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Autore: Ghen    29/01/2019    6 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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Nei capitoli precedenti…
Finalmente Eliza e Lillian si sposano. Nel passato, le vediamo impegnate nei loro precedenti matrimoni con Jeremiah e Lionel; mentre i primi convivevano da diverso tempo e si sposano quando lei resta incinta di Alex per dare più stabilità alla loro famiglia, Lillian ha solo diciotto anni quando va in moglie a Lionel, convinto dal padre dopo pochi anni di conoscenza.
Il matrimonio delle due è un evento a cui partecipano personaggi illustri e importanti come il sindaco, famiglie di spicco di National City, volti noti e giornalisti; il tutto è seguito da una troupe della CatCo e ripreso da una troupe televisiva. Rhea Gand segue con fastidio dalla televisione, arrabbiata per non essere stata invitata e ancora parecchio ossessionata da Kara, convinta che sia lei a spiarli per poi riportare tutto a Leslie Willis e screditare suo marito. È ancora ossessionato anche suo figlio Mike, che scambiando due parole con lei al campus prima di lasciarlo per andare al matrimonio della madre, è rimasto sorpreso dal sapere che la ragazza sa delle chiacchierate private tra lui e i suoi amici al telefono. Arrabbiato, torna a casa e parla con sua madre di Kara che, invece di stargli a sentire, è presa un amico di Central City, Barry Allen. Colta da un'idea improvvisa, Rhea capisce che dev'esserci una microspia in casa e svuota il salone. Dopo aver frugato nella scrivania di Lar e aver trovato un foglio scritto da lui che la manda su tutte le furie, capisce come Kara, e così la sorellastra Lena, sia riuscita a introdurre la microspia in casa, adocchiando il quadro comprato all'asta della Luthor Corp a fine anno.
Nel frattempo, Kara e Lena, ormai separate da un po', si lasciano prendere dalla passione. La seconda decide di dichiarare di nuovo a Kara il suo amore e, finalmente, di liberarsi del segreto che le ha tenute distanti. Ma il telegiornale le interrompe con un'edizione straordinaria: il senatore Lar Gand è morto.















37. Il gioco cattivo


Mike aveva fatto scattare la serratura di casa aggiungendo una piccola spinta, veramente infastidito. Avevano tutti negato, naturalmente, di aver parlato con qualcuno delle loro discussioni al telefono e di Kara. Più forti della sua frustrazione, potevano esserci solo le urla dei suoi genitori: si era distratto, sentendoli dal piano di sopra. «Mamma?», l'aveva chiamata ma continuava a litigare con suo padre: era chiaro che non sentiva. A quel punto sarebbe stato meglio dormire al campus e pensare ai fatti suoi; non facevano che rimbeccarsi da tempo a quella parte. Più di altre volte, sicuramente. Aveva dato un'occhiata verso le scale più avanti del corridoio e si era affacciato al salone, notando che il quadro preferito di sua madre era a terra e che tutto intorno era in completa confusione.
«Mi hai voltato le spalle», l'aveva sentita gridare.
«Volevo solo che pensassi a vivere la tua vita in tranquillità», aveva sentito ribattere lui.
Mike era tornato indietro, verso la porta. Era deciso a tornare al campus universitario: loro non facevano che strillare e non gli andava neanche un po' di separarli, si sarebbero arrangiati. Forse avrebbe mandato loro un messaggio, più tardi. Aveva teso una mano verso la maniglia quando lo aveva sentito. Lo aveva sentito forte, il rumore più forte di tutta la sua vita, tanto che lo aveva fatto sobbalzare: uno sparo. Si era voltato verso le scale, con la tachicardia e il volto pallido. Era sicuro di aver sentito qualcosa cadere, dopo. Si era sentito gelare, e immobilizzare, e terrorizzare. Non aveva avuto fiato e la gola si era fatta secca. E poi aveva sobbalzato di nuovo dallo spavento, sentendo Joyce urlare.
«Vieni!», aveva sentito la voce di sua madre fredda e alta, imponente. «Vieni qui, ho detto! Devi aiutarmi! Hai capito? Devi aiutarmi», aveva ripetuto le cose come avrebbe fatto con un bambino. «Devi aiutarmi, vieni qui! Presto! Tra poco questo posto si riempirà di poliziotti e giornalisti, vieni qui! Muoviti! Dai, muoviti».
Mike aveva deglutito, forse aveva addirittura sudato, e di certo non avrebbe saputo spiegare la forza che aveva tirato fuori per raggiungere la maniglia della porta con una mano e girare. Sgattaiolare fuori coperto dalle sue grida. E infine chiudere la porta.

Alla fine, Lena non riuscì a dire a Kara tutto ciò che doveva ma, in quel momento, entrambe avevano avuto altro a cui pensare: il senatore Lar Gand era morto. Mentre tutti loro festeggiavano il matrimonio di Eliza e Lillian, qualcuno si era introdotto in casa Gand e gli aveva sparato. La domestica Joyce aveva chiamato la signora Gand al telefono quando aveva sentito l'allarme di casa scattare; pensava di essere da sola, ma era stata lei a trovare il cadavere dell'uomo poco dopo, al piano di sopra. Pochi minuti e Rhea era tornata a casa, aveva chiamato il nove uno uno in lacrime, urlando che suo marito era stato ucciso. Questa era la versione ufficiale, se non altro. Sembrava fosse stato colto mentre usciva dalla camera da letto. Non avevano rubato niente ed era stato chiaro fin da subito, alle forze dell'ordine, che l'unico obiettivo dell'intrusione era quello di farlo fuori.
«È stata lei», Siobhan fu lapidale. «È chiaramente stata lei! Ve lo dicevo io che quella stava perdendo la testa: avrà tirato fuori la pistola come ha fatto con me e avrà premuto il grilletto», prese un bel respiro e, braccia intrecciate contro il petto, non riuscì a star ferma, camminando avanti e indietro.
Kara abbassò la testa, per poi reggersela con fare stanco. «Sono d'accordo…», deglutì e vide Siobhan indicarla, scrollando le spalle. «Dovevo intervistarlo e lo avrà ucciso per non farlo parlare». Diede un'occhiata al telefono che aveva stretto in un pugno, ma non c'era nessuna nuova notifica, non sua: Mike non rispondeva ai suoi messaggi e provando a chiamarlo c'era la segreteria telefonica da ore.
«Non abbiamo niente in mano», disse a un certo punto Alex, dando una veloce occhiata a Lena, dietro di lei, appoggiata contro una scrivania con le braccia incrociate, pensierosa. «Dobbiamo lasciar fare alla polizia».
Kara aggrottò la fronte. «Se la polizia è corrotta, non le faranno niente».
«Lo so, ma questo non lo dire davanti a Maggie», replicò guardando l'orologio, «Starà arrivando».
Siobhan si portò le mani sulle tempie e le guardò grave. «Le prossime saremo noi! Capite?», fissò una per una, sgranando gli occhi. «Ehi», schioccò le dita verso Lena, «Guarda che parlo anche con te, Lena Luthor. Sei compresa nel pacchetto, cara».
«Senti», Alex le prese un braccio con calma, guardandola negli occhi. «Andare nel panico non aiuterà nessuno».
«Ma certo! Invece prendere un bel respiro e sorridere alla vita che sta per finire per una morte prematura e dolorosa aiuterà tutte», sorrise forzatamente, afferrando una sedia dalla scrivania più vicina. «Guardami, Alex Danvers, aiuto qualcuno così?», si sedette indispettita e, sempre con le braccia incrociate, la fissò con un sorriso.
Alex sbuffò, roteando gli occhi. «Se sta pure zitta, aiuta me di sicuro», sibilò passando una mano sulla tempia, scambiando uno sguardo con Kara e Lena.
Le ragazze avevano scoperto con sgomento che la microspia non dava più alcun segnale. Durante il matrimonio, nessuna di loro poteva stare dietro alle discussioni da quella casa e avevano impostato la ricetrasmittente in modo che registrasse, ma Rhea doveva averla trovata e rotta e, nel farlo, la registrazione aveva riportato un guasto perché non era stato interrotto manualmente. Che la microspia avesse registrato o meno l'omicidio, e in quel caso non avrebbero potuto usarlo in tribunale, spettava a Lena e il suo assistente Winn riuscire a riparare il danno e a trovare le registrazioni precedenti al punto di rottura. Anche adesso, mentre loro erano radunate alla CatCo, il ragazzo ci stava lavorando in massima priorità.
Con due bicchierini di caffè fumante in mano, Leslie Willis le raggiunse, dando solo un veloce sguardo verso l'ufficio di Cat Grant, ancora vuoto. «Ecco», ne passò una a Lena, che la ringraziò a bassa voce.
Siobhan aggrottò la fronte. «A me niente?».
«A te ho portato la Xanax, tesoro», ridacchiò frugando in una tasca dei pantaloni con la mano libera, mentre Siobhan le mostrava il dito medio. «Cosa sono tutte queste facce da funerale? Cioè, sì, il senatore è morto, è tutto molto triste, ma noi ancora non lo siamo, no? Su con la vita, tutte prima o poi dobbiamo morire».
«Ti va bene che sarai la prima della lista», borbottò Siobhan.
Alex intervenne di nuovo per calmare la situazione, prima che si mettessero a litigare. Intanto, dopo aver riprovato a chiamare Mike senza successo, Kara scambiò un lungo sguardo con Lena.
Eliza e Lillian avevano dovuto rinunciare al viaggio di nozze quando, la mattina successiva, si erano ritrovate la polizia in hotel. Avevano dovuto portare Lillian in centrale per rispondere ad alcune domande. E avevano invitato Kara a fare lo stesso. Rhea Gand aveva citato tutte e due, accusandole di aver potuto assassinare loro il suo amato marito. In centrale avevano trovato anche Leslie, lì per lo stesso motivo.
«Non sembra molto dispiaciuta per la morte del senatore», aveva detto un poliziotto a Lillian, mentre la stavano interrogando in una saletta apposita.
«No. Sono più che altro seccata, in effetti. Mi sono sposata ieri e mia moglie ed io avevamo in programma di partire questa sera per un bel viaggio ad Aruba. Invece mi ritrovo qui, con lei che mi guarda come se fossi la peggiore criminale del mondo perché, anni passati, mi sono ritrovata discutere con i signori Gand. Abbiamo dei trascorsi, è per caso diventato un reato?». Aveva picchiettato le dita contro il tavolo, fissandolo insistentemente.
«No», aveva risposto il poliziotto, scambiando uno sguardo con il collega in piedi a fianco a lui. «Ma potrebbe scaturire in reato, se quei trascorsi contengono minacce di morte».
Lillian trattenne un sorriso. «Suvvia, ero arrabbiata. Quello è stato un periodo difficile per gli affari e la Luthor Corp stava perdendo clienti, ho litigato con i signori in questione e c'è stato qualche attrito. Può capirmi. Si parla di quasi undici anni fa, nel frattempo le cose sono cambiate e sono rimasta in rapporto con la coppia. Il sindaco può confermare. Se avessi ucciso io il senatore, perché mettere in pratica la minaccia dopo tanto tempo?».
«La vendetta è un piatto che va servito freddo, signora Luthor-Danvers».
Lei aveva stirato le braccia sul tavolo, avvicinandosi. «E allora sarei stata là a godermelo. Mi spiega perché dovrei mandare qualcuno a uccidere il senatore, dopo anni che ho in mente questo progetto, mentre mi sposo? Che gusto ci sarebbe?». Si era avvicinata ancora di più, guardandolo attentamente negli occhi, così tanto che lui si era sentito costretto a retrocedere con la sedia, deglutendo. «Sarei stata là a godermi il suo corpo agonizzante. Se fossi stata io la mandante, cosa che non sono. Allora, mi serve un avvocato?», era tornata indietro di colpo e i due poliziotti si erano guardati.
Leslie, invece, aveva pesantemente sbuffato, dopo che le avevano fatto rimettere giù i piedi che aveva sollevato sopra il banco. «Perché avrei dovuto uccidere il senatore?».
«Non lo so, ce lo dica lei», le aveva ribattuto la poliziotta, guardandola con attenzione e mettendo le mani intrecciate sul tavolo. «Ultimamente ha scritto molti articoli dove lui è l'unico protagonista», aveva toccato i CatCo Magazine disposti alla sua destra, per poi rimettere le dita intrecciate.
«Oh, e non dimentichiamo lo schiaffo in tv», aveva ghignato l'altro poliziotto, mentre Leslie gli lanciava un'occhiata e poi sbuffava ancora. «La signora Gand le ha fatto male? Penso di aver sentito il rumore dello schiaffo direttamente nel salotto di casa mia».
«Beh, lo schiaffo me lo ha dato lei, mica suo marito», aveva scrollato le spalle, poi si era rimessa bene sulla sedia, sorridendo al poliziotto. «Hai guardato tutto?», alzò un sopracciglio. «Non so se hanno tagliato la scena dove cerco di sputarle addosso».
«Oh sì, oh sì», lui si era gettato sul banco, sorridendo come elettrizzato. «L'ha mancata di poco, signorina Willis, davvero di poco. Forse le ha sputacchiato almeno una scarpa».
Lei aveva annuito felice e la poliziotta aveva rivolto gli occhi al soffitto, richiamando il collega. «Scusa? Stiamo interrogando una sospettata in un caso di omicidio», gli aveva bisbigliato con tono duro e lui aveva rumoreggiato con la gola, tornando serio e rimettendosi al suo posto.
«Beh, ieri sera guardavo Netflix», si era gettata sulla sedia, mettendo le braccia dietro la testa. «E poi perché avrei dovuto ucciderlo? Stava diventando la mia gallina dalle uova d'oro: i miei pezzi su di lui andavano forte».
Quando era spettato a Kara, sia Lena che Lex era rimasti fuori ad aspettare. Alex era sparita per fare una telefonata, Lena poteva ben immaginare, mentre Eliza e Lillian erano state trattenute da altri poliziotti. Erano rimasti entrambi pensierosi, in silenzio. Fino a quando Lex non aveva tirato fuori il telefono, iniziando a digitare.
«Cosa fai?».
«Stavo pensando se non fosse il caso di rivolgerci a un avvocato».
«No». Lena gli aveva preso il cellulare dalle mani. «Se le chiamiamo un avvocato ancora prima che sia ufficialmente accusata di qualcosa, daremo un'idea sbagliata e penseranno che abbia davvero qualcosa da nascondere».
«O peggio: che sia colpevole», aveva annuito, aprendo la mano per farsi ridare il cellulare. «Aspettiamo», aveva ansimato.
Dentro la saletta, Kara aveva sospirato, mentre i due poliziotti la guardavano.
«Allora», aveva detto la poliziotta in piedi, girando avanti e indietro, «Mi pare di vederla piuttosto in ansia».
«Lo conoscevo, certo che sono in ansia», aveva scrollato le spalle.
«Non era solo un senatore, ma il padre del suo ex ragazzo, se le nostre informazioni sono corrette», aveva detto l'altro poliziotto, seduto davanti a lei sulla sedia. Kara aveva annuito. «Che ora è sparito».
«M-Mike è sparito?», aveva spalancato gli occhi, guardando uno e poi l'altra. Aveva provato a telefonargli per tutta la notte, in camera con Lena, il cuore in panne, ma era stato irrintracciabile.
«Non lo sapeva?», aveva alzato le sopracciglia il poliziotto, guardando la collega.
«H-Ho provato a contattarlo, ma…», aveva inspirato, «Scusate, posso sapere di cosa sono accusata?».
«Di nulla, signorina», aveva detto lui, mentre l'altra si avvicinava ferocemente.
«Per ora», aveva rimarcato per bene lei, poggiando i pugni sul banco e guardandola con sfida. «Sappiamo che si era messa in contatto col senatore per un'intervista. Su cosa si basava?».
Kara l'aveva fissata senza battere ciglio. «È stato lui a dirmi di voler rilasciare un'intervista: voleva abbandonare la carriera politica, non mi ha dato i dettagli».
Lei aveva scosso la testa. «E voleva rilasciarla a lei, che non è ancora una professionista? Se non sbaglio, alla CatCo segue un tirocinio», si era alzata, continuando a guardarla. «Perché avrebbe dovuto chiederla a lei?».
«Ha chiesto di me. N-Non lo so-».
«Quindi», l'aveva interrotta, «non aveva niente a che vedere con il fatto che pensi che siano stati i coniugi Gand a commissionare l'omicidio della sua famiglia?».
Kara si era ghiacciata e per un attimo le erano mancate le parole. «Rhea Gand ha detto questo?».
«Risponda alla domanda».
Kara aveva deglutito, senza cedere un momento. «No. Non aveva a che vedere con questo».
«Ma lo pensa davvero?».
Il poliziotto seduto davanti a Kara aveva lanciato uno sguardo alla collega, aggrottando la fronte, perplesso. «Faora…», l'aveva richiamata, «No-Non deve rispondere a questo, non ha a che fare col motivo per cui è qui».
Lei aveva guardato lui e poi di nuovo Kara, sorridendo e annuendo, decidendo di passare oltre. A quel punto, però, Kara ne aveva già abbastanza: si era sporta sul tavolo e si era accigliata, guardando lei.
«Il senatore voleva lasciare la politica, sembrava avesse fretta di qualcosa, ma sono stata io a dirgli di vederci dopo il matrimonio di mia madre, in modo che potessi essere più libera: ma lui è morto prima dell'intervista e sua moglie sta facendo di tutto per scaricare l'attenzione sugli altri. Se il senatore era veramente coinvolto nell'omicidio dei miei genitori, perché avrei dovuto ucciderlo prima che dicesse la verità?».
La poliziotta l'aveva interrotta, fissandola a sua volta: «Aveva detto che l'intervista non avrebbe avuto a che fare con quello».
«Non-Non è questo il punto», aveva battuto una mano, cercando di mantenere la calma. «Lui era… preoccupato di qualcosa», aveva spalancato la bocca e cercato di ricordare, «Parlava come se avesse voluto proteggere Rhea».
«Proteggerla da cosa, signorina?», le aveva chiesto l'altro poliziotto, interessato.
«Non lo so… da se stessa, forse. Era diventata molto paranoica, ultimamente».
«A causa degli articoli scritti dalla sua collega Willis», aveva prontamente risposto lei.
Kara l'aveva ignorata, deglutendo. «Dico solo che se Rhea Gand avesse voluto fare qualche sciocchezza e lui si fosse messo in testa di poterla evitare, anche lasciando la sua carriera, allora lei… allora lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per non essere fermata», aveva guardato lui e, dopo poco, lei. «Per non fargli fare l'intervista».
La poliziotta si era riavvicinata, portando una mano sul mento e fissandola assottigliando i suoi occhi. «Sta davvero suggerendo che sia stata la vedova a ucciderlo?».
Non aveva risposto. Quella poliziotta sembrava avercela con lei e di certo non avrebbe voluto darle altri motivi per attaccarla.
Vestita con addosso la divisa da poliziotta, Maggie passò attraverso le varie scrivanie e corse da loro quasi col fiatone, togliendosi il cappello e sistemandosi un ciuffo di capelli sfuggito alla coda. «Sono venuta prima che ho potuto». Tutte le si misero intorno e Siobhan si alzò dalla sedia. Maggie sorrise. «Non siete delle sospettate», si rivolse a Kara e Leslie, che tirarono un piccolo sospiro di sollievo, «E non lo è nemmeno Lillian», guardò Lena. «Ma non potrà lasciare la città. È più che altro un consiglio, finché le acque non si rassereneranno. Adesso che siete ufficialmente non accusate, credo che potrò ottenere il permesso di lavorare al caso e vi terrò informate. Rhea continua a puntare il dito contro di voi, ma è lei la vera sospettata». Siobhan si lasciò andare a un mugolio di approvazione. «Per il momento la trattiamo con i guanti, non vogliamo che lo capisca; dobbiamo tenerla buona intanto che le indagini vanno avanti».
Alex e Kara si scambiarono uno sguardo, ripensando a Zod: se l'uomo decideva di incriminare Rhea, forse non faceva parte dell'organizzazione, dopotutto. Maggie continuò a parlare della polizia scientifica che si trovava ora sul luogo dell'omicidio che a Kara vibrò il telefono e si allontanò subito, sperando fosse Mike. Ah, sbuffò: era Kal.
Kara, come stai? Abbiamo saputo che insieme a Leslie Willis e Lillian Luthor sei stata interrogata dalla polizia. Lois ed io non potremo raggiungerti prima di domani. Stai a casa!
Il tono del messaggio sembrava così preoccupato. Nessuno aveva diffuso la notizia del loro interrogatorio e si domandava come avessero fatto a venirne a conoscenza. Gli rispose che andava tutto bene quando un altro messaggio prese la sua attenzione, ma ancora una volta non era Mike.
Da IlRagazzoDelFlash a Me
Kara, ottime notizie!! Questa sera faranno uscire mio padre di prigione, non puoi assolutamente mancare!! Oggi grande cena tutti insieme e domani festa, devi esserci! Ti spiegherò tutto quando sarai qui!! Scrivimi presto per farmi sapere quando puoi venire!
Sospirò. Almeno Barry non aveva idea del caos che stava succedendo e probabilmente non aveva neppure guardato la televisione, concentrato su tutt'altro. Che suo padre stesse per uscire di prigione, se non altro, era la buona notizia che sperava di sentire. Non gli rispose ancora e tornò dal gruppo. O quelle erano le sue intenzioni prima di sentire le grida:
«Leslie! Keira!»: Cat Grant era tornata. Aveva gli occhiali da sole e con una mano reggeva una tazza da viaggio calda. «Nel mio ufficio. Subito». Non si fermò neppure un istante, entrando e sbattendo la porta.
«È arrivato il momento della giornata che preferisco», canticchiò Leslie, seguendo Kara che entrava in punta di piedi. Sentirono Siobhan dire che avrebbe pregato per loro.
Maggie prese per un braccio Alex e la tirò da una parte, in modo che potessero scambiare due parole in privato. Lena le raggiunse, dopo aver dato una veloce occhiata al suo cellulare e aver comunicato a suo fratello che né Kara né Lillian erano indagate.
«Notizie dal D.A.O.?».
Alex sospirò. «Dobbiamo lasciar fare a voi. Non possiamo intervenire fintanto che sarà un omicidio slegato alla nostra indagine, non è di nostra competenza», scosse la testa. «Però John è parecchio su di giri e mi ha ordinato di non mollare Kara un attimo. Pensa che…», non terminò la frase, scambiando uno sguardo con Lena.
«Non è l'unico a pensarlo», sussurrò lei, ansimando. «Kara e Leslie saranno le prime che andrà a cercare». Perfino Lex le era sembrato preoccupato: non era tornato a Metropolis come da programma e aveva invitato sorella e nuove sorelle a cena fuori, per quella sera. Per un attimo, il pensiero di contattare il profilo misterioso, o meglio ancora Indigo, per chiederle aiuto la sfiorò: forse lei poteva trovare qualcosa che incastrasse Rhea Gand.
«Lena?».
Alzò lo sguardo e vide che entrambe la fissavano: si era persa troppo a lungo nei suoi pensieri.
«Ci chiedevamo se ci sarebbe voluto ancora molto per risalire alle registrazioni della microspia», le fece presente Alex.
«No, le avremo in giornata», assicurò. «Ma non so quanto potranno tornarci utili».
Le due si guardarono. Sapevano che aveva ragione. «Devo andare», disse velocemente Maggie, rimettendo il cappello sulla testa. «Insisterò per lavorare al caso e vi farò sapere possibili sviluppi». Lei e Alex si scambiarono un bacio, così si allontanò di corsa.
Entrambe guardarono attraverso i vetri dell'ufficio, cercando di immaginare la discussione. «Chiederò una scorta anche per Leslie Willis. Almeno finché la situazione non cambia», disse Alex, mettendo le braccia contro i fianchi. «Se arresteranno quella donna, mi sentirò un po' meglio. Pensi di essere in pericolo?», la guardò, «Potrei richiederla anche per te, lo sai; John me l'approverebbe a occhi chiusi».
«Non mi sento in pericolo», obiettò. «Sono spaventata dagli eventi? Sì. Ma non ho paura per me». Riguardarono verso l'ufficio, scorgendo Leslie Willis camminare inviperita verso la porta.
La aprì e la richiuse sbattendola. «Mi ha sospesa! Di nuovo! A tempo indeterminato», alzò le braccia all'aria. «Va a finire che mi costringe al licenziamento».
«Cos'è successo?», le chiese Siobhan, riapparsa davanti a lei solo per dare sfogo alla sua curiosità.
Lei gonfiò le guance, riguardando l'ufficio con aria contrariata. «Siccome siamo state interrogate dalla polizia, pensa che sia meglio sospenderci per un po', per non dare nell'occhio. Dannazione, passerò le mie giornate a bere nei pub».
«Siamo?», la interruppe Alex e Leslie sbuffò.
«Sì, anche la biscottina è sospesa», indicò l'ufficio e si allontanò scalciando.
Davanti a Cat Grant, Kara ebbe lo stomaco in subbuglio. «S-Signora Grant, la prego, ci ripensi, non può sospendermi», corse verso la scrivania, con mani strette a pugno. Era stata sospesa dal lacrosse e ora dal lavoro? Le serviva quel lavoro; una sospensione poteva essere definitiva.
«Non farlo; se avessi voluto sentire delle preghiere, mi sarei fatta suora», rispose con sufficienza. Ricontrollò alcuni fogli e poco dopo rialzò il suo sguardo, trovandola ancora lì. «Keira. Ascolta», si sfilò gli occhiali da sole, mostrandole le borse sotto gli occhi, «Le vedi queste? Sono ciò che mi sono guadagnata per essere rimasta sveglia tutta la notte a rispondere a telefonate ed email sulla morte del senatore. Ho un sacco di lavoro da sbrigare e tu e Leslie, in questo momento, non siete altro che un piccolo e insignificante dettaglio in un mare di scartoffie e cose da ricordare».
Kara deglutì. «Anch'io non ho chiuso occhio questa notte, signora Grant».
L'altra la guardò un momento, poi sbuffò, sedendo meglio sulla sedia e poggiando gli occhiali. «Quando pensavi di dirmi di dover fare un'intervista a quell'uomo? Non ammetto simili comportamenti per chi lavora per me».
Kara trattenne il fiato, tirandosi più indietro. «G-Gliel'avrei detto presto, voglio dire, subito dopo il matrimonio, c-cioè, oggi», annuì, «probabilmente oggi».
«Probabilmente?».
«Sicuramente», si corresse. Non sapeva come ne era venuta a conoscenza: a parte poche persone e la polizia, nessun altro lo sapeva. Quella donna aveva orecchie ovunque. «Era stato lui a… a chiedermi di farlo».
«Quindi se ti chiedessi di fermare un treno in corsa a mani nude tu correresti a provarci?», la guardò aggrottando la fronte. «Pensavo fossi intelligente, Keira. Un'intervista al senatore era un lavoro troppo grande per te, non eri pronta».
«Proprio perché pensavo non me l'avrebbe lasciata fare, non ho detto nulla», ingigantì gli occhi ma si pentì subito di averlo detto, guardando il viso contrariato di Cat Grant.
«Confermo la sospensione».
«Ma-».
«Un giorno molto vicino ti chiederò di parlarmi di cosa ti ha chiesto di fare il senatore, ma ora voglio che te ne vada prima che la rabbia prenda il sopravvento e mi impedisca di dire ciò che sto per dire: non stai perdendo il lavoro. Hai ancora molto da imparare, è vero, ma sei sulla buona strada, sei capace e hai lo spirito giusto. E ora sei sospesa». La vide scapparle un sorriso, ma un sorriso molto incerto. «Sai cosa devi fare ora? Tornare a casa, metterti il pigiama e goderti questa piccola vacanza extra. Prendila così, vai a fare ciò che ti piace fare: che sia un bagno caldo, una maratona della tua serie tv preferita, una pizza, magari coccolarti con la tua sorellastra, lì». Kara arrossì di colpo, ingigantendo gli occhi, e Cat mosse un sopracciglio: «Oh sì, guardala come non ha occhi che per te», sussurrò e, all'improvviso, rimise gli occhiali, ritrovando il suo tono duro. «Non mi interessa. Basta che tu stia a casa, lontano da qui, non voglio vedere la tua faccia». Si alzò, raggiungendola. La spinse per quasi metà ufficio. «Stai a casa. E non parlare con nessuno», le aprì la porta. «Fuori».
Kara si vide costretta ad obbedire e per poco non inciampò su un tappeto.
«Tutto bene, sorellina?». Sia Alex che Lena si avvicinarono, mentre Kara guardava senza battere ciglio Cat Grant che richiudeva la porta e si allontanava verso la scrivania.
«Ho come l'impressione che la signora Grant mi abbia appena suggerito di stare al sicuro», disse, voltandosi verso di loro. «Anche lei pensa che stia per succedere qualcosa».

Maggie Sawyer era tornata in centrale. Il suo turno non era ancora finito e, appena mise piede all'interno, notò subito il gran fermento. Alcuni suoi colleghi facevano gruppo e parlottavano a bassa voce, escludendola. Aveva cercato spesso di ambientarsi, ma era ancora una novellina e altri novellini come lei, quando aveva iniziato, erano stati trasferiti o altri avevano stretto amicizie più facilmente. E non che avesse mai dato a qualcuno motivo di tagliarla fuori. Ora parlavano della morte del senatore. Aveva sentito Faora Hui alzare la voce, dicendo dispiaciuta che aveva deciso di votarlo alle prossime presidenziali. Li lasciò perdere e inquadrò il capitano Zod dietro i vetri che circondavano il suo ufficio. Aveva la testa bassa e scriveva qualcosa davanti alla sua scrivania; le dispiaceva interromperlo, ma doveva ottenere quell'incarico.
Bussò, lo vide alzare la testa e farle cenno di entrare, così eseguì, richiudendo la porta dietro di lei. «Scusi l'intrusione, signore, spero di non averla interrotta». Lui prese un pesante respiro col naso, continuando a controllare le carte in mano e indicandole con un cenno la sedia davanti. «Oh, no, signore. Sto in piedi, volevo solo chiederle…», toccava freneticamente il cappello tra le mani, come un antistress, «considerando che non ho parenti o amicizie coinvolte nel caso-».
La interruppe, assottigliando gli occhi: «Vuoi lavorare al caso del senatore?».
Maggie trattenne un sorriso, restando nella sua posizione rigida. «Sì», disse solamente, senza annuire.
«Perché ci tieni tanto?», le chiese, dapprima guardando i suoi fogli e dopo alzando lo sguardo verso di lei, facendosi interessato. «Abbiamo abbastanza agenti impegnati lì».
«Beh, è… un caso importante, signore. E devo farmi le ossa, quindi pensavo…».
«Vuoi imparare e crescere», accennò un sorriso, durato poco. «Permesso accordato, mettiti in pari con gli altri. E, Sawyer?», la fermò, vedendola allontanarsi, «Proprio perché si tratta di un caso importante, devo ricordarti la discrezione? Abbiamo la nazione addosso, non possiamo permetterci errori e non vogliamo attirare l'attenzione dei federali».
Lei annuì, tirando la maniglia della porta. Lo riguardò solo un momento, con attenzione, mentre completamente preso si rimetteva a testa in giù sulle scartoffie sulla scrivania. Si era ormai abituata a vedere quell'uomo sempre rigido e composto, apparentemente senza emozioni perfino quando sua moglie era venuta in centrale per portargli il pranzo, una volta, ma ora sembrava quasi… in lutto. Il senatore Gand si era fermato parecchio nel suo ufficio, quando era venuto a trovarlo. Che ci fosse dell'altro oltre al rapporto professionale? Che si conoscessero al di fuori dell'ambiente lavorativo? Alex avrebbe certamente detto che era perché facevano entrambi parte di quell'organizzazione criminale, ma Zod era un uomo severo che amava rispettare le regole, non un delinquente. «Signore?». Lo vide alzare lentamente la testa e Maggie si rese conto che lui non aveva neppure fatto caso che lei fosse ancora lì. «Le mie condoglianze». Uscì, lasciandolo prima che potesse replicare.

Kara tornò al campus con una brutta sensazione sulla pelle. Lar Gand era stato ucciso, Mike era scomparso, e Rhea voleva la sua testa. Lo sapeva. L'aveva sempre odiata dalla prima volta che mise piede nella sua casa, e allora non poteva sapere ciò che sapeva oggi. Che la donna sapesse del suo sospetto su di loro per la morte dei suoi genitori era un campanello d'allarme piuttosto forte… Oh, come se non bastasse, se l'avevano seguita, ed era certa che qualcuno l'avesse fatto, avrebbero presto fatto la loro mossa. Il telefono le vibrò di nuovo e lo prese, controllando la maniglia della porta della sua stanza, e poi girandola.
Tutta intera, sorellina?
Alex era più ansiosa di sempre, ma stavolta non poteva darle torto. Le rispose che stava bene, di essere tornata sana e salva. Entrò dentro e richiuse, guardandosi velocemente intorno. Non c'era nessuno. Vibrò di nuovo e si spaventò, così il cellulare scivolò dalla sua presa e cadde a terra.
Kara, devo sapere se ci sei!
Era ancora Barry. Accidenti, non gli aveva risposto.
Ho controllato i diretti, questo sarebbe il migliore. Le allegò uno screenshot delle linee e ne aveva cerchiato una che sarebbe partita tra qualche ora.
Sorrise un poco amareggiata; il ragazzo ci teneva proprio ad averla con loro. Non sapeva come dirgli di avere una cena con Alex, Lena e Lex, quella sera. E del senatore. Come poteva dirgli no, Barry, non potrò esserci perché hanno ucciso il senatore e ora sono un bersaglio?
Spense lo schermo del telefono e si avvicinò al letto, quando un rumore proveniente dal bagno la fece sobbalzare. La porta si aprì e Kara strinse il cellulare con forza, lanciandolo in direzione della porta. Megan scattò come un felino per non essere colpita e il cellulare finì dritto dentro il lavandino.
«Sono io, imbranata».
«No! Il cellulare!». Corse subito a recuperare l'oggetto usato come arma, mugugnando su quanto gli volesse bene.

Invece, Lena era tornata alla Luthor Corp. Aveva mal di testa, una perenne tachicardia e un senso pesante addosso a cui non riusciva a dare un nome. Non che ammirasse il senatore, né era mai stata particolarmente attaccata alla famiglia Gand, ma saperlo morto le aveva ricordato suo padre. E forse Rhea aveva ucciso entrambi.
Aprendo la porta del piccolo laboratorio, trovò Winn seduto accovacciato davanti a un banco; il monitor di un computer ormai spento, piccoli pezzi di plastica sparsi intorno a lui e utensili da lavoro. Il ragazzo era immobile. Lena si avvicinò piano, sentendolo russare. Ancora piano, si posizionò accanto a lui e prese fiato: «Winslow».
«Aaah!». Lui scattò in piedi, sbatté le ginocchia contro il banco e la sedia con le ruote gli scivolò sotto il sedere. «Ho f-fatto, signorina Luthor! Sono qui, so-sono sveglio, signorina Luthor». Aveva gli occhi rossi e il fiatone. «H-Ho fa- Cioè, sono riuscito a sì, emh, salvare il più possibile, trasferendolo verso-», si bloccò, muovendo il mouse e rimettendo operativo il pc.
Lena gli sorrise un momento, per poi tornare seria. «Vai a casa, adesso ci penso io».
«No, sono… Sto bene», ridacchiò, «Mi ero appisolato un momento ma-».
«Hai fatto un buon lavoro, gli straordinari sono finiti. Vai a casa». Sapeva di avergli chiesto spesso di fare più del dovuto.
Lui alzò gli occhi verso di lei e a quel punto lasciò il mouse, annuendo. La sorpassò e le diede le ultime accortezze, prima di accostarsi alle porte. «Emh, signorina Luthor… posso chiederle come sta Kara?!».
Lei annuì, riprendendo la sedia e avvicinandola al banco, sedendo. «Sta bene. Le dirò che l'hai pensata». Winn sorrise e uscì, intanto che la ragazza si mise al lavoro. Schiacciò play e si mise in ascolto, infilandosi le cuffie. Alcune tracce erano ancora troppo disturbate. Prese il cellulare e inviò un messaggio ad Alex, dicendole di avere qualcosa. Ascoltò, mandò avanti. C'erano fin troppe cose inutili, discussioni senza senso, molte per cui Rhea saltava da una conclusione all'altra. E nominava Kara fin troppo spesso. Non si accorse della porta che si apriva e del ragazzo che si avvicinava.
«Trovato qualcosa?», domandò Lex, poggiando una mano sul banco, vedendola fare un sospiro. «Ho incontrato il tuo assistente e mi ha detto dov'eri».
Lena tolse le cuffie e le scollegò, in modo che entrambi potessero sentire, cliccando play sull'ennesima traccia.

Megan rimase senza parole quando Kara le spiegò, brevemente, cos'era successo e cosa sarebbe potuto accadere ora. Fintanto che Rhea Gand era a piede libero, restava una minaccia.
«Mike non può essere scomparso», scrollò le spalle, «Era qui, ieri».
«Lo so, lo avevo incrociato anch'io prima di andare al matrimonio».
«No, più tardi, intendo. Sono stata con John ieri sera, mi ha riaccompagnato perché aveva impegni, e l'ho visto passare dal parco. Ho provato a salutarlo ma non mi ha sentito; ha continuato a camminare e l'ho lasciato fare», la fissò, scorgendo il suo sguardo preoccupato. «Sono certa che Rhea non gli ha fatto del male», disse subito, «Andiamo, è suo figlio, e ha sempre straveduto per lui».
Kara abbassò gli occhi. «E il senatore era suo marito», li rialzò lentamente, specchiandosi nei suoi. «Lo ha ucciso quando aveva deciso di parlare con me. E sai com'è fatto Mike», strinse i denti, «Mi difende sempre».
A quel punto, Megan si alzò dal letto con uno scatto. «Va bene, andiamo. Invece di stare qui a rimuginarci, possiamo chiedere ai suoi amici se sanno dove è andato».
Kara sorrise e le strinse la mano che aveva allungato verso di lei, per aiutarla a rimettersi in piedi.
«Come sta il cellulare?».
«Non è rotto: ha passato di peggio».
Cambiarono dormitorio, affacciandosi verso una grande sala con biliardo e freccette pieno di ragazzi e qualche ragazza, bottiglie di birra vuote appoggiate ovunque, e c'era della musica ad alto volume. E caos là dentro, tanto caos. Schiamazzi, qualcuno si rincorreva.
«Noi non abbiamo il biliardo», brontolò Megan mentre Kara la tirava via per una manica. «Perché non abbiamo il biliardo?».
Qualcuno le salutò e si fecero dare indicazioni, salendo al terzo piano. C'era del fumo puzzolente per il corridoio, anche se fumare era vietato. Schivarono un ragazzo in corsa che, vedendole, aveva gridato Supergirl prima di svoltare un angolo. Bussarono alla porta della sua camera, ma non rispose nessuno e andarono più avanti, trovando una porta già aperta: due letti, una piccola televisione accesa su un mobiletto, indumenti sparsi; sigaretta in bocca, un ragazzo provava qualche nota con una chitarra mentre due amici gli davano consigli.
Kara e Megan si scambiarono un'occhiata e così la prima bussò, osservandoli intanto che alzavano uno sguardo, perplessi. «Scusate l'intrusione: avete per caso visto Mike Gand, oggi?».
Il ragazzo con la chitarra la mise su un tappeto e si alzò dal letto su cui era seduto, mentre i due amici facevano lo stesso. «Non sei la benvenuta, qui, Supergirl», disse lui, togliendo la sigaretta dalla bocca e lasciando uscire il fumo. «Non più».
«Ma non ti vergogni?», le disse un altro, con sguardo contrariato. «Gli hai spezzato il cuore e quel poverino ha perso pure il padre».
Kara aggrottò la fronte e Megan intervenne: «Abbiamo bisogno di parlare con lui, è una cosa importante, non fate i bambini».
«I bambini noi?», si indicò il terzo ragazzo, abbozzando una risata e guardando gli amici. «La tua amica lì ha cercato di metterlo contro di no- ah!», la indicò e Kara si avvicinò scattante, afferrandogli il dito e piegandolo un po': mentre lui si lamentava dal dolore, gli amici smettevano di ridacchiare.
«Forse non avete capito: non abbiamo tempo da perdere». Gli restituì il dito che il ragazzo stava quasi per mettersi a piangere, con occhi lucidi. «E io non ho cercato di fare proprio niente».
Lui si strinse il dito ma non osò dire che gli faceva male; si tirò indietro e si stette zitto, mentre il primo ragazzo gli lasciò la sigaretta e si avvicinò a Kara tanto da respirarle addosso, guardandola dall'alto al basso. Per un attimo, in quel solo attimo, Kara ricordò la rissa a Gotham. Se avesse avuto in corpo l'effetto della pillola che aveva ingerito quella sera, in quel momento, cosa sarebbe successo? Si era sentita così libera di poter dare sfogo alle sue emozioni, senza freni, senza colpe, senza pensieri, che era certa sarebbe potuta andare dritta all'obiettivo. Il pensiero che Rhea avrebbe potuto tentare di ucciderla, ora, si stava facendo pesante. Come pesante era il sospetto che fosse accaduto qualcosa a Mike e che non poteva fare niente per lui.
Anche l'altro ragazzo tentò di avvicinarsi, ma Megan lo bloccò frapponendosi con un braccio e lanciandogli un'occhiata.
«Ti credi davvero una super ragazza, uh?», le buttò il fumo addosso mentre parlava e Kara tossì, sventolando una mano.
«Fumare fa male: non te lo ha mai detto nessuno?».
Lui aggrottò la fronte. «E tu sei una rompiscatole: non te lo ha mai detto nessuno?».
La ragazza grugnì e gli pestò un piede, così lui la spinse e, mentre l'amico tentò di avvicinarsi di nuovo per aiutarlo e fu sbattuto contro il muro da Megan, lei gli strinse le braccia e, mantenendolo saldo, lo forzò a indietreggiare. Non poteva muoversi e fu fatto sedere sul letto, ma sorrise divertito.
«Forse ora capisco cosa ci vedeva Mike in t- ah!», gli schiacciò di nuovo un piede e la guardò torvo. «Ti piacciono le cose forti, eh- aih», glielo schiacciò ancora, più forte. «E basta! Va bene, ho capito! Lasciami». Si strinse i piedi quando Kara decise di lasciarlo andare, e lo stesso fece Megan con l'amico che aveva ancora la bocca contro la parete. «Mike era qui, ieri. Era tutto incazzato, pensava che noi avessimo parlato di lui con te, poi se n'è andato».
«No, è tornato». A un certo punto, tutte le attenzioni si rivolsero al terzo amico, che ancora si stringeva il dito dolorante. «Era tornato più tardi, lo avevo incrociato in corridoio, ma non mi ha neanche guardato», deglutì, «P-Pensavo fosse perché era ancora incazzato, che ne so. Poi dev'essere uscito, il suo compagno di stanza non lo ha visto».
Kara e Megan si scambiarono un'occhiata, cercando di riflettere.
«Ora potete uscire, Charlie's Angels», gridò il secondo ragazzo; aveva ritrovato un po' di coraggio, ma gli bastò un'occhiata di Megan per andarsi a sedere sul letto vicino all'amico.
Fu di nuovo il terzo a parlare: «Pensate che il suo comportamento avesse a che fare con suo padre?».
Dopo il consueto stacco pubblicitario, la televisione mostrò in un breve video la casa dei Gand transennata, una foto del senatore in giacca a cravatta e, dopo, una calca di persone intorno a un piccolo palco: la didascalia del telegiornale recitava che Rhea Gand avrebbe dato un annuncio e che era in diretta. La donna salì sul palco e molti la applaudirono. La videro fregarsi gli occhi inumiditi e avvicinarsi al microfono, mentre le scattavano foto e la telecamera zoomava sul suo profilo. «Grazie. Grazie alle persone che sono accorse e a quelle che mi vedono da casa. Il mio amato marito», si fermò con un singhiozzo e la gente applaudì ancora, «Lui… non c'è più. Le indagini vanno avanti e la polizia non può ancora restituirmi il suo corpo», singhiozzò ancora, addolorata, «ma domani si terrà comunque una cerimonia di commemorazione che sto organizzando in queste ore. Sono fiduciosa che la polizia saprà dare giustizia».
Il cellulare in tasca di Kara vibrò: era Maggie.
«Nel frattempo», continuò la donna, «ho chiesto a tutti di presentarsi qui per una cosa molto importante. Lar potrà essere morto, ma io porterò avanti il suo sogno come se fosse ancora qui con me e come avrebbe voluto: mi candiderò alle prossime elezioni presidenziali». Scattarono altre foto, ci furono altri lunghissimi applausi, mentre i ragazzi in camera con loro si lasciarono andare a versi divertiti e Megan in uno contrariato.
Stiamo andando ad arrestarla.
Kara rilesse più volte, non certa di aver letto bene.
Sappiamo che ha mentito sulla sua giornata e potremo trattenerla delle ore in stato di fermo, in attesa di prove schiaccianti.
Rialzò lo sguardo alla televisione e Rhea sforzò un sorriso, trattenendo le lacrime, salutando la folla. La telecamera inquadrò una volante della polizia arrivata sul posto e Rhea spense il sorriso. Ne seguirono altre due. Scattarono diverse foto sulle persone in divisa che salivano sul palco e Megan si voltò verso di lei con un sorriso. Rhea Gand fu scortata giù dal palco e Kara riconobbe Maggie tra i poliziotti. Non poteva non ammettere che, vederla portare via da loro, le aveva improvvisamente ridato ossigeno. Molti giornalisti avvicinarono il microfono e un poliziotto senza divisa si avvicinò, spiegando che la donna aveva delle domande a cui rispondere di fronte alla legge, senza entrare in dettagli.
«I miei avvocati mi faranno uscire in giornata», starnazzò lei mentre la facevano inchinare per entrare nella volante. «Voglio parlare con il tuo capo, con il vostro capo. Dov'è Zod? Devo parlare con lui». Riuscì ancora a dire che la cerimonia si sarebbe comunque tenuta nella sua casa, poi chiusero lo sportello.
«L'hanno presa», esclamò Megan e Kara annuì.
«Ora dobbiamo solo sperare che non abbia eliminato tutte le prove». Le due uscirono senza salutare.
«Ah», Megan tornò indietro di scatto: «Le Charlie's Angels erano tre», fece notare al ragazzo, prima di sparire.

La donna camminò avanti e indietro in quella angusta cella. Non sopportava l'idea di essere lì. Non che non si aspettasse una cosa come quella da parte della polizia, ma non della polizia con a capo il Generale Zod. L'avevano fatta cambiare e mettere addosso uno stupido completo blu davanti ad alcuni agenti. Era stato umiliante. Per di più, l'avevano portata via durante il suo momento in diretta. Tutto quello era inconcepibile. C'era un'unica cosa a cui riusciva a pensare che le tirava su il morale: ciò che aveva iniziato, non poteva essere fermato.
Una porta si aprì e Rhea tese le orecchie, aspettando il suo arrivo: mani dietro la schiena, posa militare, sguardo rigido con i piccoli occhi scuri puntati su di lei. Rhea si avvicinò lentamente alle sbarre e lui attese il suo arrivo. Possibile che l'uomo stesse venendo meno alla promessa suggellata molti anni prima? Avrebbe dovuto tutelarla, non incarcerarla. Diede uno sguardo rapido verso la telecamera, notando il led rosso che andava ad attenuarsi, segnando lo spegnimento. «Fammi-uscire-di-qui», gli disse piano, quasi come un ordine.
Zod non mosse neppure un sopracciglio davanti a quelle parole. «Cos'hai fatto, Rhea?».
«Ciò che dovevo».
Intanto, con Rhea Gand dietro le sbarre, Kara si sentì in dovere di prendere un attimo di respiro: tempestò Mike di messaggi e chiamate per farsi contattare presto e, nel mentre, le arrivò un altro messaggio da parte di Barry Allen. Sembrava piuttosto insistente, ma come dargli torto: dal suo punto di vista, lo stava ignorando per l'intera giornata.
«Hai deciso di andare da lui?», le chiese stupefatta Lena, al telefono. Guardò Lex di fronte a lei che scuoteva la testa. «Non penso sia una buona idea».
«Mi dispiace, so che dovevamo parlare e che Lex ci ha invitato fuori ma…», la sentì prendere fiato. «Il padre di Barry è uscito di prigione e gli avevo promesso che ci sarei stata e-e penso sia l'occasione giusta per… allontanarmi un po', solo un po'. Aspetto che Mike si faccia vivo, e insomma… Con Rhea Gand in prigione, siamo più libere».
Lena l'ascoltò senza battere ciglio, infine deglutì, passando una mano sulla fronte. «Kara, io…».
«Lo so, questa volta sono io a chiederti di aspettare. Ho il cervello un po' confuso in questo momento e ti chiederei di venire con me, perché vorrei che venissi con me, ma non voglio chiedertelo e tu non chiedermelo perché ho bisogno di staccare la spina solo un momento e che tu in questo momento non sia con me».
«Va bene».
«Va bene», la sentì replicare, «Ma ti manderò un messaggio più tardi, okay? P-Perché vorrei sentirti e… mi manchi, Lena. So che ci siamo viste e ieri al matrimonio… beh… però mi manchi».
Non seppe capire subito il perché, ma gli occhi chiari le si riempirono di lacrime. Le mancava. Avevano passato quella notte a parlare del senatore e di cosa sarebbe successo, eppure, anche lei le mancava in mille e più modi. «Anche tu», trattenne il fiato più che poté, fino a quando non staccò la chiamata e si passò le dita sugli occhi.
Lex la guardò con sconcerto. «Per favore, dimmi che Kara verrà a cena con noi, questa sera».
Lena scosse la testa, riguardando solo un attimo il monitor del pc che indicava lo stato dell'audio che stavano ascoltando. «Era strano…».
«Kara era strana?».
«No, il momento». Come se dovesse succedere qualcosa, pensò, ma non lo disse ad alta voce. Guardò lui e, prendendo un bel respiro, tornò seria come poté. «Kara va a Central City dal suo amico Barry Allen. Rhea è in prigione, ora, e sarà più al sicuro lì che qui. Perché tanto infastidito?».
Lex alzò un poco gli occhi, stringendo forte un pugno. «Il fatto che Rhea Gand sia in prigione, non la esonera dal fare qualcosa contro Kara».
Avrebbe voluto dirgli che degli agenti del D.A.O. la seguivano, ma preferì tenere per sé quell'informazione, tenendolo d'occhio con scrupolo. «Che cosa vuoi dire?».
Zod strinse i suoi occhi e deglutì, avvicinandosi alle sbarre. «Lar non doveva morire», sussurrò, «Che cosa ti è saltato in testa?».
«Tirami fuori di qui», ribadì lei, stringendo le sbarre. «Lui mi ha tradito: voleva rilasciare un'intervista alla giovane El perché tu hai ignorato le mie richieste di farla smettere. È entrata nella vita di mio figlio, poi voleva risposte e quando ti ho chiesto di pensarci, tu non hai mosso un dito. Alla fine aveva preso anche lui. Ho dovuto prendermi carico del problema e ora mi fai questo? Pensi che mi sia divertita? Non amo occuparmi delle cose di persona, non sai mai a quanto sangue possa perdere un corpo finché…», sussurrò disgustata, per poi riguardarlo con massima serietà: «Sono stata costretta a uccidere Lar».
Zod socchiuse gli occhi per un tempo lunghissimo. Larson Gand non c'era più e Rhea dava a lui le colpe di questo. Avrebbe potuto evitarlo? Conosceva entrambi da tanto tempo e, al di là dell'organizzazione, Lar era suo amico. «Costretta. Come sei stata costretta a mandare qualcuno che si occupasse degli El?».
Lena spalancò gli occhi. «Sono stati loro?». Eppure, una parte di lei lo aveva sempre saputo.
«Rhea Gand voleva uccidere la giudice perché si era sentita sfidata», rispose Lex, abbassando lo sguardo. «Ma non voleva solo ucciderla: voleva ucciderli tutti, estirparli. Lei ha alzato l'idea, non voleva dei nemici, e i membri hanno votato a favore».
Le grida di Rhea Gand interruppero le parole di Lex, girandosi entrambi verso il monitor. «Sei un bastardo», la sentirono all'improvviso, continuando a dire parolacce.
«Ma smettila», la seconda voce era più bassa, lontano, ma non avevano dubbi nel dire che si trattava di Lar Gand.
«Devi smetterla tu! Smetterla di mentirmi! Ho letto le tue idiozie nascoste nel cassetto. Eri pronto a tradirmi».
«Volevo una vita diversa, Rhea! Quello che vuoi fare… Tu hai tradito me e la mia fiducia. Certe cose dovevano restare nel passato! Sepolte con le persone a cui abbiamo fatto del male». Le voci si affievolirono fino a sparire. Lena ebbe un brivido, perché sapeva che quelli erano gli ultimi istanti di vita di quell'uomo.
Lex abbassò gli occhi. «Lui mi aveva parlato di loro. Aveva confessato».
«Papà…», anche Lena abbassò gli occhi e scosse la testa, intanto che lui la fissava con una strana espressione in volto.
«Lena, penso sia il caso di dirti una cosa». La vide alzare lo sguardo e i suoi occhi chiari e grandi, feriti, lo colpirono come un pugno nello stomaco. «Papà me l'aveva presentata come la mia eredità», accennò un sorriso spento, per poi continuare: «È anche la tua». Lei si passò una mano sul viso e si asciugò le lacrime, inumidendosi le labbra. «E lo sapevi». Lo capì dai suoi occhi; nessuna sorpresa.
«Tu, piuttosto: lo sapevi e hai preferito tenermelo nascosto. Lillian me lo ha rivelato diversi mesi fa».
Lex scrollò le spalle, prendendo fiato. «La nostra è una famiglia più complicata delle altre, Lena. Perdona la mia ingenuità: se pensare di regalarti anche solo un miraggio dove la tua reale famiglia era là fuori, magari migliore della nostra, era una cosa sbagliata, allora sono colpevole».
Lei deglutì, senza guardarlo. «Papà ne faceva davvero parte, dunque», cambiò discorso.
«Lui e Lillian», la corresse. «Nostro nonno era uno dei fondatori, Lena. Nostro padre poteva salvare gli El ma non ci è riuscito, entrambi si sono tirati fuori e Rhea Gand ha vinto», strinse i denti. «Richiama Kara, adesso», le disse, prendendo poi il suo cellulare. «Da famiglia e da Luthor, ora non ci resta che proteggerla dalla follia di quella donna. Io chiamo Alex».
Rhea Gand roteò gli occhi. «Sì. Come gli El. Ti sei legato questa cosa al dito. Come vedi, avevo ragione: se avessi dato retta a me, e li avremmo fatti sparire da bambini, ora Lar sarebbe ancora vivo», annuì con convinzione. «Ci saremmo risparmiati la seccatura! Sei sempre stato troppo idealista, Dru. A me piacciono le soluzioni semplici: e a differenza tua, risolvo i problemi».
Zod la fissò. Qualcosa si mosse in lui; dentro di sé ribolliva. Odiava le morti inutili. Odiava non essere riuscito a prevederlo. Odiava come Rhea riuscisse a portargli via sempre qualcosa… Strinse di più gli occhi scuri e infine si voltò per andarsene.
«La promessa, Dru», gli ricordò, «Altrimenti ci penseranno i miei avvocati: non hai prove e io ho una funzione da mandare avanti». Lo sentì aprire e chiudere la porta, così sorrise, andando a sedersi sul lettino freddo della cella.

Barry le aveva perfino comprato online il biglietto. Doveva decidersi se, una volta a Central City, gli avrebbe detto o meno ciò che stava succedendo. Non voleva rovinare la festa, ma non ci teneva neppure a tenergli nascosto tutto; era suo amico e una parte della storia la conosceva anche lui. Oh, il cellulare vibrò ancora. Dopo Alex, a cui aveva risposto che stava bene e che stava andando a prendere la metro, era Lena. Scese gli scalini della stazione e raggiunse la banchina, vedendo che era pieno di gente. Fissò il cellulare con la chiamata in arrivo. Avrebbe dovuto risponderle. Magari era una cosa urgente. Sbuffò e allungò il pollice per accettare la chiamata, ma un urlo improvviso la fece voltare a destra e così assottigliò gli occhi, reggendo gli occhiali, per vedere meglio. Un altro urlo. Un altro. All'improvviso, la calca cominciò a muoversi come impazzita, continuando a urlare e a spingere verso le scale. «Ehi», tentò di fermare qualcuno per avere spiegazioni, ma la spinsero da un lato, e un'altra persona la spinse da un altro. Allora si avvicinò verso il punto da cui tutti scappavano e sentì delle urla che parlavano di una bomba sui binari. Una bomba? Cercò di correre verso le persone che continuavano a spingersi e aiutò un'anziana ad alzarsi da terra. Che Rhea Gand avesse fatto mettere una bomba per lei? E come faceva a sapere che sarebbe stata lì? «Ehi», vide una poliziotta e alzò una mano per farsi notare. Erano stati piuttosto veloci a intervenire, per fortuna. «Parlano di una bomba sui binari?», anche se vicine, alzò la voce per farsi sentire in tutta quella confusione, ma sbiancò quando vide la donna in divisa alzare la pistola verso di lei.
Verso di lei. Stava succedendo. Fu allora che si accorse che stava succedendo davvero: Rhea l'aveva mandata a ucciderla. Ma, per sfortuna della poliziotta, erano davvero tanto vicine: Kara le diede un calcio contro il braccio e la pistola cadde a terra, sballottata dai piedi delle persone allarmate che tentavano di mettersi in salvo. Per un attimo si guardarono e si sollevò gli occhiali sul naso. Le pareva di conoscerla.
La poliziotta cercò di colpirla ma riuscì a scansare il colpo, così la spinse. Tuttavia, la ragazza in divisa non le permise di farla allontanare troppo e le corse addosso, la prese per il colletto del giubbotto e la gettò a terra. Kara la colpì contro la bocca dello stomaco e riuscì a capovolgere la situazione.
Ora si ricordava di lei. «Faora… giusto?».
Lei la colpì e Kara si sentì costretta a retrocedere. Cercò di colpirla ancora, ancora, scansò tutti i colpi e, a quel punto, Kara ricambiò e la poliziotta tornò indietro, cadendo a terra quando delle persone le andarono addosso. Cercò di individuarla che fu di nuovo contro di lei: la ragazza in divisa cercò di gettarla sui binari e, vedendo che non riusciva, tentò di spingerla per le spalle. Non si aspettava che Kara opponesse tanta resistenza; aveva una presa tanto forte che, se fosse davvero riuscita a buttarla giù, sapeva che l'avrebbe trascinata con sé.
«È stata Rhea Gand a mandarti?».
«Stai zitta».
Kara riuscì a strattonarsi dalla sua presa e la vide inquadrare la pistola. Corsero per prenderla e Faora arrivò per prima, puntandogliela di nuovo addosso. «Ho visto che eri armata», disse con un sorriso e il fiatone, «Potresti aver messo tu la bomba sui binari».
«È questo il piano?», si accigliò, sistemando gli occhiali. «Mi hai vista armata? Non ci crederà nessuno».
«Non importa: a quel punto sarai comunque morta e io salirò classe».
Classe? Kara la vide stringere la pistola e tutto si fermò. Sarebbe morta in quel modo? Una poliziotta l'avrebbe uccisa per scongiurare un allarme bomba? Cosa avrebbe pensato Alex, quando non avrebbe risposto alle sue chiamate per sapere come stava? E Lena? Avrebbe dovuto risponderle, avrebbe dovuto dirle di amarla e sarebbe dovuta andare da lei, ad ascoltare ciò che doveva dirle. Mike? Avrebbe mai saputo che sua madre l'aveva fatta uccidere? Eliza ne sarebbe stata a pezzi e Lillian le sarebbe stata vicino. Megan avrebbe ripulito la sua parte della camera. Cat Grant si sarebbe data la colpa per non averla fatta smettere quando era in tempo. Leslie ci avrebbe bevuto su e Siobhan… oh, chi se ne importava di cosa avrebbe fatto Siobhan. E Kal. Kal si sarebbe sentito di nuovo solo. No. Lei poteva farcela. Non sarebbe morta lì e in quel modo. Lei era Supergirl. Lei era veloce. Vide Faora premere il grilletto e si spinse da un lato. Dietro di lei c'era il muro. Avrebbe potuto ancora colpirla e disarmarla. Poteva farcela. Sentì lo sparo e le caddero gli occhiali dal naso. Ne sentì un altro. L'aveva colpita? Quando Kara alzò gli occhi, scoprì che non era stata lei a sparare e che Faora cadeva a terra di schiena; la gente urlava. Tutto il mondo riprese ad avere un suono, dei rumori. Stava bene. Si voltò e cercò di mettere a fuoco le scale più vicine: i colpi erano partiti da lì. Alex era lì.
Pistola tra le mani, Alex scese di corsa, facendosi spazio nella calca e dando ordini ad alcuni uomini con lei di sparpagliarsi. Erano in divisa. Lei aveva la divisa. Kara la sentì parlare di andare a cercare la bomba e, così, si inchinò su di lei. Le toccò una spalla e si scansò solo un attimo, reagendo d'istinto. «Kara, come ti senti? Kara?». Le prese gli occhiali, passandoglieli.
«H-Hai il porto d'armi per quella?», le chiese con un filo di voce, cercando di calmare la tachicardia. Non poteva non ammettere di aver pensato di essere morta, sentendo quegli spari. «Sei… decisamente arrivata appena in tempo».
«Lex e Lena avevano una brutta sensazione», le rispose.
Kara la fissò meglio e più in là guardò Faora, riversa a terra, il sangue che camminava sulle piastrelle sporche. Alex andò a sentirle le pulsazioni.
«È viva», disse toccandosi un'orecchia, «Chiamate un'ambulanza».
Con chi parlava?
«Agente Danvers?».
«Agente?», Kara soffiò accigliandosi, cercando di rimettersi in piedi. Un uomo in divisa nera come le altre si presentò davanti a loro e lo squadrò attentamente, convinta di conoscerlo: ma certo, la spiava. Era il giovane che aveva preso mentre la seguiva fingendo di leggere un giornale.
«Abbiamo trovato la bomba», annunciò lui, scambiando solo uno sguardo con lei e aprì un borsone giallo, tirando fuori dei calzoni appallottolati intorno a un orologio senza cinturino. «Era un falso allarme».
Alex strinse le labbra con rabbia. «Era solo un diversivo: trovate il simpaticone che ha lanciato l'allarme, ora». Poi riguardò Kara e il suo viso si trasformò, incontrando i suoi occhi: non più arrabbiato, ma mortificato. «Kara, io…».
«Risparmiatela, okay?», tuonò furiosa, bloccandola con una mano.
Alex la vide allontanarsi mentre i paramedici scendevano le scale con una barella. Era normale che fosse arrabbiata. La sua espressione le aveva spezzato il cuore, ma sperava che Kara avrebbe capito.


***


Da Anonimo a Me
Kara? Sono Barry, segnati questo numero! Dovevo scriverti prima ma avevo perso il telefono: qualche genio ha pensato di rubarmelo e gettarlo in un cassonetto, ma deve aver buttato la SIM da un'altra parte. Ma che gente c'è in giro? Ho letto che il senatore Gand è morto e volevo sapere se andava tutto bene! Rispondimi presto.
Kara spense lo schermo del cellulare e riguardò sua sorella con la coda dell'occhio, mentre l'auto del D.A.O. la portava verso villa Luthor-Danvers. Era al telefono e parlava con gli agenti che avevano seguito l'ambulanza con Faora Hui priva di sensi. Il corpo di polizia sarebbe stato avvertito tra un po'; dopo, le disse Alex, quando avrebbe potuto dirlo anche a Maggie. Beh, era stato rassicurante sapere che non aveva mentito anche a lei. Il ragazzo che la seguiva, l'agente del D.A.O., le spiegò mentre sua sorella era al telefono che l'indomani mattina sarebbero passati a prenderla per portarla nel loro quartier generale. I paramedici l'avevano visitata e non avevano ritenuto necessario che andasse in ospedale per qualche graffio e dei lividi, considerando che era stanca, e Alex se n'era accertata, visitandola lei stessa e facendo rapporto; ora che la loro operazione nell'ombra era saltata, volevano giocare a carte scoperte e parlarle. Un'altra cosa che non avrebbe fatto altro che rovinarle l'umore.
Quando la macchina si fermò ai pressi del cancello, Lena era già fuori e aspettò di vederla per correre ad abbracciarla. Kara la strinse forte; capì presto che in quel momento era l'unica cosa che le serviva. Lena e Alex si scambiarono uno sguardo e la seconda rientrò in auto; doveva andare in ospedale per accertarsi delle condizioni della poliziotta: la sua giornata non era ancora finita.
Rientrarono in villa mano nella mano e, anche se in un primo momento, Lillian le guardò con rimprovero, le domande su cos'era successo e la preoccupazione di Eliza, vinsero su tutto e lei stessa sentì dentro di sé un sentimento di rabbia: Rhea Gand aveva osato toccare un membro della sua famiglia.
«Se non altro, adesso so che sono lì per proteggermi e non per attaccarmi», borbottò Kara, roteando lo sguardo, dopo aver dato un'occhiata dalla finestra alla volante degli agenti del D.A.O. ferma davanti alla villa.
Seguì Lena in camera sua e la prese fra le braccia, lasciandole un caldo bacio su una guancia fresca.
Lena la strinse a sua volta, accorgendosi che forse aveva iniziato a farlo troppo forte. «Ho avuto così paura».
«Rhea mi ha giocato proprio un bello scherzetto. E Barry non sa che si è finta lui. O forse era Faora…», disse lei, distanziandosi dalla ragazza e guardando anche lì fuori dalla finestra. «Quella poliziotta non pensava a cosa stava facendo, voleva solo compiere ciò per cui era stata assoldata. Non era lì per soldi o che altro», esclamò accigliandosi, «Come se lo stesse facendo per… convinzione. C-Come se fosse stata la cosa giusta da fare».
Ripensò a tutti i momenti dello scontro con lei. Come avrebbe dovuto agire e non lo aveva fatto, o non lo aveva fatto per tempo. Gli occhi scuri di Faora Hui su di lei. La sua determinazione. Ripensando poi, invece, alla propria agitazione; a come aveva tentato di restare calma e agire con sangue freddo perché una mossa sbagliata le sarebbe costata la vita. E ripensò alla pillola che le aveva dato Roulette nel locale di Lord a Gotham. Sapeva che, se l'avesse avuta in circolo, sarebbe riuscita a disarmarla prima. Quella pillola aveva tirato fuori da sé una personalità diversa e l'aveva fatta comportare male con chi le stava intorno, ma le aveva anche permesso di non avere paura. Non ne avrebbe avuta, con quella.
Lena abbassò lo sguardo e prese fiato e, sicuramente, un po' di coraggio. «Kara… devo-».
«No», la interruppe, «Ti prego, qualsiasi cosa sia non adesso». Tornò fra le sue braccia e Lena non poté che accoglierla. «Baciami e basta, okay?», le sussurrò, ormai sulle sue labbra.
Quando Alex tornò in villa per sapere come stesse la sorella minore, Eliza le gridò addosso. Aveva nascosto anche a lei di lavorare per il D.A.O. e si era sentita lei stessa ferita. Sapere che, invece, Jeremiah ne era al corrente, la fece arrabbiare più di tutto.
«Tua sorella era in pericolo e non hai pensato di dirmi una sola parola».
«Lavorare sotto copertura significa questo», si giustificò lei; «Se lo avessi detto a qualcuno, anche a te, avrei rischiato di compromettere tutto. Di metterla in pericolo. È il mio lavoro».
Poi se ne andò. Non restò a dormire in villa, aveva un bisogno fisico di sentire Maggie vicina così come Kara ne aveva di Lena, sdraiate sul letto, abbracciate.
L'indomani le avrebbe aspettate una dura giornata. Ancora non lo sapevano, ma per assenza di prove e perché la scomparsa di Mike Gand lo rendeva un sospettato, Rhea sarebbe stata scarcerata alle prime luci dell'alba.




























***

Benritrovati, gente! Allora, ditemi la verità, vi eravate dimenticati di Our home, o questa storia vi era mancata? Sono stata via un po', spero solo che non vi siate scordati di tutto ciò che è successo fino ad ora XD In caso, ho lasciato un piccolo promemoria sull'onda del dov'eravamo rimasti prima del capitolo :)

Ma dunque eccoci qui, alla fine è successo: Rhea Gand ha inviato qualcuno a uccidere Kara! Qualcuno che ha fallito grazie alla prontezza di Alex chiamata da Lex e Lena per un “brutto presentimento”. La donna si è servita delle indicazioni del figlio che le raccontava di Barry e il padre in prigione, fingendosi lui.
Intanto, abbiamo assistito a interessanti discussioni parallele: da una parte, Lex ha rivelato a Lena ciò che suo padre aveva detto a lui, sull'organizzazione e che sono stati i Gand a mandare qualcuno a uccidere i genitori di Kara, dall'altra Rhea che confessa di aver assassinato suo marito per una sorta di tradimento nei suoi confronti (e, stavolta, non c'entrava la segretaria!), scaricando le colpe a Kara e direttamente a lui, Zod, per non averla fermata. E, per ultima cosa, ha detto anche di aver ucciso gli El, confermando le parole di Lex.
Cosa ne pensate di Zod? Lui sembra molto più che infastidito, Lar era suo amico. Non solo nella discussione con Rhea, ma abbiamo potuto farci un'idea di lui anche quando Maggie gli ha chiesto di poter lavorare al caso del senatore. Nonostante il disappunto, pare proprio che non possa far nulla contro Rhea per una sorta di promessa; dopotutto, fanno parte dello stesso gruppo.
E non dimentichiamo che Faora Hui, la poliziotta che ha cercato di uccidere Kara, ha parlato di salire classe come motivazione per farla fuori: a cosa si riferiva?
Lena e Kara sono rimaste insieme per tutta la notte, ma non hanno fatto altro che parlare dei Gand mentre la seconda cercava di chiamare Mike, che pare sparito. Lillian ed Eliza devono rimandare il loro viaggio di nozze e Cat Grant ha sospeso Kara e Leslie.
Per ultimo, finalmente Kara conosce il vero lavoro di sua sorella, e così anche Eliza, che si è parecchio arrabbiata. La copertura è saltata, cosa accadrà adesso?

È arrivato il momento delle note ~ Ah, è una sola, a onor del vero:
- Faora Hui è la mia versione per la storia del personaggio Faora Hu-Ul della DC Comics. Al contrario dei fumetti, questa poliziotta è molto più giovane di Zod e no, non è la sua amante, ahah!

Il 22 ottobre questa fan fiction ha compiuto un anno! Su EFP, proprio il 22 ottobre avevo pubblicato il capitolo 30, Dipendenza da lei, ma non ci avevo fatto caso e ho perso l'occasione, accidenti! Rendetevi conto che sto scrivendo da oltre un anno questa fan fiction: riuscirò a finirla entro il 2019 o a ottobre festeggeremo i due anni? Ahahah! (Io rido ma… a-i-u-t-o, voglio finirla!! XD)
Però abbiamo un altro compleanno da festeggiare! Infatti, il 7 febbraio dello scorso anno pubblicai il prologo di Our home qui su EFP :) A questo proposito, quindi, ci rileggiamo direttamente nelle note del prossimo capitolo che verrà pubblicato proprio giovedì 7 febbraio e si intitola… Prendere le distanze!
Felice di essere tornata, spero che siate ancora qua a seguirmi ^_^



   
 
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