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Autore: Felis    18/07/2009    3 recensioni
Una raccolta di brevi racconti sulle paure più comuni dei bambini.
Che, qualche volta, ci portiamo dietro anche da grandi.
Ciak #5: Ragni
Genere: Sovrannaturale, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Nonna, la tua marmellata é la migliore del mondo!” Disse, con la bocca ancora piena di residui di biscotti abbondantemente arricchiti di quella squisita gelatina al sapore di albicocca.

“Sono felice che ti piaccia così tanto.” Rispose lei, sinceramente rallegrata da quel complimento.

“Oh, ma è finita…” C’era una punta di tristezza nella sua voce.

“Ne vuoi ancora, tesoro? Credo ce ne siano un paio di barattoli giù in cantina.”

“In cantina?” Le fece eco.

“Su, aiuta la tua povera nonna e vai a prenderla. E poi potrai rimpinzarti fino a scoppiare!”

Aveva sempre avuto paura della cantina.

Quel luogo umido, chiuso, infimo e buio gli incuteva un sincero e sinistro terrore.

“O-ok.” Deglutì.

“Oh Jacey, se vedi tuo nonno digli di portare dentro altra legna da ardere!” La sentì a malapena.

Non perché fosse troppo lontano, e in quella casa di campagna le pareti non erano certo delle più spesse, ma la sua mente era ben salda sul pensiero di ciò che lo aspettava.

Ok. Entri, scendi le scale, prendi la marmellata dal ripiano in fondo, risali le scale ed esci.

Nulla di più facile. Pensò, ma restò dell’idea che era più facile a dirsi che a farsi.

Stazionò per qualche istante dinanzi la porta di quercia della cantina, ed ebbe il tempo di notare che era piuttosto robusta.

Con la porta chiusa sarebbe stato ben più che improbabile, che qualcuno lo sentisse chiamare dal resto della casa.

Ci metterai meno di un minuto.

Si fece forza, e con la mano minuta spinse la maniglia verso il basso.

La porta della cantina si aprì cigolando; non ci diede troppo peso, in fondo era una vecchia porta, e la maggior parte delle porte di quella casa produceva un rumore simile.

La prima vera preoccupazione, la ebbe scendendo i gradini di legno.

Crick crick crick.

I gradini scricchiolavano al suo passaggio.

Si chiese perché suo nonno non si fosse ancora deciso a farne dei nuovi.

Screek.

Più in basso scendeva, più si faceva forte la sensazione che prima o poi il gradino successivo su cui avesse poggiato i piedi avrebbe ceduto, trascinandolo nel vuoto sotto di sé.

Gli ultimi cinque gradini li fece di corsa.

L’aria della cantina sapeva di stantio, e per quanto cercasse di respirarne il meno possibile essa si faceva strada a forza nelle sue narici, come a volergli ricordare quanto odiasse quel posto.

Da dove si trovava poteva vedere un paio di scaffali e vecchie tavole da lavoro, probabilmente di suo nonno, con ancora sopra alcuni attrezzi del mestiere ormai arrugginiti, svariate casse sparse per il pavimento terroso, ed una porta rudimentale con due assi sbarrate alla sua sinistra.

Il ripiano della marmellata era qualche metro di fronte a sé.

Raccolse tutto il suo coraggio, attraversò quell’antro maleodorante a passo svelto, e in un batter d’occhio si ritrovò con il barattolo di marmellata tra le mani.

Ce l’hai fatta. Si complimentò.

Girò sulle punte, fece per tornare in direzione delle scale e battersela alla velocità della luce, ma qualcosa lo trattene, angosciosamente ancora per un po’.

Jaceeeey~ Il suo nome riecheggiò tra quelle mura ricolme di spifferi con il tono di una cantilena.

“Nonno, sei tu?” Si voltò.

Non ricevette risposta.

“Nonno?” Chiamò ancora.

Jaaaceeyy~

Rabbrividì.

Per qualche affannoso secondo perse l’uso degli arti inferiori. Per qualche affannoso secondo ebbe l’impressione che avessero messo le radici nelle fondamenta di quella casa.

Quando lo riacquistò, lo mise in moto troppo in fretta, ed ottenne solo l’effetto di inciampare sulle assi spigolose del pavimento.

Il barattolo di marmellata rotolò poco di fronte a lui, fermandosi a contatto con il gradino più basso della scala.

Jace si sollevò a gattoni, per poi alzarsi in piedi, e in quella posizione intermedia ebbe la sensazione che qualche scheggia gli si fosse conficcata nel palmo della mano.

Si affrettò a raccogliere da terra il vaso, e quando mise il piede sul primo gradino, esso protestò con un crrick! più deciso del solito.

Salì altri quattro gradini; altri quattro dolorosi, lancinanti scricchiolii, che per poco non gli ricordarono il lamento di un animale ferito.

Solo una manciata lo separava dalla porta.

Con la mano destra rinsaldò la presa sul barattolo, e sentì chiaramente la scheggia affondargli nella carne.

La nonna me la toglierà, lei è brava, ci mette un secondo.

Aveva lasciato la porta socchiusa, ma per qualche ragione gli sembrò di averla lasciata più aperta.

Due gradini.

Il braccio libero già si protendeva verso la maniglia, vedeva il corridoio, vedeva la nonna; vedeva lui seduto sull’unica sedia con il doppio cuscino, rimpinzarsi di biscotti e marmellata in cucina.

Non riuscì a compiere quell’ultimo passo.

La porta si richiuse con un botto sordo di fronte ai suoi occhi sgomenti e increduli.

Qualcosa lo afferrò per le caviglie.

Jacey.

E lo trascinò giù, nel vuoto, giù, nella cantina.

Aveva cercato un appiglio nella porta, nella maniglia, ma di lui rimanevano ormai solo i solchi scavati dalle unghie nel legno, quando aveva tentato disperatamente, con tutte le sue forze di aggrapparsi a qualcosa.

Il fondo del barattolo di marmellata si ruppe con un tonfo non appena toccò terra.

 

 

  
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