenta di quella casa.
Quando lo riacquistò, lo mise in moto troppo in
fretta, ed ottenne solo l’effetto di inciampare sulle assi spigolose del
pavimento.
Il barattolo di marmellata rotolò poco di fronte
a lui, fermandosi a contatto con il gradino più basso della scala.
Jace si sollevò a gattoni, per poi alzarsi in
piedi, e in quella posizione intermedia ebbe la sensazione che qualche scheggia
gli si fosse conficcata nel palmo della mano.
Si affrettò a raccogliere da terra il vaso, e
quando mise il piede sul primo gradino, esso protestò con un crrick! più
deciso del solito.
Salì altri quattro gradini; altri quattro
dolorosi, lancinanti scricchiolii, che per poco non gli ricordarono il lamento
di un animale ferito.
Solo una manciata lo separava dalla porta.
Con la mano destra rinsaldò la presa sul
barattolo, e sentì chiaramente la scheggia affondargli nella carne.
La nonna me la toglierà, lei è brava, ci
mette un secondo.
Aveva lasciato la porta socchiusa, ma per
qualche ragione gli sembrò di averla lasciata più aperta.
Due gradini.
Il braccio libero già si protendeva verso la
maniglia, vedeva il corridoio, vedeva la nonna; vedeva lui seduto sull’unica
sedia con il doppio cuscino, rimpinzarsi di biscotti e marmellata in cucina.
Non riuscì a compiere quell’ultimo passo.
La porta si richiuse con un botto sordo di
fronte ai suoi occhi sgomenti e increduli.
Qualcosa lo afferrò per le caviglie.
Jacey.
E lo trascinò giù, nel vuoto, giù, nella
cantina.
Aveva cercato un appiglio nella porta, nella
maniglia, ma di lui rimanevano ormai solo i solchi scavati dalle unghie nel
legno, quando aveva tentato disperatamente, con tutte le sue forze di
aggrapparsi a qualcosa.
Il fondo del barattolo di marmellata si ruppe
con un tonfo non appena toccò terra.
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