Nei capitoli
precedenti…
Finalmente Eliza e Lillian si
sposano. Nel passato, le vediamo impegnate nei loro precedenti
matrimoni con Jeremiah e Lionel; mentre i primi convivevano da
diverso tempo e si sposano quando lei resta incinta di Alex per dare
più stabilità alla loro famiglia, Lillian ha
solo diciotto anni
quando va in moglie a Lionel, convinto dal padre dopo pochi anni di
conoscenza.
Il matrimonio delle due
è un
evento a cui partecipano personaggi illustri e importanti come il
sindaco, famiglie di spicco di National City, volti noti e
giornalisti; il tutto è seguito da una troupe della CatCo e
ripreso
da una troupe televisiva. Rhea Gand segue con fastidio dalla
televisione, arrabbiata per non essere stata invitata e ancora
parecchio ossessionata da Kara, convinta che sia lei a spiarli per
poi riportare tutto a Leslie Willis e screditare suo marito.
È
ancora ossessionato anche suo figlio Mike, che scambiando due parole
con lei al campus prima di lasciarlo per andare al matrimonio della
madre, è rimasto sorpreso dal sapere che la ragazza sa
delle chiacchierate private tra lui e i suoi amici al telefono.
Arrabbiato, torna a casa e parla con sua madre di Kara che, invece di
stargli a sentire, è presa un amico di Central City, Barry
Allen.
Colta da un'idea improvvisa, Rhea capisce che dev'esserci una
microspia in casa e svuota il salone. Dopo aver frugato nella
scrivania di Lar e aver trovato un foglio scritto da lui che la manda
su tutte le furie, capisce come Kara, e così la sorellastra
Lena,
sia riuscita a introdurre la microspia in casa, adocchiando
il quadro comprato all'asta della Luthor Corp a fine anno.
Nel frattempo, Kara e Lena,
ormai
separate da un po', si lasciano prendere dalla passione. La seconda
decide di dichiarare di nuovo a Kara il suo amore e, finalmente, di
liberarsi del segreto che le ha tenute distanti. Ma il
telegiornale le interrompe con un'edizione straordinaria: il senatore
Lar Gand è morto.
Mike
aveva fatto scattare la serratura di casa aggiungendo una piccola
spinta, veramente infastidito. Avevano tutti negato, naturalmente, di
aver parlato con qualcuno delle loro discussioni al telefono e di
Kara. Più forti della sua frustrazione, potevano esserci
solo le
urla dei suoi genitori: si era distratto, sentendoli dal piano di
sopra. «Mamma?», l'aveva chiamata ma continuava a
litigare con suo
padre: era chiaro che non sentiva. A quel punto sarebbe stato meglio
dormire al campus e pensare ai fatti suoi; non facevano che
rimbeccarsi da tempo a quella parte. Più di altre volte,
sicuramente. Aveva dato un'occhiata verso le scale più
avanti del
corridoio e si era affacciato al salone, notando che il quadro
preferito di sua madre era a terra e che tutto intorno era in
completa confusione.
«Mi
hai voltato le spalle», l'aveva sentita gridare.
«Volevo
solo che pensassi a vivere la tua vita in
tranquillità», aveva
sentito ribattere lui.
Mike
era tornato indietro, verso la porta. Era deciso a tornare al campus
universitario: loro non facevano che strillare e non gli andava
neanche un po' di separarli, si sarebbero arrangiati. Forse avrebbe
mandato loro un messaggio, più tardi. Aveva teso una mano
verso la
maniglia quando lo aveva sentito. Lo aveva sentito forte, il rumore
più forte di tutta la sua vita, tanto che lo aveva fatto
sobbalzare:
uno sparo. Si era voltato verso le scale, con la tachicardia e il
volto pallido. Era sicuro di aver sentito qualcosa cadere, dopo. Si
era sentito gelare, e immobilizzare, e terrorizzare. Non aveva avuto
fiato e la gola si era fatta secca. E poi aveva sobbalzato di nuovo
dallo spavento, sentendo Joyce urlare.
«Vieni!»,
aveva sentito la voce di sua madre fredda e alta, imponente.
«Vieni
qui, ho detto! Devi aiutarmi! Hai capito? Devi aiutarmi»,
aveva
ripetuto le cose come avrebbe fatto con un bambino. «Devi
aiutarmi,
vieni qui! Presto! Tra poco questo posto si riempirà di
poliziotti e
giornalisti, vieni qui! Muoviti! Dai, muoviti».
Mike
aveva deglutito, forse aveva addirittura sudato, e di certo non
avrebbe saputo spiegare la forza che aveva tirato fuori per
raggiungere la maniglia della porta con una mano e girare.
Sgattaiolare fuori coperto dalle sue grida. E infine chiudere la
porta.
Alla
fine, Lena non riuscì a dire a Kara tutto ciò che
doveva ma, in
quel momento, entrambe avevano avuto altro a cui pensare: il senatore
Lar Gand era morto. Mentre tutti loro festeggiavano il matrimonio di
Eliza e Lillian, qualcuno si era introdotto in casa Gand e gli aveva
sparato. La domestica Joyce aveva chiamato la signora Gand al
telefono quando aveva sentito l'allarme di casa scattare; pensava di
essere da sola, ma era stata lei a trovare il cadavere dell'uomo poco
dopo, al piano di sopra. Pochi minuti e Rhea era tornata a casa,
aveva chiamato il nove
uno uno
in lacrime, urlando che suo marito era stato ucciso. Questa era la
versione ufficiale, se non altro. Sembrava fosse stato colto mentre
usciva dalla camera da letto. Non avevano rubato niente ed era stato
chiaro fin da subito, alle forze dell'ordine, che l'unico obiettivo
dell'intrusione era quello di farlo fuori.
«È
stata lei», Siobhan fu lapidale. «È
chiaramente stata lei! Ve lo
dicevo io che quella stava perdendo la testa: avrà tirato
fuori la
pistola come ha fatto con me e avrà premuto il
grilletto», prese un
bel respiro e, braccia intrecciate contro il petto, non
riuscì a
star ferma, camminando avanti e indietro.
Kara
abbassò la testa, per poi reggersela con fare stanco.
«Sono
d'accordo…», deglutì e vide Siobhan
indicarla, scrollando le
spalle. «Dovevo intervistarlo e lo avrà ucciso per
non farlo
parlare». Diede un'occhiata al telefono che aveva stretto in
un
pugno, ma non c'era nessuna nuova notifica, non sua: Mike non
rispondeva ai suoi messaggi e provando a chiamarlo c'era la
segreteria telefonica da ore.
«Non
abbiamo niente in mano», disse a un certo punto Alex, dando
una
veloce occhiata a Lena, dietro di lei, appoggiata contro una
scrivania con le braccia incrociate, pensierosa. «Dobbiamo
lasciar
fare alla polizia».
Kara
aggrottò la fronte. «Se la polizia è
corrotta, non le faranno
niente».
«Lo
so, ma questo non lo dire davanti a Maggie»,
replicò guardando
l'orologio, «Starà arrivando».
Siobhan
si portò le mani sulle tempie e le guardò grave.
«Le prossime
saremo noi! Capite?», fissò una per una, sgranando
gli occhi.
«Ehi», schioccò le dita verso Lena,
«Guarda che parlo anche con
te, Lena Luthor. Sei compresa nel pacchetto, cara».
«Senti»,
Alex le prese un braccio con calma, guardandola negli occhi.
«Andare
nel panico non aiuterà nessuno».
«Ma
certo!
Invece prendere un bel respiro e sorridere alla vita che sta per
finire per una morte prematura e dolorosa aiuterà
tutte», sorrise
forzatamente, afferrando una sedia dalla scrivania più
vicina.
«Guardami, Alex Danvers, aiuto qualcuno
così?», si sedette
indispettita e, sempre con le braccia incrociate, la fissò
con un
sorriso.
Alex
sbuffò, roteando gli occhi. «Se
sta pure zitta, aiuta me di sicuro»,
sibilò passando una mano sulla tempia, scambiando uno
sguardo con
Kara e Lena.
Le
ragazze avevano scoperto con sgomento che la microspia non dava
più
alcun segnale. Durante il matrimonio, nessuna di loro poteva stare
dietro alle discussioni da quella casa e avevano impostato la
ricetrasmittente in modo che registrasse, ma Rhea doveva averla
trovata e rotta e, nel farlo, la registrazione aveva riportato un
guasto perché non era stato interrotto manualmente. Che la
microspia
avesse registrato o meno l'omicidio, e in quel caso non avrebbero
potuto usarlo in tribunale, spettava a Lena e il suo assistente Winn
riuscire a riparare il danno e a trovare le registrazioni precedenti
al punto di rottura. Anche adesso, mentre loro erano radunate alla
CatCo, il ragazzo ci stava lavorando in massima priorità.
Con
due bicchierini di caffè fumante in mano, Leslie Willis le
raggiunse, dando solo un veloce sguardo verso l'ufficio di Cat Grant,
ancora vuoto. «Ecco», ne passò una a
Lena, che la ringraziò a
bassa voce.
Siobhan
aggrottò la fronte. «A me niente?».
«A
te ho portato la Xanax, tesoro», ridacchiò
frugando in una tasca
dei pantaloni con la mano libera, mentre Siobhan le mostrava il dito
medio. «Cosa sono tutte queste facce da funerale?
Cioè, sì, il
senatore è morto, è tutto molto triste, ma noi
ancora non lo siamo,
no? Su con la vita, tutte prima o poi dobbiamo morire».
«Ti
va bene che sarai la prima della lista», borbottò
Siobhan.
Alex
intervenne di nuovo per calmare la situazione, prima che si
mettessero a litigare. Intanto, dopo aver riprovato a chiamare Mike
senza successo, Kara scambiò un lungo sguardo con Lena.
Eliza
e Lillian avevano dovuto rinunciare al viaggio di nozze quando, la
mattina successiva, si erano ritrovate la polizia in hotel. Avevano
dovuto portare Lillian in centrale per rispondere ad alcune domande.
E avevano invitato Kara a fare lo stesso. Rhea Gand aveva citato
tutte e due, accusandole di aver potuto assassinare loro il suo amato
marito. In centrale avevano trovato anche Leslie, lì per lo
stesso
motivo.
«Non
sembra molto dispiaciuta per la morte del senatore», aveva
detto un
poliziotto a Lillian, mentre la stavano interrogando in una saletta
apposita.
«No.
Sono più che altro seccata, in effetti. Mi sono sposata ieri
e mia
moglie ed io avevamo in programma di partire questa sera per un bel
viaggio ad Aruba. Invece mi ritrovo qui, con lei che mi guarda come
se fossi la peggiore criminale del mondo perché, anni
passati, mi
sono ritrovata discutere con i signori Gand. Abbiamo dei trascorsi,
è
per caso diventato un reato?». Aveva picchiettato le dita
contro il
tavolo, fissandolo insistentemente.
«No»,
aveva risposto il poliziotto, scambiando uno sguardo con il collega
in piedi a fianco a lui. «Ma potrebbe scaturire in reato, se
quei
trascorsi contengono minacce di morte».
Lillian
trattenne un sorriso. «Suvvia, ero arrabbiata. Quello
è stato un
periodo difficile per gli affari e la Luthor Corp stava perdendo
clienti, ho litigato con i signori in questione e c'è stato
qualche
attrito. Può capirmi. Si parla di quasi undici anni fa, nel
frattempo le cose sono cambiate e sono rimasta in rapporto con la
coppia. Il sindaco può confermare. Se avessi ucciso io il
senatore,
perché mettere in pratica la minaccia dopo tanto
tempo?».
«La
vendetta è un piatto che va servito freddo, signora
Luthor-Danvers».
Lei
aveva stirato le braccia sul tavolo, avvicinandosi. «E allora
sarei
stata là a godermelo. Mi spiega perché dovrei
mandare qualcuno a
uccidere il senatore, dopo anni che ho in mente questo progetto,
mentre mi sposo? Che gusto ci sarebbe?». Si era avvicinata
ancora di
più, guardandolo attentamente negli occhi, così
tanto che lui si
era sentito costretto a retrocedere con la sedia, deglutendo.
«Sarei
stata là a godermi il suo corpo agonizzante. Se fossi stata
io la
mandante, cosa che non sono. Allora, mi serve un avvocato?»,
era
tornata indietro di colpo e i due poliziotti si erano guardati.
Leslie,
invece, aveva pesantemente sbuffato, dopo che le avevano fatto
rimettere giù i piedi che aveva sollevato sopra il banco.
«Perché
avrei dovuto uccidere il senatore?».
«Non
lo so, ce lo dica lei», le aveva ribattuto la poliziotta,
guardandola con attenzione e mettendo le mani intrecciate sul tavolo.
«Ultimamente ha scritto molti articoli dove lui è
l'unico
protagonista», aveva toccato i CatCo Magazine disposti alla
sua
destra, per poi rimettere le dita intrecciate.
«Oh,
e non dimentichiamo lo schiaffo in tv», aveva ghignato
l'altro
poliziotto, mentre Leslie gli lanciava un'occhiata e poi sbuffava
ancora. «La signora Gand le ha fatto male? Penso di aver
sentito il
rumore dello schiaffo direttamente nel salotto di casa mia».
«Beh,
lo schiaffo me lo ha dato lei, mica suo marito», aveva
scrollato le
spalle, poi si era rimessa bene sulla sedia, sorridendo al
poliziotto. «Hai guardato tutto?», alzò
un sopracciglio. «Non so
se hanno tagliato la scena dove cerco di sputarle addosso».
«Oh
sì, oh sì», lui si era gettato sul
banco, sorridendo come
elettrizzato. «L'ha mancata di poco, signorina Willis,
davvero di
poco. Forse le ha sputacchiato almeno una scarpa».
Lei
aveva annuito felice e la poliziotta aveva rivolto gli occhi al
soffitto, richiamando il collega. «Scusa? Stiamo interrogando
una
sospettata in un caso di omicidio», gli aveva bisbigliato con
tono
duro e lui aveva rumoreggiato con la gola, tornando serio e
rimettendosi al suo posto.
«Beh,
ieri sera guardavo Netflix», si era gettata sulla sedia,
mettendo le
braccia dietro la testa. «E poi perché avrei
dovuto ucciderlo?
Stava diventando la mia gallina dalle uova d'oro: i miei pezzi su di
lui andavano forte».
Quando
era spettato a Kara, sia Lena che Lex era rimasti fuori ad aspettare.
Alex era sparita per fare una telefonata, Lena poteva ben immaginare,
mentre Eliza e Lillian erano state trattenute da altri poliziotti.
Erano rimasti entrambi pensierosi, in silenzio. Fino a quando Lex non
aveva tirato fuori il telefono, iniziando a digitare.
«Cosa
fai?».
«Stavo
pensando se non fosse il caso di rivolgerci a un avvocato».
«No».
Lena gli aveva preso il cellulare dalle mani. «Se le
chiamiamo un
avvocato ancora prima che sia ufficialmente accusata di qualcosa,
daremo un'idea sbagliata e penseranno che abbia davvero qualcosa da
nascondere».
«O
peggio: che sia colpevole», aveva annuito, aprendo la mano
per farsi
ridare il cellulare. «Aspettiamo», aveva ansimato.
Dentro
la saletta, Kara aveva sospirato, mentre i due poliziotti la
guardavano.
«Allora»,
aveva detto la poliziotta in piedi, girando avanti e indietro,
«Mi
pare di vederla piuttosto in ansia».
«Lo
conoscevo, certo che sono in ansia», aveva scrollato le
spalle.
«Non
era solo un senatore, ma il padre del suo ex ragazzo, se le nostre
informazioni sono corrette», aveva detto l'altro poliziotto,
seduto
davanti a lei sulla sedia. Kara aveva annuito. «Che ora
è sparito».
«M-Mike
è sparito?», aveva spalancato gli occhi, guardando
uno e poi
l'altra. Aveva provato a telefonargli per tutta la notte, in camera
con Lena, il cuore in panne, ma era stato irrintracciabile.
«Non
lo sapeva?», aveva alzato le sopracciglia il poliziotto,
guardando
la collega.
«H-Ho
provato a contattarlo, ma…», aveva inspirato,
«Scusate, posso
sapere di cosa sono accusata?».
«Di
nulla, signorina», aveva detto lui, mentre l'altra si
avvicinava
ferocemente.
«Per
ora», aveva rimarcato per bene lei, poggiando i pugni sul
banco e
guardandola con sfida. «Sappiamo che si era messa in contatto
col
senatore per un'intervista. Su cosa si basava?».
Kara
l'aveva fissata senza battere ciglio. «È stato lui
a dirmi di voler
rilasciare un'intervista: voleva abbandonare la carriera politica,
non mi ha dato i dettagli».
Lei
aveva scosso la testa. «E voleva rilasciarla a lei, che non
è
ancora una professionista? Se non sbaglio, alla CatCo segue un
tirocinio», si era alzata, continuando a guardarla.
«Perché
avrebbe dovuto chiederla a lei?».
«Ha
chiesto di me. N-Non lo so-».
«Quindi»,
l'aveva interrotta, «non aveva niente a che vedere con il
fatto che
pensi che siano stati i coniugi Gand a commissionare l'omicidio della
sua famiglia?».
Kara
si era ghiacciata e per un attimo le erano mancate le parole.
«Rhea
Gand ha detto questo?».
«Risponda
alla domanda».
Kara
aveva deglutito, senza cedere un momento. «No. Non aveva a
che
vedere con questo».
«Ma
lo pensa davvero?».
Il
poliziotto seduto davanti a Kara aveva lanciato uno sguardo alla
collega, aggrottando la fronte, perplesso.
«Faora…», l'aveva
richiamata, «No-Non deve rispondere a questo, non ha a che
fare col
motivo per cui è qui».
Lei
aveva guardato lui e poi di nuovo Kara, sorridendo e annuendo,
decidendo di passare oltre. A quel punto, però, Kara ne
aveva già
abbastanza: si era sporta sul tavolo e si era accigliata, guardando
lei.
«Il
senatore voleva lasciare la politica, sembrava avesse fretta di
qualcosa, ma sono stata io a dirgli di vederci dopo il matrimonio di
mia madre, in modo che potessi essere più libera: ma lui
è morto
prima dell'intervista e sua moglie sta facendo di tutto per scaricare
l'attenzione sugli altri. Se il senatore era veramente coinvolto
nell'omicidio dei miei genitori, perché avrei dovuto
ucciderlo prima
che dicesse la verità?».
La
poliziotta l'aveva interrotta, fissandola a sua volta: «Aveva
detto
che l'intervista non avrebbe avuto a che fare con quello».
«Non-Non
è questo il punto», aveva battuto una mano,
cercando di mantenere
la calma. «Lui era… preoccupato di
qualcosa», aveva spalancato la
bocca e cercato di ricordare, «Parlava come se avesse voluto
proteggere
Rhea».
«Proteggerla
da cosa, signorina?», le aveva chiesto l'altro poliziotto,
interessato.
«Non
lo so… da se stessa, forse. Era diventata molto paranoica,
ultimamente».
«A
causa degli articoli scritti dalla sua collega Willis», aveva
prontamente risposto lei.
Kara
l'aveva ignorata, deglutendo. «Dico solo che se Rhea Gand
avesse
voluto fare qualche sciocchezza e lui si fosse messo in testa di
poterla evitare, anche lasciando la sua carriera, allora
lei…
allora lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per non essere
fermata»,
aveva guardato lui e, dopo poco, lei. «Per non fargli fare
l'intervista».
La
poliziotta si era riavvicinata, portando una mano sul mento e
fissandola assottigliando i suoi occhi. «Sta davvero
suggerendo che
sia stata la vedova a ucciderlo?».
Non
aveva risposto. Quella poliziotta sembrava avercela con lei e di
certo non avrebbe voluto darle altri motivi per attaccarla.
Vestita
con addosso la divisa da poliziotta, Maggie passò attraverso
le
varie scrivanie e corse da loro quasi col fiatone, togliendosi il
cappello e sistemandosi un ciuffo di capelli sfuggito alla coda.
«Sono venuta prima che ho potuto». Tutte le si
misero intorno e
Siobhan si alzò dalla sedia. Maggie sorrise. «Non
siete delle
sospettate», si rivolse a Kara e Leslie, che tirarono un
piccolo
sospiro di sollievo, «E non lo è nemmeno
Lillian», guardò Lena.
«Ma non potrà lasciare la città.
È più che altro un consiglio,
finché le acque non si rassereneranno. Adesso che siete
ufficialmente non accusate, credo che potrò ottenere il
permesso di
lavorare al caso e vi terrò informate. Rhea continua a
puntare il
dito contro di voi, ma è lei la vera sospettata».
Siobhan si lasciò
andare a un mugolio di approvazione. «Per il momento la
trattiamo
con i guanti, non vogliamo che lo capisca; dobbiamo tenerla buona
intanto che le indagini vanno avanti».
Alex
e Kara si scambiarono uno sguardo, ripensando a Zod: se l'uomo
decideva di incriminare Rhea, forse non faceva parte
dell'organizzazione, dopotutto. Maggie continuò a parlare
della
polizia scientifica che si trovava ora sul luogo dell'omicidio che a
Kara vibrò il telefono e si allontanò subito,
sperando fosse Mike.
Ah, sbuffò: era Kal.
Kara,
come stai? Abbiamo saputo che insieme a Leslie Willis e Lillian
Luthor sei stata interrogata dalla polizia. Lois ed io non potremo
raggiungerti prima di domani. Stai a casa!
Il
tono del messaggio sembrava così preoccupato. Nessuno aveva
diffuso
la notizia del loro interrogatorio e si domandava come avessero fatto
a venirne a conoscenza. Gli rispose che andava tutto bene quando un
altro messaggio prese la sua attenzione, ma ancora una volta non era
Mike.
Da
IlRagazzoDelFlash a Me
Kara,
ottime notizie!! Questa sera faranno uscire mio padre di prigione,
non puoi assolutamente mancare!! Oggi grande cena tutti insieme e
domani festa, devi esserci! Ti spiegherò tutto quando sarai
qui!!
Scrivimi presto per farmi sapere quando puoi venire!
Sospirò.
Almeno Barry non aveva idea del caos che stava succedendo e
probabilmente non aveva neppure guardato la televisione, concentrato
su tutt'altro. Che suo padre stesse per uscire di prigione, se non
altro, era la buona notizia che sperava di sentire. Non gli rispose
ancora e tornò dal gruppo. O quelle erano le sue intenzioni
prima di
sentire le grida:
«Leslie!
Keira!»: Cat Grant era tornata. Aveva gli occhiali da sole e
con una
mano reggeva una tazza da viaggio calda. «Nel mio ufficio.
Subito».
Non si fermò neppure un istante, entrando e sbattendo la
porta.
«È
arrivato il momento della giornata che preferisco»,
canticchiò
Leslie, seguendo Kara che entrava in punta di piedi. Sentirono
Siobhan dire che avrebbe pregato per loro.
Maggie
prese per un braccio Alex e la tirò da una parte, in modo
che
potessero scambiare due parole in privato. Lena le raggiunse, dopo
aver dato una veloce occhiata al suo cellulare e aver comunicato a
suo fratello che né Kara né Lillian erano
indagate.
«Notizie
dal D.A.O.?».
Alex
sospirò. «Dobbiamo lasciar fare a voi. Non
possiamo intervenire
fintanto che sarà un omicidio slegato alla nostra indagine,
non è
di nostra competenza», scosse la testa.
«Però John è parecchio su
di giri e mi ha ordinato di non mollare Kara un attimo. Pensa
che…»,
non terminò la frase, scambiando uno sguardo con Lena.
«Non
è l'unico a pensarlo», sussurrò lei,
ansimando. «Kara e Leslie
saranno le prime che andrà a cercare». Perfino Lex
le era sembrato
preoccupato: non era tornato a Metropolis come da programma e aveva
invitato sorella e nuove sorelle a cena fuori, per quella sera. Per
un attimo, il pensiero di contattare il profilo misterioso, o meglio
ancora Indigo, per chiederle aiuto la sfiorò: forse lei
poteva
trovare qualcosa che incastrasse Rhea Gand.
«Lena?».
Alzò
lo sguardo e vide che entrambe la fissavano: si era persa troppo a
lungo nei suoi pensieri.
«Ci
chiedevamo se ci sarebbe voluto ancora molto per risalire alle
registrazioni della microspia», le fece presente Alex.
«No,
le avremo in giornata», assicurò. «Ma
non so quanto potranno
tornarci utili».
Le
due si guardarono. Sapevano che aveva ragione. «Devo
andare», disse
velocemente Maggie, rimettendo il cappello sulla testa.
«Insisterò
per lavorare al caso e vi farò sapere possibili
sviluppi». Lei e
Alex si scambiarono un bacio, così si allontanò
di corsa.
Entrambe
guardarono attraverso i vetri dell'ufficio, cercando di immaginare la
discussione. «Chiederò una scorta anche per Leslie
Willis. Almeno
finché la situazione non cambia», disse Alex,
mettendo le braccia
contro i fianchi. «Se arresteranno quella donna, mi
sentirò un po'
meglio. Pensi di essere in pericolo?», la guardò,
«Potrei
richiederla anche per te, lo sai; John me l'approverebbe a occhi
chiusi».
«Non
mi sento in pericolo», obiettò. «Sono
spaventata dagli eventi? Sì.
Ma non ho paura per me». Riguardarono verso l'ufficio,
scorgendo
Leslie Willis camminare inviperita verso la porta.
La
aprì e la richiuse sbattendola. «Mi ha sospesa! Di
nuovo! A tempo
indeterminato», alzò le braccia all'aria.
«Va a finire che mi
costringe al licenziamento».
«Cos'è
successo?», le chiese Siobhan, riapparsa davanti a lei solo
per dare
sfogo alla sua curiosità.
Lei
gonfiò le guance, riguardando l'ufficio con aria
contrariata.
«Siccome siamo state interrogate dalla polizia, pensa che sia
meglio
sospenderci per un po', per non dare nell'occhio. Dannazione,
passerò
le mie giornate a bere nei pub».
«Siamo?»,
la interruppe Alex e Leslie sbuffò.
«Sì,
anche la biscottina è sospesa», indicò
l'ufficio e si allontanò
scalciando.
Davanti
a Cat Grant, Kara ebbe lo stomaco in subbuglio. «S-Signora
Grant, la
prego, ci ripensi, non può sospendermi», corse
verso la scrivania,
con mani strette a pugno. Era stata sospesa dal lacrosse e ora dal
lavoro? Le serviva quel lavoro; una sospensione poteva essere
definitiva.
«Non
farlo; se avessi voluto sentire delle preghiere, mi sarei fatta
suora», rispose con sufficienza. Ricontrollò
alcuni fogli e poco
dopo rialzò il suo sguardo, trovandola ancora lì.
«Keira.
Ascolta», si sfilò gli occhiali da sole,
mostrandole le borse sotto
gli occhi, «Le vedi queste? Sono ciò che mi sono
guadagnata per
essere rimasta sveglia tutta la notte a rispondere a telefonate ed
email sulla morte del senatore. Ho un sacco di lavoro da sbrigare e
tu e Leslie, in questo momento, non siete altro che un piccolo e
insignificante dettaglio in un mare di scartoffie e cose da
ricordare».
Kara
deglutì. «Anch'io non ho chiuso occhio questa
notte, signora
Grant».
L'altra
la guardò un momento, poi sbuffò, sedendo meglio
sulla sedia e
poggiando gli occhiali. «Quando pensavi di dirmi di dover
fare
un'intervista a quell'uomo? Non ammetto simili comportamenti per chi
lavora per me».
Kara
trattenne il fiato, tirandosi più indietro.
«G-Gliel'avrei detto
presto, voglio dire, subito dopo il matrimonio, c-cioè,
oggi»,
annuì, «probabilmente oggi».
«Probabilmente?».
«Sicuramente»,
si corresse. Non sapeva come ne era venuta a conoscenza: a parte
poche persone e la polizia, nessun altro lo sapeva. Quella donna
aveva orecchie ovunque. «Era stato lui a… a
chiedermi di farlo».
«Quindi
se ti chiedessi di fermare un treno in corsa a mani nude tu
correresti a provarci?», la guardò aggrottando la
fronte. «Pensavo
fossi intelligente, Keira. Un'intervista al senatore era un lavoro
troppo grande per te, non eri pronta».
«Proprio
perché pensavo non me l'avrebbe lasciata fare, non ho detto
nulla»,
ingigantì gli occhi ma si pentì subito di averlo
detto, guardando
il viso contrariato di Cat Grant.
«Confermo
la sospensione».
«Ma-».
«Un
giorno molto vicino ti chiederò di parlarmi di cosa ti ha
chiesto di
fare il senatore, ma ora voglio che te ne vada prima che la rabbia
prenda il sopravvento e mi impedisca di dire ciò che sto per
dire:
non stai perdendo il lavoro. Hai ancora molto da imparare, è
vero,
ma sei sulla buona strada, sei capace e hai lo spirito giusto. E ora
sei sospesa». La vide scapparle un sorriso, ma un sorriso
molto
incerto. «Sai cosa devi fare ora? Tornare a casa, metterti il
pigiama e goderti questa piccola vacanza extra. Prendila
così, vai a
fare ciò che ti piace fare: che sia un bagno caldo, una
maratona
della tua serie tv preferita, una pizza, magari coccolarti con la tua
sorellastra, lì». Kara arrossì di
colpo, ingigantendo gli occhi, e
Cat mosse un sopracciglio: «Oh
sì, guardala come non ha occhi che per te»,
sussurrò e, all'improvviso, rimise gli occhiali, ritrovando
il suo
tono duro. «Non mi interessa. Basta che tu stia a casa,
lontano da
qui, non voglio vedere la tua faccia». Si alzò,
raggiungendola. La
spinse per quasi metà ufficio. «Stai a casa. E non
parlare con
nessuno», le aprì la porta.
«Fuori».
Kara
si vide costretta ad obbedire e per poco non inciampò su un
tappeto.
«Tutto
bene, sorellina?». Sia Alex che Lena si avvicinarono, mentre
Kara
guardava senza battere ciglio Cat Grant che richiudeva la porta e si
allontanava verso la scrivania.
«Ho
come l'impressione che la signora Grant mi abbia appena suggerito di
stare al sicuro», disse, voltandosi verso di loro.
«Anche lei pensa
che stia per succedere qualcosa».
Maggie
Sawyer era tornata in centrale. Il suo turno non era ancora finito e,
appena mise piede all'interno, notò subito il gran fermento.
Alcuni
suoi colleghi facevano gruppo e parlottavano a bassa voce,
escludendola. Aveva cercato spesso di ambientarsi, ma era ancora una
novellina e altri novellini come lei, quando aveva iniziato, erano
stati trasferiti o altri avevano stretto amicizie più
facilmente. E
non che avesse mai dato a qualcuno motivo di tagliarla fuori. Ora
parlavano della morte del senatore. Aveva sentito Faora Hui alzare la
voce, dicendo dispiaciuta che aveva deciso di votarlo alle prossime
presidenziali. Li lasciò perdere e inquadrò il
capitano Zod dietro
i vetri che circondavano il suo ufficio. Aveva la testa bassa e
scriveva qualcosa davanti alla sua scrivania; le dispiaceva
interromperlo, ma doveva ottenere quell'incarico.
Bussò,
lo vide alzare la testa e farle cenno di entrare, così
eseguì,
richiudendo la porta dietro di lei. «Scusi l'intrusione,
signore,
spero di non averla interrotta». Lui prese un pesante respiro
col
naso, continuando a controllare le carte in mano e indicandole con un
cenno la sedia davanti. «Oh, no, signore. Sto in piedi,
volevo solo
chiederle…», toccava freneticamente il cappello
tra le mani, come
un antistress, «considerando che non ho parenti o amicizie
coinvolte
nel caso-».
La
interruppe, assottigliando gli occhi: «Vuoi lavorare al caso
del
senatore?».
Maggie
trattenne un sorriso, restando nella sua posizione rigida.
«Sì»,
disse solamente, senza annuire.
«Perché
ci tieni tanto?», le chiese, dapprima guardando i suoi fogli
e dopo
alzando lo sguardo verso di lei, facendosi interessato.
«Abbiamo
abbastanza agenti impegnati lì».
«Beh,
è… un caso importante, signore. E devo farmi le
ossa, quindi
pensavo…».
«Vuoi
imparare e crescere», accennò un sorriso, durato
poco. «Permesso
accordato, mettiti in pari con gli altri. E, Sawyer?», la
fermò,
vedendola allontanarsi, «Proprio perché si tratta
di un caso
importante, devo ricordarti la discrezione? Abbiamo la nazione
addosso, non possiamo permetterci errori e non vogliamo attirare
l'attenzione dei federali».
Lei
annuì, tirando la maniglia della porta. Lo
riguardò solo un
momento, con attenzione, mentre completamente preso si rimetteva a
testa in giù sulle scartoffie sulla scrivania. Si era ormai
abituata
a vedere quell'uomo sempre rigido e composto, apparentemente senza
emozioni perfino quando sua moglie era venuta in centrale per
portargli il pranzo, una volta, ma ora sembrava quasi… in
lutto. Il
senatore Gand si era fermato parecchio nel suo ufficio, quando era
venuto a trovarlo. Che ci fosse dell'altro oltre al rapporto
professionale? Che si conoscessero al di fuori dell'ambiente
lavorativo? Alex avrebbe certamente detto che era perché
facevano
entrambi parte di quell'organizzazione criminale, ma Zod era un uomo
severo che amava rispettare le regole, non un delinquente.
«Signore?». Lo vide alzare lentamente la testa e
Maggie si rese
conto che lui non aveva neppure fatto caso che lei fosse ancora
lì.
«Le mie condoglianze». Uscì, lasciandolo
prima che potesse
replicare.
Kara
tornò al campus con una brutta sensazione sulla pelle. Lar
Gand era
stato ucciso, Mike era scomparso, e Rhea voleva la sua testa. Lo
sapeva. L'aveva sempre odiata dalla prima volta che mise piede nella
sua casa, e allora non poteva sapere ciò che sapeva oggi.
Che la
donna sapesse del suo sospetto su di loro per la morte dei suoi
genitori era un campanello d'allarme piuttosto forte… Oh,
come se non bastasse, se l'avevano seguita, ed era certa che qualcuno
l'avesse
fatto, avrebbero presto fatto la loro mossa. Il telefono le
vibrò di
nuovo e lo prese, controllando la maniglia della porta della sua
stanza, e poi girandola.
Tutta
intera, sorellina?
Alex
era più ansiosa di sempre, ma stavolta non poteva darle
torto. Le
rispose che stava bene, di essere tornata sana e salva.
Entrò dentro
e richiuse, guardandosi velocemente intorno. Non c'era nessuno.
Vibrò
di nuovo e si spaventò, così il cellulare
scivolò dalla sua presa
e cadde a terra.
Kara,
devo sapere se ci sei!
Era
ancora Barry. Accidenti, non gli aveva risposto.
Ho
controllato i diretti, questo sarebbe il migliore.
Le allegò uno screenshot delle linee e ne aveva cerchiato
una che
sarebbe partita tra qualche ora.
Sorrise
un poco amareggiata; il ragazzo ci teneva proprio ad averla con loro.
Non sapeva come dirgli di avere una cena con Alex, Lena e Lex, quella
sera. E del senatore. Come poteva dirgli no,
Barry, non potrò esserci perché hanno ucciso il
senatore e ora sono
un bersaglio?
Spense
lo schermo del telefono e si avvicinò al letto, quando un
rumore
proveniente dal bagno la fece sobbalzare. La porta si aprì e
Kara
strinse il cellulare con forza, lanciandolo in direzione della porta.
Megan scattò come un felino per non essere colpita e il
cellulare
finì dritto dentro il lavandino.
«Sono
io, imbranata».
«No!
Il cellulare!». Corse subito a recuperare l'oggetto usato
come arma,
mugugnando su quanto gli volesse bene.
Invece,
Lena era tornata alla Luthor Corp. Aveva mal di testa, una perenne
tachicardia e un senso pesante addosso a cui non riusciva a dare un
nome. Non che ammirasse il senatore, né era mai stata
particolarmente attaccata alla famiglia Gand, ma saperlo morto le
aveva ricordato suo padre. E forse Rhea aveva ucciso entrambi.
Aprendo
la porta del piccolo laboratorio, trovò Winn seduto
accovacciato
davanti a un banco; il monitor di un computer ormai spento, piccoli
pezzi di plastica sparsi intorno a lui e utensili da lavoro. Il
ragazzo era immobile. Lena si avvicinò piano, sentendolo
russare.
Ancora piano, si posizionò accanto a lui e prese fiato:
«Winslow».
«Aaah!».
Lui scattò in piedi, sbatté le ginocchia contro
il banco e la sedia
con le ruote gli scivolò sotto il sedere. «Ho
f-fatto, signorina
Luthor! Sono qui, so-sono sveglio, signorina Luthor». Aveva
gli
occhi rossi e il fiatone. «H-Ho fa- Cioè, sono
riuscito a sì, emh,
salvare il più possibile, trasferendolo verso-»,
si bloccò,
muovendo il mouse e rimettendo operativo il pc.
Lena
gli sorrise un momento, per poi tornare seria. «Vai a casa,
adesso
ci penso io».
«No,
sono… Sto bene», ridacchiò,
«Mi ero appisolato un momento ma-».
«Hai
fatto un buon lavoro, gli straordinari sono finiti. Vai a
casa».
Sapeva di avergli chiesto spesso di fare più del dovuto.
Lui
alzò gli occhi verso di lei e a quel punto lasciò
il mouse,
annuendo. La sorpassò e le diede le ultime accortezze, prima
di
accostarsi alle porte. «Emh, signorina Luthor…
posso chiederle
come sta Kara?!».
Lei
annuì, riprendendo la sedia e avvicinandola al banco,
sedendo. «Sta
bene. Le dirò che l'hai pensata». Winn sorrise e
uscì, intanto che
la ragazza si mise al lavoro. Schiacciò play
e si mise in ascolto, infilandosi le cuffie. Alcune tracce erano
ancora troppo disturbate. Prese il cellulare e inviò un
messaggio ad
Alex, dicendole di avere qualcosa. Ascoltò, mandò
avanti. C'erano
fin troppe cose inutili, discussioni senza senso, molte per cui Rhea
saltava da una conclusione all'altra. E nominava Kara fin troppo
spesso. Non si accorse della porta che si apriva e del ragazzo che si
avvicinava.
«Trovato
qualcosa?», domandò Lex, poggiando una mano sul
banco, vedendola
fare un sospiro. «Ho incontrato il tuo assistente e mi ha
detto
dov'eri».
Lena
tolse le cuffie e le scollegò, in modo che entrambi
potessero
sentire, cliccando play
sull'ennesima traccia.
Megan
rimase senza parole quando Kara le spiegò, brevemente,
cos'era
successo e cosa sarebbe potuto accadere ora. Fintanto che Rhea Gand
era a piede libero, restava una minaccia.
«Mike
non può essere scomparso», scrollò le
spalle, «Era qui, ieri».
«Lo
so, lo avevo incrociato anch'io prima di andare al
matrimonio».
«No,
più tardi, intendo. Sono stata con John ieri sera, mi ha
riaccompagnato perché aveva impegni, e l'ho visto passare
dal parco.
Ho provato a salutarlo ma non mi ha sentito; ha continuato a
camminare e l'ho lasciato fare», la fissò,
scorgendo il suo sguardo
preoccupato. «Sono certa che Rhea non gli ha fatto del
male», disse
subito, «Andiamo, è suo figlio, e ha sempre
straveduto per lui».
Kara
abbassò gli occhi. «E il senatore era suo
marito», li rialzò
lentamente, specchiandosi nei suoi. «Lo ha ucciso quando
aveva
deciso di parlare con me. E sai com'è fatto Mike»,
strinse i denti,
«Mi difende sempre».
A
quel punto, Megan si alzò dal letto con uno scatto.
«Va bene,
andiamo. Invece di stare qui a rimuginarci, possiamo chiedere ai suoi
amici se sanno dove è andato».
Kara
sorrise e le strinse la mano che aveva allungato verso di lei, per
aiutarla a rimettersi in piedi.
«Come
sta il cellulare?».
«Non
è rotto: ha passato di peggio».
Cambiarono
dormitorio, affacciandosi verso una grande sala con biliardo e
freccette pieno di ragazzi e qualche ragazza, bottiglie di birra
vuote appoggiate ovunque, e c'era della musica ad alto volume. E caos
là dentro, tanto caos. Schiamazzi, qualcuno si rincorreva.
«Noi
non abbiamo il biliardo», brontolò Megan mentre
Kara la tirava via
per una manica. «Perché non abbiamo il
biliardo?».
Qualcuno
le salutò e si fecero dare indicazioni, salendo al terzo
piano.
C'era del fumo puzzolente per il corridoio, anche se fumare era
vietato. Schivarono un ragazzo in corsa che, vedendole, aveva gridato
Supergirl
prima di svoltare un angolo. Bussarono alla porta della sua camera,
ma non rispose nessuno e andarono più avanti, trovando una
porta già
aperta: due letti, una piccola televisione accesa su un mobiletto,
indumenti sparsi; sigaretta in bocca, un ragazzo provava qualche nota
con una chitarra mentre due amici gli davano consigli.
Kara
e Megan si scambiarono un'occhiata e così la prima
bussò,
osservandoli intanto che alzavano uno sguardo, perplessi.
«Scusate
l'intrusione: avete per caso visto Mike Gand, oggi?».
Il
ragazzo con la chitarra la mise su un tappeto e si alzò dal
letto su
cui era seduto, mentre i due amici facevano lo stesso. «Non
sei la
benvenuta, qui, Supergirl», disse lui, togliendo la sigaretta
dalla
bocca e lasciando uscire il fumo. «Non
più».
«Ma
non ti vergogni?», le disse un altro, con sguardo
contrariato. «Gli
hai spezzato il cuore e quel poverino ha perso pure il
padre».
Kara
aggrottò la fronte e Megan intervenne: «Abbiamo
bisogno di parlare
con lui, è una cosa importante, non fate i
bambini».
«I
bambini noi?»,
si indicò il terzo ragazzo, abbozzando una risata e
guardando gli
amici. «La tua amica lì ha cercato di metterlo
contro di no- ah!»,
la indicò e Kara si avvicinò scattante,
afferrandogli il dito e
piegandolo un po': mentre lui si lamentava dal dolore, gli amici
smettevano di ridacchiare.
«Forse
non avete capito: non abbiamo tempo da perdere». Gli
restituì il
dito che il ragazzo stava quasi per mettersi a piangere, con occhi
lucidi. «E io non ho cercato di fare proprio
niente».
Lui
si strinse il dito ma non osò dire che gli faceva male; si
tirò
indietro e si stette zitto, mentre il primo ragazzo gli
lasciò la
sigaretta e si avvicinò a Kara tanto da respirarle addosso,
guardandola dall'alto al basso. Per un attimo, in quel solo attimo,
Kara ricordò la rissa a Gotham. Se avesse avuto in corpo
l'effetto
della pillola che aveva ingerito quella sera, in quel momento, cosa
sarebbe successo? Si era sentita così libera
di poter dare sfogo alle sue emozioni, senza freni, senza colpe,
senza pensieri, che era certa sarebbe potuta andare dritta
all'obiettivo. Il pensiero che Rhea avrebbe potuto tentare di
ucciderla, ora, si stava facendo pesante. Come pesante era il
sospetto che fosse accaduto qualcosa a Mike e che non poteva fare
niente per lui.
Anche
l'altro ragazzo tentò di avvicinarsi, ma Megan lo
bloccò
frapponendosi con un braccio e lanciandogli un'occhiata.
«Ti
credi davvero una super ragazza, uh?», le buttò il
fumo addosso
mentre parlava e Kara tossì, sventolando una mano.
«Fumare
fa male: non te lo ha mai detto nessuno?».
Lui
aggrottò la fronte. «E tu sei una rompiscatole:
non te lo ha mai
detto nessuno?».
La
ragazza grugnì e gli pestò un piede,
così lui la spinse e, mentre
l'amico tentò di avvicinarsi di nuovo per aiutarlo e fu
sbattuto
contro il muro da Megan, lei gli strinse le braccia e, mantenendolo
saldo, lo forzò a indietreggiare. Non poteva muoversi e fu
fatto
sedere sul letto, ma sorrise divertito.
«Forse
ora capisco cosa ci vedeva Mike in t- ah!»,
gli schiacciò di nuovo un piede e la guardò
torvo. «Ti piacciono
le cose forti, eh- aih»,
glielo schiacciò ancora, più forte. «E
basta! Va bene, ho capito!
Lasciami». Si strinse i piedi quando Kara decise di lasciarlo
andare, e lo stesso fece Megan con l'amico che aveva ancora la bocca
contro la parete. «Mike era qui, ieri. Era tutto incazzato,
pensava
che noi avessimo parlato di lui con te, poi se n'è
andato».
«No,
è tornato». A un certo punto, tutte le attenzioni
si rivolsero al
terzo amico, che ancora si stringeva il dito dolorante. «Era
tornato
più tardi, lo avevo incrociato in corridoio, ma non mi ha
neanche
guardato», deglutì, «P-Pensavo fosse
perché era ancora incazzato,
che ne so. Poi dev'essere uscito, il suo compagno di stanza non lo ha
visto».
Kara
e Megan si scambiarono un'occhiata, cercando di riflettere.
«Ora
potete uscire, Charlie's
Angels»,
gridò il secondo ragazzo; aveva ritrovato un po' di
coraggio, ma gli
bastò un'occhiata di Megan per andarsi a sedere sul letto
vicino
all'amico.
Fu
di nuovo il terzo a parlare: «Pensate che il suo
comportamento
avesse a che fare con suo padre?».
Dopo
il consueto stacco pubblicitario, la televisione mostrò in
un breve
video la casa dei Gand transennata, una foto del senatore in giacca a
cravatta e, dopo, una calca di persone intorno a un piccolo palco: la
didascalia del telegiornale recitava che Rhea Gand avrebbe dato un
annuncio e che era in diretta. La donna salì sul palco e
molti la
applaudirono. La videro fregarsi gli occhi inumiditi e avvicinarsi al
microfono, mentre le scattavano foto e la telecamera zoomava sul suo
profilo. «Grazie. Grazie alle persone che sono accorse e a
quelle
che mi vedono da casa. Il mio amato marito», si
fermò con un
singhiozzo e la gente applaudì ancora,
«Lui… non c'è più. Le
indagini vanno avanti e la polizia non può ancora
restituirmi il suo
corpo», singhiozzò ancora, addolorata,
«ma domani si terrà
comunque una cerimonia di commemorazione che sto organizzando in
queste ore. Sono fiduciosa che la polizia saprà dare
giustizia».
Il
cellulare in tasca di Kara vibrò: era Maggie.
«Nel
frattempo», continuò la donna, «ho
chiesto a tutti di presentarsi
qui per una cosa molto importante. Lar potrà essere morto,
ma io
porterò avanti il suo sogno come se fosse ancora qui con me
e come
avrebbe voluto: mi candiderò alle prossime elezioni
presidenziali».
Scattarono altre foto, ci furono altri lunghissimi applausi, mentre i
ragazzi in camera con loro si lasciarono andare a versi divertiti e
Megan in uno contrariato.
Stiamo
andando ad arrestarla.
Kara
rilesse più volte, non certa di aver letto bene.
Sappiamo
che ha mentito sulla sua giornata e potremo trattenerla delle ore in
stato di fermo, in attesa di prove schiaccianti.
Rialzò
lo sguardo alla televisione e Rhea sforzò un sorriso,
trattenendo le
lacrime, salutando la folla. La telecamera inquadrò una
volante
della polizia arrivata sul posto e Rhea spense il sorriso. Ne
seguirono altre due. Scattarono diverse foto sulle persone in divisa
che salivano sul palco e Megan si voltò verso di lei con un
sorriso.
Rhea Gand fu scortata giù dal palco e Kara riconobbe Maggie
tra i
poliziotti. Non poteva non ammettere che, vederla portare via da
loro, le aveva improvvisamente ridato ossigeno. Molti giornalisti
avvicinarono il microfono e un poliziotto senza divisa si
avvicinò,
spiegando che la donna aveva delle domande a cui rispondere di fronte
alla legge, senza entrare in dettagli.
«I
miei avvocati mi faranno uscire in giornata»,
starnazzò lei mentre
la facevano inchinare per entrare nella volante. «Voglio
parlare con
il tuo capo, con il vostro capo. Dov'è Zod? Devo parlare con
lui».
Riuscì ancora a dire che la cerimonia si sarebbe comunque
tenuta
nella sua casa, poi chiusero lo sportello.
«L'hanno
presa», esclamò Megan e Kara annuì.
«Ora
dobbiamo solo sperare che non abbia eliminato tutte le
prove». Le
due uscirono senza salutare.
«Ah»,
Megan tornò indietro di scatto: «Le Charlie's
Angels
erano tre», fece notare al ragazzo, prima di sparire.
La
donna camminò avanti e indietro in quella angusta cella. Non
sopportava l'idea di essere lì. Non che non si aspettasse
una cosa
come quella da parte della polizia, ma non della polizia con a capo
il Generale
Zod. L'avevano fatta cambiare e mettere addosso uno stupido completo
blu davanti ad alcuni agenti. Era stato umiliante. Per di
più,
l'avevano portata via durante il suo momento in diretta. Tutto quello
era inconcepibile. C'era un'unica cosa a cui riusciva a pensare che
le tirava su il morale: ciò che aveva iniziato, non poteva
essere
fermato.
Una
porta si aprì e Rhea tese le orecchie, aspettando il suo
arrivo:
mani dietro la schiena, posa militare, sguardo rigido con i piccoli
occhi scuri puntati su di lei. Rhea si avvicinò lentamente
alle
sbarre e lui attese il suo arrivo. Possibile che l'uomo stesse
venendo meno alla promessa suggellata molti anni prima? Avrebbe
dovuto tutelarla, non incarcerarla. Diede uno sguardo rapido verso la
telecamera, notando il led rosso che andava ad attenuarsi, segnando
lo spegnimento. «Fammi-uscire-di-qui», gli disse
piano, quasi come
un ordine.
Zod
non mosse neppure un sopracciglio davanti a quelle parole.
«Cos'hai
fatto, Rhea?».
«Ciò
che dovevo».
Intanto,
con Rhea Gand dietro le sbarre, Kara si sentì in dovere di
prendere
un attimo di respiro: tempestò Mike di messaggi e chiamate
per farsi
contattare presto e, nel mentre, le arrivò un altro
messaggio da
parte di Barry Allen. Sembrava piuttosto insistente, ma come dargli
torto: dal suo punto di vista, lo stava ignorando per l'intera
giornata.
«Hai
deciso di andare da lui?», le chiese stupefatta Lena, al
telefono.
Guardò Lex di fronte a lei che scuoteva la testa.
«Non penso sia
una buona idea».
«Mi
dispiace, so che dovevamo parlare e che Lex ci ha invitato fuori
ma…»,
la sentì prendere fiato. «Il
padre di Barry è uscito di prigione e gli avevo promesso che
ci
sarei stata e-e penso sia l'occasione giusta per…
allontanarmi un
po', solo un po'. Aspetto che Mike si faccia vivo, e
insomma… Con
Rhea Gand in prigione, siamo più libere».
Lena
l'ascoltò senza battere ciglio, infine deglutì,
passando una mano
sulla fronte. «Kara, io…».
«Lo
so, questa volta sono io a chiederti di aspettare. Ho il cervello un
po' confuso in questo momento e ti chiederei di venire con me,
perché
vorrei che venissi con me, ma non voglio chiedertelo e tu non
chiedermelo perché ho bisogno di staccare la spina solo un
momento e
che tu in questo momento non sia con me».
«Va
bene».
«Va
bene»,
la sentì replicare, «Ma
ti manderò un messaggio più tardi, okay?
P-Perché vorrei sentirti
e… mi manchi, Lena. So che ci siamo viste e ieri al
matrimonio…
beh… però mi manchi».
Non
seppe capire subito il perché, ma gli occhi chiari le si
riempirono
di lacrime. Le mancava. Avevano passato quella notte a parlare del
senatore e di cosa sarebbe successo, eppure, anche lei le mancava in
mille e più modi. «Anche tu», trattenne
il fiato più che poté,
fino a quando non staccò la chiamata e si passò
le dita sugli
occhi.
Lex
la guardò con sconcerto. «Per favore, dimmi che
Kara verrà a cena
con noi, questa sera».
Lena
scosse la testa, riguardando solo un attimo il monitor del pc che
indicava lo stato dell'audio che stavano ascoltando. «Era
strano…».
«Kara
era strana?».
«No,
il momento». Come
se dovesse succedere qualcosa,
pensò, ma non lo disse ad alta voce. Guardò lui
e, prendendo un bel
respiro, tornò seria come poté. «Kara
va a Central City dal suo
amico Barry Allen. Rhea è in prigione, ora, e
sarà più al sicuro
lì che qui. Perché tanto infastidito?».
Lex
alzò un poco gli occhi, stringendo forte un pugno.
«Il fatto che
Rhea Gand sia in prigione, non la esonera dal fare qualcosa contro
Kara».
Avrebbe
voluto dirgli che degli agenti del D.A.O. la seguivano, ma
preferì
tenere per sé quell'informazione, tenendolo d'occhio con
scrupolo.
«Che cosa vuoi dire?».
Zod
strinse i suoi occhi e deglutì, avvicinandosi alle sbarre.
«Lar non
doveva morire», sussurrò, «Che cosa ti
è saltato in testa?».
«Tirami
fuori di qui», ribadì lei, stringendo le sbarre.
«Lui mi ha
tradito: voleva rilasciare un'intervista alla giovane El
perché tu
hai ignorato le mie richieste di farla smettere. È entrata
nella
vita di mio figlio, poi voleva risposte e quando ti ho chiesto di
pensarci, tu non hai mosso un dito. Alla fine aveva preso anche lui.
Ho dovuto prendermi carico del problema e ora mi fai questo? Pensi
che mi sia divertita? Non
amo occuparmi delle cose di persona, non sai mai a quanto sangue
possa perdere un corpo finché…»,
sussurrò disgustata, per poi riguardarlo con massima
serietà: «Sono
stata costretta
a uccidere Lar».
Zod
socchiuse gli occhi per un tempo lunghissimo. Larson Gand non c'era
più e Rhea dava a lui le colpe di questo. Avrebbe potuto
evitarlo?
Conosceva entrambi da tanto tempo e, al di là
dell'organizzazione,
Lar era suo amico. «Costretta. Come sei stata costretta a
mandare
qualcuno che si occupasse degli El?».
Lena
spalancò gli occhi. «Sono stati loro?».
Eppure, una parte di lei
lo aveva sempre saputo.
«Rhea
Gand voleva uccidere la giudice perché si era sentita
sfidata»,
rispose Lex, abbassando lo sguardo. «Ma non voleva solo
ucciderla:
voleva ucciderli tutti, estirparli. Lei ha alzato l'idea, non voleva
dei nemici, e i membri hanno votato a favore».
Le
grida di Rhea Gand interruppero le parole di Lex, girandosi entrambi
verso il monitor. «Sei
un bastardo»,
la sentirono all'improvviso, continuando a dire parolacce.
«Ma
smettila»,
la seconda voce era più bassa, lontano, ma non avevano dubbi
nel
dire che si trattava di Lar Gand.
«Devi
smetterla tu! Smetterla di mentirmi! Ho letto le tue idiozie nascoste
nel cassetto. Eri pronto a tradirmi».
«Volevo
una vita diversa, Rhea! Quello che vuoi fare… Tu hai tradito
me e
la mia fiducia. Certe cose dovevano restare nel passato! Sepolte con
le persone a cui abbiamo fatto del male».
Le voci si affievolirono fino a sparire. Lena ebbe un brivido,
perché
sapeva che quelli erano gli ultimi istanti di vita di quell'uomo.
Lex
abbassò gli occhi. «Lui mi aveva parlato di loro.
Aveva
confessato».
«Papà…»,
anche Lena abbassò gli occhi e scosse la testa, intanto che
lui la
fissava con una strana espressione in volto.
«Lena,
penso sia il caso di dirti una cosa». La vide alzare lo
sguardo e i
suoi occhi chiari e grandi, feriti, lo colpirono come un pugno nello
stomaco. «Papà me l'aveva presentata come la mia
eredità»,
accennò un sorriso spento, per poi continuare:
«È anche la tua».
Lei si passò una mano sul viso e si asciugò le
lacrime,
inumidendosi le labbra. «E lo sapevi». Lo
capì dai suoi occhi;
nessuna sorpresa.
«Tu,
piuttosto: lo sapevi e hai preferito tenermelo nascosto. Lillian me
lo ha rivelato diversi mesi fa».
Lex
scrollò le spalle, prendendo fiato. «La nostra
è una famiglia più
complicata delle altre, Lena. Perdona la mia ingenuità: se
pensare
di regalarti anche solo un miraggio dove la tua reale famiglia era
là
fuori, magari migliore della nostra, era una cosa sbagliata, allora
sono colpevole».
Lei
deglutì, senza guardarlo. «Papà ne
faceva davvero parte, dunque»,
cambiò discorso.
«Lui
e Lillian», la corresse. «Nostro nonno era uno dei
fondatori, Lena.
Nostro padre poteva salvare gli El ma non ci è riuscito,
entrambi si
sono tirati fuori e Rhea Gand ha vinto», strinse i denti.
«Richiama
Kara, adesso», le disse, prendendo poi il suo cellulare.
«Da
famiglia e da Luthor, ora non ci resta che proteggerla dalla follia
di quella donna. Io chiamo Alex».
Rhea
Gand roteò gli occhi. «Sì. Come gli El.
Ti sei legato questa cosa
al dito. Come vedi, avevo ragione: se avessi dato retta a me, e li
avremmo fatti sparire da bambini, ora Lar sarebbe ancora
vivo»,
annuì con convinzione. «Ci saremmo risparmiati la
seccatura! Sei
sempre stato troppo idealista, Dru. A me piacciono le soluzioni
semplici: e a differenza tua, risolvo i problemi».
Zod
la fissò. Qualcosa si mosse in lui; dentro di sé
ribolliva. Odiava
le morti inutili. Odiava non essere riuscito a prevederlo. Odiava
come Rhea riuscisse a portargli via sempre qualcosa… Strinse
di più
gli occhi scuri e infine si voltò per andarsene.
«La
promessa, Dru», gli ricordò, «Altrimenti
ci penseranno i miei
avvocati: non hai prove e io ho una funzione da mandare
avanti». Lo
sentì aprire e chiudere la porta, così sorrise,
andando a sedersi
sul lettino freddo della cella.
Barry
le aveva perfino comprato online il biglietto. Doveva decidersi se,
una volta a Central City, gli avrebbe detto o meno ciò che
stava
succedendo. Non voleva rovinare la festa, ma non ci teneva neppure a
tenergli nascosto tutto; era suo amico e una parte della storia la
conosceva anche lui. Oh, il cellulare vibrò ancora. Dopo
Alex, a cui
aveva risposto che stava bene e che stava andando a prendere la
metro, era Lena. Scese gli scalini della stazione e raggiunse la
banchina, vedendo che era pieno di gente. Fissò il cellulare
con la
chiamata in arrivo. Avrebbe dovuto risponderle. Magari era una cosa
urgente. Sbuffò e allungò il pollice per
accettare la chiamata, ma
un urlo improvviso la fece voltare a destra e così
assottigliò gli
occhi, reggendo gli occhiali, per vedere meglio. Un altro urlo. Un
altro. All'improvviso, la calca cominciò a muoversi come
impazzita,
continuando a urlare e a spingere verso le scale.
«Ehi», tentò di
fermare qualcuno per avere spiegazioni, ma la spinsero da un lato, e
un'altra persona la spinse da un altro. Allora si avvicinò
verso il
punto da cui tutti scappavano e sentì delle urla che
parlavano di
una bomba sui binari. Una
bomba?
Cercò di correre verso le persone che continuavano a
spingersi e
aiutò un'anziana ad alzarsi da terra. Che Rhea Gand avesse
fatto
mettere una bomba per lei? E come faceva a sapere che sarebbe stata
lì? «Ehi», vide una poliziotta e
alzò una mano per farsi notare.
Erano stati piuttosto veloci a intervenire, per fortuna.
«Parlano di
una bomba sui binari?», anche se vicine, alzò la
voce per farsi
sentire in tutta quella confusione, ma sbiancò quando vide
la donna
in divisa alzare la pistola verso di lei.
Verso
di lei. Stava succedendo. Fu allora che si accorse che stava
succedendo davvero: Rhea l'aveva mandata a ucciderla. Ma, per
sfortuna della poliziotta, erano davvero tanto vicine: Kara le diede
un calcio contro il braccio e la pistola cadde a terra, sballottata
dai piedi delle persone allarmate che tentavano di mettersi in salvo.
Per un attimo si guardarono e si sollevò gli occhiali sul
naso. Le
pareva di conoscerla.
La
poliziotta cercò di colpirla ma riuscì a scansare
il colpo, così
la spinse. Tuttavia, la ragazza in divisa non le permise di farla
allontanare troppo e le corse addosso, la prese per il colletto del
giubbotto e la gettò a terra. Kara la colpì
contro la bocca dello
stomaco e riuscì a capovolgere la situazione.
Ora
si ricordava di lei. «Faora…
giusto?».
Lei
la colpì e Kara si sentì costretta a retrocedere.
Cercò di
colpirla ancora, ancora, scansò tutti i colpi e, a quel
punto, Kara
ricambiò e la poliziotta tornò indietro, cadendo
a terra quando
delle persone le andarono addosso. Cercò di individuarla che
fu di
nuovo contro di lei: la ragazza in divisa cercò di gettarla
sui
binari e, vedendo che non riusciva, tentò di spingerla per
le
spalle. Non si aspettava che Kara opponesse tanta resistenza; aveva
una presa tanto forte che, se fosse davvero riuscita a buttarla
giù,
sapeva che l'avrebbe trascinata con sé.
«È
stata Rhea Gand a mandarti?».
«Stai
zitta».
Kara
riuscì a strattonarsi dalla sua presa e la vide inquadrare
la
pistola. Corsero per prenderla e Faora arrivò per prima,
puntandogliela di nuovo addosso. «Ho visto che eri
armata», disse
con un sorriso e il fiatone, «Potresti aver messo tu la bomba
sui
binari».
«È
questo il piano?», si accigliò, sistemando gli
occhiali. «Mi hai
vista armata? Non ci crederà nessuno».
«Non
importa: a quel punto sarai comunque morta e io salirò classe».
Classe?
Kara la vide stringere la pistola e tutto si fermò. Sarebbe
morta in
quel modo? Una poliziotta l'avrebbe uccisa per scongiurare un allarme
bomba? Cosa avrebbe pensato Alex, quando non avrebbe risposto alle
sue chiamate per sapere come stava? E Lena? Avrebbe dovuto
risponderle, avrebbe dovuto dirle di amarla e sarebbe dovuta andare
da lei, ad ascoltare ciò che doveva dirle. Mike? Avrebbe mai
saputo
che sua madre l'aveva fatta uccidere? Eliza ne sarebbe stata a pezzi
e Lillian le sarebbe stata vicino. Megan avrebbe ripulito la sua
parte della camera. Cat Grant si sarebbe data la colpa per non averla
fatta smettere quando era in tempo. Leslie ci avrebbe bevuto su e
Siobhan… oh,
chi se ne importava di cosa avrebbe fatto Siobhan. E Kal. Kal si
sarebbe sentito di nuovo solo. No. Lei poteva farcela. Non sarebbe
morta lì e in quel modo. Lei
era Supergirl. Lei
era veloce. Vide Faora premere il grilletto e si spinse da un lato.
Dietro di lei c'era il muro. Avrebbe potuto ancora colpirla e
disarmarla. Poteva farcela. Sentì lo sparo e le caddero gli
occhiali
dal naso. Ne sentì un altro. L'aveva colpita? Quando Kara
alzò gli
occhi, scoprì che non era stata lei a sparare e che Faora
cadeva a
terra di schiena; la gente urlava. Tutto il mondo riprese ad avere un
suono, dei rumori. Stava bene. Si voltò e cercò
di mettere a fuoco
le scale più vicine: i colpi erano partiti da lì.
Alex era lì.
Pistola
tra le mani, Alex scese di corsa, facendosi spazio nella calca e
dando ordini ad alcuni uomini con lei di sparpagliarsi. Erano in
divisa. Lei aveva la divisa. Kara la sentì parlare di andare
a
cercare la bomba e, così, si inchinò su di lei.
Le toccò una
spalla e si scansò solo un attimo, reagendo d'istinto.
«Kara, come
ti senti? Kara?». Le prese gli occhiali, passandoglieli.
«H-Hai
il porto d'armi per quella?», le chiese con un filo di voce,
cercando di calmare la tachicardia. Non poteva non ammettere di aver
pensato di essere morta, sentendo quegli spari.
«Sei… decisamente
arrivata appena in tempo».
«Lex
e Lena avevano una brutta sensazione», le rispose.
Kara
la fissò meglio e più in là
guardò Faora, riversa a terra, il
sangue che camminava sulle piastrelle sporche. Alex andò a
sentirle
le pulsazioni.
«È
viva», disse toccandosi un'orecchia, «Chiamate
un'ambulanza».
Con
chi parlava?
«Agente
Danvers?».
«Agente?»,
Kara soffiò accigliandosi, cercando di rimettersi in piedi.
Un uomo
in divisa nera come le altre si presentò davanti a loro e lo
squadrò
attentamente, convinta di conoscerlo: ma certo, la spiava. Era il
giovane che aveva preso mentre la seguiva fingendo di leggere un
giornale.
«Abbiamo
trovato
la bomba»,
annunciò lui, scambiando solo uno sguardo con lei e
aprì un borsone
giallo, tirando fuori dei calzoni appallottolati intorno a un
orologio senza cinturino. «Era un falso allarme».
Alex
strinse le labbra con rabbia. «Era solo un diversivo: trovate
il
simpaticone che ha lanciato l'allarme, ora».
Poi riguardò Kara e il suo viso si trasformò,
incontrando i suoi
occhi: non più arrabbiato, ma mortificato. «Kara,
io…».
«Risparmiatela,
okay?», tuonò furiosa, bloccandola con una mano.
Alex
la vide allontanarsi mentre i paramedici scendevano le scale con una
barella. Era normale che fosse arrabbiata. La sua espressione le
aveva spezzato il cuore, ma sperava che Kara avrebbe capito.
Da
Anonimo
a Me
Kara?
Sono
Barry, segnati questo numero! Dovevo scriverti prima ma avevo perso
il telefono: qualche genio ha pensato di rubarmelo e gettarlo in un
cassonetto, ma deve aver buttato la SIM da un'altra parte.
Ma
che gente c'è in giro? Ho
letto che il senatore Gand è morto e volevo sapere se andava
tutto
bene! Rispondimi presto.
Kara
spense lo schermo del cellulare e riguardò sua sorella con
la coda
dell'occhio, mentre l'auto del D.A.O. la portava verso villa
Luthor-Danvers. Era al telefono e parlava con gli agenti che avevano
seguito l'ambulanza con Faora Hui priva di sensi. Il corpo di polizia
sarebbe stato avvertito tra un po'; dopo,
le disse Alex, quando avrebbe potuto dirlo anche a Maggie. Beh, era
stato rassicurante sapere che non aveva mentito anche a lei. Il
ragazzo che la seguiva, l'agente del D.A.O., le spiegò
mentre sua
sorella era al telefono che l'indomani mattina sarebbero passati a
prenderla per portarla nel loro quartier generale. I paramedici
l'avevano visitata e non avevano ritenuto necessario che andasse in
ospedale per qualche graffio e dei lividi, considerando che era
stanca, e Alex se n'era accertata, visitandola lei stessa e facendo
rapporto; ora che la loro operazione nell'ombra era saltata, volevano
giocare a carte scoperte e parlarle. Un'altra cosa che non avrebbe
fatto altro che rovinarle l'umore.
Quando
la macchina si fermò ai pressi del cancello, Lena era
già fuori e
aspettò di vederla per correre ad abbracciarla. Kara la
strinse
forte; capì presto che in quel momento era l'unica cosa che
le
serviva. Lena e Alex si scambiarono uno sguardo e la seconda
rientrò
in auto; doveva andare in ospedale per accertarsi delle condizioni
della poliziotta: la sua giornata non era ancora finita.
Rientrarono
in villa mano nella mano e, anche se in un primo momento, Lillian le
guardò con rimprovero, le domande su cos'era successo e la
preoccupazione di Eliza, vinsero su tutto e lei stessa sentì
dentro
di sé un sentimento di rabbia: Rhea Gand aveva osato toccare
un
membro della sua famiglia.
«Se
non altro, adesso so che sono lì per proteggermi e non per
attaccarmi», borbottò Kara, roteando lo sguardo,
dopo aver dato
un'occhiata dalla finestra alla volante degli agenti del D.A.O. ferma
davanti alla villa.
Seguì
Lena in camera sua e la prese fra le braccia, lasciandole un caldo
bacio su una guancia fresca.
Lena
la strinse a sua volta, accorgendosi che forse aveva iniziato a farlo
troppo forte. «Ho avuto così paura».
«Rhea
mi ha giocato proprio un bello scherzetto. E Barry non sa che si
è
finta lui. O forse era Faora…», disse lei,
distanziandosi dalla
ragazza e guardando anche lì fuori dalla finestra.
«Quella
poliziotta non pensava a cosa stava facendo, voleva solo compiere
ciò
per cui era stata assoldata. Non era lì per soldi o che
altro»,
esclamò accigliandosi, «Come se lo stesse facendo
per…
convinzione. C-Come se fosse stata la cosa giusta da fare».
Ripensò
a tutti i momenti dello scontro con lei. Come avrebbe dovuto agire e
non lo aveva fatto, o non lo aveva fatto per tempo. Gli occhi scuri
di Faora Hui su di lei. La sua determinazione. Ripensando poi,
invece, alla propria agitazione; a come aveva tentato di restare
calma e agire con sangue freddo perché una mossa sbagliata
le
sarebbe costata la vita. E ripensò alla pillola che le aveva
dato
Roulette nel locale di Lord a Gotham. Sapeva che, se l'avesse avuta
in circolo, sarebbe riuscita a disarmarla prima. Quella pillola aveva
tirato fuori da sé una personalità diversa e
l'aveva fatta
comportare male con chi le stava intorno, ma le aveva anche permesso
di non avere paura. Non ne avrebbe avuta, con quella.
Lena
abbassò lo sguardo e prese fiato e, sicuramente, un po' di
coraggio.
«Kara… devo-».
«No»,
la interruppe, «Ti prego, qualsiasi cosa sia non
adesso». Tornò
fra le sue braccia e Lena non poté che accoglierla.
«Baciami e
basta, okay?», le sussurrò, ormai sulle sue
labbra.
Quando
Alex tornò in villa per sapere come stesse la sorella
minore, Eliza
le gridò addosso. Aveva nascosto anche a lei di lavorare per
il
D.A.O. e si era sentita lei stessa ferita. Sapere che, invece,
Jeremiah ne era al corrente, la fece arrabbiare più di
tutto.
«Tua
sorella era in pericolo e non hai pensato di dirmi una sola
parola».
«Lavorare
sotto copertura significa questo», si giustificò
lei; «Se lo
avessi detto a qualcuno, anche a te, avrei rischiato di compromettere
tutto. Di metterla in pericolo. È il mio lavoro».
Poi
se ne andò. Non restò a dormire in villa, aveva
un bisogno fisico
di sentire Maggie vicina così come Kara ne aveva di Lena,
sdraiate
sul letto, abbracciate.
L'indomani
le avrebbe aspettate una dura giornata. Ancora non lo sapevano, ma
per assenza di prove e perché la scomparsa di Mike Gand lo
rendeva
un sospettato, Rhea sarebbe stata scarcerata alle prime luci
dell'alba.
Benritrovati,
gente! Allora, ditemi la verità, vi eravate dimenticati di Our
home, o questa storia vi era mancata? Sono stata via un po',
spero solo che non vi siate scordati di tutto ciò che
è successo
fino ad ora XD In caso, ho lasciato un piccolo promemoria sull'onda
del dov'eravamo rimasti prima del capitolo :)
Ma
dunque eccoci qui, alla fine è successo: Rhea Gand ha
inviato
qualcuno a uccidere Kara! Qualcuno che ha fallito grazie alla
prontezza di Alex chiamata da Lex e Lena per un “brutto
presentimento”. La donna si è servita delle
indicazioni del figlio
che le raccontava di Barry e il padre in prigione, fingendosi lui.
Intanto,
abbiamo assistito a interessanti discussioni parallele: da una parte,
Lex ha rivelato a Lena ciò che suo padre aveva detto a lui,
sull'organizzazione e che sono stati i Gand a mandare qualcuno a
uccidere i genitori di Kara, dall'altra Rhea che confessa di aver
assassinato suo marito per una sorta di tradimento nei suoi confronti
(e, stavolta, non c'entrava la segretaria!), scaricando le colpe a
Kara e direttamente a lui, Zod, per non averla fermata. E, per ultima
cosa, ha detto anche di aver ucciso gli El, confermando le parole di
Lex.
Cosa
ne pensate di Zod? Lui sembra molto più che infastidito, Lar
era suo
amico. Non solo nella discussione con Rhea, ma abbiamo potuto farci
un'idea di lui anche quando Maggie gli ha chiesto di poter lavorare
al caso del senatore. Nonostante il disappunto, pare proprio che non
possa far nulla contro Rhea per una sorta di promessa;
dopotutto, fanno parte dello stesso gruppo.
E
non dimentichiamo che Faora Hui, la poliziotta che ha cercato di
uccidere Kara, ha parlato di salire classe come
motivazione
per farla fuori: a cosa si riferiva?
Lena
e Kara sono rimaste insieme per tutta la notte, ma non hanno fatto
altro che parlare dei Gand mentre la seconda cercava di chiamare
Mike, che pare sparito. Lillian ed Eliza devono rimandare il loro
viaggio di nozze e Cat Grant ha sospeso Kara e Leslie.
Per
ultimo, finalmente Kara conosce il vero lavoro di sua sorella, e
così
anche Eliza, che si è parecchio arrabbiata. La copertura
è saltata,
cosa accadrà adesso?
È
arrivato il momento delle note ~ Ah,
è una sola, a onor del vero:
-
Faora Hui è la mia versione per la storia del personaggio Faora
Hu-Ul della DC Comics. Al
contrario dei fumetti, questa poliziotta è molto
più giovane di
Zod e no, non è la sua amante, ahah!
Il
22 ottobre questa fan fiction ha compiuto un anno! Su EFP, proprio il
22 ottobre avevo pubblicato il capitolo 30, Dipendenza
da lei, ma non ci avevo fatto
caso e ho perso l'occasione, accidenti! Rendetevi conto che sto
scrivendo da oltre un anno questa fan fiction: riuscirò a
finirla entro il
2019 o a ottobre festeggeremo i due anni? Ahahah! (Io rido
ma…
a-i-u-t-o, voglio finirla!! XD)
Però
abbiamo un altro compleanno da festeggiare! Infatti, il 7 febbraio
dello scorso anno pubblicai il prologo di Our
home qui su EFP :) A questo
proposito, quindi, ci rileggiamo direttamente nelle note del prossimo
capitolo che verrà pubblicato proprio giovedì 7
febbraio e si
intitola… Prendere le distanze!
Felice
di essere tornata, spero che siate ancora qua a seguirmi ^_^
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